TAR Cagliari, sez. II, sentenza 2012-11-26, n. 201201012

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Cagliari, sez. II, sentenza 2012-11-26, n. 201201012
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Cagliari
Numero : 201201012
Data del deposito : 26 novembre 2012
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 00639/2003 REG.RIC.

N. 01012/2012 REG.PROV.COLL.

N. 00639/2003 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sardegna

(Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 639 del 2003, integrato da motivi aggiunti, proposto da:
S M, rappresentato e difeso dagli avv.ti C M e S C, con domicilio eletto in Cagliari presso il loro studio legale, viale Bonaria n. 80;

contro

l’Ufficio Segreteria del Comune Santa Giusta, in persona del Responsabile p.t., non costituito in giudizio;

il Comune di Santa Giusta, in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dall'avv. P F, con domicilio eletto in Cagliari presso lo studio del medesimo legale, via Sonnino n. 37;

nei confronti di

Soc. Giovanile Agricola Santa Giusta, in persona del legale rappresentante p.t., non costituita in giudizio;

C G, non costituito in giudizio;

per l'annullamento

con il ricorso principale:

- dell'ordinanza n. 1/5.3.2003, prot. n. 1691/5.3.2003, con la quale il responsabile dell'Ufficio Segreteria del Comune di Santa Giusta ha fatto assoluto divieto al ricorrente di effettuare qualsiasi tipo di lavorazioni, attività o turbativa nei terreni comunali soggetti ad uso civico nel Comune di Santa Giusta assegnati regolarmente ai sensi del vigente regolamento;

- di ogni altro atto presupposto, inerente o conseguenziale, compresi i provvedimenti di assegnazione dei terreni comunali in favore dei controinteressati cui si fa cenno nell'impugnata ordinanza n. 1691/2003;

- delle note del Comandante dei Vigili Urbani in data 3.10.2002 e 25.10.2002;

con i motivi aggiunti depositati in data 22.5.2008:

- della deliberazione della Giunta Comunale n. 181/12.11.2008;

- della deliberazione del Consiglio Comunale n. 68/05.10.1998, con particolare riferimento agli artt. 7 e 12 del Regolamento Comunale per la gestione delle terre civiche, allegato alla stessa delibera;

- della nota in data 20.3.2009 dell'avv. Miscali inviata nell'interesse dell'Amministrazione resistente.

Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Santa Giusta;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 7 novembre 2012 il dott. T A e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

Con l’ordinanza n. 1 del 5 marzo 2003 il Comune di Santa Giusta intimava al sig. S l’assoluto divieto di effettuare qualsiasi tipo di lavorazioni, attività o turbativa nei terreni comunali soggetti ad uso civico assegnati, ai sensi del vigente regolamento comunale, alla società giovanile agricola “Santa Giusta S.S.” e al sig. G C.

In data 24 settembre 2002, infatti, questi ultimi avevano segnalato che su tali terreni erano state effettuate lavorazioni meccaniche in preparazione alla semina ad opera del sig. M S.

E i vigili urbani, in data 3 e 25 ottobre 2002, avevano confermato che il sig. S aveva effettivamente eseguito i lavori di aratura sopra descritti, sconfinando sui terreni regolarmente assegnati ai controinteressati.

Sennonché, ad avviso del ricorrente, la menzionata ordinanza comunale sarebbe illegittima per i seguenti motivi:

Violazione e falsa applicazione di legge: legge 3 maggio 1982 n. 203 (artt. da 1 a 22);
legge 22 luglio 1966 n. 606 (art. 1);
legge 11 febbraio 1971 n. 11 (art. 17) - Violazione e falsa applicazione del Regolamento comunale per la gestione delle terre civiche (art. 18) e dell’art. 1628 c.c. – Eccesso di potere: in quanto fin dal 1973, senza interruzione, i terreni in questione gli sarebbero stati concessi in affitto, e da allora vi esercita il possesso, utilizzandoli e corrispondendo regolarmente al Comune di Santa Giusta i canoni di locazione. Inoltre sarebbe del tutto carente l’indicazione delle ragioni di pubblico interesse sottese al provvedimento impugnato, che sarebbe altresì carente dello svolgimento di una compiuta attività istruttoria volta alla ricognizione della situazione giuridica e fattuale dei terreni;

Violazione e falsa applicazione del T.U. 18 agosto 2000 n. 267 – Eccesso di potere: in relazione al generico richiamo all’anzidetto testo normativo senza alcun preciso riferimento alle disposizioni che l’amministrazione abbia concretamente inteso applicare;

Violazione e falsa applicazione degli artt. 3, 7 e 8 della legge n. 241/1990 – Eccesso di potere: per il mancato invio dell’avviso di inizio del procedimento, con conseguente violazione delle garanzie procedimentali ad esso sottese;

Violazione e falsa applicazione dell’art. 97 Cost. – Eccesso di potere: in quanto le assegnazioni dei terreni in favore dei contro interessati sarebbero in contrasto col principio di imparzialità dell’azione della pubblica amministrazione in quanto avvenute con l’intervento di persone tenute ad astenersi per ragioni di interesse personale.

Concludeva quindi il ricorrente chiedendo l’annullamento del provvedimento impugnato, con ogni conseguente statuizione anche in ordine alle spese del giudizio.

Con ricorso per motivi aggiunti depositato il 22 maggio 2009, il sig. S ha altresì impugnato la deliberazione della Giunta Comunale n. 181/12.11.2008 e quella del Consiglio Comunale n. 68/05.10.1998 che avevano stabilito una riduzione dell’estensione dei terreni concedibili agli aventi titolo per un massimo di 25 ettari per nucleo familiare.

A suo avviso, infatti, anche tali provvedimenti sarebbero illegittimi, non solo in via derivata per le illegittimità già censurate con l’atto introduttivo del giudizio, ma anche perché rivolti anche avverso le assegnazioni pregresse che, invece, sarebbero dovute restare immutate.

Di qui la richiesta di annullamento anche di tali delibere.

Per resistere al ricorso si è costituito il Comune di Santa Giusta che ne ha chiesto il rigetto, vinte le spese.

In vista dell’udienza di trattazione le controparti hanno depositato scritti difensivi con i quali hanno insistito nelle rispettive conclusioni.

Alla pubblica udienza del 7 novembre 2012, sentiti i difensori delle parti, la causa è stata posta in decisione.

DIRITTO

Con regolamento approvato con deliberazione del Consiglio Comunale n. 68/05.10.1998 il Comune di Santa Giusta ha introdotto una nuova disciplina per la gestione delle terre civiche al fine, da un lato, di salvaguardare la destinazione dei terreni ad uso civico a vantaggio della comunità locale e, dall’altro, di disciplinare l’esercizio dell’uso civico nei suoi contenuti e nei suoi limiti anche temporali, al fine di valorizzarne la potenzialità produttiva attraverso la disciplina di nuove forme di godimento (art. 1).

Per quanto qui rileva, l’anzidetto atto regolamentare stabilisce, all’art. 12, che i terreni montani sono concessi per un massimo di 25 ettari per nucleo familiare.

Con decisione del Comitato comunale dell’Agricoltura assunta nella riunione dell’11 luglio 2001 (allegato n. 6 delle difese comunali), al sig. S si riconosceva il perdurare della concessione in uso di una serie di lotti per un totale di ha 24.96.70, con l’obbligo di stipula del relativo contratto.

Sennonché quest’ultimo non solo, malgrado i ripetuti solleciti, non si presentava presso gli uffici comunali per la stipula del contratto di concessione in uso, ma con nota dell’avv. G F del 26 luglio 2001 contestava la decisione adottata dal predetto comitato chiedendone la revoca nell’assunto che i terreni da lui coltivati fin dai primi anni ’70, dell’estensione di Ha 47.30.00, gli erano stati assegnati in forza di un regolare contratto d’affitto in relazione al quale aveva sempre tempestivamente proceduto al pagamento dei relativi canoni.

Con riguardo all’anzidetta vicenda osserva anzitutto il Collegio che il sig. S non ha affatto documentato, in modo certo, l’esistenza di un contratto d’affitto agrario concernente la predetta estensione di terreni.

E in mancanza di prova certa di uno specifico rapporto contrattuale non può che trovare applicazione il consolidato principio giurisprudenziale, puntualmente ricordato dalla difesa comunale, per il quale è escluso che possa ritenersi sussistente un rapporto contrattuale con una pubblica amministrazione in mancanza di un contratto scritto, invece necessario, in applicazione del principio di solennità delle forme, ai rapporti contrattuali con quest’ultima.

Non assume infatti rilievo in senso contrario né la riforma operata dalla legge 203 del 1982, laddove consente di ritenere validi ed efficaci i contratti di affitto di fondi rustici anche se non stipulati in forma scritta o trascritti, né l’art. 6 del D. Lgs. 18 maggio 2001 n. 228, non avendo le stesse comportato una sanatoria generalizzata di tutti i rapporti in corso con la pubblica amministrazione e non potendo quindi determinare effetti costitutivi di pretese ove il rapporto in essere si sia svolto di fatto e contra legem.

E sotto questo profilo non può riconoscersi rilievo al fatto del pagamento effettuato dalla ricorrente in favore del Comune di una somma asseritamente versata per l’utilizzazione del fondo, ben potendo lo stesso essere giustificato come dovuto, a titolo risarcitorio, per la sua occupazione indebita (cfr: Cons. Stato, Sez. VI, n. 3507 del 3 giugno 2010).

Invero, come ripetutamente sostenuto dalla Corte di Cassazione, per il perfezionamento dei contratti stipulati dalle amministrazioni pubbliche è necessaria una manifestazione documentale della volontà negoziale da parte dell’organo rappresentativo abilitato a concludere, in nome e per conto dell’ente pubblico, negozi giuridici, di talché un contratto non potrà dirsi legittimamente perfezionato ove la volontà di addivenire alla sua stipula non sia, nei confronti della controparte, esternata, in nome e per conto dell’ente pubblico, da quell’unico organo autorizzato a rappresentarlo.

Ne consegue che la normativa speciale dettata in tema di contratti della p.a. prevale sulla diversa disciplina dei rapporti tra privati, quale, ad esempio, quella dettata in tema di contratti agrari ultranovennali.

Sicché, in materia di contratti stipulati dalla pubblica amministrazione deve ritenersi necessaria la stipulazione in forma scritta a pena di nullità e, pertanto, deve escludersi che si possa ipotizzare la possibilità di una conclusione tacita per facta concludentia, posto che altrimenti si perverrebbe all’effetto di eludere il requisito della forma scritta.

Consegue che, pur dopo l’entrata in vigore della L. 3 maggio 1982, n. 203, che ha deformalizzato i contratti di affitto a coltivatore diretto, anche se ultranovennali, rendendoli a forma libera, non può ritenersi concluso un contratto di affitto agrario con la p.a. in forza di un comportamento concludente, anche protrattosi per anni (Cass. 26 giugno 2008, n. 17550;
12 febbraio 2020, n. 1970;
15 dicembre 2000, n. 15862).

Non trova quindi fondamento il presupposto di fatto sul quale il sig. S fonda la sua prima censura, con conseguente reiezione del motivo.

Deduce ancora il ricorrente che il provvedimento impugnato sarebbe illegittimo in quanto esso si limita a richiamare genericamente il T.U. degli Enti locali n. 267/2000, senza precisare “…a quale sua specifica disposizione o potere abbia inteso fare riferimento…”, con la conseguenza di rendere incomprensibile “…la puntuale funzione che il Comune abbia inteso esercitare ed in forza di quale disposizione legislativa autorizzatoria…”.

Il motivo, invero formulato in termini estremamente generici, è comunque infondato, se non altro per il rilievo che il provvedimento impugnato, oltre al predetto richiamo al T.U. n. 267/2000, richiama a giustificazione del potere esercitato l’art. 18 del vigente Regolamento comunale per la gestione delle terre civiche che, al 1° comma, stabilisce che “Il Responsabile del Servizio adotta, in via amministrativa, i provvedimenti per garantire il corretto uso dei beni di uso civico”, in conformità a quanto previsto dal 3° comma del medesimo articolo per il quale “Il Comune ha il diritto pieno ed assoluto di verificare in qualsiasi momento le estensioni concesse e il corretto uso del terreno”.

Con il terzo motivo il sig. S lamenta la violazione delle garanzie procedimentali di cui agli artt. 3, 7 e 8 della legge 7 agosto 1990 n. 241, affermando che non gli sarebbe stato consentito di partecipare al procedimento e di far valere tempestivamente le sue ragioni.

Neanche tale argomento è fondato.

Per quanto rivolta avverso il Regolamento comunale per la gestione delle terre civiche, che ha natura di atto amministrativo generale, la censura non trova fondamento attesa la previsione di cui all’art. 13 della legge n. 241/1990, per la quale le disposizioni contenute nel presente capo non si applicano nei confronti dell'attività della pubblica amministrazione diretta alla emanazione di atti normativi, amministrativi generali, di pianificazione e di programmazione, per i quali restano ferme le particolari norme che ne regolano la formazione.

Sul punto cfr. Cons. Stato, Sez. VI, sent. n. 4567 del 15-07-2010, per il quale “Gli atti amministrativi di carattere generale in quanto tali sono esclusi, ai sensi dell'art. 13 l. n. 241/1990, dall'applicazione delle norme sulla comunicazione di avvio del procedimento e sulla partecipazione allo stesso”.

Per quanto riferita all’ordinanza n. 1 del 5 marzo 2003 la censura si rivela infondata nel rilievo che, come documentato dalla difesa dell’amministrazione (vedi allegato n. 6), prima dell’adozione dell’ordine in questione il sig. S era stato reso edotto del procedimento di rideterminazione delle assegnazione delle terre civiche, tant’è che lo stesso aveva anche interloquito con l’amministrazione attraverso il proprio legale, ed era stato più volte sollecitato a presentarsi presso gli uffici dell’amministrazione per la formalizzazione delle nuove concessioni.

In ogni caso non può non rilevarsi che tale atto costituisce atto applicativo della precitata norma regolamentare, rispetto al quale trova dunque applicazione l’art. 21 octies, comma 2°, del medesimo testo normativo, per il quale “Non è annullabile il provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato”.

Con il quarto motivo il ricorrente lamenta l’illegittimità dei provvedimenti impugnati in quanto adottati in violazione dei principi di imparzialità e buona amministrazione perché adottati con la partecipazione di persone tenute ad astenersi.

L’argomento è privo di pregio.

Anzitutto esso è formulato in termini meramente enunciativi con riferimento ad atti di assegnazione rispetto ai quali non è stata fornita alcuna prova né della partecipazione dei soggetti indicati ai provvedimenti di assegnazione dei terreni ai controinteressati, né dell’effettiva sussistenza in capo agli stessi del censurato obbligo di astensione.

In secondo luogo l’ordinanza n. 1 del 5 marzo 2003, principalmente impugnata, è stata adottata dal Responsabile del Servizio dott. Francesco Maria Nurra rispetto al quale non sono neppure prospettati obblighi di astensione dall’adozione del provvedimento adottato.

Quanto, infine, all’impugnazione aggiuntiva proposta avverso le delibere di adozione del regolamento comunale per violazione del principio della irretroattività, anche a prescindere dal rilievo della difesa comunale che fin dalla redazione della nota dell’avv. Fadda del 26 luglio 2001, e comunque fin dalle note comunali n. 6982 del 5.9.2001 e n. 5732 del 2.8.2002 il sig. S era stato informato dell’adozione del più volte citato regolamento comunale, assume valore decisivo quanto già esposto in relazione alla prima censura, e cioè che non risulta affatto provato che il ricorrente disponesse, in forza di un titolo valido, della disponibilità di un’area come tale da ritenere sottratta alle successive determinazioni dell’amministrazione comunale.

In conclusione, quindi, il ricorso si rivela infondato e va respinto.

Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

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