TAR Brescia, sez. I, sentenza 2009-05-13, n. 200901028
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Testo completo
N. 01028/2009 REG.SEN.
N. 01319/2007 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia
sezione staccata di Brescia (Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
Sul ricorso numero di registro generale 1319 del 2007, proposto da:
ALESSANDRO ALBORGHETTI, ORESTE ALBORGHETTI, ADELINA VERMI in ALBORGHETTI, rappresentati e difesi dagli avv. G O e G O, con domicilio eletto presso i medesimi legali in Brescia, via Ferramola 14;
contro
COMUNE DI ROVATO, non costituitosi in giudizio;
nei confronti di
IMMOBILIARE LA QUERCIA SRL, rappresentata e difesa dall'avv. A A, con domicilio eletto presso il medesimo legale in Brescia, via Moretto 31;
per l'annullamento
- del permesso di costruire n. 153 dell’8 agosto 2007 rilasciato alla controinteressata e riguardante la ristrutturazione di due edifici in via S. Giuseppe;
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Immobiliare La Quercia srl;
Viste le memorie difensive;
Visti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 10 dicembre 2008 il dott. M P;
Uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Considerato quanto segue:
FATTO e DIRITTO
1. Il Comune di Rovato ha rilasciato alla controinteressata Immobiliare La Quercia srl il permesso di costruire n. 153 dell’8 agosto 2007 avente ad oggetto la demolizione di alcuni edifici residenziali situati in via S. Giuseppe e la ricostruzione degli stessi come distinte palazzine (corpo A e corpo B). Il lotto, che ha una superficie pari a 760 mq, si trova in zona B1 (residenziale esistente e di completamento). Nel corpo A (posto a sud) sono previste 3 nuove unità abitative, e 4 sono previste nel corpo B (posto a nord). La volumetria esistente è stata calcolata in 1.897,55 mc, e quella utilizzabile per la ricostruzione in 1.874,27 mc. Il volume effettivamente ricostruito è pari a 1.874,22 mc.
2. In zona B1 l’art. 20 delle NTA prevede un indice di densità fondiaria pari a 1mc/mq con arretramento dai confini e dalle strade pari a 5 metri e distacco tra costruzioni pari a 10 metri. Per gli edifici esistenti alla data di adozione del PRG è ammesso un incremento di volumetria in aderenza o in sopralzo nel rispetto di un indice pari a 1,2 mc/mq. Inoltre si applica a questi edifici l’alternativa tra il mantenimento della distanza precedente e l’arretramento a 5 metri dai confini o dalle strade. Una disciplina di particolare favore è poi prevista per l’ipotesi di ristrutturazione con demolizione e ricostruzione, in quanto è ammesso il valore più elevato tra la volumetria presente al momento della domanda e quella corrispondente all’indice di 1,2 mc/mq.
3. I ricorrenti, proprietari di immobili confinanti con il lotto della controinteressata, hanno impugnato il permesso di costruire con atto notificato il 17 novembre 2007 e depositato il 30 novembre 2007. Le censure possono essere sintetizzate nei punti seguenti: a) falsa rappresentazione dei fatti, in quanto l’immobile che dovrebbe essere sostituito dal corpo B non poteva più essere considerato esistente alla data di adozione del PRG;b) violazione dell’art. 20 delle NTA, in quanto i nuovi corpi A e B non rispetterebbero la distanza di 5 metri dal confine e il distacco di 10 metri dagli altri edifici;c) ancora violazione dell’art. 20 delle NTA, in quanto, essendo nuove costruzioni, i corpi A e B dovrebbero rispettare anche la distanza di 5 metri dalla strada;d) violazione dell’art. 905 c.c. a causa dell’apertura sul lato sud del corpo A di 3 vedute al primo piano e di 4 luci irregolari al piano terra, tutte prospicienti sul fondo dei ricorrenti a meno di 1,5 metri dal confine. Il Comune non si è costituito in giudizio. Si è invece costituita la controinteressata, che ha chiesto la reiezione del ricorso.
4. Con il primo motivo i ricorrenti sostengono che la volumetria esistente non potrebbe essere quantificata in 1.897,55 mc perché in realtà l’immobile che dovrebbe essere sostituito dal corpo B era ormai, alla data di adozione del PRG, completamente in rovina e aveva quindi perso la qualifica di edificio. Togliendo dal totale i 1.133,45 mc calcolati per il corpo B la volumetria residua esistente sarebbe di soli 764,10 mc. L’alternativa a disposizione della controinteressata sarebbe quindi, ai sensi dell’art. 20 delle NTA, il mantenimento della volumetria esistente o l’applicazione dell’indice pari a 1,2 mc/mq. Utilizzando questa seconda possibilità, la più favorevole alla controinteressata, la volumetria ammissibile sarebbe di 912 mc.
5. La tesi non appare condivisibile. Il punto di partenza è indubbiamente costituito dalla condizione di degrado in cui gli edifici preesistenti si trovavano al momento dell’acquisto della proprietà da parte della controinteressata. L’atto di compravendita del 6 aprile 2007 specifica che si tratta di “fabbricati fatiscenti in pessimo stato di conservazione e che dovranno essere demoliti”. Nella più recente documentazione fotografica (doc. 5 della controinteressata) l’edificio ora trasformato nel corpo B appare privo di copertura e costituito essenzialmente da alcune murature esterne. A ritroso il punto di riferimento rilevante è costituito dall’adozione del PRG (11 settembre 1999), in quanto la disciplina di favore dell’art. 20 delle NTA è limitata agli edifici esistenti a tale data. In proposito si possono prendere in considerazione un fotogramma aereo del 13 dicembre 1994 (doc. 4 della controinteressata) e l’elaborazione stereoscopica di un fotogramma aereo del 6 aprile 1999 (doc. 10 dei ricorrenti). Dal primo documento emerge che l’edificio in questione era già privo di copertura e presentava murature esterne molto deteriorate. Verso sud è ancora ben visibile un muro conservato in altezza, oltre il quale si trovano due pilastri in gran parte degradati. Il secondo documento riporta come rudere la parte nord dell’edificio e rappresenta i due pilastri come elementi isolati. Confrontando questi documenti con la scheda catastale del 1940 (v. ancora doc. 10 dei ricorrenti) si può ritenere che i pilastri siano i sostegni di un portico coperto inserito nel complesso del fabbricato.
6. La perdita della copertura e la parziale rovina dei muri non sono sufficienti a cancellare la qualità giuridica di edificio, neppure per la porzione che essendo in origine occupata da un portico ha subito con maggiore evidenza il degrado delle componenti strutturali. In particolare non è corretto desumere dalle norme che regolano l’acquisizione dello status di edificio un principio contrario relativo alla perdita di tale condizione. L’art. 2645-bis comma 6 c.c. a proposito della trascrizione dei contratti preliminari definisce esistente l’edificio in cui sia stato eseguito il rustico, comprese le mura perimetrali delle varie unità abitative, e completata la copertura. A sua volta l’art. 31 comma 2 della legge 28 febbraio 1985 n. 47 definisce ultimati ai fini del condono edilizio gli edifici nei quali sia stato eseguito il rustico e completata la copertura. Non basta però che un edificio perda la copertura e parte delle murature per determinare la cancellazione della qualifica di edificio esistente. Un argomento in questo senso è desumibile sul piano privatistico dall’art. 1014 c.c. in materia di usufrutto, che collega la cessazione di tale diritto al “totale perimento” della cosa. Il successivo art. 1017 c.c. stabilisce che nel caso di perimento parziale l’usufrutto si conserva sulla parte rimanente, e l’art. 1018 c.c. precisa che qualora il perimento riguardi un edificio l’usufrutto si sposta sull’area e sui materiali. Da queste norme si ricava l’indicazione che le utilità collegate all’edificio possono ridursi nel tempo, a causa di cedimenti strutturali, ma scompaiono solo in situazioni di degrado estreme. Il concetto di perimento non è definito espressamente, tuttavia si può cogliere per esclusione dalla nozione di riparazioni straordinarie, che in base all’art. 1005 c.c. comprende il rinnovamento, per intero o per una parte notevole, di tetti, solai, scale, muri di sostegno o di cinta. Di conseguenza quando vi sia ancora la possibilità di individuare (anche mediante ausili tecnici) le parti strutturali da sottoporre a riparazione o sostituzione si deve ritenere che si sia mantenuta l’impronta fisica dell’edificio, la quale è idonea a salvaguardare il patrimonio giuridico collegato al fabbricato, e specificamente il diritto di prevenzione e la titolarità della volumetria. Le riparazioni straordinarie si possono interpretare sul piano edilizio come interventi di ristrutturazione mediante demolizione e ricostruzione. Pertanto non è necessario che sia effettivamente realizzato un intervento edilizio inserito sul fabbricato esistente ma è possibile utilizzare la volumetria previa demolizione di quanto rimane del vecchio edificio.
7. Sulla base delle considerazioni svolte sopra al punto 6 si deve ritenere che il metodo seguito dal progettista della controinteressata per definire il volume esistente in corrispondenza del corpo B sia corretto. Una conferma deriva indirettamente dalla cartografia del PRG allegata al contratto di acquisto dell’area (doc. 3/b, 3/c, 3/d dei ricorrenti). L’edificio in questione è riportato sulla mappa con un tratteggio differenziato. Questa circostanza non deve essere interpretata come cancellazione della qualità di edificio (non essendo questa la finalità delle cartografie del PRG) ma al contrario come ricognizione dell’esistenza dell’edificio e contestualmente come sottolineatura della necessità di un intervento di recupero. Un’ulteriore conferma della possibilità di riespansione delle caratteristiche edilizie originarie è fornita dalla scrittura privata sottoscritta da uno dei ricorrenti (O A) il 19 giugno 2006 (doc. 7 della controinteressata). Tale scrittura, che ha come controparti i danti causa della controinteressata, riconosce la comproprietà del muro di confine e autorizza i suddetti danti causa a “innestare nel muro divisorio comune gli appoggi di travi o solaio in caso di riedificazione del fabbricato”.
8. Con il secondo e terzo motivo di ricorso si lamenta la violazione dell’art. 20 delle NTA, in quanto i nuovi corpi A e B non rispetterebbero la distanza di 5 metri dal confine e dalla strada e neppure il distacco di 10 metri dagli altri edifici. La tesi non appare condivisibile. Queste censure hanno come presupposto la natura di nuova edificazione dei corpi A e B. Solo il questo caso la controinteressata sarebbe obbligata a rispettare le norme sulle distanze. Come si è visto sopra ai punti 6 e 7 però l’intervento edilizio deve essere qualificato come ristrutturazione e quindi beneficia della disciplina di favore prevista dall’art. 20 delle NTA per gli edifici esistenti. In particolare per quanto riguarda le distanze è consentita la ricostruzione in corrispondenza delle precedenti murature esterne. Questa previsione è coerente con il principio secondo cui la demolizione e ricostruzione che non dia origine a un edificio completamente diverso da quello originario consente di mantenere le distanze dal confine e dagli altri fabbricati evitando l’arretramento (v. TAR Milano Sez. II 1 ottobre 2007 n. 5831).
9. I ricorrenti evidenziano peraltro che la ricostruzione ha comportato lo spostamento di alcuni volumi (in particolare per quanto riguarda il corpo A). Mancherebbe quindi il rispetto della sagoma, asseritamente necessario negli interventi di ristrutturazione edilizia. La tesi non appare condivisibile. Occorre precisare che non viene in rilievo il problema della discrasia tra l’art. 3 comma 1 lett. d) del DPR 6 giugno 2001 n. 380 (che ammette nel concetto di ristrutturazione la demolizione e ricostruzione con la volumetria e sagoma preesistenti) e l’art. 27 comma 1 lett. d) della LR 11 marzo 2005 n. 12 (il quale impone il rispetto della volumetria preesistente ma non contiene il vincolo della sagoma). A parte il fatto che anche la normativa statale conosce la fattispecie della ristrutturazione edilizia con modifiche alla sagoma (v. art. 10 del DPR 380/2001), l’analisi delle facoltà edificatorie in un determinato contesto deve essere sempre condotta con riferimento alle specifiche disposizioni urbanistiche comunali e non in base alle astratte definizioni legislative. Nel caso in esame, come si è visto sopra al punto 2, l’art. 20 delle NTA consente per gli edifici esistenti un incremento di volumetria, in aderenza o in sopralzo, fino al raggiungimento di un indice di densità fondiaria pari a 1,2 mc/mq, oppure, se più favorevole, il mantenimento della volumetria preesistente. Poiché l’incremento della volumetria implica il superamento del requisito della sagoma si deve ritenere che tale requisito non sia necessario neppure nel caso di utilizzazione del volume preesistente. Non sarebbe ragionevole trattare diversamente sotto questo profilo due situazioni che ricadono nella medesima categoria di ristrutturazione e sono parimenti destinatarie di una disciplina di favore da parte del PRG sia con riguardo al peso insediativo sia relativamente alle distanze minime. L’art. 20 delle NTA non deve quindi essere integrato con un vincolo quale quello della sagoma che non è espressamente previsto. Nelle operazioni di ristrutturazione è di conseguenza permesso l’accorpamento di volumetria in punti diversi del lotto per una razionale distribuzione degli spazi. Il rischio di alterazioni del tessuto urbano consolidato è limitato dalla necessità di non discostarsi dal sedime originario per non perdere il beneficio della deroga alle distanze minime.
10. Con il quarto motivo i ricorrenti lamentano la violazione dell’art. 905 c.c. provocata dalla presenza sul lato sud del corpo A di 3 vedute al primo piano e di 4 luci irregolari al piano terra. Si tratta di aperture tutte prospicienti su una stradina di proprietà dei ricorrenti a meno di 1,5 metri dal confine. In realtà dal confronto tra il prospetto originario e quello di progetto (doc. 4/a e 4/b dei ricorrenti), nonché dalla documentazione fotografica (doc. 8 della controinteressata), risulta che una delle vedute e 3 luci erano già presenti, e pertanto, almeno con riferimento a queste aperture, il problema si trasforma nella valutazione della maggiore gravosità della servitù per l’aumento delle dimensioni dei vani. Si tratta però di una questione che incide in profondità sul bilanciamento di interessi delle parti private e quindi fuoriesce sia dalle valutazioni edilizie comunali sia dalla giurisdizione amministrativa. Lo stesso vale per quanto attiene al significato dell’accertamento dell’usucapione su una striscia di terreno di 0,75 metri da parte di uno dei danti causa della controinteressata lungo la stradina di proprietà dei ricorrenti (Trib. Brescia 7 dicembre 2004 n. 5501;App. Brescia 19 maggio 2008 n. 513). Non può poi essere esclusa la presenza di un diritto pubblico di transito sulla suddetta stradina, il che farebbe venire meno ex art. 905 comma 3 c.c. il divieto di aprire vedute. Per la contiguità alla via pubblica potrebbe infatti operare la presunzione di demanialità ex art. 22 comma 3 della legge 20 marzo 1865 n. 2248 all. F, anche in considerazione del fatto che l’inserimento nell’elenco delle strade pubbliche è soltanto dichiarativo e la segnalazione nelle cartografie del PRG non è necessaria (v. CS Sez. IV 7 settembre 2006 n. 5209). Si tratta peraltro anche in questo caso di una questione che viene in rilievo principalmente al fine di regolare i rapporti tra i privati, e dunque non poteva essere accollato all’amministrazione l’onere di ampliare la relativa indagine all’interno di un procedimento edilizio.
11. In conclusione il ricorso deve essere respinto. La complessità di alcune questioni consente l’integrale compensazione delle spese tra le parti.