TAR Torino, sez. II, sentenza 2022-11-21, n. 202200991
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Pubblicato il 21/11/2022
N. 00991/2022 REG.PROV.COLL.
N. 00979/2018 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte
(Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 979 del 2018, proposto da P M P e S P, rappresentati e difesi dall'avvocato G F, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Comune Trana, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati V A e A F, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
per l'annullamento
- dell'ordinanza n. 803 in data 7.8.18 a firma del Responsabile del Servizio Urbanistica Edilizia Privata e Ambiente, notificata ai ricorrenti in data 17.8.18 nella rispettiva qualità di nudo proprietario il primo e di usufruttuario il secondo dell'”area individuata al CT al fg. 18 particelle n. 319-700-702” con la quale si “ingiunge (ai predetti) la demolizione delle opere abusive e il ripristino dello stato dei luoghi, a cura e spese dei nominati medesimi, entro il termine di giorni 90 (novanta) dalla data di notifica della presente. Si avvisa che, in caso di inottemperanza nel termine indicato, la demolizione sarà eseguita a cura del Comune ed a spese dei responsabili dell'abuso”;
- della deliberazione – immediatamente eseguibile - della Giunta Comunale del Comune di Trana n. 86 in data 4.10.18, comunicata ai ricorrenti con lettera prot. n. 5626 in data 10.10.18;
- di ogni altro atto (ancorché non noto) agli stessi presupposto, preordinato o consequenziale tra cui la “relazione tecnica a firma del Responsabile del Servizio Urbanistica ed Edilizia Privata” non allegata – per ragioni di privacy – alla copia notificata della deliberazione n. 86 in data 4.10.18 della Giunta Comunale.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune Trana;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 28 settembre 2022 il dott. Marcello Faviere;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. I sig.ri Pronello Pietro Matteo e Silverio sono rispettivamente nudo proprietario ed usufruttuario di un’area sita nel comune di Trana meglio identificata al C.T. Fg. 18 partt. 319, 700 e 702. Tale area confina con il torrente denominato Rio di Pratovigero.
Gli stessi realizzavano, lungo la sponda del citato torrente un’opera di difesa spondale consistente nella sistemazione di massi di diversa dimensione con fondazione in alveo e sistemazione della parete su in tratto lungo 50 mt e con altezza variabile tra i 2,5 e i 3,5 m.
Il progetto otteneva l’autorizzazione idraulica da parte della Regione Piemonte (n. 29/08, assunta con determinazione Dirigenziale n. 2260 del 1/10/2008), modificata in variante autorizzata nel corso del 2016.
A seguito di sopralluogo (effettuato dai tecnici comunali in data 11.01.2017), di copiosa interlocuzione con gli interessati e di comunicazione di avvio del procedimento, il Comune adottava ordinanza n. 803 del 07.08.2018 con la quale ingiunge la demolizione dell’opera ritenuta abusiva ed il ripristino dei luoghi, ai sensi degli artt. 27 e 35 del D.P.R. n. 380/2001.
A seguito di interlocuzione con i competenti uffici regionali, l’amministrazione ha emanato la DGC n. 86 del 4.10.2018 con cui ha determinato una sanzione amministrativa alternativa alla demolizione (quantificata in euro 2.000,00).
2. Avverso i citati provvedimenti sono insorti gli interessati con ricorso, notificato il 30.10.2018 e ritualmente depositato avanti questo Tribunale, nel quale lamentano, in otto motivi, violazione di legge, incompetenza ed eccesso di potere sotto plurimi profili ed instano per il rilascio di misure cautelari.
Per resistere al gravame si è costituito il Comune di Trana (il 27.11.2018) che ha depositato documenti e memorie (il 30.11.2018 ed il 28.07.2022).
Con ordinanza n. 502/2018 questo Tribunale ha respinto l’istanza cautelare.
All’udienza pubblica del 28.09.2022 la causa è stata trattenuta in decisione.
3. Il ricorso è infondato.
4. Con il primo, il terzo e l’ottavo motivo di ricorso, trattati congiuntamente per ragioni di connessione oggettiva, si lamenta violazione degli artt. 3, 10 e 31 del D.P.R. n. 380/01 e s.m.i., dell’art. 51 della L.R. Piemonte n. 56/77 e dell’art. 873 c.c.;eccesso di potere per travisamento delle risultanze di fatto, carenza di istruttoria e di motivazione.
I ricorrenti sostengono che le opere spondali in questione non necessiterebbero di permesso di costruire trattandosi di opere di urbanizzazione “indotta”, secondo la classificazione di cui all’art. 51 (rubricato “opere di urbanizzazione”) della LRP 56/1977 (che al comma 2 così recita: 3. “ Le opere di urbanizzazione secondaria sono quelle elencate all'articolo 16, comma 8, del D.P.R. 380/2001.4. Le opere di urbanizzazione indotta sono: a) soprapassi e sottopassi pedonali e veicolari;b) impianti di trasporto collettivo di interesse comunale e intercomunale;c) mense pluriaziendali a servizio di insediamenti industriali o artigianali;d) impianti tecnici di interesse comunale o sovracomunale;e) sistemazione a verde delle fasce di protezione stradale, cimiteriale, di impianti produttivi e di sponde di fiumi e laghi;f) manufatti occorrenti per arginature e terrazzamenti e per opere di consolidamento del terreno ”), e pertanto non qualificabili come opere di urbanizzazione primaria o secondaria, le uniche che l’art. 3, comma 1 lett. e2) annovera tra quelle assimilabili a “nuova costruzione” e quindi assoggettate a permesso a costruire.
Con l’ottavo motivo tale argomentazione è ripresa in ragione del fatto che ai sensi dell’art. 873 c.c. il muro di contenimento di una scarpata o di un terrapieno naturale non sarebbe da considerarsi come “costruzione” e di conseguenza l’opera dovrebbe essere inquadrata in altra fattispecie di cui all’art. 3 del D.P.R. n. 380/2001.
Le tesi non meritano accoglimento.
Come noto la competenza normativa regionale in materia edilizia è di tipo concorrente rispetto a quella statale che pertanto ne reca i principi fondamentali. Orbene le nozioni relative ai titoli edilizi ed al relativo regime nonché l’individuazione degli interventi da assoggettare ai diversi tipi di titolo rientrano nella competenza tradizionalmente riservata alla normativa statale.
La stessa LRP n. 56/1977, all’art. 49 ribadisce che “ 1. I presupposti, le caratteristiche e la formazione dei titoli abilitativi edilizi sono disciplinati dalla normativa statale, ferme restando le disposizioni di cui al presente articolo ”. La disciplina regionale non prevede deroghe sul punto e tantomeno l’esonero delle opere qualificate come urbanizzazione “indotta” dalla necessità di ottenere un permesso a costruire.
È pertanto evidente che i presupposti per la formazione dei titoli edilizi sono quelli previsti nell’ordinamento nazionale, il quale non riconosce la categoria delle opere di urbanizzazione indotta ma solo la distinzione tra urbanizzazione primaria e secondaria.
L’art. 3 del D.P.R. n. 380/2001 definisce interventi di nuova costruzione quelli di trasformazione edilizia del territorio tra i quali rientra senza dubbio quello oggetto del presente ricorso.
La costruzione di un’opera spondale delle dimensioni sopra descritte non può che rientrare in tale nozione.
I ricorrenti, peraltro, deducono che l’intervento possa al massimo essere qualificato come manutenzione ordinaria e che il progetto autorizzato dalla amministrazione regionale non farebbe altro che ripristinare un’opera preesistente.
Ciò viene dedotto dalla presenza in loco, prima della realizzazione della parte, di sassi di varie dimensioni che, sostengono i ricorrenti, non possono che essere la testimonianza dell’esistenza di un pregresso manufatto arginale.
Oltre a tali deduzioni sul punto non viene offerto alcun elemento di prova;né hanno pregio a tale fine la documentazione fotografica prodotta della situazione preesistente, gli atti e le planimetrie del PDC 50/2015 (inerente fabbricato adiacente) e quella inerente l’autorizzazione idraulica regionale (cfr. doc. n. 7, 11 e 12 di parte ricorrente e n. 2 e 15 di parte resistente). Tale ultimo documento, in particolare, non fa alcuna menzione di opere preesistenti ma riferisce esclusivamente della realizzazione ex novo dell’opera.
Ai fini che qui interessano pertanto le opere di urbanizzazione indotta (tra le quali rientrano “manufatti occorrenti per arginature e terrazzamenti e per opere di consolidamento del terreno”) sono assimilabili alle opere di urbanizzazione primaria e secondaria di cui all’art. 3, comma 1 lett. e2) del D.P.R. n. 380/2001. La normativa regionale, del resto, non ha previsto la categoria in argomento per modificare la disciplina dei presupposti per il rilascio del permesso di costruire (così derogando all’art. 3 del D.P.R. n. 380/2001) ma al solo scopo di definire la ripartizione ed il computo dei cd. oneri di urbanizzazione.
Con riferimento infine alla natura del muro di contenimento, la relativa qualificazione ai fini edilizi deve tenere di conto della tipologia di costruzione, del contesto nel quale si inserisce e dell’impatto sull’assetto del territorio. Secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale “il permesso di costruire risulta comunque necessario se, avuto riguardo alla sua struttura e all'estensione dell'area impegnata, l'opera muraria risulta di per sé tale da modificare l'assetto urbanistico del territorio: con particolare riguardo, dunque, alla circostanza che il muro di contenimento è struttura che, differenziandosi dalla semplice recinzione, la quale evidenzia caratteristiche tipologiche di minima entità al fine della mera delimitazione della proprietà, non ha di per sé natura pertinenziale, in quanto è opera dotata di specificità ed autonomia soprattutto in relazione alla funzione assolta, consistente nel sostenere il terreno al fine di evitarne movimenti franosi in caso di dislivello, originario o incrementato” (Cons. Stato Sez. VI, 23/02/2022, n. 1294;conforme Cons. Stato Sez. VI, 13/04/2021, n. 3005, T.A.R. Lazio Roma Sez. II bis, 12/07/2021, n. 8267, T.A.R. Sicilia Palermo Sez. II, 06/04/2021, n. 1116, T.A.R. Campania Salerno Sez. II, 22/02/2021, n. 459).
Per tali ragioni il primo, il terzo e l’ottavo motivo di ricorso sono infondati.
5. Con il secondo motivo si lamenta violazione degli artt. 57, 58, 93, 97 del RD n. 25.7.1904 n. 523;eccesso di potere per travisamento delle risultanze fattuali, carenza assoluta di istruttoria e di motivazione, sviamento;incompetenza.
I ricorrenti sostengono che il Comune avrebbe esercitato poteri che non gli spettano poiché dal combinato disposto degli artt. 57, 58, 93 e 97 del RD 523/1904 (Testo unico delle disposizioni di legge intorno alle opere idrauliche delle diverse categorie) si dedurrebbe che il solo titolo necessario per la realizzazione dell’intervento controverso è l’autorizzazione idraulica.
La ricostruzione offerta dai ricorrenti non persuade.
È pur vero che gli artt. 93 e 97 citati prevedono “autorizzazione amministrativa” e “speciale permesso del Prefetto” (oggi di competenza regionale) per la realizzazione delle opere ivi previste ma ciò non esclude che, oltre a tali autorizzazioni speciali (afferenti l’aspetto idraulico dell’intervento), servano anche gli idonei titoli edilizi afferenti un diverso profilo di tutela, vale a dire quello dell’ordinato utilizzo del territorio.
L'autorizzazione rilasciata dall'autorità idraulica, ai sensi degli artt. 93 e ss. del R.D. n. 523/1904, per la realizzazione di opere nell'alveo di fiumi, torrenti, rivi, scolatoi pubblici e canali di proprietà demaniale è atto autonomo - anche se ne costituisce un presupposto necessario - rispetto all'autorizzazione edilizia concernente le stesse opere (cfr. ex multis T.A.R. Liguria Genova Sez. II Sent., 10/07/2014, n. 1099).
Nel caso di specie, peraltro, la stessa autorizzazione idraulica rilasciata con DD n. 2260/2008 prevede espressamente “di autorizzare, ai soli fini idraulici” e che “il soggetto autorizzato, prima dell’inizio dei lavori in oggetto, dovrà ottenere ogni autorizzazione necessaria secondo le vigenti leggi in materia” così sconfessando la dedotta tesi della necessità del solo provvedimento autorizzatorio per la realizzazione dell’intervento.
Per tali ragioni il secondo motivo di ricorso non è fondato.
6. Con il quarto ed il quinto motivo di ricorso, trattati congiuntamente per ragioni di connessione oggettiva, si lamenta contraddittorietà interna all’operato dell’amministrazione, che da un lato ingiunge la demolizione e dall’altro, con la citata DGC n. 86/2018, attesta l’utilità dell’opera “anticipando” la volontà dell’amministrazione di mantenerla in vita, determinando l’ammontare della sanzione sostitutiva alla demolizione.
La citata contraddittorietà sarebbe rinforzata poiché l’amministrazione ha accertato il carattere abusivo dell’opera dopo che la stessa è stata data per esistente nel permesso di costruire n. 50/2015 rilasciato in variante ad una DIA del 2008 (afferente diversa costruzione), nella variante (approvata) del PRGC del marzo del 2017 e nella coeva variante del PAI.
La DGC impugnata, peraltro, sarebbe affetta da incompetenza poiché l’atto è stato adottato con delibera di giunta anziché del consiglio comunale.
La doglianza non merita accoglimento.
Dalla piana lettura dei due documenti impugnati emerge che l’ordinanza di demolizione è stata adottata in applicazione dell’art. 27 e dell’art. 35 del D.P.R. n. 380/2001, mentre la DGC n. 86/2018 fa applicazione dell’art. 31 del medesimo decreto per l’applicazione della sanzione.
Occorre premettere che i ricorrenti non censurano l’applicazione dell’art. 35 del D.P.R. n. 380/2001 (di cui all’ordinanza impugnata) né la comminazione della sanzione (a mezzo della delibera n. 86/2018) ma contestano la contraddittorietà dell’azione amministrativa versata nei due provvedimenti.
Entrambe le disposizioni citate (l’art. 31 ed il 35 del DPR n. 380/2001) si caratterizzano per il comune carattere vincolato dei poteri e delle sanzioni ripristinatorie in essi disciplinato, anche se l’ambito di applicazione delle due fattispecie è sensibilmente diverso.
In materia edilizia, nel caso di acclarata abusività del manufatto, l'ordine di demolizione di cui all'art. 31 del D.P.R. n. 380 del 2001 è un atto dovuto e vincolato che non necessita di motivazione aggiuntiva rispetto all'indicazione dei presupposti di fatto e all'individuazione e qualificazione degli abusi e, ai fini della sua legittimità, è, pertanto, necessaria e sufficiente l'affermazione della accertata abusività dell'opera, mediante la descrizione della stessa, la constatazione dell'esecuzione in assenza del necessario titolo abilitativo e l'individuazione della norma applicata (cfr. ex multis T.A.R. Campania Napoli Sez. II, 05/05/2022, n. 3071, T.A.R. Piemonte Torino Sez. II, 17/03/2020, n. 199, T.A.R. Lazio Latina Sez. I, 09/05/2022, n. 435)
Nemmeno occorre motivare in modo particolare un provvedimento con il quale sia ordinata la demolizione di un immobile abusivo quando sia trascorso un notevole lasso di tempo dalla sua realizzazione: infatti l'ordinamento tutela l'affidamento di chi versa in una situazione antigiuridica soltanto laddove esso presenti un carattere incolpevole, mentre la realizzazione di un'opera abusiva si concretizza in una volontaria attività del costruttore realizzata contra legem .
A tale regola non fa eccezione il fatto che l’opera sia presente in atti di pianificazione o in elaborati tecnici afferenti pratiche edilizie relative ad opere connesse, non essendo ipotizzabile nel nostro ordinamento una sanatoria per facta concludentia o implicita.
La disciplina di cui all'art. 35 (Interventi abusivi realizzati su suoli di proprietà dello Stato o di enti pubblici ) del D.P.R. n. 380/2001 differisce da quella prevista dall'art. 31 del medesimo D.P.R., che riguarda le opere realizzate in assenza di permesso di costruire, in totale difformità o con variazioni essenziali rispetto allo stesso, su suoli privati, non prevedendo l'irrogazione di sanzioni pecuniarie nei confronti dei soggetti responsabili dell'abuso edilizio, e trovando la sua giustificazione nella particolare gravità della condotta sanzionata, che riguarda la costruzione di opere abusive su suoli pubblici.
Dagli atti di causa emerge che l’opera di cui si controverte è costruita in parte su suolo pubblico (per la fondazione in alveo) ed in parte su suolo privato (per la parete in argine spondale e per la porzione sopraelevata). Ciò è emerso anche in sede procedimentale ed ha formato oggetto di confronto tra le parti in causa e tra le stesse e la Regione Piemonte (cfr. doc. n.