TAR Trieste, sez. I, sentenza 2016-11-02, n. 201600492

Sintesi tramite sistema IA Doctrine

L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.Beta

Segnala un errore nella sintesi

Sul provvedimento

Citazione :
TAR Trieste, sez. I, sentenza 2016-11-02, n. 201600492
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Trieste
Numero : 201600492
Data del deposito : 2 novembre 2016
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 02/11/2016

N. 00492/2016 REG.PROV.COLL.

N. 00449/2011 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Friuli Venezia Giulia

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 449 del 2011, integrato da motivi aggiunti, proposto da:
A P, rappresentata e difesa dagli avvocati L T C.F. TRRLCU65L05L781S e Carmela Gurrado C.F. GRRCML65L60L424D, con domicilio eletto presso lo studio della seconda in Trieste, via Nordio 10;

contro

Comune di Lignano Sabbiadoro, in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dall'avvocato S R C.F. RTTSNT71P46L407T, con domicilio eletto presso lo studio della medesima in Trieste, piazza S. Antonio 2;

per l'annullamento

Quanto al ricorso introduttivo:

dell'ordinanza di demolizione n. 37 dd. 7.7.2011 del Comune di Lignano Sabbiadoro - settore urbanistica - edilizia privata, notificata alla ricorrente in data 11.7.2011 relativa ad opere eseguite in assenza dal permesso di costruire;

Quanto ai motivi aggiunti depositati in data 15.07.2016:

dell'atto di accertamento di inottemperanza all'ordinanza di demolizione delle opere eseguite in assenza di permesso di costruire prto.n. 16246 del 06.05.2016 del Comune di Lignano Sabbiadoro, notificato alla ricorrente in data 13.05.2016.


Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Lignano Sabbiadoro;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 26 ottobre 2016 la dott.ssa M S e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

La signora A P espone di essere proprietaria di un’abitazione sita in Lignano Sabbiadoro, via Cividale n. 41, individuata catastalmente al fg. 44 mapp. 73 e 422, ove risiede.

Espone, inoltre, di aver presentato in data 17/1/2011 un’istanza di permesso di costruire corredata di progetto e relazione peritale per la costruzione, in aderenza all’abitazione esistente, di un locale pertinenziale di modeste dimensioni, da adibire a deposito.

Espone, poi, d’aver presentato documentazione integrativa in data 1/3/2011 e che il Comune, con comunicazione in data 18/3/2011, la invitava ulteriormente ad integrare la documentazione progettuale.

Espone, altresì, che, non avendo ricevuto in seguito più alcuna comunicazione da parte del Comune, ritenendo essersi formato il silenzio-assenso sulla sua istanza ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 25 della l.r. 19/2009 e assumendo che l’intervento rientrasse tra quelli di cd. “edilizia libera” ai sensi dell’art. 16, provvedeva a farlo realizzare entro i limiti volumetrici normativamente stabiliti.

Espone, ancora, che il Comune, con nota in data 27/5/2011, le comunicava l’avvio di un procedimento per presunti abusivismi edilizi, invitandola a fornire chiarimenti.

Che, nonostante i chiarimenti da lei offerti (ovvero che trattavasi di intervento rientrante nell’attività edilizia libera e che, in ogni caso, sull’istanza da lei presentata si era formato il silenzio-assenso), il Comune, con provvedimento in data 7/7/2011, le ordinava la demolizione dell’opera perché realizzata in assenza di permesso di costruire, titolo ritenuto necessario in quanto “l’ampliamento non è configurabile come <pertinenza>
in quanto la costruzione è incorporata al resto dell’immobile in maniera tale da ampliarne la funzionalità pratico-economica oltre alla superficie dello stesso”.

Da qui il ricorso introduttivo, depositato in data 15 ottobre 2011, con cui l’interessata chiede l’annullamento del provvedimento dianzi indicato, assumendone l’illegittimità per i seguenti motivi di diritto:

1. “Violazione dell’art. 25 della l.r. 19/2009”. La ricorrente deduce, invero, che sull’istanza da lei presentata si sia formato il silenzio-assenso, attesa, tra l’altro, la tardività della richiesta di integrazioni formulata dal Comune rispetto al dies a quo di decorrenza del termine procedimentale. Sicché, la medesima non può ritenersi idonea a provocare alcun effetto interruttivo.

2. “Eccesso di potere e/o violazione degli artt. 16, 19 e 45 della l.r. 19/2009”. La ricorrente deduce, in ogni caso, che l’intervento realizzato è pacificamente sussumibile tra quelli realizzabili in regime di edilizia libera (circostanza di cui si è avveduta, peraltro, solo ad istanza per il rilascio del permesso di costruire già presentata) e, conseguentemente, non necessita del rilascio di alcun titolo edilizio, motivo per cui si è determinata a realizzarlo senza ulteriori istanze e/o comunicazioni al Comune. Al riguardo, afferma il rispetto dei limiti volumetrici di cui all’art. 16 della l.r. dianzi citata, che ritiene trovi riscontro nelle allegate documentazione fotografica e attestazioni dei tecnici incaricati. Argomenta, poi, ulteriormente in ordine alla – a suo avviso - pacifica sussumibilità dell’intervento tra quelli di edilizia libera, di cui ribadisce peraltro, la natura pertinenziale.

Il Comune si è costituito per contestare la fondatezza del ricorso e chiederne il rigetto. Con successiva memoria ha, poi, ribadito le argomentazioni difensive già esposte nelle originarie controdeduzioni, rappresentando anche che, nelle more del giudizio, è stata denegata l’istanza di fiscalizzazione dell’abuso presentata dalla ricorrente, in quanto ritenuta sfornita dei necessari presupposti.

All’udienza pubblica dell’8 giugno 2016 la trattazione della causa è stata differita a successiva udienza su richiesta di parte ricorrente, che ha preannunciato l’intenzione di gravare l’atto del 6/5/2016, prot. n. 16246, con cui il Comune di Lignano Sabbiadoro ha, nel frattempo, accertato l’inottemperanza all’ordinanza di demolizione.

Con ricorso per motivi aggiunti depositato in data 15 luglio 2016 la ricorrente ha, quindi, impugnato, invocandone l’annullamento, previa sospensione cautelare, per “Eccesso di potere per irragionevolezza e manifesta illogicità”, l’atto dianzi indicato. Si è soffermata, in particolare, ad argomentare in ordine alla pendenza del giudizio in ordine all’ordinanza di demolizione di cui il Comune ha constatato l’inottemperanza e alla circostanza che pende giudizio civile, promosso su suggerimento del Comune, proprio per risolvere il problema della mancanza del titolo che la abiliti, sotto il profilo civilistico, a derogare alla distanza tra costruzioni.

Il Comune ha controdedotto, con memoria, eccependo, in via preliminare, l’inammissibilità del vizio denunciato, stante la ricorrenza, nel caso di specie, di attività vincolata, non passibile, per sua natura, di censura per eccesso di potere. Ne ha contestato, in ogni caso, anche la fondatezza e concluso per la sua reiezione.

Dopo la rinuncia di parte ricorrente all’istanza cautelare, la causa è stata chiamata alla pubblica udienza del 26 ottobre 2016, nel corso della quale parte ricorrente ha avanzato richiesta di ulteriore rinvio della trattazione per l’asserita esigenza di attendere l’esito del giudizio pendente innanzi all’A.G.O.. A tale richiesta si è, tuttavia, opposto il Comune resistente, rappresentando, peraltro, che nel frattempo è stata anche formalmente denegata la sanatoria invocata dalla ricorrente.

Il Collegio ha respinto la richiesta di rinvio e, all’esito della discussione, trattenuto l’affare in decisione.

Il ricorso introduttivo e i motivi aggiunti sono privi di pregio.

Nel caso in esame, assume, invero, dirimente rilievo, in primo luogo, la circostanza che parte ricorrente, dopo aver presentato in data 17 gennaio 2011 istanza per il rilascio del permesso di costruire per la realizzazione dell’opera dianzi descritta, nella quale dichiarava che l’intervento consisteva in un “ampliamento e realizzazione di pertinenze comportante aumento superiore al 20% della volumetria utile dell’edificio o dell’unità immobiliare esistente” (vedi all. 3 fascicolo doc. ricorrente), ha, poi, realizzato la stessa senza attendere la conclusione del procedimento autorizzatorio, in base all’assunto – peraltro non idoneamente supportato da riscontri documentali – che il locale pertinenziale da adibire a deposito sarebbe stato annoverabile tra gli interventi di edilizia libera ex art. 16 della l.r. 19/2009, non soggetti a previo titolo autorizzatorio.

Invero - al di là del fatto che, come correttamente osservato dalla difesa del Comune, gli interventi che, ai sensi dell’art. 16 della l.r. 19/2009, non necessitano di “preventivo controllo tecnico-amministrativo” , tra cui, ai fini che qui rilevano, quelli descritti al comma 1, lett. k) (“realizzazione di pertinenze di edifici o unità immobiliari esistenti che comportino volumetria, bussole, verande, costruzioni a uso garage, serre e depositi attrezzi e simili, nei limiti del 10 per cento del volume utile dell'edificio o dell'unità immobiliare esistenti, se a destinazione residenziale, o nei limiti del 5 per cento della superficie utile dell'edificio o dell'unità immobiliare esistenti se a uso diverso dalla residenza;
tali interventi non possono comunque comportare un aumento superiore a 100 metri cubi della volumetria utile della costruzione originaria “
), non esimono comunque il soggetto che intende realizzarli dal comunicare l'inizio dei lavori, con allegata relazione tecnica asseverata ed eventuale elaborato grafico esplicativo (comma 5), comunicazione che, nel caso di specie, non risulta, però, inviata dalla ricorrente e alla quale non può supplire in alcun modo l’originaria istanza di rilascio del permesso di costruire, essendo stata, con tutta evidenza, presentata per un intervento diverso da quello che la medesima sostiene ora d’aver realizzato – il Collegio non può esimersi dal rilevare che la ricorrente non ha comunque documentato l’effettiva riconducibilità dell’intervento in questione ai limiti volumetrici stabiliti dalla legge per l’attività edilizia libera.

Le relazioni dei tecnici di parte dimesse a supporto della tesi sostenuta in ricorso, peraltro entrambe recanti data successiva all’ordinanza di demolizione impugnata e non preesistenti alla realizzazione dell’opera (vedi all. 10 e 11 fascicolo doc. ricorrente), si limitano, invero, ad affermare che la medesima è di “modesta entità” e che la sua volumetria “ è inferiore al 10% della volumetria esistente” , ma non riportano alcun dato tecnico in grado di comprovare quanto sostenuto.

Nemmeno in questa sede sono stati, in ogni caso, offerti elementi per poter apprezzare l’effettiva sussumibilità dell’ampliamento realizzato tra gli interventi pertinenziali di attività edilizia libera ai sensi dell’art. 16, comma 1, lett. k), della l.r. più volte citata, dato che la ricorrente non ha ritenuto di portare a conoscenza di questo giudice il volume dell’edificio principale o dell’unità immobiliare esistenti, sì da consentire di accertare che quello dell’ampliamento realizzato è effettivamente non superiore al 10% dei primi, come dalla medesima (solo) ripetutamente affermato.

In considerazione del fatto che la nozione di "ampliamento" non assurge ad autonoma tipologia di intervento edilizio, ma confluisce nel genus di "nuova costruzione" , nel caso oggetto di disamina devesi, quindi, fare riferimento all'art. 4, comma 1, lett. a), della l.r. 11 novembre 2009, n. 19 e, quanto al regime autorizzatorio, all’art. 19, comma 1, lett. b), il quale, nel testo all’epoca vigente, subordinava, per l’appunto, al rilascio del permesso di costruire la realizzazione di “interventi di ampliamento e la realizzazione di pertinenze o altre strutture, anche non pertinenziali, non realizzabili in denuncia di inizio attività o in attività edilizia libera, che comportano un aumento superiore al 20 per cento della volumetria utile dell'edificio o dell'unità immobiliare esistente”.

Né può assumere rilievo l’invocata natura pertinenziale dell’intervento in questione atteso che, in materia edilizia, il rapporto pertinenziale non può legittimamente esentare dalla concessione edilizia quell’opera che, sotto il profilo urbanistico-edilizio, costituisce un’aggiunta o una realtà ulteriore rispetto alla res principalis in quanto occupa aree e volumi diversi da quest’ultima, ma può tutt’al più concernere solo quei manufatti di dimensioni modeste e ridotte rispetto all’edificio cui ineriscono, tali da non alterare in modo significativo l’assetto del territorio (C. Stato, sez. V, 30 novembre 2000, n. 6358).

Ma, come s’è avuto modo di osservare, parte ricorrente non ha assolutamente dimostrato che struttura e dimensioni della “parte” aggiunta (che, peraltro, non ha autonomia fisica e strutturale rispetto a quella preesistente) sono talmente irrisorie da potersi confondere con la res principalis. Non può, quindi, che assumersi a riferimento quanto dichiarato dalla ricorrente nell’istanza di rilascio del titolo edilizio ovvero che trattasi di opera comportante aumento superiore al 20% della volumetria utile dell’edificio o dell’unità immobiliare esistente.

Sulla scorta delle considerazioni dianzi svolte, va, quindi, rigettato il II motivo del ricorso introduttivo, che, per ragioni di logica espositiva, è stato scrutinato per primo, atteso che il “silenzio-assenso” ha ragione d’essere invocato solo nell’ambito di un procedimento destinato a concludersi con il rilascio di un provvedimento espresso (nel caso specifico, permesso di costruire), come si ritrae dalla piana lettura dell’art. 20 della legge n. 241 del 1990 e, ai fini che qui specificamente rilevano, degli art. 24, comma 10, e 25 della l.r. n. 19/2009, in quel momento vigenti.

Ciò precisato può essere ora affrontato il I motivo del ricorso principale, riguardante, per l’appunto, la violazione dell’art. 25 della legge regionale n. 19/2009 sulla formazione del silenzio-assenso.

Il motivo, per come formulato, non coglie nel segno, laddove, per le integrazioni documentali, assume a riferimento il termine per l’adozione del provvedimento finale, atteso che l’art. 24 della l.r., anche nella formulazione all’epoca vigente, stabilisce un termine di 60 gg. (dal ricevimento dell’istanza) per la formulazione di una proposta di provvedimento e un termine di (ulteriori) 15 gg. da tale proposta per l’adozione del permesso di costruire, con la conseguenza che il termine per la conclusione del procedimento è, in effetti, di complessivi 75 gg. e non di soli 60, come erroneamente ritenuto da parte ricorrente.

Vero è, in ogni caso, che, anche avuto riguardo al termine di 60 gg. per la formulazione della proposta di provvedimento, entro il quale, ai sensi dell’art. 24, comma 5, all’epoca vigente, il procedimento “può essere interrotto una sola volta dal responsabile del procedimento, esclusivamente per la motivata richiesta di documenti che integrino o completino la documentazione presentata e che non siano già nella disponibilità dell'Amministrazione o che questa non possa acquisire autonomamente”, la richiesta integrativa recante data 18 marzo 2011 pare tempestivamente emessa (e, come tale, idonea ad interrompere la decorrenza del termine di conclusione del procedimento), dovendosi presumere, in assenza di specifiche deduzioni sul punto da parte della ricorrente, che la stessa sia stata inviata il medesimo giorno.

Sicché, considerato che il 17 gennaio 2011, giorno di presentazione dell’istanza, non va pacificamente conteggiato nel termine, e che il 18 marzo 2011 è stata emessa la richiesta di integrazione documentale, quest’ultima pare assolutamente tempestiva (14 gg. gennaio – 28 gg. febbraio – 18 gg. marzo), atteso che la legge non dà alcun rilievo alla data di ricezione della richiesta integrativa da parte dell’interessato.

Il motivo va quindi, nel suo complesso, disatteso e ciò anche a prescindere dalla considerazione che la ricorrente ha comunque omesso di comunicare al Comune la volontà di avvalersi dell’istituto ora invocato, come, invece, prescritto dall’art. 25, comma 2, della l.r., in quel momento vigente.

Il ricorso principale va, in definitiva, rigettato.

Il ricorso per motivi aggiunti s’appalesa, invece, inammissibile, in quanto – come correttamente eccepito dalla difesa del Comune – l’eccesso di potere, quale vizio della funzione, è configurabile solo con riferimento agli atti discrezionali in quanto solo con riferimento ad essi si può profilare uno sviamento del potere che non si concretizzi in una violazione di legge.

Nel caso di specie, è, però, pacifica la natura vincolata e non discrezionale dell’atto con cui il Comune si è limitato ad accertare l’inottemperanza all’ordinanza n. 37 di demolizione delle opere eseguite in assenza del permesso di costruire.

Per giurisprudenza costante, l’accertamento dell’inottemperanza è, infatti, atto dovuto, che consegue al mero decorso del termine di 90 giorni per dare esecuzione all’ordinanza di demolizione.

Il ricorso per motivi aggiunti, affidato alla sola denuncia del vizio di eccesso di potere per irragionevolezza e manifesta illogicità, è quindi, come detto, inammissibile e tale va dichiarato.

Le spese di lite seguono la soccombenza e vengono liquidate nella misura indicata in dispositivo.

Iscriviti per avere accesso a tutti i nostri contenuti, è gratuito!
Hai già un account ? Accedi