TAR Roma, sez. III, sentenza 2018-05-14, n. 201805314
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Pubblicato il 14/05/2018
N. 05314/2018 REG.PROV.COLL.
N. 01994/2017 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1994 del 2017, integrato da motivi aggiunti, proposto da:
Telecom Italia Spa, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli avvocati F L, F C, F S C, con domicilio eletto presso lo studio F L in Roma, via G. P. Da Palestrina n. 47, come da procura in atti;
contro
Autorita per le garanzie nelle comunicazioni, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata con essa in Roma, via dei Portoghesi, 12;
nei confronti
Fastweb Spa, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli avvocati Andrea Guarino ed Elenia Crchi, con domicilio eletto presso lo studio del primo in Roma, piazza Borghese n. 3, come da procura in atti;
e con l'intervento di
ad opponendum:
Vodafone Italia Spa, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli avvocati Fabio Cintioli, Giuseppe Lo Pinto, Alessandro Boso Caretta e David Astorre, con domicilio eletto presso lo studio del primo in Roma, via Vittoria Colonna 32, come da procura in atti;
per l'annullamento
Per quanto riguarda il ricorso introduttivo:
- della delibera n. 584/16/CONS dell'1.12.2016, notificata a Telecom Italia il 22.12.2016, recante la “Approvazione delle linee guida per la valutazione della replicabilità delle offerte al dettaglio dell'operatore notificato per i servizi di accesso alla rete fissa”, comprensiva dei suoi Allegati;
-di ogni atto e provvedimento ad essa presupposto, consequenziale e comunque connesso, tra cui, ove occorrer possa, della delibera n. 537/13/CONS recante “Avvio del procedimento concernente “Obblighi di non discriminazione: aggiornamento della metodologia dei test di replicabilità” e delle successive delibere con cui è stata disposta la proroga dei termini del procedimento istruttorio n. 225/14/CONS, n. 557/14/CONS e n. 660/15/CONS.
Per quanto riguarda i motivi aggiunti:
- della Comunicazione del 29 maggio 2017, pubblicata sul sito Agcom il 30 maggio 2017, recante “Definizione del c.d. “mix produttivo” ai fini dell'applicazione dei testi di prezzo di cui alla delibera n. 584/16/CONS”;di ogni altro atto ad essa presupposto, consequenziale e comunque connesso, tra cui le comunicazioni di avvio del procedimento di definizione del mix produttivo, le comunicazioni con cui vengono richieste osservazioni sulla proposta di aggiornamento e gli atti dell'istruttoria.
Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di AGcom e di Fastweb Spa, nonché l’atto di intervento ad opponendum di Vodafone s.p.a.;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 7 febbraio 2018 il consigliere A S e uditi per le parti i difensori per la parte ricorrente l'Avv. F L, per Fastweb S.p.A. l'Avv. Baruchello in sostituzione degli Avv.ti A. Guarino e E. Crchi, per Vodafone S.p.A. l'Avv. F. Cintioli e per l'Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni - Roma l'Avvocato dello Stato A F;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. - Con ricorso notificato il 20 febbraio 2017 e depositato il successivo 3 di marzo, Telecom Italia s.p.a., operatore di telefonia fissa e mobile classificato come “con significativo potere di mercato” (SPM), ha impugnato la deliberazione Agcom n. 584/16/CONS dell’1.12.2016 , con cui l'Autorita` ha approvato le nuove Linee Guida “per la valutazione della replicabilità delle offerte al dettaglio dell’operatore notificato per i servizi di accesso alla rete fissa” confermando l’impostazione generale della precedente delibera n. 499/10/CONS (si pensi, ad esempio, alla formula generale di determinazione della soglia di replicabilità.
Inoltre, le suddette Linee Guida avrebbero variato il contenuto dei test di replicabilità con modalità del tutto irragionevoli, in contrasto con i principi generali del settore, in particolare discendenti dal diritto comunitario, ed eccedenti i vincoli ricavabili dalla delibera n. 623/15/CONS.
2. - La ricorrente premette alle censure che la replicabilità delle offerte al dettaglio praticate da TIM è valutata attraverso i c.d. test di prezzo introdotti dalla stessa Agcom a partire dalla delibera n. 152/02/CONS, successivamente sostituita dalla delibera n. 499/10/CONS, i cui contenuti sono stati in parte dettagliati, ed in parte illegittimamente modificati con la circolare dell’8.7.2011 e con la delibera n. 604/13/CONS.
3. – Telecom espone, quindi, che in precedenza la delibera n. 499/10/CONS aveva previsto che “Il test di prezzo che l’Autorità intende utilizzare per valutare la replicabilità delle offerte al dettaglio dell’operatore SMP confronta il ricavo finale del servizio offerto dall’operatore notificato con il costo che un concorrente efficiente deve affrontare per offrire il medesimo servizio in circostanze equivalenti. Le problematiche competitive che il test è chiamato a prevenire riguardano le possibili pratiche di margin/price squeeze dell’operatore notificato”.
Ciò, secondo la prospettazione di Telecom, per evitare che l’operatore SMP innalzi artificiosamente i prezzi dei servizi all’ingrosso discriminando i concorrenti OLO (Other Licensed Operator, ossia operatori di telecomunicazioni alternativi all’ex monopolista), rispetto alle proprie “divisioni interne” in violazione del principio dell’orientamento al costo (margin squeeze), oppure riduca sensibilmente i margini di redditività dell’offerta finale (price squeeze) rendendola predatoria.
Il test, quindi, si basa sulla distinzione di tre categorie di fattori della produzione di un concorrente efficiente in ragione della loro appartenenza o meno a mercati all'ingrosso sui quali è stata accertata la posizione dominante dell’operatore notificato, così definiti dalla delibera n. 499/10/CONS.
I termini del test sono i seguenti:
“W = costi dei fattori produttivi di rete essenziali a cui il concorrente può accedere soltanto ricorrendo ai servizi wholesale offerti dall’operatore SPM nei mercati all’ingrosso corrispondenti. Si tratta di costi diretti variabili, valorizzati sulla base dei prezzi dei servizi wholesale pubblicati dall’operatore notificato nelle corrispondenti Offerte di Riferimento in vigore. I servizi di cui all’Offerta di Riferimento da considerare vengono individuati sulla base delle relazioni verticali tra mercati retail e wholesale definite in esito alle analisi di mercato e delle scelte produttive del concorrente efficiente.
X = costi dei fattori produttivi di rete non essenziali che un concorrente efficiente è in grado di replicare attraverso l’utilizzo delle proprie infrastrutture di rete.
R = costi operativi commerciali sostenuti da un concorrente efficiente per l’offerta del servizio”.
La somma dei predetti costi, determinati sulla base di un modello di operatore efficiente costituisce il limite minimo di prezzo (c.d. floor) al di sotto del quale Telecom non può scendere nelle sue offerte al dettaglio.
4. Tanto premesso sulla struttura del test di replicabilità, Telecom evidenzia che la delibera n. 499/10 aveva previsto due distinti e concorrenti tipi di analisi:
a) un test volto a verificare la replicabilità dell’offerta rispetto a tutti i costi (fissi e variabili) in un periodo di riferimento dato dalla permanenza media del cliente nell’offerta (chiamato “analisi DCF o discounted cash flow”);
b) un altro test volto a verificare la replicabilità dell’offerta rispetto ai soli costi variabili in relazione a singoli periodi di 12 mesi (chiamato “period by period” o PdP).
Tale struttura è stata successivamente modificata con la Circolare applicativa dell’8 luglio 2011 e ancora successivamente integrata per le offerte a banda larga sulla rete in fibra con le delibere n. 332/13/CONS e n. 604/13/CONS, provvedimenti già oggetto di impugnazione, ad oggi pendente.
5. - Telecom svolge, quindi, i seguenti motivi di ricorso:
1) Eccesso di potere per contraddittorietà e illogicità manifesta. Violazione del considerato 67 della Raccomandazione della Commissione UE n. 2013/466/UE e del diritto alla riservatezza commerciale.
La ricorrente assume che il DCF, unico metodo di valutazione degli investimenti consentito dalla delibera gravata, è basato sul valore dei flussi di cassa futuri attesi da una specifica attività, attualizzati secondo un tasso corretto per il rischio, e contempla tutti i costi fissi e variabili.
Esso, come detto, servirebbe a verificare la replicabilità delle offerte dell’operatore SMP nell’ambito di un periodo di osservazione (Relevant Time Period o RTP) coincidente con la permanenza media del cliente nell’offerta, consentendo la valutazione complessiva di tutti i costi sopportati dall’operatore, tenendo anche conto del tempo necessario per ammortizzare gli investimenti ad hoc effettuati.
Secondo Telecom, la strategia commerciale consolidata nel settore delle TLC prevede che le politiche promozionali (investimento) siano concentrate in fase di acquisizione per stimolare l’adesione dei clienti alle offerte, in particolare per quelle innovative;ne deriverebbe che l’investimento finanziario relativo alla promozione, anche se si realizza sul primo anno di vita del cliente, andrebbe correttamente imputato al valore complessivo dell’offerta nel tempo.
Il vizio riscontrato dalla ricorrente nell’atto gravato consisterebbe nel fatto che le Linee Guida avrebbero previsto, per le offerte in rame, che la verifica DCF sia svolta sulla singola promozione impiegando i dati storici di provenienza dei clienti, e superando così l’analisi dell’offerta comprensiva di tutte le articolazioni promozionali;essa sarà applicata separatamente a ciascuna promozione sulla base delle diverse categorie di clienti utilizzando quindi i dati relativi alla “provenienza media” dei clienti;ma, in tal modo, l’Agcom avrebbe, in tesi reintrodotto, di fatto, un’analisi di tipo statico - come quella già prevista dalla delibera n. 152/02/CONS, poi superata dalla delibera n. 499/10/CONS – molto più simile ad un mero conto economico in cui è valutato il risultato della promozione con riferimento ad ogni singolo cliente, senza tener conto delle progressive dinamiche acquisitive della clientela, così contraddicendo la logica stessa del metodo prescelto.
La previsione di un’analisi su ogni singola promozione sarebbe, da un lato, in contrasto con le previsione della Raccomandazione UE n. 2013/466/UE (considerato 67), la quale avrebbe imposto la considerazione delle offerte nel loro complesso, comprensive cioè di tutte le articolazioni di prezzo (livelli promozionali), e non per singolo cliente;d’altro lato, i dati storici sulla provenienza dei clienti avrebbero carattere strategico, con la conseguenza che la loro pubblicazione prevista dal provvedimento impugnato arrecherebbe un grave danno all’attività imprenditoriale di Telecom Italia.
2) Eccesso di potere per illogicità manifesta e difetto di istruttoria. Violazione e falsa applicazione dell’art. 5 della delibera n. 519/15/CONS e dell’art. 30, comma 5, direttiva 2002/22/CE.
La delibera n. 584/16/CONS, all’Allegato A, punto 4.1, paragrafo 35, introduce, poi, per le offerte su rame, un differente periodo di osservazione del test DCF a seconda del tipo di clientela, ovvero 24 mesi per le offerte alla clientela residenziale e 36 mesi per le offerte alla clientela non residenziale.
Tale determinazione contrasterebbe con lo schema di provvedimento trasmesso alla Commissione UE, in cui sarebbe stato previsto un periodo unico di osservazione di 30 mesi.
Inoltre, la durata iniziale massima non superiore ai 24 mesi, la quale non ha nulla avrebbe che vedere con la permanenza media nell’offerta del cliente, pur sempre libero di prorogare il contratto, anche per la possibilità, riconosciuta dalla giurisprudenza, di stipulare contratti a tempo indeterminato;né vi è stata una differenziazione dei mercati a monte.
3) Eccesso di potere per contraddittorietà e ingiustizia manifesta. Violazione dell’art. 65 della delibera n. 623/15/CONS e della Raccomandazione della Commissione UE n. 2013/466/UE, nonché de principi di buon andamento ed economicità dell’azione amministrativa, come positivizzati nell’art. 97 Cost..
Per le nuove offerte in fibra la delibera n. 584/16/CONS prevedrebbe il solo test DCF applicato in coerenza con la precedente normativa su un arco temporale di 36 mesi, ma non considererebbe l’impatto complessivo delle acquisizione su 24 mesi, valutando, invece, i risultati sul singolo mese.
Sarebbe poi illegittima la doppia verifica introdotta: una antecedente al lancio dell’offerta commerciale (nella quale il test DCF è alimentato da dati previsionali secondo un piano di acquisizioni mensile e viene verificata la replicabilità complessiva delle promozioni applicate all’offerta al dettaglio);l’altra successiva al lancio dell’offerta, basata sulla ripetizione del test DCF sui dati di consuntivo mensili forniti da Telecom.
Ma, secondo la ricorrente, se un’offerta dovesse risultare non replicabile sulla base del test ex post, tale risultato sarebbe comunque riferito solo a quello specifico mese di riferimento.
Inoltre, poiché l’offerta su rete in fibra deve essere valutata nell’insieme delle sue articolazioni/promozioni, anche se la ricorrente operasse contenendo il numero massimo di attivazioni sulle singole articolazioni dell’offerta, non sarebbe mai in grado di escludere a priori un risultato negativo del test sulla base dei dati consuntivi.
Risulterebbe violato l’art. 65 della delibera n. 623/15/CONS - la cui preminenza gerarchica sul provvedimento impugnato sarebbe pacifica (in quanto recante l’analisi dei mercati dei servizi di accesso alla rete fissa e la definizione dei connessi obblighi regolamentari in capo all’operatore SMP) - sulla base del quale l’Autorità dovrebbe effettuare i test di replicabilità economica ex ante (per le offerte non formulate nell’ambito di gare pubbliche), potendo richiedere i dati relativi ai ricavi ed al traffico al solo fine di monitorare i consuntivi .
Vi sarebbe, ancora, la astratta possibilità di sovrapposizione tra le competenze di Agcom e AGCM, in particolare tra il test di replicabilità economica ex ante di competenza delle Agcom e i “test di compressione dei margini che possono essere effettuati ex post in applicazione della normativa sulla concorrenza … dalla Commissione e/o dalle autorità nazionali competenti”.
Le restanti censure del motivo paventano possibili sanzioni a danno di Telecom, già gravata di obblighi legati alla sua natura di operatore con significativo potere di mercato.
4) Eccesso di potere per difetto di istruttoria e di motivazione, falsità del presupposto, disparità di trattamento, ingiustizia e contraddittorietà manifesta. Violazione e falsa applicazione degli artt. 47 e 50 del d.lvo n. 259/03, dell’art. 41 Cost. in quanto espressione della libertà di iniziativa economica, nonché della Raccomandazione della Commissione europea n. 2013/466/UE.
Con il quarto motivo la ricorrente sostiene che nel corso del 2015 l’esito di due tra le più rilevanti gare pubbliche bandite da Consip spa nell’ultimo quinquennio per la selezione dei fornitori di servizi di comunicazione elettronica per le PA avrebbe dimostrato l’inidoneità dei test previsti dalla delibera gravata a regolamentare le dinamiche di offerta nell’ambito delle procedure ad evidenza pubblica, in ragione dei distacchi abissali tra l’offerta di Telecom Italia e quelle dei suoi concorrenti, le cui proposte economiche, come si evidenzierà più avanti, si sono collocate persino al di sotto dei costi dei servizi all’ingrosso.
La delibera n. 584/16/CONS, analogamente alla delibera n. 623/15/CONS, non avrebbe tenuto conto dell’evoluzione della realtà del mercato delle gare (per pubblici appalti o in ambito di procedure ad evidenza pubblica per la selezione del fornitore promosse da clienti privati) nel senso di escludere l’idoneità dei test di prezzo ad operare quali strumento di garanzia della effettiva competizione nell’ambito delle gare, in quanto tali test, lungi dal realizzare l’obiettivo perseguito di garantire la non discriminazione dell’operatore dipendente da Telecom e l’effettiva concorrenzialità avrebbe impedito a Telecom stessa di parteciparvi.
Un concorrente non sottoposto a vincoli di replicabilità potrebbe, infatti, agire in una logica puramente imprenditoriale, considerando che gli investimenti sostenuti per dotarsi di infrastrutture verranno remunerati dalle offerte per il mercato di massa, mentre l’eventuale aggiudicazione di una gara garantirà una migliore remunerazione del capitale investito.
Sarebbe poi violata la Raccomandazione della Commissione europea n. 2013/466/UE dell’11 settembre 2013 “relativa all’applicazione coerente degli obblighi di non discriminazione e delle metodologie di determinazione dei costi per promuovere la concorrenza e migliorare il contesto per gli investimenti in banda larga” la quale affermerebbe che non è necessaria la verifica di ogni singola offerta e/o promozione ma solo delle “offerte di punta”.
5) Eccesso di potere per difetto di istruttoria e di motivazione. Violazione e falsa applicazione del considerato 67 della Raccomandazione della Commissione europea n. 2013/466/UE dell’11.9.2013, nonché della delibera n. 412/15/CONS.
Premesso che il c.d. ““mix produttivo” è la media ponderata dei costi dei servizi “wholesale” disponibili a livello nazionale utilizzati da un operatore efficiente, sulla cui base sono individuati, dunque, i costi dei fattori produttivi essenziali, sostiene la ricorrente che la delibera n. 584/16/CONS prevedrebbe l’utilizzo di un “mix produttivo” basato su tutti i servizi rame e fibra, ad eccezione delle offerte c.d. “local” commercializzate in specifici ambiti geografici.
In tal modo Agcom non avrebbe tenuto conto delle osservazioni della Commissione europea, la quale aveva a tal fine suggerito il diverso criterio del “most relevant input”, incentrato sulla considerazione “del servizio all’ingrosso più acquistato e utilizzato dagli operatori alternativi”.
La ricorrente, quindi, contesta le scelte sul punto di AGCom sia con riguardo al paniere dei servizi considerati (tutti i servizi wholesale, nonché le linee retail valorizzate come VULA) che con riferimento al metodo di calcolo (le linee retail realizzate degli operatori concorrenti senza ricorrere ai servizi di Telecom Italia non sarebbero state considerate nel totale mercato da utilizzare per il calcolo percentuale dei pesi dei singoli servizi).
Inoltre l’Autorità non avrebbe tenuto conto del nuovo modello di Equivalence di Telecom approvato da Agcom, nel quale non sono stati considerati tutti i servizi wholesale regolati, ma solo quelli che rappresentano una scelta di costo efficiente: SLU, Unbundling, bitstream e VULA.
Ancora, la delibera sarebbe illegittima là dove prevede che l’impiego di ulteriori input all’ingrosso come i circuiti terminating ethernet per l’offerta FTTH sarà valutato in sede di applicazione del nuovo metodo sulla base dei servizi all’ingrosso effettivamente impiegati da Telecom Italia., violando la propria precedente delibera n. 412/15/CONS che non prevedeva tale possibilità.
6) Eccesso di potere per difetto di istruttoria e di motivazione. Violazione e falsa applicazione del considerato 67 della Raccomandazione della Commissione europea n. 2013/466/UE dell’11.9.2013, nonché della delibera n. 412/15/CONS.
Quanto al fattore contrassegnato da X nella formula su richiamata, costituito dagli “input di rete non essenziali”, la gravata delibera, al punto 4.7.3 dell’Allegato A, rinvia:
- per le componenti di reti regolate nelle offerte wholesale, al modello BULRIC +, sviluppato da Agcom per la delibera n. 623/15/CONS ;
- per le componenti di rete non regolate, non incluse nel modello BULRIC + sopra citato ai costi di produzione e di fornitura sostenuti per tali input dall’operatore SMP, opportunamente documentati.
Queste previsioni sarebbero nuove rispetto al quadro vigente, in quanto sino ad oggi le componenti di rete non essenziali venivano valutate a partire dall’offerta di riferimento di Telecom Italia, al di sotto della quale è consentito scendere per tenere conto delle efficienze di costo alle quali va incontro un operatore “efficiente” che decida di autoprodurre gli elementi di rete non essenziali, anziché acquistarli.
In tal modo si annullerebbe il vantaggio infrastrutturale dell’operatore efficiente, privando di effettiva valenza qualsiasi criterio di determinazione degli input essenziali, perché si impedirebbe di tenere conto delle migliorie realizzate in chiave di efficienza (autoproduzione) dal concorrente “efficiente” sulla catena produttiva del singolo servizio, con la conseguenza paradossale che il costo della catena produttiva utilizzata per la fornitura del servizio retail sarà sempre identico a prescindere dalle scelte di investimento effettuate dall’OLO, dal che deriverebbe l’inutilità del mix produttivo (generale o riferito a specifici ambiti geografici).
7) Eccesso di potere per manifesta illogicità e contraddittorietà.
L’obbligo di comunicazione preventiva sarebbe stato esteso non solo alle offerte bundle ma anche alle cd. abbinate commerciali le quali si differenziano dalle prime (vendita di due o più servizi in maniera aggregata) per non prevedere uno sconto, ma per costituire soltanto la vendita di un prodotto condizionata all’acquisto di un altro prodotto.
Ciò inciderebbe negativamente sulla attività commerciale di TIM, essendo notoria la sempre maggiore diffusione di partnership con soggetti non operanti nel settore delle comunicazioni elettroniche;contraddirebbe la premessa del ragionamento dell’Agcom, la quale osserva che le abbinate commerciali “… non rientrano nell’oggetto della presente delibera”;inciderebbe negativamente sui tempi delle verifiche.
8) Eccesso di potere per illogicità, indeterminatezza e difetto di istruttoria.
Sarebbe connotato dal vizio in rubrica il paragrafo 94 delle Linee Guida, il quale prevede che “In casi particolari, e precisamente in presenza di offerte bundle comprendenti servizi non regolati rispetto alle quali non vi siano sufficienti dati oggettivi ai fini della verifica ex ante, l’Ufficio può avviare un procedimento di vigilanza finalizzato ad accertare la permanenza delle condizioni di replicabilità dell’offerta, applicando strumenti di analisi quali il metodo di valutazione basato sul criterio del c.d. “sconto implicito” (che prevede l’allocazione dello sconto del bundle in maniera proporzionale ai diversi servizi in esso inclusi)”.
L’introduzione del ricorso al criterio dello sconto implicito per valutare la replicabilità di offerte bundle con servizi non regolati sarebbe, secondo Telecom, un eccesso di discrezionalità nell’attribuire un valore presuntivo ad un elemento dell’offerta non noto.
9) Eccesso di potere per illogicità manifesta. Violazione del principio di economicità e buon andamento dell’azione amministrativa.
Sarebbero illegittimi anche i paragrafi 138 e 139 dell’Allegato A alla delibera 584/16/CONS i quali prevedono la possibilità per Agcom di richiedere “tempestivamente” all’operatore notificato “dati ed informazioni … ad integrazione e maggior dettaglio dell’istanza presentata” e, nei casi di maggiore complessità, di acquisire anche le osservazioni dei controinteressati, in tali ipotesi sospendendosi i termini del procedimento a partire dalla data di invio della richiesta sino alla data di ricezione delle informazioni da parte dell’Autorità (o, comunque, al quinto giorno lavorativo successivo nel caso in cui la richiesta sia inoltrata a soggetti diversi dall’operatore SMP).
Tale disciplina rischierebbe, secondo la ricorrente, di protrarre eccessivamente la conclusione dei test di replicabilità economica e si discosterebbe dall’art. 68, comma 4, della delibera n. 731/09/CONS, il quale prevedeva correttamente il termine massimo di 10 giorni dalla comunicazione dell’offerta;specie con riferimento al fatto per cui i termini del procedimento decorrono dal primo giorno lavorativo successivo alla ricezione dell’istanza da parte dell’Autorità, e non da quello di ricezione dell’istanza.
6. – Successivamente, con ricorso per motivi aggiunti spedito a notifica il 27 luglio 2017 e depositato il 4 di agosto seguente, Telecom ha censurato le Comunicazioni dell’Agcom del 29 maggio 2017 recante la “Definizione di mix produttivo” ai fini dell’applicazione dei test di prezzo di cui alla delibera n. 584\16\Cons”, impugnata con il ricorso introduttivo.
La ricorrente ha svolto il seguente articolato motivo aggiunto, rubricato: “Invalidità derivata. Eccesso di potere per difetto di istruttoria e di motivazione, travisamento, carenza dei presupposti, illogicità, irrazionalità ed arbitrarietà. Violazione e falsa applica-zione del considerato 67 della Raccomandazione della Commissione europea n. 2013/466 dell’11.9.2013, nonché della delibera n. 412/15/CONS. Violazione del principio di proporzionalità”.
La Commissione UE nella Raccomandazione del 2013 (considerato 67), aveva esplicitato la necessità che i test di replicabilità economica tenessero conto di un paniere minimo identificato con “gli input per l’accesso regolamentato alle reti NGA più utilizzati o identificati, con un approccio prospettico, in quanto aventi maggiore rilevanza per la fornitura di tali prodotti al dettaglio per il periodo di analisi del mercato in questione”.
Tale metodologia sarebbe la più idonea ad ancorare gli obblighi di non discriminazione con l’effettiva realtà di mercato, esprimendo le scelte reali ed effettive degli operatori concorrenti, con l’obiettivo di evitare che la considerazione di servizi quasi inutilizzati dagli OLO infrastrutturati (in quanto più costosi) contribuisca ad innalzare artificiosamente il c.d. “floor” relativo al fattore W della su richiamata formula in cui si articola il test di replicabilità.
Nel motivo Telecom espone che il 31.3.2017, l’Autorità - ritenendo di aver acquisito dall’attività di monitoraggio sulle consistenze dei servizi retail e wholesale dati sufficienti sul numero di accessi ultrabroadband attivi distinti per tecnologia FTTCab e FTTH e servizio wholesale sottostante - ha chiesto agli operatori di formulare commenti ed osservazioni sulla proposta del nuovo mix produttivo per l’UBB su rete in fibra declinandolo nel modo che segue:
- per FTCAB: 1,5% Bitstream, 73% VULA, 25,5 %SLU;
- per FTTH: 3 % Bitstream, 97%VULA.
Lo stesso giorno, l’Agcom, con separata comunicazione, ha richiesto a TIM una serie di informazioni per definire il mix produttivo da impiegare per le verifiche delle offerte narrow-band e broadband sulla rete in rame.
Sul punto TIM ha ribadito senza esito, in sede procedimentale, che il mix produttivo avrebbe dovuto rappresentare correttamente le dinamiche di mercato, asserendo che le modalità di computo indicate dall’Agcom avrebbero condotto ad una sovrastima del “price floor” producendo effetti distorsivi.
Sostiene dunque la ricorrente che, se l’Agcom si fosse attenuta alle osservazioni rese dalla Commissione Europea, avrebbe dovuto valorizzare, nel computo degli accessi per la definizione dei pesi, i servizi di accesso più utilizzati (per ragioni di efficienza) dagli OLO, scartando quelli meno o per nulla utilizzati.
Inoltre l’Autorità avrebbe dovuto tenere in debito conto il nuovo modello di Equivalence di TIM “sia escludendo le linee ultrabroadband di TIM nel perimetro di indagine come VULA, che includendo nel calcolo le linee già attive su tecnologia xDSL migrate su servizi wholesale NGAN”.
L’Agcom, a dire della ricorrente avrebbe dovuto agire come segue:
1) Inclusione delle linee retail di TIM nel mix produttivo UBB come VULA.
Partendo dal dato per cui la composizione del mix produttivo è l’espressione delle scelte di input wholesale effettuate dagli operatori che competono sul mercato con la ricorrente, l’Agcom, nel computo e nella valorizzazione degli input, ed attenendosi al criterio del most relevant input, avrebbe dovuto escludere gli accessi retail di TIM in coerenza con la Raccomandazione UE sul costing;ciò anche in coerenza con il fatto che la stessa Autorità esclude dal calcolo gli accessi realizzati in proprio dagli altri operatori.
Inoltre, anche a voler considerare le linee retail di Telecom, Agcom avrebbe dovuto comunque effettuare una distinzione tra i servizi in fibra “to the cabinet” (FTTC), ossia quelli che non giungono sino alla sede del cliente finale, ed quelli in fibra “to the home” (FTTH), che invece vi giungono, dal momento che a queste due modalità tecnologiche corrispondono diversi servizi di accesso wholesale sottostanti ed in particolare, per il FTTCab le linee retail di TIM dovrebbero essere associate allo SLU, mentre per il FTTH le linee retail dovrebbero essere associate al corrispondente VULA.
L’impiego di una metodologia del test di prezzo basata sul most rilevant input sarebbe coerente con il nuovo modello di Equivalence che consideri i soli servizi wholesale regolati che rappresentano una scelta di costo efficiente avrebbe dovuto condurre l’Agcom a definire valori del tutto differenti rispetto a quelli indicati nella Comunicazione del 29.5.2017.
2) Esclusione dal calcolo del mix produttivo UBB delle linee migrate dal rame alla fibra.
Tale scelta integrerebbe violazione della stessa delibera n. 584/16, concretandosi nell’introduzione arbitraria di un criterio non previsto nella disciplina regolamentare presupposta.
Sarebbe altresì scelta illogica, poiché l’esclusione delle linee già attive su tecnologia xDSL migrate su servizi wholesale NGAN “per scelta commerciale” presupporrebbe una differenziazione che si basa su valutazioni soggettive ed imponderabili degli operatori, ma che impatta negativamente sul calcolo del mix produttivo medio.
Ciò comporterebbe che gli OLO entrino nel settore dei servizi a banda ultralarga investendo sin da subito nella rete, senza avvalersi dei servizi di accesso.
7. – Si è costituita in giudizio l’Agcom, che ha contrastato il ricorso ed i motivi aggiunti con memoria, eccependo l’inammissibilità del gravame (perché la ricorrente avrebbe censurato alcune scelte di merito dell’Autorità, peraltro orientate a scongiurare distorsioni delle dinamiche di mercato) e la sua infondatezza.
Si è costituita in giudizio anche Fastweb s.p.a., che ha rappresentato di avere impugnato (ricorso n. 2053\2017 r.g.) la deliberazione regolatoria in epigrafe per motivi sostanzialmente opposti a quelli proposti da Telecom (ovvero, in sintesi estrema, censurandola là dove ha abolito il criterio di modulazione del test di replicabilità contrassegnato dall’acronico PbP, ovvero di tipo statico, e, inoltre, per non avere introdotto i correttivi alle proprie precedenti delibere anche per la rete in fibra, e non solo per quella in rame).
Ha proposto atto di intervento ad opponendum Vodafone Italia s.p.a., la quale ha evidenziato di avere proposto, a propria volta, autonomo gravame (n. 1959\2017 r.g.) contro la deliberazione impugnata da Telecom, con motivi sostanzialmente riconducibili a quelli proposti da Fastweb.
In occasione della pubblica udienza del 7 febbraio 2018 il ricorso è stato posto in decisione.
DIRITTO
1. – Premette il Collegio che, nella materia in esame, il sindacato del Giudice Amministrativo deve mantenersi, secondo consolidata giurisprudenza del Giudice d’appello, (Cons. Stato, III, n. 1856/2013, e n. 3143\2016) al di fuori dell'ambito di opinabilità, “… cosicché il sindacato non divenga sostitutivo con l'introduzione di una valutazione parimenti opinabile. Qualora residuino margini di opinabilità in relazione a concetti indeterminati, la valutazione compiuta dall’Autorità non può ritenersi viziata se, attraverso le motivazioni esposte, risulti comprensibile, attendibile secondo la scienza economica, e immune da travisamento dei fatti, da vizi logici o da violazioni di regole normative”.
Occorre, quindi, per il Giudice d’appello, che il sindacato si attesti “… sulla linea di un controllo che, senza ingerirsi nelle scelte discrezionali della pubblica autorità, assicuri la legalità sostanziale del suo agire, per la sua intrinseca coerenza, anche e (…) soprattutto in materie connotate da un elevato tecnicismo, per le quali vengano in rilievo poteri regolatori con i quali l'autorità detta, appunto, “le regole del gioco”.
Infine, per essere ammissibile, il controllo giurisdizionale sulla regolazione “non mira a sostituire la valutazione del giudice a quella della competente Autorità, ma solo a verificare se tale modello, una volta adottato, sia stato coerente nei suoi sviluppi proprio alla luce delle finalità che la scelta regolatoria, nel suo complesso, mira a perseguire.”
Inoltre, lo stesso Consiglio di Stato afferma (sentenza n. 2479\2015) che “Il giudice può sindacare con pienezza di cognizione i fatti oggetto della indagine ed il processo valutativo mediante il quale l’Autorità applica alla fattispecie concreta la regola individuata, anche utilizzando le scienze specialistiche appartenenti all’Autorità. Una volta ritenute applicate correttamente tali regole, il sindacato del giudice deve però necessariamente arrestarsi, non potendo consistere in una reiterazione del procedimento”.
2. – Tale reiterazione è, tuttavia, proprio ciò che Telecom chiede di fare a questo TAR nei motivi primo, secondo e terzo, che devono essere dichiarati inammissibili.
2.1. – Ed invero, con il primo mezzo la ricorrente invoca l’adozione di una metodologia di test di replicabilità diversa da quella posta dalla delibera gravata, che è contraddistinta dall’acronimo DCF, e che, come detto in parte narrativa, si basa sul valore dei flussi di cassa futuri attesi da una specifica attività, attualizzati secondo un tasso corretto per il rischio, e contempla tutti i costi fissi e variabili, nell’ambito di un periodo di osservazione (RTP) coincidente con la permanenza media del cliente nell’offerta, pari a 24 mesi, sulla base di dati storici (e non di dati previsionali), nonché considerando separatamente l’offerta di base dalle promozioni lanciate su di essa.
Con il secondo motivo, Telecom critica la scelta del periodo di riferimento, pari a 24 mesi.
Con il terzo motivo, poi, la ricorrente torna a criticare la valenza ex post del test proposto dall’Autorità.
Ritiene innanzitutto il Collegio che, considerato che la prescelta metodologia è volta a prevenire pratiche predatorie da parte dell’operatore con significativo potere di mercato (ed ex-monopolista), appare non irragionevole privilegiare l’ambito di osservazione legato a dati storici aggregati (ossia non per singolo cliente, bensì per tipologia di clienti), come tali non opinabili o contestabili (come potrebbero essere quelli previsionali), legati ad un periodo di riferimento pari a quello che l’art. 80 comma 4 quater del Codice delle comunicazioni elettroniche impone quale “primo periodo di impegno iniziale” massimo nei contratti tra consumatori e imprese che forniscono servizi di comunicazione elettronica;e che non valuti cumulativamente le offerte base e quelle promozionali, il che favorirebbe pratiche di erosione dei margini di prezzo.
Peraltro, la delibera non risulta assunta in violazione del Considerando n. 67 della raccomandazione UE n. 466\2013, che, per quanto qui interessa, recita “ La definizione del test, che utilizza i costi a valle verificati mediante audit dell'operatore SMP e si applica unicamente ai prodotti flagship…”, riferendosi, quindi, a costi già verificati (e non a previsioni di costo) legati all’offerta di punta (e non a varianti di essa).
Una volta stabilità la non irragionevolezza della metodologia volta ad esprimere il giudizio di non replicabilità da parte dell’Autorità, e, di conseguenza, valutati positivamente i fatti posti a base della scelta medesima (non essendo contestata dalla ricorrente la –almeno astratta- possibilità che essa dia luogo a pratiche anticoncorrenziali), ritiene il Collegio che la valutazione di correttezza della scelta regolatoria da parte del Giudice Amministrativo debba arrestarsi, proprio perché, ove essa si spingesse a indicare come più corretta la pratica indicata dalla ricorrente nella sua prospettazione (o qualsiasi altra pratica), non rimarrebbe nello scrutinio di verifica di congruità dal mezzo al fine, ma valicherebbe il ricordato margine della opinabilità.
3. – E’ parimenti inammissibile, ma per diversa ragione, il quarto mezzo, con cui Telecom lamenta l’applicabilità del test avversato (e, in generale, di qualunque test di replicabilità) anche nell’ambito delle pubbliche gare.
Tale applicabilità, infatti (come affermato dalla stessa ricorrente) era già stata disposta dalla deliberazione dell’Agcom n. 623\15\Cons, che, all’art. 66, dispone: “Telecom Italia, al fine di consentire all’Autorità la verifica della replicabilità delle offerte dei servizi di accesso alla rete telefonica pubblica in postazione fissa che sono forniti in ambito di gare per pubblici appalti o in ambito di procedure ad evidenza pubblica per la selezione del fornitore promosse da clienti privati, comunica l’avvenuta aggiudicazione dei contratti entro il termine di 30 giorni dalla stipula.”
Ne segue la tardività della censura, che non si appunta neppure sulla metodologia del test, bensì, sic et simpliciter, sulla imposizione di un test, già contemplata nella diversa delibera citata.
4. – Incorrono invece nella medesima causa di inammissibilità dei primi tre mezzi il quinto, ed il sesto motivo del ricorso introduttivo ed il motivo aggiunto, che si appuntano sulla scelta dei termini di effettuazione del test, con riferimento alla scelta dei componenti del c.d. mix produttivo e al fattore contrassegnato da X nella formula del test (gli “input di rete non essenziali”).
Appurato, infatti, che la definizione di tali formule si basa su analisi di mercato precedentemente svolte (in occasione della delibera 623\15\Cons), e che (con riferimento alla composizione dell’elemento “X”), ricade in un ambito di opinabilità, si richiama, per brevità, quanto affermato in precedenza sui limiti ammessi per il sindacato giurisdizionale.
5. – Il settimo motivo, che si duole dell’estensione della regolazione in oggetto alle abbinate commerciali, è infondato.
Ed invero, il punto 88 della delibera in questione afferma espressamente che tali offerte, connotate dall’abbinamento di servizi differenti erogati da differenti operatori, sono prese in considerazione ai fini della sottoposizione al test di replicabilità nella sola componete di accesso ai servizi regolati.
Ne segue il rigetto del motivo.
6. – Non è condivisibile neppure l’ottavo mezzo, con cui Telecom si duole della ricomprensione nell’ambito del test e della sottoposizione a eventuale vigilanza dell’Agcom dei servizi di offerta “bundle” che presentano uno sconto “implicito” dovuto all’offerta aggiuntiva di servizi non regolati da parte del medesimo operatore (e non di due operatori diversi, come le abbinate commerciali), i quali sarebbero solo un’attrattiva per i potenziali clienti dei servizi regolati, e non avrebbero valore economico rilevante.
Al riguardo è sufficiente considerare che tali offerte costituiscono, in estrema ed intuitiva analisi, un risparmio di spesa per i clienti finali rispetto all’acquisizione dei servizi non regolati, e che, inoltre, la ricorrente non propone elementi di valutazione alternativi per stabilire la soglia della dedotta irrilevanza economica di tali servizi.
Inoltre, non emergono, dalla prospettazione della ricorrente, elementi utili a stabilire se vi sia stato l’asserito “eccesso di discrezionalità”, in quanto la previsione censurata si limita, in definitiva, a ipotizzare che servizi quali quelli appena descritti possano essere sottoposti a valutazione di replicabilità ove non vi siano “dati oggettivi” di scrutinio.
7. – Infine, neppure il nono mezzo può trovare accoglimento, in quanto il procedimento istruttorio per i casi di maggiore complessità delineato dai paragrafi 138 e 139 dell’Allegato “A” alla delibera impugnata non appare irragionevole, consentendo, anzi (specie nell’impugnata previsione per cui i termini relativi decorrono dal primo giorno lavorativo successivo alla ricezione dell’istanza da parte dell’Autorità, e non da quello di ricezione dell’istanza), favoriscono il contraddittorio procedimentale.
8. – In conclusione, il ricorso ed i motivi aggiunti sono in parte inammissibili ed in parte infondati, per quanto di ragione.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.