TAR Firenze, sez. III, sentenza 2015-01-22, n. 201500121

Sintesi tramite sistema IA Doctrine

L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.Beta

Segnala un errore nella sintesi

Sul provvedimento

Citazione :
TAR Firenze, sez. III, sentenza 2015-01-22, n. 201500121
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Firenze
Numero : 201500121
Data del deposito : 22 gennaio 2015
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 00040/2011 REG.RIC.

N. 00121/2015 REG.PROV.COLL.

N. 00040/2011 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana

(Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 40 del 2011, proposto da:
F G, rappresentato e difeso dall'avv. M B, con domicilio eletto presso l’avv. C Perugini in Firenze, Via Masaccio, n. 175;

contro

Comune di Licciana Nardi, in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dagli avv.ti F M e F C, con domicilio eletto presso F C in Firenze, Via San Gallo, n. 76;

per l'annullamento

del provvedimento del Comune di Licciana Nardi, Settore Assetto ed Uso del Territorio, avente ad oggetto "rilascio di permesso di costruire n. 10 del 09.10.2010" con cui il Comune di Licciana Nardi "rilascia il Permesso di costruire in sanatoria relativa all'ampliamento della stalla per equini a valle dello stabilimento preesistente"notificata il 09.10.2010;

nonchè per quanto occorrer possa:

- del "parere negativo alla costruzione del manufatto posto sul ciglio della strada pubblica" richiamato nel provvedimento 09.10.2010";

- del parere del Responsabile del procedimento del 10.02.2010, Comune di Licciana Nardi, - Settore Assetto ed Uso del Territorio avente ad oggetto " relazione istruttoria relativa alla domanda relativa a: ampliamento annesso agricolo ad uso stalla per equini e deposito attrezzi, loc. Villa Panicate - Corte";

- della nota del Comune di Licciana Nardi dell'11.02.2010 avente ad oggetto "comunicazione avvio procedimento diniego istanza di p.d.c. in sanatoria art. 10 bis L. 241/90 ampliamento stalla per equini e deposito attrezzi agricoli;

- nonchè di ogni altro atto presupposto, preparatorio, e/o consequenziale ed altrimenti connesso.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Licciana Nardi;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 9 gennaio 2015 il dott. R G e uditi per le parti i difensori M. Brizzi e F. Colzi;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1 - Con istanza del 20 febbraio 2009 il sig. F G richiedeva al Comune di Licciana Nardi il rilascio di permesso di costruire in sanatoria in relazione ad opere realizzate senza titolo edilizio sulla sua proprietà agricola. Con il permesso di costruire in sanatoria n. 10 del 9 ottobre 2010 l’Amministrazione comunale accoglieva in parte l’istanza, poiché nel corpo del provvedimento vengono richiamati il “parere favorevole all’ampliamento della stalla per equini a valle dello stabile preesistente” e il “parere negativo alla costruzione del manufatto posto sul ciglio della strada pubblica” e poi il dispositivo del provvedimento stesso è di “sanatoria relativa all’ampliamento della stalla per equini a valle dello stabile preesistente”.

2 - Con il ricorso introduttivo del giudizio il sig. F G impugna il permesso di costruire in sanatoria, in uno con gli ulteriori atti come in epigrafe indicati, censurandolo nella parte in cui ha negato la sanatoria richiesta, con riferimento al “manufatto posto sul ciglio della strada pubblica”. Nei confronti degli atti gravati il ricorrente formula un’unica censura, nell’ambito della quale sono rinvenibili doglianze di “difetto di motivazione”, di errata applicazione dell’art. 26, comma 2, del DPR n. 495 del 1992, essendo invece applicabile “il comma 3 della medesima norma che non prevede, per le cosiddette <strade vicinali>
alcuna distanza specifica”, di illogicità manifesta, poiché la necessità della distanza di 10 metri sarebbe stata più volte smentita da altri atti della p.a..

3 - Il Comune di Licciana Nardi si è costituito in giudizio per resistere al ricorso, eccependo preliminarmente la inammissibilità e irricevibilità del gravame, stante la mancata tempestiva impugnazione delle note comunali dell’11 febbraio 2010 e del 16 luglio 2010.

4 - Chiamata la causa alla pubblica udienza del giorno 9 gennaio 2015, relatore il cons. R G, e sentiti i difensori comparsi, come da verbale, la stessa è stata trattenuta dal Collegio per la decisione.

5 – L’Amministrazione comunale eccepisce la inammissibilità o irricevibilità del gravame, sul presupposto che il ricorrente avrebbe dovuto impugnate nel termine decadenziale le due note dell’11 febbraio 2010 e del 16 luglio 2010 allo stesso inviate e che già contenevano riferimento alla ritenuta parziale non accoglibilità dell’istanza di sanatoria;
non avendolo fatto, l’impugnazione qui in esame sarebbe inammissibile, per mancata impugnazione degli atti a monte, e l’impugnazione delle note stesse sarebbe tardiva.

L’eccezione è infondata.

La nota prot. 1529 dell’11 febbraio 2010 (all. 2 di parte ricorrente) è una comunicazione dei motivi ostativi ai sensi dell’art. 10 bis della legge n. 241 del 1990, mentre la nota prot. 6518 del 16 luglio 2010 (doc. 3 di parte ricorrente) è la comunicazione di un parere negativo nella quale l’Amministrazione ha cura di precisare che “il presente atto costituisce mera comunicazione sullo stato procedurale della pratica” e di preannunciare la successiva emanazione del provvedimento finale. Ne consegue che le suddette note hanno natura non provvedimentale, sono cioè atti endo-procedimentali, come tali privi di lesività e non autonomamente impugnabili, con il risultato che non può sostenersi la necessaria della loro impugnazione nel termine decadenziale dalla conoscenza e inferire poi, dalla loro mancata autonoma impugnazione, la inammissibilità della impugnazione dell’atto provvedimentale finale.

6 – Con l’unica articolata censura il ricorrente, seppure in termini estremamente sintetici, muove invero una pluralità di contestazioni al provvedimento impugnato, che devono essere partitamente esaminate.

In primo luogo il ricorrente afferma che il provvedimento stesso sarebbe “palesemente viziato da carenza di motivazione”

La censura è infondata.

Il parziale diniego di sanatoria è motivato nel provvedimento gravato con riferimento “al parere negativo alla costruzione del manufatto posto sul ciglio della strada pubblica”, in tal modo l’Amministrazione richiamando il parere negativo del 10 febbraio 2010, fatto oggetto di specifica comunicazione al ricorrente con nota prot. n. 1529 dell’11 febbraio 2010 e quindi conosciuto dal ricorrente medesimo (che infatti lo produce sub doc. 2). Nel suddetto parere si fa riferimento, a sostegno della non accoglibilità dell’istanza di sanatoria, al mancato rispetto della distanza da strada di tipo F, come imposto dal Codice della Strada. Ne discende che la motivazione del diniego è in realtà esplicitata dall’Amministrazione ed è presente anche nel provvedimento negativo attraverso il richiamo a parere negativo peraltro previamente comunicato all’istante (motivazione ob relationem ).

In secondo luogo il ricorrente, conoscendo la motivazione del diniego, la contesta, evidenziando che “non sia applicabile il comma 2 dell’art. 26 DPR n. 495/1992 bensì il comma 3 della medesima norma che non prevede, per le cosiddette <strade vicinali>
alcuna distanza specifica”.

La censura è infondata.

Il parere negativo del 10 febbraio 2010, alla base del diniego gravato, è fondato sul rilievo che il manufatto di cui si chiede la sanatoria è posizionato a m. 5 dal ciglio della strada, ciò in violazione della distanza minima di m. 10 prevista per strade di tipo F, secondo quando prescritto dall’art. 26, comma 2, del DPR n. 495 del 1992, il quale prescrive che nelle costruzioni fuori dei centri abitati deve essere rispettata la distanza minima di m. 10 “per le <strade vicinali>
di tipo F”. Il ricorrete contesta l’applicazione della norma di cui all’art. 26, comma 2, cit. e sostiene che invece nella specie doveva trovare applicazione il disposto del comma 3 dello stesso art. 26 cit., il quale non prevede distanze minime con riferimento alle <strade vicinali>;
il ricorrente non si dà cura di chiarire perché nella specie sarebbe applicabile il comma 3 in luogo del comma 2 dell’art. 26 cit. e soprattutto non dimostra che nella specie ricorressero i presupposti per l’applicazione dell’invocato comma 3, che si riferisce alle zone esterne al centro abitato ma che siano qualificate come zone di espansione da parte degli strumenti urbanistici locali;
l’Amministrazione, nella memoria del 9 dicembre 2014, ha invece chiarito che nella specie si è in zona agricola (esterna al centro abitato ma non di espansione), cui quindi si applica il comma 2 dell’art. 26 cit., ricostruzione dell’Amministrazione cui il ricorrente non ha replicato nella successiva memoria del 18 dicembre 2014 e che sembra invero convincente stante la natura degli edifici in contestazione (costruzione di stalle). Deve essere ulteriormente evidenziato che nel ricorso introduttivo del giudizio il ricorrente pone soltanto la questione circa l’applicabilità, alla fattispecie in esame, del comma 3 in luogo del comma 2 dell’art. 26, ciò al fine di evidenziare che non sarebbe imposta nel caso in questione alcuna distanza minima dalle <strade vicinali>. Al contrario il ricorrente non contesta che la strada di cui trattasi sia o meno <strada vicinale>;
la questione della natura della strada (che quella in considerazione sia <strada vicinale>
o non piuttosto semplice strada <interpoderale>) è posta solo nella memoria del 18 dicembre 2014, ma è questione nuova, estranea alle censure articolate in ricorso e quindi inammissibile.

In terzo luogo, nel ricorso introduttivo del giudizio il ricorrente contesta il provvedimento impugnato per eccesso di potere per illogicità manifesta, sul rilievo che “la necessità della distanza di metri 10 sia stata più volte smentita da atti precedenti della stessa amministrazione”, censura che tuttavia risulta inammissibile, stante la sua assoluta genericità e apoditticità, non essendo il alcun modo chiarito quali siano gli “atti precedenti” cui ci si riferisce e dai quali si pretende di ricavare il sintomo di eccesso di potere.

7 – Alla luce delle considerazioni che precedono il ricorso deve essere respinto, con spese a carico del ricorrente, liquidate come in dispositivo.

Iscriviti per avere accesso a tutti i nostri contenuti, è gratuito!
Hai già un account ? Accedi