TAR Genova, sez. II, sentenza 2023-09-20, n. 202300799

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Genova, sez. II, sentenza 2023-09-20, n. 202300799
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Genova
Numero : 202300799
Data del deposito : 20 settembre 2023
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 20/09/2023

N. 00799/2023 REG.PROV.COLL.

N. 00737/2022 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Liguria

(Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 737 del 2022, proposto da
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dall’avv. P T, con domicilio digitale come da p.e.c. dei registri di giustizia e domicilio fisico eletto presso il suo studio in Genova, vico Stella, 6/13;

contro

Ministero dell’interno, in persona del Ministro pro tempore , rappresentato e difeso dall’Avvocatura distrettuale dello Stato, domiciliataria ex lege in Genova, viale Brigate Partigiane, 2;

per l’annullamento

del provvedimento prot. rep. n. -OMISSIS- emesso dalla Prefettura di Genova, datato 26.8.2022 e notificato al domicilio eletto del difensore in data 1.9.2022, che dispone il rigetto dell'istanza di emersione dal lavoro irregolare presentata dal sig. -OMISSIS- (erroneamente riportato -OMISSIS-) -OMISSIS- ai sensi dell’articolo 103, d.l. 34/2020.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero dell’interno;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 5 luglio 2023 il dott. R G e udito il difensore intervenuto per l’Amministrazione resistente, come specificato nel verbale;
nessuno è comparso per il ricorrente;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Il signor -OMISSIS- -OMISSIS-, cittadino senegalese, aveva presentato una domanda ex art. 103, d.l. n. 34/2020, al fine di regolarizzare il rapporto di lavoro con il connazionale -OMISSIS-, impiegato con mansioni di collaboratore familiare.

Previa comunicazione del preavviso di rigetto, la Prefettura di Genova ha definitivamente respinto l’istanza con il provvedimento meglio indicato in epigrafe, motivato con riferimento al parere negativo della locale Questura ove si evidenziava l’esistenza di una condanna a carico del lavoratore straniero per un reato inerente agli stupefacenti.

L’interessato ha impugnato il provvedimento suddetto con ricorso notificato il 31 ottobre 2022 e depositato il 30 novembre successivo, deducendo un motivo di gravame formalmente unico: “Violazione dell’art. 103 d.l. 34/2020 ed eccesso di potere”.

L’esponente sostiene che, sulla base di una lettura costituzionalmente orientata, la disposizione normativa applicata nel caso di specie, laddove prevede che non siano ammessi alle procedure di emersione i soggetti condannati per reati inerenti agli stupefacenti, non consentirebbe di attribuire alcun effetto automaticamente ostativo all’intervenuta condanna penale, dovendosi invece procedere alla valutazione, del tutto pretermessa nel caso di specie, della concreta pericolosità sociale del soggetto che aspira alla regolarizzazione.

Il Ministero dell’interno si costituiva formalmente in giudizio con il patrocinio dell’Avvocatura distrettuale dello Stato.

Con l’ordinanza collegiale n. 1083 del 15 dicembre 2022, è stata disposta l’acquisizione della sentenza di condanna a carico del ricorrente. L’ordine istruttorio è stato ottemperato dall’Amministrazione che ha depositato la sentenza n. 2940 del 16 luglio 2019 con cui il Tribunale di Genova aveva condannato l’odierno ricorrente, ai sensi dell’art. 444 c.p.p., alla pena di mesi cinque di reclusione e 800 euro di multa per il reato di detenzione illecita di stupefacenti (fatto di lieve entità).

Con la successiva ordinanza n. 1 del 12 gennaio 2023, sono stati evidenziati profili di possibile incompatibilità costituzionale della disciplina normativa applicata nella fattispecie, sollecitando il contraddittorio delle parti al riguardo;
è stata contestualmente accolta l’istanza cautelare incidentalmente proposta dal ricorrente e fissata l’udienza per la trattazione del ricorso nel merito.

La difesa erariale ha depositato una memoria con cui si sofferma sulle questioni segnalate d’ufficio, concludendo per il rigetto del ricorso siccome infondato.

Parte ricorrente non ha svolto ulteriori attività difensive, salvo riproporre, con atto depositato il 16 aprile 2023, l’istanza di ammissione al patrocinio a spese dello Stato già respinta con provvedimenti della competente Commissione in data 7 e 14 dicembre 2022.

Alla pubblica udienza del 5 luglio 2023, la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

L’impugnato diniego di regolarizzazione del lavoratore extracomunitario ha applicato la previsione ostativa di cui all’art. 103, comma 10, lett. c), del d.l. 19 maggio 2020, n. 34, convertito con modificazioni dalla legge 17 luglio 2020, n. 77, in forza della quale non sono ammessi alle procedure di emersione dal c.d. “lavoro nero” gli stranieri “ che risultino condannati, anche con sentenza non definitiva, compresa quella adottata a seguito di applicazione della pena su richiesta ai sensi dell’articolo 444 del codice di procedura penale … per i reati inerenti agli stupefacenti ”.

Come accertato dall’Amministrazione, sussiste a carico dell’odierno ricorrente una sentenza di condanna “patteggiata” alla pena di mesi cinque di reclusione e 800 euro di multa per un reato in materia di stupefacenti, consistente nell’aver detenuto a fini di spaccio 14,5 grammi circa di marijuana (fatto di lieve entità).

Sostiene parte ricorrente che, giusta l’interpretazione della precedente disciplina in tema di regolarizzazione dei lavoratori extracomunitari fornita dalla Corte costituzionale, la disposizione applicata nel caso di specie non comporterebbe, in assenza di una valutazione in concreto della pericolosità sociale, alcun automatismo ostativo per effetto della sola condanna penale.

La tesi appare meritevole di condivisione, con le precisazioni che seguono.

La disciplina della precedente sanatoria eccezionale della posizione lavorativa dei lavoratori extracomunitari prevedeva che non potessero ottenere la regolarizzazione, tra gli altri, coloro che risultavano condannati, anche con sentenza non definitiva, compresa quella pronunciata anche a seguito di applicazione della pena su richiesta ai sensi dell’articolo 444 del codice di procedura penale, per uno dei reati previsti dagli articoli 380 e 381 del medesimo codice ” (art. 1 ter , comma 13, lett. c), del d.l. 1 luglio 2009, n. 78, inserito in sede di conversione dall’art. 1 della legge 3 agosto 2009, n. 102).

Con la sentenza n. 172 del 6 luglio 2012, la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità della disposizione predetta nella parte in cui faceva derivare automaticamente il rigetto dell’istanza di regolarizzazione dalla pronuncia nei confronti del lavoratore extracomunitario di una sentenza di condanna per uno dei reati previsti dall’art. 381 c.p.p., senza prevedere che la pubblica amministrazione provvedesse ad accertare che il medesimo rappresentava una minaccia per l’ordine pubblico o la sicurezza dello Stato.

Ha stabilito il giudice delle leggi che la disposizione assoggettata al vaglio di costituzionalità era manifestamente irragionevole sotto diversi profili, in particolare perché faceva conseguire automaticamente il diniego della regolarizzazione alla pronuncia di una sentenza di condanna anche per uno dei reati di cui all’art. 381 c.p.p., sebbene gli stessi non siano necessariamente sintomatici della pericolosità della persona che li ha commessi.

Del tutto recentemente, con la sentenza n. 88 del 8 maggio 2023, la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità del combinato disposto dell’art. 4, comma 3, e dell’art. 5, comma 5, del d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286, nella parte in cui comprende, tra le ipotesi di condanna automaticamente ostative al rinnovo del permesso di soggiorno per lavoro, anche quelle, pur non definitive, per il reato di cui all’art. 73, comma 5, del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, senza prevedere che il questore verifichi in concreto la pericolosità sociale del richiedente.

Infatti, ben potendo verificarsi che uno straniero commetta un reato di spaccio di stupefacenti che per la sua lieve entità, per le circostanze del fatto, per il tempo ormai trascorso dalla sua commissione, per il percorso rieducativo eventualmente seguito alla condanna, non sia tale da comportare un giudizio di pericolosità attuale riferito alla persona del reo, risulta contrario al principio di proporzionalità, letto anche alla luce dell’art. 8 CEDU, escludere la possibilità che la pubblica amministrazione valuti la situazione concreta, in relazione al percorso di inserimento nella società dello straniero, al fine del rinnovo del permesso di soggiorno per lavoro.

Con la pronuncia da ultimo citata, inoltre, il Giudice delle leggi ha precisato quanto segue: “ Se, pertanto, in applicazione della ‘speciale’ disciplina dell’emersione, come corretta dalla sentenza n. 172 del 2012 di questa Corte, è ben possibile il rilascio del permesso di soggiorno in favore di un lavoratore straniero condannato per il reato ex art. 73, comma 5, del d.P.R. n. 309 del 1990, è proprio la natura ‘unitaria’ del complessivo procedimento e, insieme, la funzionalizzazione dell’emersione al rilascio del titolo a richiedere che i due sub-procedimenti siano uniformati, a livello di disciplina, verso un unico e coerente modello ”.

In sintesi, la Corte costituzionale:

a) dapprima, ha dichiarato l’illegittimità della disposizione che faceva derivare automaticamente il rigetto della domanda di regolarizzazione di un lavoratore extracomunitario dalla pronuncia nei suoi confronti di una sentenza di condanna per uno dei reati previsti dall’art. 381 c.p.p., tra i quali è compreso quello di “piccolo spaccio” di sostanze stupefacenti ex art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309/1990, senza prevedere che la pubblica amministrazione provveda ad accertare che lo straniero rappresenti una minaccia per l’ordine pubblico o la sicurezza dello Stato;

b) quindi, ha dichiarato l’illegittimità delle disposizioni che facevano derivare automaticamente il rigetto della domanda di rinnovo del permesso di soggiorno dall’esistenza di una sentenza di condanna, pur non definitiva, per uno dei reati c.d. “automaticamente ostativi” al rilascio ovvero al rinnovo del permesso di soggiorno, tra cui il “piccolo spaccio” di sostanze stupefacenti, senza prevedere che la pubblica amministrazione verifichi in concreto la pericolosità sociale dello straniero che sia stato condannato;

c) infine, ha rimarcato l’esigenza che la disciplina dei procedimenti di emersione e di rinnovo del permesso di soggiorno sia uniformata verso un modello unico e coerente.

Essendo possibile il rinnovo del permesso di soggiorno in favore di uno straniero condannato per il reato di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309/1990, va conseguentemente esclusa, anche nel procedimento di emersione, l’esistenza di automatismi ostativi basati sulla condanna penale che si porrebbero frontalmente in contrasto con i principi di ragionevolezza e proporzionalità di cui all’art. 3 Cost. e con l’esigenza, rimarcata dal giudice delle leggi, di garantire l’uniforme disciplina dei due procedimenti.

Equivale a dire che, nel caso dello straniero condannato per un reato inerente agli stupefacenti catalogato come fatto di lieve entità, l’unica interpretazione compatibile con i principi fissati dalla Corte costituzionale (ed in sintonia con gli orientamenti della giurisprudenza della Corte E.D.U.) impone alla competente Amministrazione di valutare in concreto la pericolosità dello straniero, tenendo conto della serietà del reato commesso, della lunghezza del soggiorno sul territorio nazionale, del tempo trascorso dalla commissione del reato, della condotta successivamente serbata dall’interessato e della sua situazione familiare.

Nel caso in esame, l’Amministrazione non ha compiuto alcuna valutazione in merito alla pericolosità attuale del lavoratore extracomunitario, limitandosi a prendere atto del precedente penale ritenuto automaticamente ostativo alla regolarizzazione.

Per completezza, si rileva che i precedenti richiamati nella memoria difensiva dell’Amministrazione non sono conferenti alla fattispecie per cui si controverte: il parere del Consiglio di Stato, sez. I, n. 661 del 4 maggio 2023, infatti, riguarda il diniego di regolarizzazione di un lavoratore straniero condannato per reati previsti dall’art. 380 c.p.p. come illeciti per i quali è contemplato l’arresto obbligatorio in flagranza;
nel caso esaminato dalla sentenza di questa Sezione n. 337 del 23 marzo 2023, lo straniero era stato condannato per un reato in materia di stupefacenti, ma non per la fattispecie di cui al comma 5 dell’art. 73 del d.P.R. n. 309/1990.

Il ricorso, pertanto, deve essere accolto, con conseguente annullamento del provvedimento di rigetto dell’istanza di emersione presentata in favore del ricorrente e correlativo onere della Prefettura di Genova di procedere ad una rivalutazione dell’istanza nell’osservanza dei principi sopra enunciati.

In conseguenza, va accolto il reclamo avverso il rigetto dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato.

Avuto riguardo alla novità della questione affrontata, le spese di giudizio vanno integralmente compensate fra le parti in causa.

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