TAR Trieste, sez. I, sentenza 2020-12-22, n. 202000451

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Trieste, sez. I, sentenza 2020-12-22, n. 202000451
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Trieste
Numero : 202000451
Data del deposito : 22 dicembre 2020
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 22/12/2020

N. 00451/2020 REG.PROV.COLL.

N. 00091/2020 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Friuli Venezia Giulia

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 91 del 2020, integrato da motivi aggiunti, proposto da
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato C B, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Trieste, piazza Giotti, 1;

contro

Ministero dell'Interno, Prefettura - Ufficio Territoriale del Governo Pordenone, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Trieste, domiciliataria ex lege in Trieste, piazza Dalmazia, 3;

per l'annullamento

del decreto di revoca delle misure di accoglienza emesso dalla Prefettura – Ufficio Territoriale del Governo di Pordenone, Area IV, Serv. 2 Prot. Uscita N. 0003560 di data 22.1.2020

nonché, tramite ricorso per motivi aggiunti,

del decreto di revoca delle misure di accoglienza emesso dalla Prefettura – Ufficio Territoriale del Governo di Pordenone, Area IV, Serv. 2 Prot. Uscita N. 0034948 di data 26.06.2020, notificato in data 30.6.2020 dalla Questura di Pordenone, emesso in seguito all'ordinanza cautelare n. 42/2020, REG. PROV. CAU., del Tribunale Amministrativo Regionale Friuli-Venezia Giulia, sez. I, dd. 15.05.2020


Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ufficio Territoriale del Governo Pordenone;

Visti tutti gli atti della causa;

Visto l’art. 35, comma 1, lett. c) del c.p.a.;

Visti l’art. 25 del d.l. 28 ottobre 2020, n. 137 e l’art. 4, comma 1, periodi quarto e seguenti del d.l. 30 aprile 2020, n. 28 (convertito con l. 25 giugno 2020, n. 70);

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 17 dicembre 2020, svoltasi da remoto attraverso la piattaforma Microsoft Teams, il dott. Luca Emanuele Ricci e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

Il ricorrente ha impugnato il provvedimento della Prefettura di Pordenone del 21.01.2020 che ha disposto la revoca delle misure di accoglienza, in applicazione dell’art. 23 comma 1 lett. e) del d.lgs. 142/2015.

In particolare, la revoca è stata adottata a fronte del mancato rientro del ricorrente nella struttura in data 19.01.2020, dopo essere lo stesso già incorso una volta (il 24.12.2019) nella medesima violazione e diffidato a non ripetere il comportamento, con provvedimento del 08.01.2020.

Nel ricorso sono articolati i seguenti motivi di impugnazione:

- Violazione di legge – art. 7 l. 241/1990, per essere stata omessa la comunicazione di avvio del procedimento, così impedendo al destinatario del provvedimento di fornire il proprio contributo all’istruttoria;

- Violazione di legge – art. 20 par. 4, 5 e 6 della dir. 33/2013/UE, incongruenza e difetto di proporzionalità per non aver l’Amministrazione adottato un provvedimento meno gravoso alla luce della violazione compiuta;

- Violazione di legge – art. 3 della l. 241/1990 e art. 23 comma 2 del d.lgs. 142/2015 , per essere il provvedimento sorretto da una motivazione insufficiente, che non tiene conto delle ragioni del mancato rientro nella struttura, della situazione personale del ricorrente, dell’incidenza del suo comportamento sul regolare funzionamento della struttura;

- Violazione di legge – artt. 2 e 3 convenzione europea dei diritti dell’uomo e dell’art. 1 della carta dei diritti fondamentali dell’unione europea , per avere l’Amministrazione, con il provvedimento contestato, inflitto un trattamento inumano e degradante al ricorrente. Si richiama, in particolare, la recente sentenza della Corte di Giustizia UE (Grande Sezione) del 12 novembre 2019 resa nella causa C-233/18, che ha ritenuto contraria al diritto UE la revoca delle misure di accoglienza quale misura sanzionatoria.

Con ordinanza del 13.05.2020, n. 42, è stata accolta provvisoriamente l’istanza cautelare, ordinando all’amministrazione di pronunciarsi nuovamente sulla questione alla luce dei principi espressi dalla Corte di Giustizia ( “L’articolo 20, paragrafi 4 e 5, della direttiva 2013/33/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, recante norme relative all’accoglienza dei richiedenti protezione internazionale, letto alla luce dell’articolo 1 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, deve essere interpretato nel senso che uno Stato membro non può prevedere, tra le sanzioni che possono essere inflitte ad un richiedente in caso di gravi violazioni delle regole dei centri di accoglienza nonché di comportamenti gravemente violenti, una sanzione consistente nel revocare, seppur temporaneamente, le condizioni materiali di accoglienza, ai sensi dell’articolo 2, lettere f) e g), della menzionata direttiva, relative all’alloggio, al vitto o al vestiario, dato che avrebbe l’effetto di privare il richiedente della possibilità di soddisfare le sue esigenze più elementari. L’imposizione di altre sanzioni ai sensi del citato articolo 20, paragrafo 4, deve, in qualsiasi circostanza, rispettare le condizioni di cui al paragrafo 5 di tale articolo, in particolare quelle relative al rispetto del principio di proporzionalità e della dignità umana” ).

La Prefettura, a seguito del riesame operato in esecuzione del remand , ha emesso un nuovo provvedimento di revoca, in data 26.06.2020.

Con ricorso per motivi aggiunti, notificato il 07.09.2020, il ricorrente ha impugnato anche tale nuovo provvedimento, deducendo i seguenti vizi di legittimità:

- Violazione di legge – art. 20 par. 4, 5 e 6 della Direttiva 33/2013/UE: incongruenza, difetto di proporzionalità, per non aver considerato il carattere di extrema ratio della revoca e la necessità che tale sanzione venga irrogata solo garantendo comunque un tenore di vita dignitoso ai richiedenti asilo (art. 20 par. 5 e par. 6).

- Violazione di legge – art. 3 l. 241/1990;
eccesso di potere per difetto di motivazione e di istruttoria, mancata e/o erronea valutazione dei presupposti, travisamento, illogicità.

La Prefettura ha rilevato che il provvedimento emanato è l’unico possibile in forza della normativa interna, che non recepisce in maniera completa e corretta le disposizioni di cui alla Direttiva europea 2013/33/UE e in particolare non impone all’amministrazione procedente di assicurarsi, prima di assumere una decisione di revoca delle misure di accoglienza, che il richiedente asilo destinatario della misura possa comunque mantenere un livello di vita dignitoso. Ciò premesso, rileva la gravità dell’infrazione commessa dal richiedente asilo, che ha violato due volte in un breve lasso di tempo le regole della struttura che lo ospitava e, conseguentemente, la proporzionalità della misura.

In punto di attualità dell’interesse a ricorrere e di possibilità per il ricorrente di soddisfare le proprie esigenze alimentari, evidenzia che questi ha abbandonato la struttura in data 29.07.2020.

All’udienza del 17.12.2020 la difesa del ricorrente ha illustrato le circostanze a sostegno del permanente interesse alla decisione, in particolare evidenziando come la revoca produca l’effetto di impedire definitivamente l’accesso alle misure di accoglienza (anche qualora dovessero nuovamente sorgere i relativi presupposti) e alle c.d. misure di “seconda accoglienza”, come riformate dal d.l. 130 del 2020.

Il Tribunale rileva, preliminarmente, la sopravvenuta carenza di interesse alla decisione del ricorso principale, perché rivolto avverso un provvedimento (quello del 22.01.2020) ormai superato, in punto di effetti giuridici rilevanti per la posizione del ricorrente, dalla nuova determinazione confermativa del 26.06.2020, a sua volta impugnata con motivi aggiunti.

Quanto al ricorso per motivi aggiunti, il Tribunale riscontra invece il permanente interesse alla decisione, alla luce delle motivazioni espresse in udienza dalla parte.

Il ricorso per motivi aggiunti deve essere accolto, per la fondatezza di entrambi i motivi, che si esaminano congiuntamente.

Si rileva, infatti, che la Prefettura, nell’eseguire il remand e nel motivare il provvedimento conseguentemente adottato, non ha adeguatamente considerato l’ordinanza cautelare del Tribunale e, soprattutto, il contenuto della sentenza della Corte di Giustizia UE (Grande Sezione) del 12 novembre 2019, resa nella causa C-233/18, cui si faceva rinvio. Anche il nuovo decreto di revoca risulta, infatti, motivato sul riscontro della gravità dell’infrazione e della conseguente proporzionalità della sanzione irrogata, ma non affronta le specifiche questioni sollevate dalla Corte di Giustizia, in punto di necessità di garantire comunque il soddisfacimento di un tenore di vita dignitoso, dovendosi ritenere, sotto questo profilo, insufficientemente motivato.

Esaminando il merito della questione, la pronuncia sovranazionale impedisce in radice, anche per l’ipotesi di “gravi violazioni” (nel caso esaminato dalla Corte di Giustizia il beneficiario dell’accoglienza aveva tenuto “comportamenti gravemente violenti” contro altri ospiti della struttura) la revoca, anche temporanea, delle misure di accoglienza, quando abbia l’effetto di privare il soggetto richiedente della “possibilità di soddisfare le sue esigenze più elementari” .

La difesa erariale ha riconosciuto la non conformità della normativa nazionale vigente (il d.lgs. 142 del 2015) alla direttiva 2013/33/UE, rappresentando però l’assenza di alternative praticabili: la legge non prevede, infatti, alcuna sanzione intermedia, né alcuno strumento per consentire al richiedente asilo di mantenere un tenore di vita dignitoso.

Ciò non vale, tuttavia, ad impedire la diretta applicazione del Diritto dell’Unione, come interpretato dalla Corte di Giustizia, nei casi in cui il legislatore nazionale non abbia correttamente trasposto le direttive UE e sia scaduto il relativo termine di recepimento (che per la direttiva 2013/33/UE è indicato nel 20 luglio 2015). Il rischio di un vuoto normativo non può giustificare, infatti, la permanente applicazione di disposizioni contrarie al diritto dell’Unione, essendo invece onere del legislatore colmare tempestivamente un’eventuale lacuna ( TAR Toscana, sez. II, 6 maggio 2020, n. 540) .

Nello stesso senso, di recente, si è espresso il Consiglio di Stato in sede consultiva (nei pareri emessi sui ricorsi straordinari, di cui alle pronunce Cons. St., sez. I, 8 luglio 2020, nn. 1271 e 1278 e Id., 7 ottobre 2020, n. 1832 ), in particolare ritenendo che “sussistano i presupposti per dare applicazione all’art. 58 del regio-decreto 21 aprile 1942, n. 444 (Regolamento per l'esecuzione della legge sul Consiglio di Stato) secondo cui, quando dall'esame degli affari discussi dal Consiglio di Stato risulti che la legislazione vigente è in qualche parte “oscura, imperfetta od incompleta ” – come è evidente, nel caso di specie, a seguito della citata sentenza della Corte di giustizia - il Consiglio di Stato medesimo ne riferisce al Presidente del Consiglio dei ministri”.

Allo stato, dunque, il Tribunale è tenuto a disapplicare l’art. 23, comma 1, lett. e) del d.lgs. 142 del 2015 e a fare diretta applicazione dell’articolo 20, paragrafi 4 e 5, della direttiva 2013/33/UE, nell’interpretazione fornita dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea con sentenza della Grande Sezione del 12 novembre 2019, resa nella causa C-233/18.

Il decreto della Prefettura del 26.06.2020 è, pertanto, illegittimo e deve essere annullato.

Il Tribunale ammette definitivamente il ricorrente al beneficio del patrocinio a spese dello Stato, già anticipatamente e provvisoriamente accordatogli dalla competente Commissione con provvedimento in data 28 aprile 2020 n. 6.

Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate ai sensi del D.M. 55/2014 e in applicazione degli artt. 82, 130 e 133 del d.P.R. 115/2002. Il Ministero dell’Interno sarà inoltre tenuto al pagamento, a favore dello Stato, del contributo unificato dovuto dal ricorrente e, ad oggi, non ancora versato.

In particolare, in considerazione del valore indeterminabile della presente controversia, della sua bassa complessità, dell’opera complessiva prestata dal difensore del ricorrente, delle fasi in cui si è effettivamente sviluppato il giudizio (che sono unicamente quelle di studio, introduttiva e cautelare) si liquida la somma complessiva di € 2.563,00, oltre spese generali, IVA e CPA.

L’importo così quantificato deve essere ridotto della metà, ai sensi dell’art. 130 del d.P.R. 115/2002 e viene quindi definitivamente determinato in € 1281,50 oltre spese generali, IVA e CPA.

Si autorizza sin d’ora il pagamento di tale importo a favore del ricorrente, anche con eventuale anticipazione a carico del bilancio del TAR che provvederà poi a ottenere la rifusione dall’amministrazione soccombente e condannata al pagamento delle spese di lite a favore dello Stato, come previsto dal citato art. 133.

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