TAR Trento, sez. I, sentenza 2009-12-17, n. 200900311

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Trento, sez. I, sentenza 2009-12-17, n. 200900311
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Trento
Numero : 200900311
Data del deposito : 17 dicembre 2009
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 00048/2009 REG.RIC.

N. 00311/2009 REG.SEN.

N. 00048/2009 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Regionale di Giustizia Amministrativa di Trento

(Sezione Unica)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 48 del 2009, integrato da motivi aggiunti, proposto da:
Organizzazione sindacale Federazione provinciale Ciretti di Trento e da M R, Q F, G F, T R, E T, R I, R B, F C, A Z, O D, C F, A C, L M, T T, C F, R D, C A, G F, P F, C T, M Z, M T, F F, E R, F S, C V, F M, D S, A C, M B, M D, B M, R F, F T, M M, T B, B R, N S, Anna Sonn, Lina Cattani, Viola Fontana, Imelda Moscon, Bruno Moscon, Fausto Visentin, Rino Bragagna, Remo Ress, tutti rappresentati e difesi dagli avv.ti Andrea Maria Valorzi ed Ivan Alberti, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Valorzi in Trento, Via Calepina, 65

contro

il Comune di San Michele all'Adige, in persona del Sindaco pro tempore , rappresentato e difeso dall'avv. Mario Maccaferri, con domicilio eletto presso il suo studio in Trento, Via Grazioli, 27

nei confronti di

Gianni Fontana ed Annamaria Agosti, non costituiti in giudizio

per l'annullamento

- dei bandi/avvisi di gara n. 1, 2 e 3 prot. nn. 2583, 2584 e 2585 dell’11.3.2009, aventi ad oggetto la cessione in affitto, mediante asta pubblica, di appezzamenti di terreno agricolo di proprietà comunale denominati "Sort comunali" rispettivamente con durata quindicinale, quinquennale e annuale;

- della delibera del Consiglio comunale di San Michele all'Adige n. 3 del 6.3.2009 di approvazione dei suddetti bandi e del verbale di gara a firma del Segretario comunale di S. Michele all’Adige del 16.4.2009, relativo all'apertura delle offerte ed al calcolo della loro media;

- nonché di ogni altro atto presupposto, connesso, conseguente e/o collegato alla procedura di gara di cui sopra.


Visti i ricorsi ed i motivi aggiunti, con i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di San Michele all'Adige;

Viste le memorie difensive;

Viste le proprie ordinanze 10.4.2009, n. 33 e 25.9.2009, n. 101 con cui sono state respinte le istanze cautelari proposte dai ricorrenti;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 22 ottobre 2009 il cons. Lorenzo Stevanato e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:


FATTO e DIRITTO

Col ricorso in epigrafe l’organizzazione sindacale Federazione provinciale Ciretti di Trento (di seguito: Ciretti) e quarantasei coltivatori diretti – affittuari fino al 10.11.2008 di appezzamenti di terreni agricoli di proprietà comunale - hanno impugnato tre bandi di gara aventi ad oggetto la cessione in affitto, mediante asta pubblica, rispettivamente per 15 anni (75 appezzamenti), 5 anni (6 appezzamenti) ed 1 anno (7 appezzamenti) di tali fondi e la delibera che li ha approvati.

Tali atti sono avversati mediante le seguenti censure:

1) violazione dell’art. 6 del D.lgs. 18.5.2001, n. 228 che prescriverebbe, come sistema di scelta del contraente, la licitazione privata o la trattativa privata e non l’asta pubblica;

2) violazione dell’art. 39, comma 2, della L.p. 19.7.1990, n. 23 di cui non sarebbe stata rispettata la procedura;

3) in subordine, indeterminatezza dei bandi per mancata previsione della possibilità di offerta per singoli appezzamenti, ma solo per qualità di colture, nonché per illogicità e contraddittorietà;

3bis) in subordine, violazione dell’art. 4 bis della legge 3.5.1982, n. 203 e dell’art. 23 della legge 11.2.1971, n. 11, in combinato disposto con l’art. 2113, comma 1, del codice civile, nella parte in cui si obbligano i precedenti affittuari a rinunciare alla prelazione, in caso di offerta per un appezzamento diverso da quello precedentemente coltivato.

4) violazione dell’art. 4 bis della legge 3.5.1982, n. 203 per violazione della disciplina sulla prelazione dei fondi rustici;

5) violazione dell’art. 23 della legge 11.2.1971, n. 11 e degli artt. 16 e 17 della legge 3.5.1982, n. 203 relativamente alle condizioni generali di contratto (art. 9 dei bandi) in quanto la Ciretti non intenderebbe aderire alla controversa procedura di stipulazione dei contratti di affitto.

Con motivi aggiunti, successivamente proposti, sono stati impugnati il verbale di gara del 16.4.2009 ed i relativi atti di procedura e sono state avanzate le seguenti censure:

1) violazione del principio di revisione dei corrispettivi nei contratti pubblici di durata e contraddittorietà con l’istruttoria, non risultando previsto un meccanismo di adeguamento periodico dei canoni di affitto;

2) difetto o travisamento dei presupposti, in relazione alla erronea qualificazione come vigneto di elevato pregio della coltura Teroldego negli appezzamenti fuori dalla zona DOC;

3) difetto o travisamento dei presupposti, in relazione alla erronea qualificazione come vigneti di elevato pregio degli appezzamenti privi di impianti;

4) eccesso di potere per illogicità e contraddittorietà, essendo state ammesse offerte anomale.

Infine, sono stati proposti ulteriori motivi aggiunti, esclusivamente funzionali alla sospensione cautelare del procedimento di stipula dei contratti di affitto, a seguito della prelazione esercitata.

Si è costituito in giudizio il Comune intimato, eccependo preliminarmente il difetto di legittimazione attiva della Ciretti, il difetto di interesse dei singoli coltivatori diretti ad impugnare soltanto i bandi di gara, il difetto di giurisdizione sul quinto motivo di ricorso e la tardività dei motivi aggiunti diretti contro i bandi, nel merito controdeducendo puntualmente.

Procedendo quindi all’esame del ricorso, preliminarmente al merito vanno definite le eccezioni in rito opposte dal difensore dell’Amministrazione comunale.

E’ anzitutto fondata l’eccezione di difetto di legittimazione della Ciretti per conflitto di interessi. L’impugnativa è effettivamente idonea a determinare un vero e proprio conflitto di interessi all’interno della categoria che l’associazione ricorrente rappresenta, che è legittimata ad agire in giudizio per la tutela di interessi collettivi degli associati unitariamente considerati e non solo di alcuni di essi in danno di altri (cfr. ad es: T.a.r. Lombardia, Milano, sez. III, 26.5.2009, n. 3840;
Cons. Stato, sez. VI, 30 gennaio 2007, n. 351). Nella specie è indubitabile che l’interesse dei precedenti affittuari, difeso dalla Ciretti, potrebbe confliggere con quello di altri coltivatori, aderenti alla stessa organizzazione sindacale, che intendano partecipare all’asta pubblica per ottenere in affitto gli stessi fondi agricoli.

Né ha pregio l’argomento (svolto dalla ricorrente nell’ultima memoria presentata) che l’interesse generale della categoria sarebbe costituito dal rispetto delle norme in materia di selezione degli affittuari, di prelazione agraria e di disciplina contrattuale.

La legittimazioneva accertata, infatti, sul fondamento dell’effettiva lesione dell’interesse fatto valere, che deve essere differenziato e unitario, e non su un’astratta pretesa alla legittimità dell’azione amministrativa del tutto disgiunta dalla sottostante posizione soggettiva.

Conseguentemente, la Ciretti va estromessa dal giudizio.

E’ invece infondata l’eccezione di difetto di interesse dei 46 coltivatori ricorrenti, in quanto i bandi impugnati sono immediatamente lesivi, essendone stato contestato il procedimento di scelta degli affittuari e, cioè, l’asta pubblica anziché la trattativa o la licitazione privata: non occorreva, quindi, attendere l’esito del procedimento concorsuale perché divenisse attuale l’interesse fatto valere.

E’, altresì, infondata l’eccezione di tardività di motivi aggiunti, essendo tali motivi stati notificati entro il termine di 60 giorni dall’avvenuta pubblicazione dei bandi avversati.

E’ invece fondata l’eccezione di difetto di giurisdizione sul quinto motivo di ricorso, essendo state con esso censurate, non le prescrizioni del bando relative al procedimento di scelta del contraente, ma le condizioni generali di contratto (art. 9 dei bandi) sotto il profilo dell’asserito rifiuto della Ciretti di assistere i coltivatori nella stipulazione dei contratti di affitto.

Tali clausole generali di contratto, tuttavia, non attengono alla fase autoritativa del procedimento di scelta dei contraenti, ma a quella successiva prettamente negoziale. In altri termini, le relative censure mosse dai ricorrenti non riguardano interessi legittimi, ma diritti soggettivi perfetti e, trattandosi di materia nella quale il Giudice amministrativo non esercita giurisdizione esclusiva, la stessa spetta al Giudice ordinario, secondo il normale criterio di riparto della giurisdizione.

Per le stesse ragioni, anche il primo motivo aggiunto, con cui è stata lamentata la mancata previsione di un meccanismo di adeguamento periodico dei canoni di affitto, è inammissibile per difetto di giurisdizione, riguardando la pretesa lesione esclusivamente diritti soggettivi e non interessi legittimi afferenti al procedimento di scelta dei contraenti.

Passando all’esame di merito, va premesso che i suddetti bandi prevedono, in particolare, che:

a) l’importo a base d’asta, soggetto a rialzo, individuato dall’Amministrazione con riferimento ai prezzi di mercato ed in aderenza alla perizia di stima predisposta dal dott. De Ros, è fissato per unità di misura (metro quadrato) in base al tipo di colture (vigneto di elevato pregio;
vigneto di pregio;
frutteto) (art. 8);

b) ciascun concorrente non può ottenere in affitto più di un appezzamento (art. 3);

c) è garantito ai precedenti affittuari, con contratti scaduti il 10.11.2008, il diritto di prelazione da esercitarsi entro 30 giorni dalla comunicazione dell’esito della gara, sulla base del prezzo medio derivante da tutte le offerte presentate (art. 5);

d) l’ex-affittuario che intenda esercitare il diritto di prelazione deve presentare offerta solo relativamente alla qualità dell’appezzamento avuto in affitto, oppure rinunciare alla prelazione se intende presentare offerta per appezzamenti di diversa qualità (art. 5);

e) gli appezzamenti rimasti da assegnare dopo l’esercizio della prelazione sono scelti dai migliori offerenti, secondo l’ordine della graduatoria, formata come visto dalle offerte per tipo di coltura (art. 6).

Ciò premesso, col primo motivo è stata dedotta la violazione dell’art. 6 del D.Lgs. 18.5.2001, n. 228 che prescriverebbe, come sistema di scelta del contraente, la licitazione privata o la trattativa privata e non l’asta pubblica.

Si sostiene, in particolare, che la sentenza della Corte costituzionale 28.10.2004, n. 315, con cui è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 14, comma 2, secondo e terzo periodo, della legge 3.5.1982, n. 203, recante il sistema di determinazione dell’equo canone relativo ai contratti di affitto agrario nei territori del catasto derivante dall’ex catasto austro -ungarico, non rileverebbe sul sistema di scelta del contraente;
esso resterebbe disciplinato dall’art. 6 del D.lgs. 18.5.2001, n. 228, il quale prescriverebbe la licitazione privata o la trattativa privata. Tale norma statale prevarrebbe sulla disciplina provinciale dei contratti pubblici, fissata dalla L.p. 19.7.1990, n. 23.

Osserva, al riguardo, il Collegio che l’Amministrazione comunale intimata, alla scadenza dei contratti di affitto agrario ed essendo venuto meno il regime di equo canone, si è determinata ad attivare il procedimento di scelta dei contraenti, per la cessione in affitto di tali beni costituenti il patrimonio disponibile, adottando il sistema dell’asta pubblica, che è quello ordinariamente appplicabile nell’ipotesi di contratti comportanti entrate per l’ente, come quelli di cui si controverte: rettamente dunque ha fatto applicazione dell’art. 39 della L.p. 19.7.1990, n. 23, nella formulazione vigente ratione temporis .

Si deduce, peraltro, da parte dei ricorrenti, che prevarrebbe nella specie la norma statale dell’art. 6, comma 4, del D. lgs. 18.5.2001, n. 228, recante in rubrica “Utilizzazione agricola dei terreni demaniali e patrimoniali indisponibili”, secondo cui “…Gli enti di cui al comma 1 del presente articolo, alla scadenza della concessione amministrativa o del contratto di affitto, per la concessione e la locazione dei terreni di loro proprietà devono adottare procedure di licitazione privata o trattativa privata …”.

E’ agevole replicare, tuttavia, che, non si tratta, nel caso all’esame, di un procedimento di concessione del demanio o del patrimonio indisponibile del Comune, ma di cessione in affitto di beni del patrimonio disponibile,il che preclude conseguentemente l’applicabilità della norma statale.

Peraltro, la materia di cui si controverte è relativa al sistema di scelta del contraente da parte di una pubblica amministrazione, in contratti comportanti entrate per l’ente;
esa va, quindi, configurata come rientrante nella competenza concorrente Stato - Provincia autonoma in materia di finanza locale, ex art. 16 del D.Lgs. 16.3.1992, n. 268, che è norma di attuazione dello Statuto di autonomia che prescrive che: “Spetta alla regione e alle province emanare norme in materia di bilanci, di rendiconti, di amministrazione del patrimonio e di contratti della regione e delle province medesime e degli enti da esse dipendenti”.In tale materia, invero, ai sensi dell'art. 80 dello Statuto di autonomia, le Province autonome di Trento e di Bolzano dispongono di una potestà legislativa di tipo concorrente soggetta al limite dei principi fondamentali stabiliti dalle leggi statali (cfr.: Corte costituzionale, 20 dicembre 2002, n. 533).

Perciò, anche a prescindere dalla rilevata diversità della fattispecie, la censura dedotta sarebbe fondata soltanto nell’ipotesi in cui la norma statale, che impone il sistema della licitazione privata o della trattativa privata, costituisse un principio fondamentale: il che pare, peraltro, palesemente di dover escludere alla luce della sua valenza di mero dettaglio nel quadro della puntuale disciplina dell’utilizzazione agricola di terreni demaniali e patrimoniali indisponibili.

Il primo motivo di ricorso va perciò disatteso.

Col secondo motivo i ricorrenti lamentano che non sarebbe stata puntualmente seguita la procedura prescritta dall’art. 39, comma 2, della L.p. 19.7.1990, n. 23.

In realtà, tale disposizione stabiliva (prima della modifica introdotta dall'art. 45 della L.p. n. 2 del 28 marzo 2009) che “Resta ferma l'applicazione delle leggi statali in materia di affitto di fondi rustici e di locazione di immobili urbani per quanto relativo alla determinazione legale del canone. In tali casi, la cessione è preceduta dalla pubblicazione di un avviso contenente l' indicazione del bene e delle condizioni contrattuali, nonché delle modalità e del termine entro cui gli interessati possono presentare domanda di assegnazione. La cessione ha luogo sulla base di apposita graduatoria formata in relazione a requisiti predeterminati nel provvedimento a contrarre”.

Da questa disposizione, peraltro previgente, conseguiva dunque che lo speciale procedimento di cui si deduce la violazione andava applicato ai soli casi di affitto di fondi rustici e di locazione di immobili urbani soggetti a determinazione legale del canone, che non era più applicabile, dopo la citata sentenza della Corte costituzionale che ha fatto venir meno la disciplina dell’equo canone anche nel territorio trentino.

L’argomento, speso dai ricorrenti, che la disposizione sarebbe rimasta in vigore ( rectius : non sarebbe stata modificata dal Legislatore trentino) dopo la sentenza della Corte costituzionale e che, quindi, si dovrebbe applicare indipendentemente dal regime di equo canone, è del tutto privo di giuridico pregio non soltanto perchè prova troppo, ma per l’assorbente rilievo che il Legislatore provinciale è poi intervenuto con l'art. 45 della L.p. n. 2 del 28 marzo 2009, espungendo il riferimento all’equo canone, distinguendo fra locazioni urbane ed affitti rustici e stabilendo che lo speciale procedimento invocato dai ricorrenti si applichi alla sola locazione di immobili urbani. Le nuove disposizioni, infatti, prevedono che:

“2. Resta ferma l'applicazione delle leggi statali in materia di locazione di immobili urbani. In tali casi, la cessione è preceduta dalla pubblicazione di un avviso contenente l' indicazione del bene e delle condizioni contrattuali, nonché delle modalità e del termine entro cui gli interessati possono presentare domanda di assegnazione. La cessione ha luogo sulla base di apposita graduatoria formata in relazione a requisiti predeterminati nel provvedimento a contrarre.

2 bis . In materia di affitto di fondi rustici si applica la legislazione statale in materia”.

I ricorrenti hanno, inoltre, denunciato la mancata prefissione di idonei requisiti soggettivi dei partecipanti, ma la difesa dell’Amministrazione ha puntualmente replicato che l’esigenza che sarebbe sottesa a tale prefissione (la tutela delle pregiate colture in atto nei singoli appezzamenti) è garantita in sede negoziale, nella fase di stipula dei contratti di affitto, fermo restando che il sistema di assegnazione diffuso (un solo appezzamento assegnabile per nucleo familiare) già persegue la detta finalità.

Anche il secondo motivo si rivela perciò infondato.

Col terzo motivo, dedotto in via subordinata, è stata dedotta l’indeterminatezza, l’illogicità e la contraddittorietà dei bandi per mancata previsione della possibilità di offerta per singoli appezzamenti, astretta alla sola qualità delle colture.

Anche questa censura non è fondata.

Non vi è alcuna irrazionalità o illogicità, infatti, nell’ancorare le offerte, non già ai singoli appezzamenti, ma alle tre qualità colturali omogenee, in relazione alle quali sono stati ponderatamente fissati i prezzi a base d’asta.

Al riguardo, infatti, l’interesse perseguito dall’Amministrazione è duplice: da un lato, conseguire il maggior introito possibile per la cessione in godimento dei fondi rustici del suo patrimonio disponibile;
dall’altro, mantenere un sistema economico dell’agricoltura locale equo e diffuso, che consenta ad una pluralità di soggetti di subentrare o proseguire nelle pregevoli coltivazioni in atto.

Il sistema delle offerte per qualità di coltivazione, l’unicità delle offerte e la garanzia della prelazione parametrata, non sul canone più elevato conseguibile, ma sulla media dei prezzi offerti, sembrano rispondere pienamente a tali apprezzabili esigenze di pubblico interesse.

Il terzo motivo va dunque disatteso.

Con successivo, subordinato motivo di ricorso, rubricato sub 3 bis , è stata illustrata la violazione delle norme che regolano la prelazione agraria, nella parte in cui si obbligano i precedenti affittuari a rinunciare alla prelazione, nel caso essi intendano presentare offerte per appezzamenti diversi da quelli precedentemente coltivati.

Tale censura non coglie egualmente nel segno.

Invero, i precedenti affittuari che non intendano partecipare al procedimento concorsuale di aggiudicazione degli altri appezzamenti mantengono, nell’ambito del diritto incondizionato di prelazione, la possibilità di vedersi assegnato lo stesso fondo rustico, già condotto in affitto, a condizioni economiche migliori di quelle che ordinariamente conseguirebbero dopo l’esercizio della prelazione: il canone di affitto non sarà, infatti, pari a quello più elevato offerto dall’aggiudicatario, ma a quello più contenuto, perché espressione della media delle offerte presentate.

Il problema della partecipazione o meno alla gara resta dunque affidato a decisioni da assumere da parte dei coltivatori nell’insindacabile esercizio della loro autonomia privata, apprezzando di volta in volta quale possa essere per loro l’opzione più proficua, rappresentata, da una parte, dalla possibilità di poter proseguire nella coltivazione in atto ad un corrispettivo più favorevole rispetto a quello emergente dal confronto concorrenziale cui sono rimasti assenti e, dall’altra, da quella di poter conseguire un appezzamento più appetibile per qualità e resa del raccolto rispetto a quello già coltivato, previa rinuncia al diritto di prelazione. In tale quadro appare palese che il divieto di concorrere per ulteriori appezzamenti, oltre a quello per il quale viene esercitata la prelazione, avrebbe gravemente inciso ill criterio dell’unicità dei lotti assegnabili per ciascun nucleo familiare, rispondente all’anzidetto pubblico interesse alla distribuzione dei terreni agricoli al maggior numero di coltivatori, onde evitare fenomeni di accaparramento e di concentrazione, dannosi per l’economia agricola locale.

Anche il motivo di ricorso rubricato sub 3 bis va perciò disatteso.

Col quarto motivo è stata dedotta la violazione della disciplina dettata dall’art. 4 bis della legge 3.5.1982, n. 203.

Anche tale censura è, peraltro, infondata in quanto – per un verso - il procedimento attivato dal Comune non potrebbe essere disciplinato dal citato art. 4 bis , diversi essendone i presupposti. Nella specie, infatti, non era possibile la comunicazione, almeno 90 giorni prima della scadenza dei contratti, di offerte mai ricevute dal Comune ed alle quali, comunque, esso non aveva intenzione di dar corso. Per altro verso, il procedimento concorsuale attivato è coerente con quanto disposto dal comma 4 dello stesso art. 4 bis che prevede, in caso di mancata comunicazione delle offerte pervenute, l’intangibilità del diritto di prelazione da esercitarsi entro il termine di un anno dalla scadenza del contratto non rinnovato.

Anche il quarto motivo di ricorso è quindi infondato, mentre, per il quinto si è già detto che esso è improponibile per difetto di giurisdizione del Giudice amministrativo.

Passando all’esame dei motivi aggiunti per il primo motivo di essi difetta, come già chiarito più sopra la giurisdizione del G.A..

Con il secondo ed il terzo motivo aggiunto, che possono esaminarsi congiuntamente, essendo tra di loro connessi, è stato lamentato difetto o travisamento dei presupposti, in relazione alla erronea qualificazione come vigneti di elevato pregio della coltura Teroldego, negli appezzamenti fuori dalla zona DOC, e degli appezzamenti privi di impianti.

Tale mezzo, con riferimento alla varietà Teroldego, è, tuttavia, inconferente in quanto la perizia di stima De Ros, sulla base della quale sono stati formati i bandi di gara, ha operato una classificazione per appezzamenti omogenei, calcolando i valori dei vigneti di elevato pregio con riferimento alla varietà Pinot grigio, e non alla varietà Teroldego.

Circa gli appezzamenti privi di impianti, l’art. 9, lett. e) del bando li fa rientrare nella coltura più pregiata, in attesa di un corrispondente reimpianto. Una tale disposizione non sembra incorrere in alcuno dei vizi funzionali dedotti, essendo ragionevole la previsione che sul terreno possa essere reimpiantata la coltura di maggior pregio e, comunque, restando nella disponibilità dei migliori offerenti la scelta di altri appezzamenti, secondo l’ordine della graduatoria.

Infine, col quarto motivo aggiunto è stato dedotto eccesso di potere per illogicità e contraddittorietà, essendo state ammesse alcune offerte anomale. L’anomalia consisterebbe nell’importo eccessivamente alto di alcune offerte (superiori al doppio del valore minimo del canone stimato nella perizia De Ros).

Per questo aspetto, peraltro, è sufficiente porre in rilievo che, trattandosi di una procedura di scelta dei contraenti in contratti comportanti entrate per l’ente, alcuna plausibile ragione di pubblico interesse può comportare l’esclusione di offerte di importo (asseritamente) troppo elevato, per le quali la lex specialis non prevede affatto l’anomalia. In ogni caso, l’obbligo di dar corso alla media delle offerte presentate al fine di far emergere il corrispettivo da pagare da parte di colui che intenda esercitare il proprio diritto di prelazione riduce conseguentemente la corrispondente alea, nella quale il maggior valore della vigna sul mercato dei fondi agricoli troverà soltanto una concorrente presenza senza che sia apprezzabilmente incisa l’aspettativa dei precedenti affittuari, attuali ricorrenti, a proseguire nella coltivazione in atto.

Anche il quarto motivo aggiunto va dunque disatteso.

Infine, per quanto sopra esposto, vanno disattesi pure gli ulteriori motivi aggiunti, esclusivamente funzionali alla sospensione del procedimento di stipula dei contratti di affitto a seguito della prelazione esercitata dai ricorrenti.

Conclusivamente, per le ragioni che precedono il ricorso va respinto

La novità delle questioni giuridiche sollevate in giudizio giustifica l’integrale compensazione tra le parti delle spese del giudizio.

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