TAR Roma, sez. 1T, sentenza 2018-11-05, n. 201810623

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. 1T, sentenza 2018-11-05, n. 201810623
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 201810623
Data del deposito : 5 novembre 2018
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 05/11/2018

N. 10623/2018 REG.PROV.COLL.

N. 16176/2014 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Prima Ter)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 16176 del 2014, proposto dalla Provincia regionale di Messina, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato S G, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. A M in Roma, via Ovidio 20;

contro

Ministero dell'Interno, Ministero dell’Economia e delle Finanze, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliati ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;
Provincia di Macerata non costituita in giudizio;

per l'annullamento

previa sospensione dell'efficacia,

del Decreto del Capo Dipartimento Affari Interni e Territoriali del Ministero dell’Interno, datato 15 settembre 2014 e pubblicato sulla G.U. n. 220 del 22.9.2014, con il quale è stata disposta l’inclusione della Provincia regionale di Messina tra gli enti locali destinatari della sanzione della riduzione dei trasferimenti erariali spettanti per l’anno 2014, riduzione pari ad euro 2.359.618,56, in forza della affermata violazione del patto di stabilità interno per l’anno 2013;

di ogni altro atto presupposto, conseguenziale o comunque connesso, ivi compresi tutti gli atti, le note, i pareri etc., citati nel preambolo del predetto decreto.

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno, del Ministero Dell’Economia e delle Finanze;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 23 ottobre 2018 il cons. A M V e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Con ricorso, spedito per la notifica il 21 novembre 2014 e depositato il successivo 19 dicembre 2014, la ex Provincia di Messina (ora Città Metropolitana) impugna il decreto del Capo del Dipartimento Affari Interni e Territoriali del Ministero dell’Interno, datato 15 settembre 2014, con cui la ricorrente viene sanzionata, ai sensi dell’art. 31, comma 26, lett. a) della legge 183 del 2011, con la riduzione del trasferimento erariale spettante per l’anno 2014, nella misura di euro 2.359.618,56, per avere violato il patto di stabilità interno per l’anno 2013.

La ricorrente deduce l’illegittimità del Decreto in quanto adottato sulla scorta di disposizioni legislative asseritamente affette da plurimi profili di illegittimità costituzionale accertati con varie pronunce della Corte Costituzionale.

In particolare la ricorrente sostiene la illegittimità costituzionale dell’art. 31, comma 26, lett. a) della legge 183 del 2011 in quanto, con le disposizioni ivi contenute, sarebbero state reiterate modalità sanzionatorie introdotte con norme anteriori già oggetto di declaratoria di illegittimità costituzionale con le sentenze della Corte Costituzionale n. 178 del 2012 e n. 219 del 2013.

Le norme dichiarate incostituzionali dalle richiamate pronunce sono quelle contenute nell’art. 37 del d.lgs. 118/2011 e nell’art. 13 del d.lgs. 149/2011.

Entrambe dette disposizioni prevedevano, al pari di quella di cui all’art. 31 del d.lgs. 183/2011, meccanismi di applicazione diretta delle sanzioni a carico di Regioni ad autonomia speciale e degli enti subordinati, senza rispettare i principi desumibili dall’art. 27 della Legge sul Federalismo Fiscale che imporrebbe l’adozione di una procedura pattizia.

Da quanto affermato dalla Corte Costituzionale con le citate pronunce conseguirebbe, ad avviso della ricorrente, l’illegittimità costituzionale anche dell’art. 31 citato, che si impugna per violazione del principio di leale collaborazione, dell’art. 119 Cost. e del principio pattizio disposto dall’art. 27 della legge 42/2009.

Risulterebbero inoltre violati, ad avviso della ricorrente, l’art. 43 del regio decreto legislativo 15 maggio 1946 n. 455 (Approvazione dello statuto della Regione siciliana) e l’art. 119 Cost. in relazione all’art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001 n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione) in quanto l’applicazione delle suddette sanzioni avrebbe richiesto il rispetto dell’autonomia speciale mediante meccanismi pattizi o norme di attuazione dello statuto.

Mancherebbe, inoltre, nel decreto impugnato, l’illustrazione delle ragioni che hanno indotto a ritenere certificata e non giustificata la violazione del patto di stabilità, con conseguente difetto di motivazione e di istruttoria e violazione, altresì, della comunicazione all’ente ai sensi dell’art. 10 bis della legge 241/90.

Il 2 febbraio 2015 si è costituito il Ministero dell’Interno con atto di rito.

Nella Camera di Consiglio del 12 febbraio 2015 la ricorrente rinuncia alla domanda cautelare.

Il successivo 10 marzo 2015 l’Amministrazione resistente deposita documenti attestanti le verifiche e i calcoli che hanno preceduto la comminazione della sanzione da parte del decreto impugnato nei confronti degli Enti locali, tra cui la provincia ricorrente, non rispettosi del patto di stabilità del 2013.

In data 11 settembre 2018 la Provincia ricorrente, ai fini dell’udienza pubblica fissata per il 23 ottobre 2018, deposita la documentazione attestante la situazione di difficoltà finanziaria dell’Ente, dovuta in parte all’assolvimento degli obblighi di contenimento della spesa pubblica imposti da diverse manovre statali.

Con memoria depositata il 21 settembre 2018 il Ministero resiste nel merito chiedendo il rigetto del ricorso.

Segue la replica della ricorrente tramite memoria depositata il successivo 25 settembre 2018.

Alla pubblica udienza del 23 ottobre 2018 il ricorso è stato trattenuto in decisione.

DIRITTO

Il ricorso è infondato.

Tra le fonti normative da tenere certamente in considerazione ai fini della soluzione della controversia, come ricorda anche l’Amministrazione resistente, vi è il Regolamento n. 1467/97 del Consiglio Europeo, contenente previsioni “per l'accelerazione e il chiarimento delle modalità di attuazione della procedura per i disavanzi eccessivi”, istituita con l'articolo 104 C del trattato, il quale considera “l'adozione di misure efficaci da parte dello Stato membro partecipante interessato per la correzione del disavanzo eccessivo (…) il primo passo per l'abrogazione delle sanzioni” (considerando 21).

Lo strumento prioritario, al quale il legislatore ha affidato la fissazione di obiettivi e vincoli della gestione finanziaria di regioni ed enti locali, al fine di determinare la misura in cui questi ultimi devono concorrere agli impegni derivanti dai vincoli finanziari assunti dall’Italia in sede europea, è il cosiddetto patto di stabilità interno.

Il patto di stabilità interno per gli enti locali è attualmente disciplinato dall’articolo 31 della legge 12 novembre 2011, n. 183, come successivamente modificato ed integrato dall’articolo 1, commi 428-447, della legge di stabilità per il 2013 (legge n. 228/2012).

L’art. 31 citato, al comma 1, prevede che “Ai fini della tutela dell’unità economica della Repubblica, le province e i comuni con popolazione superiore a 5.000 abitanti e, a decorrere dall'anno 2013, i comuni con popolazione compresa tra 1.001 e 5.000 abitanti, concorrono alla realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica nel rispetto delle disposizioni di cui al presente articolo, che costituiscono principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica ai sensi degli articoli 117, terzo comma, e 119, secondo comma, della Costituzione.”

Al comma 26, è statuito che:

“In caso di mancato rispetto del patto di stabilità interno, l’Ente locale inadempiente, nell’anno successivo a quello dell’inadempienza:

a) è assoggettato ad una riduzione del fondo sperimentale di riequilibrio o del fondo perequativo in misura pari alla differenza tra il risultato registrato e l’obiettivo programmatico predeterminato. Gli Enti locali della Regione siciliana e della Regione Sardegna sono assoggettati alla riduzione dei trasferimenti erariali nella misura indicata al primo periodo. In caso di incapienza dei predetti fondi gli Enti locali sono tenuti a versare all’entrata del bilancio dello Stato le somme residue. La sanzione non si applica nel caso in cui il superamento degli obiettivi del patto di stabilità interno sia determinato dalla maggiore spesa per interventi realizzati con la quota di finanziamento nazionale e correlati ai finanziamenti dell’Unione Europea rispetto alla media della corrispondente spesa del triennio precedente.”.

La sanzione qui gravata è stata comminata ai sensi dell’art. 31, comma 26, lett. a), della legge n. 183/2011 sopra riportato.

Ad avviso della ricorrente la disposizione citata sarebbe affetta da illegittimità costituzionale per le violazioni censurate dalle sentenze n. 178 del 2012 e 219 del 2013 della Corte Costituzionale con cui sono state dichiarate illegittime analoghe modalità sanzionatorie contenute nell’art. 37 del d.lgs. 118/2011 e nell’art. 13 del d.lgs. 149/2011.

La sentenza n. 178 del 2012 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 36 del d.lgs. 118/2011 ove prevede la diretta, ancorché transitoria, applicazione agli enti ad autonomia differenziata del decreto stesso, nonché dei decreti legislativi di cui all'art. 36, comma 5, nel caso in cui non vengano concluse, nel termine indicato, le procedure per l'adozione delle norme di attuazione degli statuti, eccedendo i limiti fissati dall'art. 27 della legge di delegazione n. 42 del 2009, il quale stabilisce il principio per cui tutte le disposizioni attuative della legge di delegazione, senza alcuna deroga, si applicano agli enti ad autonomia differenziata solo se recepite tramite le speciali procedure "pattizie" previste per le norme di attuazione statutaria.

La censura di incostituzionalità della disposizione di cui al d.lgs. 118/2011 consiste nel rilevato eccesso di delega, atteso che il suddetto decreto legislativo è stato adottato sulla base delle previsioni della legge di delegazione 42 del 2009, il cui art. 27 prevedeva che: “Le regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e di Bolzano, nel rispetto degli statuti speciali, concorrono al conseguimento degli obiettivi di perequazione e di solidarietà ed all'esercizio dei diritti e doveri da essi derivanti, nonché al patto di stabilità interno e all'assolvimento degli obblighi posti dall'ordinamento comunitario, secondo criteri e modalità stabiliti da norme di attuazione dei rispettivi statuti, da definire, con le procedure previste dagli statuti medesimi”.

Il rilievo del giudice delle leggi non può estendersi anche alla previsione di cui all’art. 31, comma 26, lett. a), della legge n. 183/2011 in quanto si tratta appunto di una legge successiva, che disciplina il Patto di stabilita interno degli enti locali, e non di una legge delegata, che ecceda le previsioni della delega, con cui il legislatore nazionale espressamente assoggetta gli enti locali della regione siciliana e della regione Sardegna alla riduzione dei trasferimenti erariali, senza riferimento alcuno alle procedure pattizie previste dagli Statuti delle suddette regioni.

Con la sentenza 219 del 2013, poi, la Corte Costituzionale ha dichiarato incostituzionale l'art. 13, secondo periodo, d.lgs. 6 settembre 2011, n. 149, nella parte in cui, dopo avere previsto che “la decorrenza e le modalità di applicazione delle disposizioni di cui al presente d.lgs. nei confronti delle regioni a statuto speciale e delle province autonome di Trento e di Bolzano, nonché nei confronti degli enti locali ubicati nelle medesime regioni a statuto speciale e province autonome, sono stabilite, in conformità con i relativi statuti, con le procedure previste dall'art. 27 della legge 5 maggio 2009, n. 42” ha disposto in via transitoria l’immediata e diretta applicazione nelle regioni a statuto speciale e nelle province autonome di Trento e di Bolzano delle disposizioni previste dal decreto, così violando i limiti fissati dalla legge di delegazione.

Neanche questa pronuncia, quindi, può trovare applicazione nel caso di specie, non vertendosi in materia di legge delegata dalla legge 42 del 2009, né rilevandosi riferimenti alle previsioni di cui all’art. 27 di detto atto legislativo.

Di contro, come di recente ricordato da questo Tribunale con diverse pronunce (vedi tra le altre Tar Lazio I ter 1524/2017) la stessa Corte costituzionale “ha costantemente affermato che di regola i principi fondamentali fissati dalla legislazione dello Stato nell’esercizio della competenza di coordinamento della finanza pubblica si applicano anche ai soggetti ad autonomia speciale (ex plurimis, sentenze n. 46 del 2015, n. 54 del 2014, n. 30 del 2012, n. 229 del 2011, n. 120 del 2008, n. 169 e n. 82 del 2007, n. 417 del 2005, n. 353 e n. 36 del 2004), in quanto essi sono funzionali a prevenire disavanzi di bilancio, a preservare l’equilibrio economico-finanziario del complesso delle amministrazioni pubbliche e anche a garantire l’unità economica della Repubblica, come richiesto dai principi costituzionali e dai vincoli derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione europea. Tali principi e vincoli sono oggi ancor più pregnanti nel quadro delineato dall’art. 2, comma 1, della legge costituzionale 20 aprile 2012, n. 1 (Introduzione del principio del pareggio di bilancio nella Carta costituzionale) che, nel comma premesso all'art. 97 Cost., obbliga il complesso delle pubbliche amministrazioni ad assicurare «l’equilibrio dei bilanci e la sostenibilità del debito pubblico» (sentenze n. 175 e n. 39 del 2014;
n. 60 del 2013).

Gli obiettivi programmatici del patto di stabilità e crescita non possono che essere perseguiti dal legislatore nazionale attraverso norme capaci d’imporsi all’intero sistema delle autonomie (sentenza n. 284 del 2009).”

Con la sentenza 141 del 2015 il giudice delle leggi ha ritenuto infondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 1, commi 138, 141, 142, 143 e 146, l. 24 dicembre 2012, n. 228, censurati per violazione degli artt. 117, commi 3 e 4, e 119 Cost., nonché degli statuti delle Regioni autonome Valle d'Aosta e Friuli-Venezia Giulia, in quanto disciplinano il concorso delle Autonomie speciali al risanamento della finanza pubblica, prevedendo la riduzione di specifiche spese delle Regioni speciali e degli enti locali situati nel loro territorio, con l'obbligo di versare le relative somme ad apposito capitolo dell'entrata del bilancio dello Stato e con la previsione per cui la mancata attuazione comporta il prodursi di conseguenze negative in capo alla Regione.

Con la suddetta pronuncia, pur trattando delle disposizioni applicabili a quelle Regioni a Statuto Speciale, diverse dalla Regione Sicilia, per le quali le norme prevedono clausole di salvaguardia a garanzia del potere legislativo delle regioni a statuto speciale, la Corte costituzionale puntualizza che “(l)e disposizioni statali della cui attuazione si tratta manifestano (…) la necessità che, in un momento difficile per la finanza pubblica, l'attenzione sia rivolta, oltre che alla quantità, alla qualità della spesa;
e non si vede perché solo i cittadini delle Regioni a statuto speciale dovrebbero sottrarsi ad una responsabilità che incombe su tutti gli italiani, a prescindere dalle istituzioni che li rappresentano, nel rispetto delle previste garanzie e forme costituzionali.

Del resto, una tale pretesa non trova giustificazione nella clausola di salvaguardia, la cui formulazione letterale induce, anzi, alla conclusione opposta: l'uso del presente indicativo riferito al comportamento dei soggetti destinatari della norma («attuano»), secondo le ordinarie regole ermeneutiche, esprime, infatti, un «dover essere», e quindi un vincolo ad adeguare la disciplina regionale della materia a quella nazionale.”

Con la sentenza n. 19 del 2015, specificamente in merito a disposizioni (art. 32, comma 10, della legge n. 183 del 2011) che, come quelle censurate nel presente giudizio, determinavano i contributi alla finanza pubblica posti a carico di ciascuna autonomia speciale, la Corte ha attribuito un preciso rilievo alla tempestività degli adempimenti nazionali rispetto alle cadenze temporali tipiche del sistema europeo di coordinamento delle politiche economiche degli Stati membri;
tempestività che non può essere messa in pericolo dalla necessità, per lo Stato, di attendere di avere completato l’iter di negoziazione con ciascun ente territoriale.

Con specifico riguardo all'art. 27 della legge n. 42 del 2009 la Corte costituzionale ha osservato (sentenza n. 23 del 2014) che esso pone bensì una riserva di competenza a favore delle norme di attuazione degli statuti speciali per la modifica della disciplina finanziaria degli enti ad autonomia differenziata (sentenza n. 71 del 2012), così da configurarsi quale presidio procedurale della specialità finanziaria di tali enti (sentenza n. 241 del 2012). Nondimeno esso ha rango di legge ordinaria, derogabile da atti successivi aventi pari forza normativa;
sicché, specie in un contesto di grave crisi economica, il legislatore può discostarsi dal modello consensualistico nella determinazione delle modalità del concorso delle autonomie speciali alle manovre di finanza pubblica (sentenza n. 193 del 2012), fermo restando il necessario rispetto della sovraordinata fonte statutaria (sentenza n. 198 del 2012).” (cfr. sentenza n. 82 del 25 maggio 2015).

Per quanto argomentato dal giudice delle leggi, se può essere derogata dal legislatore statale (v. sentenze n. 46 del 2015;
n. 23 del 2014 e n. 193 del 2012) la procedura “garantita” prevista da taluni statuti, nessuna violazione del principio di leale collaborazione è ravvisabile in un caso come quello sub judice nel quale il principio pattizio non risulta recepito né dalla legislazione nazionale né dallo statuto della regione autonoma (v. oltre).

A tale riguardo parte ricorrente denuncia altresì la violazione dell’art. 43 del regio decreto legislativo 15 maggio 1946 n. 455 che avrebbe imposto, ad avviso della ricorrente, un modello consensuale.

Anche questo rilievo è infondato.

La previsione richiamata affida ad “una Commissione paritetica di quattro membri nominati dall'Alto Commissario della Sicilia e dal Governo dello Stato” la determinazione delle norme transitorie relative al passaggio degli uffici e del personale dello Stato alla Regione, nonché le norme per l'attuazione del presente Statuto.

Essa in alcun modo contiene una clausola di salvaguardia delle prerogative dell’autonomia che qui si rivendicano, né dalle previsioni in materia di patrimonio e finanza è dato rintracciare una previsione che affermi il principio pattizio in materia di finanza generale (cfr. anche Tar Lazio I ter 1524/2017)

La Regione Sicilia ha, poi, competenza legislativa esclusiva con riguardo al regime degli enti locali e delle circoscrizioni relative (art. 14 dello Statuto), che non arriva a ricomprendere le misure di partecipazione al contenimento della spesa pubblica, rientranti nella materia di finanza generale riservata alla competenza legislativa dello Stato.

Pertanto, alla luce delle considerazioni e dei rilievi già svolti sul punto dalla Corte costituzionale, sopra richiamati, l’art. 31, comma 26, della legge n. 183/2011 appare scevro dai dedotti rilievi di illegittimità costituzionali che, per quanto osservato, devono ritenersi manifestamente infondati.

Il decreto impugnato, per quanto osservato, fa pedissequa applicazione delle disposizioni di cui all’art. 31, comma 26 della legge 183/2011, con conseguente infondatezza delle censure di difetto di motivazione e di istruttoria enunciate in ricorso.

Per quanto riguarda la dedotta violazione dell’art. 10 bis della legge 241/90, posto che l’an della sanzione, unico profilo contestato con il presente gravame, discende dalla violazione del patto di stabilità del 2013, e dalle conseguenze previste dalle previsioni legislative sopra scrutinate, e che detta violazione non è in contestazione, il provvedimento non avrebbe potuto avere diverso contenuto, con conseguente applicazione della previsione di cui all’art. 21 octies 241/90 che esclude l’annullamento del provvedimento vincolato affetto dal suddetto vizio formale (cfr. Tar Lazio I 4765/2018).

Ove le censure si riferiscano alla somma in concreto calcolata si fa presente che quest’ultima è ancorata agli elementi certificati ed inviati all’Amministrazione centrale dallo stesso Comune ricorrente, come previsto dall’art. 31, comma 20, legge 183/2011.

In conclusione il ricorso è infondato e deve essere respinto.

La natura della controversia giustifica la compensazione delle spese.

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