TAR Roma, sez. I, sentenza 2012-09-06, n. 201207590

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. I, sentenza 2012-09-06, n. 201207590
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 201207590
Data del deposito : 6 settembre 2012
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 06170/2011 REG.RIC.

N. 07590/2012 REG.PROV.COLL.

N. 06170/2011 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 6170 del 2011, proposto da:
A C F, rappresentata e difesa dall'Avv. A D L, con domicilio eletto presso Santina Murano in Roma, via Pelagio I, 10;

contro

- il MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;

nei confronti di

E V;

per l'annullamento

- del verbale n. 261 del 15 marzo 2011 della Prima Sottocommissione esaminatrice del concorso per esami a 350 posti di Magistrato ordinario indetto con D.M. 15 dicembre 2009, nella parte in cui è stata disposta la non ammissione alle prove orali in ragione del giudizio di non idoneità attribuito all’elaborato di diritto civile;

- di tutti gli atti presupposti, connessi e consequenziali, ivi compreso, ove occorre, del verbale n. 9 del 26 luglio 2010 della Commissione esaminatrice del concorso;


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero della Giustizia;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 11 luglio 2012 il Consigliere Elena Stanizzi e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Nel premettere la ricorrente di aver partecipato al concorso per esami a 350 posti di Magistrato ordinario indetto con D.M. 15 dicembre 2009 e di non essere stata ammessa alle prove orali in ragione del giudizio di non idoneità attribuito all’elaborato di diritto civile, deduce avverso i gravati atti i seguenti motivi di censura:

I - Violazione dell’art. 3 della legge n. 241 del 1990, degli artt. 12, 13 e 16 del R.D. n. 1860 del 1925, degli artt. 1 e 5 del D.Lgs. n. 160 del 2006.

Violazione dei criteri di cui al verbale n. 9 del 26 luglio 2010 della Commissione esaminatrice del concorso a 350 posti di Magistrato ordinario indetto con D.M. 15 dicembre 2009.

Eccesso di potere per difetto di motivazione, travisamento, illogicità, erroneità, carenza di istruttoria ed ingiustizia manifesta.

Afferma parte ricorrente la meritevolezza del proprio elaborato di diritto civile quantomeno del giudizio di sufficienza alla luce del criteri di valutazione di cui al verbale n. 9 del 26 luglio 2010, stante la corretta ed approfondita trattazione delle tematiche poste dalla traccia, sostenendo su tale base l’illegittimità del contestato giudizio di non idoneità, peraltro inidoneo ad esternare le ragioni della valutazione, in violazione dell’obbligo di motivazione, sancito dal D.Lgs. n. 166 del 2006, deducendo l’illegittimità costituzionale della diversa disciplina dettata dal D.Lgs. n. 160 del 2006.

II – Violazione dell’art. 3 della legge n. 241 del 1990, degli artt. 12, 13 e 16 del R.D. n. 1860 del 1925, degli artt. 1 e 5 del D.Lgs. n. 160 del 2006.

Violazione dei criteri di cui al verbale n. 9 del 26 luglio 2010 della Commissione esaminatrice del concorso a 350 posti di Magistrato ordinario indetto con D.M. 15 dicembre 2009.

Eccesso di potere per carenza istruttoria, difetto di motivazione, ingiustizia manifesta, disparità di trattamento, travisamento dei fatti, erroneità ed illogicità.

Denuncia parte ricorrente l’illegittimità del gravato giudizio di non idoneità in quanto adottato da una Sottocommissione di cui due dei tre componenti sono stati nominati successivamente alla fissazione dei criteri ed alla seduta plenaria di correzione prevista dall’art. 5 del D.Lgs. n. 160 del 2006, risultando così pregiudicata l’uniformità e l’omogeneità di valutazione che la norma ha inteso assicurare.

Si è costituita in resistenza l’intimata Amministrazione sostenendo, con articolate controdeduzioni e successiva memoria, l’infondatezza del ricorso con richiesta di corrispondente pronuncia.

Alla pubblica udienza dell’11 luglio 2012 la causa è stata chiamata e trattenuta per la decisione, come da verbale.

DIRITTO

Con il ricorso introduttivo del giudizio è proposta azione impugnatoria avverso i provvedimenti – meglio indicati in epigrafe nei loro estremi – inerenti la procedura del concorso per esami a 350 posti di magistrato ordinario, indetto con decreto ministeriale del Ministro della Giustizia del 15 dicembre 2009, in relazione alla quale la ricorrente, in esito alla correzione delle prove scritte, ha riportato il giudizio di ‘non idoneo’ nell’elaborato di diritto civile.

Avuto riguardo al denunciato profilo di difetto di motivazione del giudizio di inidoneità formulato con riferimento a tale prova, non consentendo asseritamente la relativa formulazione di ricostruire l’iter logico seguito dalla Commissione, osserva il Collegio che costituisce ormai principio consolidato quello secondo cui le valutazioni espresse da una Commissione di concorso nelle prove scritte e orali dei candidati costituiscono espressione di un’ampia discrezionalità tecnica e, come tali, sfuggono al sindacato di legittimità del giudice amministrativo, salvo che non siano inficiate “ictu oculi” da eccesso di potere, sub specie delle figure sintomatiche dell’arbitrarietà, irragionevolezza, irrazionalità e travisamento dei fatti.

La giurisprudenza ha pure avuto modo di evidenziare che il voto numerico (ovvero, come nel caso in esame, il conclusivo giudizio) costituisce espressione sintetica, ma esaustiva, della valutazione della Commissione, soddisfacendo adeguatamente l’onere della motivazione previsto dall’art. 3 della legge n. 241 del 1990, e, più in generale, dei principi sanciti dall’art. 97 della Costituzione.

La disposizione contenuta nell’art. 1, comma 5, del D.Lgs. 5 aprile 2006 n. 160 (recante “Nuova disciplina dell'accesso in magistratura, nonché in materia di progressione economica e di funzioni dei magistrati, a norma dell'articolo 1, comma 1, lettera a), della legge 25 luglio 2005, n. 150”), il quale prevede che: “sono ammessi alla prova orale i candidati che ottengono non meno di dodici ventesimi di punti in ciascuna delle materie della prova scritta” e che “agli effetti di cui all’articolo 3 della legge 7 agosto 1990, n. 241, e successive modificazioni, il giudizio in ciascuna delle prove scritte e orali è motivato con l’indicazione del solo punteggio numerico, mentre l’insufficienza è motivata con la sola formula "non idoneo””, non viola le ricordate disposizioni in tema di motivazione del giudizio di inidoneità.

Invero, il meccanismo delineato dalla predetta normativa, non costituisce il frutto di una mera attività materiale dell’Amministrazione, ma è espressione di una valutazione, positiva o negativa dell’elaborato: mentre, nel primo caso, alla valutazione positiva segue l’attribuzione di un punteggio, nel secondo caso viene espresso un giudizio di inidoneità che implica, senza alcuna possibilità di dubbio, il mancato raggiungimento della sufficienza.

In altri termini, il giudizio di inidoneità contiene in sé, implicitamente e manifestamente, una valutazione di insufficienza della prova concorsuale che del tutto inutilmente dovrebbe essere ulteriormente esplicitato.

Un difetto di motivazione di tale giudizio di inidoneità potrebbe apprezzarsi solo ove il candidato offrisse elementi idonei a supportare l’arbitrarietà o l’irragionevolezza del giudizio, quantomeno relativamente ai criteri predeterminati dalla Commissione, elementi tutti che, nel caso di specie, non ricorrono.

All’elaborato della ricorrente è stato dunque dato un giudizio di inidoneità – in conformità alla disciplina di riferimento - che appare sufficiente ad esprimere correttamente la valutazione effettuata dalla Commissione, non essendovi neanche l’onere di indicare un voto.

Va dunque confermato, sulla base di quanto dianzi esposto, l’orientamento ripetutamente ribadito dalla giurisprudenza amministrativa – consolidato al punto da costituire “diritto vivente” e giudicato conforme ai parametri costituzionali del giusto processo e del diritto di difesa dalla Corte Costituzionale (sentenza 30 gennaio 2009 n. 20) – secondo cui nelle procedure concorsuali, ove la valutazione del merito del candidato esprime un giudizio strettamente valutativo del grado di preparazione e di idoneità culturale (e non una ponderazione fra una pluralità di interessi in gioco ai fini dell’adozione di una statuizione provvedimentale), il voto numerico è di per sé idoneo a identificare il livello di sufficienza o di insufficienza della prova sostenuta, senza la necessità di ulteriori indicazioni e chiarimenti a mezzo di proposizioni esplicative (Cons. Stato, sez. V, 11 maggio 2009 n. 2880 e 11 luglio 2008 n. 3480;
C.G.A.R.S., 7 ottobre 2008 n. 837).

Proprio la sopra citata pronunzia del giudice delle leggi – quantunque riferita all’esame di abilitazione alla professione forense – reca univoche indicazioni che inducono il Collegio a disattendere, in quanto infondate, le questioni di legittimità costituzionale dalla parte ricorrente sollevate con riguardo al fondamento normativo che consente, nel concorso per l’accesso in magistratura, l’espressione del giudizio mediante coefficienti numerici e, nel caso di prove insufficienti, mediante indicazione di “non idoneità”.

La Corte, infatti, pur nel rammentare di aver “in plurime decisioni, … escluso che la tesi dell'insussistenza, nell'ordinamento vigente, di un obbligo di motivazione dei punteggi attribuiti in sede di correzione e della idoneità degli stessi punteggi numerici a rappresentare una valida motivazione del provvedimento di inidoneità costituisse una interpretazione obbligata e univoca della normativa vigente (ordinanze n. 466 del 2000, n. 233 del 2001, n. 419 del 2005 e, da ultimo, n. 28 del 2006)”, ha tuttavia rilevato che “nella più recente evoluzione della giurisprudenza del Consiglio di Stato, tale tesi si è ormai consolidata, privando la tesi minoritaria, ancora adottata in alcune isolate pronunce, di ogni concreta possibilità di definitiva affermazione giurisprudenziale”, conclusivamente prendendo atto “della circostanza che la soluzione interpretativa offerta in giurisprudenza costituisce ormai un vero e proprio «diritto vivente»”.

Né, pur considerando la peculiarità della disciplina del concorso per uditore giudiziario, può fondatamente argomentarsi che la Commissione fosse tenuta ad apporre glosse, segni di correzione, et similia, poiché l’attività della Commissione di concorso è di carattere valutativo e non didattico.

Preme anche evidenziare che le prove di esame in questione si collocano nell’ambito di un procedimento preordinato all’accertamento di un certo tipo di idoneità, e formano oggetto di un giudizio che è frutto della valutazione tecnico-discrezionale da parte della Commissione, di una serie di elementi complessi, suscettibili di vario apprezzamento, anche secondo parametri non strettamente giuridici e, comunque, più ampi rispetto ai criteri generali di correzione.

La Commissione utilizza quindi un potere discrezionale la cui sindacabilità, in questa sede, è ammessa solo in presenza di puntuali profili di illogicità manifesta, o di travisamento, non essendo configurabile la sostituzione dell’autorità giurisdizionale all’organo amministrativo appositamente competente.

Non risulta, inoltre, utilmente invocabile – al fine di dare consistenza ai denunciati profili di illegittimità inerenti la formulazione del giudizio di non idoneità – la diversa disciplina dettata dal D.Lgs. n. 166 del 2006 con riferimento al concorso notarile, non essendo tale richiamo in grado di connotare in senso giuridicamente pregnante la proposta eccezione di illegittimità costituzionale.

Al riguardo, la Sezione si è già pronunciata (sentenza n. 5668/2009) nel senso che la rilevata diversità del procedimento di valutazione, con peculiare riguardo alle modalità di esternazione del giudizio, deriva da scelte che il legislatore ha assunto nel legittimo esercizio della sua discrezionalità a fronte della diversità della selezione e della peculiarità della professione notarile, essendo il notaio tanto un libero professionista quanto un pubblico ufficiale, sostituto d’imposta, incardinato in una organizzazione burocratica predisposta dal Ministero, con la conseguenza che il concorso notarile riflette questa duplicità di ruoli, consistendo in una selezione finalizzata alla copertura dei posti vacanti e in una contestuale abilitazione all’esercizio dell’attività, che viene riconosciuta ope legis ai vincitori ai sensi dell’art. 32 R.D. 22 dicembre 1932, n. 1728, laddove tramite il concorso in magistratura si accede ad un rapporto di servizio esclusivamente pubblicistico.

Risulta, dunque, alla luce delle considerazioni sin qui espresse, che all’elaborato del ricorrente è stato dato un giudizio di inidoneità che appare sufficiente ad esprimere correttamente la valutazione effettuata dalla Commissione, non essendovi neanche l’onere di indicare un voto sulla base di una disciplina che non appare affetta da profili di illegittimità costituzionale.

Neppure può ritenersi che la Commissione di concorso sia venuta meno all’obbligo di predeterminare i criteri di valutazione degli elaborati, come fissati nella seduta del 26 luglio 2010.

Tali criteri generali di valutazione, contenendo indicazioni di massima sulle caratteristiche che l'elaborato deve possedere per poter essere considerato idoneo, appaiono funzionali alla finalità per la quale la Commissione li ha previsti.

Al riguardo, la Sezione ha più volte ribadito che i criteri di valutazione delle prove scritte in cui si articola il concorso per uditore giudiziario non necessitano di particolare illustrazione essendo sostanzialmente in re ipsa, a differenza che in altre ipotesi di procedimenti concorsuali, come ad esempio nelle gare pubbliche di appalto aggiudicate con il criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa, in cui l'intensità della discrezionalità tecnica dell'amministrazione è espressa anche dalla variabilità degli elementi da valutare, con la conseguente esigenza di individuare ed esplicitare gli elementi stessi (cfr., ex multis, T.A.R. Lazio, sez. I, 3 luglio 2007 n. 5941).

Avuto riguardo alle argomentazioni con cui parte ricorrente contesta il giudizio di non idoneità del proprio elaborato di diritto civile espresso dalla Commissione affermando la meritevolezza del relativo contenuto, vengono in rilievo i limiti entro cui è consentito il vaglio giurisdizionale in ordine all’esercizio della discrezionalità valutativa, dovendo in proposito ricordarsi che il giudizio di legittimità non può trasmodare in un pratico rifacimento, ad opera dell'adito organo di giustizia, del giudizio espresso dalla Commissione, con conseguente sostituzione alla stessa, potendo l'apprezzamento tecnico della Commissione essere sindacabile soltanto ove risulti macroscopicamente viziato da illogicità, irragionevolezza o arbitrarietà.

Come più volte affermato in giurisprudenza, anche della Sezione, il giudizio della Commissione, comportando una valutazione essenzialmente qualitativa della preparazione scientifica dei candidati, attiene alla sfera della discrezionalità tecnica, censurabile – unicamente sul piano della legittimità – per evidente superficialità, incompletezza, incongruenza, manifesta disparità, laddove tali profili risultino emergenti dalla stessa documentazione e siano tali da configurare un palese eccesso di potere, senza che, con ciò, il giudice possa o debba entrare nel merito della valutazione (ex multis, Cons. Stato, sez. IV, 17 gennaio 2006 n. 172).

Pur in presenza del superamento dell’equazione concettuale tra discrezionalità tecnica e merito – quest’ultimo riservato all'Amministrazione nella determinazione del regolamento di interessi più opportuno, e dunque insindacabile - nondimeno il limite del controllo giurisdizionale è dato dal fatto che l'applicazione della norma tecnica non sempre si traduce in una legge scientifica universale, caratterizzata dal requisito della certezza: ed anzi, quando contiene concetti giuridici indeterminati, dà luogo ad apprezzamenti tecnici ad elevato grado di opinabilità (si confronti, in proposito, la sentenza 25 giugno 2004 n. 6209 di questa Sezione).

Deve, pertanto, ritenersi infondata una censura che miri unicamente a proporre una diversa valutazione dell’elaborato, atteso che in tal modo verrebbe a giustapporsi alla valutazione di legittimità dell'operato della Commissione una – preclusa – cognizione del merito della questione.

In altri termini, se, per un verso, non è ammissibile un rifacimento, da parte del Tribunale, del giudizio della Commissione in sostituzione di questa, in quanto non consentito alla luce degli evidenziati limiti del sindacato del giudice amministrativo, va altresì evidenziato che in sede di valutazione degli elaborati svolti in una procedura concorsuale, ciò che assume rilievo non è solamente la esattezza delle soluzioni giuridiche prescelte e la preparazione, ma anche la modalità espositiva, la capacità argomentativa e quell’insieme di qualità intellettive che l’esercizio di una professione altamente specializzata richiede.

Fermi i suesposti limiti del sindacato giurisdizionale, va rilevato come le censure ricorsuali non prospettino alcun vizio della funzione valutativa avente i ricordati caratteri di macroscopicità ed immediata evidenza, risolvendosi esse in mere asserzioni di natura soggettiva in ordine alla meritevolezza dell’elaborato.

Va in proposito ricordato che non possono trovare ingresso, nell’ambito del consentito sindacato di legittimità, censure volte a proporre diversi giudizi di valore della prova, attenendo esse a profili inerenti il merito dell’attività valutativa, che è rimesso esclusivamente alla Commissione ed è sottratto alla giurisdizione del giudice amministrativo, il quale non può giustapporre alla valutazione della Commissione una - preclusa – cognizione del merito della questione, implicando, l'indagine proposta, un completo rifacimento, da parte del Tribunale, del giudizio della Commissione in sostituzione di questa, precluso alla luce degli evidenziati limiti del sindacato del giudice amministrativo.

Come costantemente affermato dalla giurisprudenza, anche della Sezione, la sindacabilità del giudizio espresso dalla Commissione di concorso transita esclusivamente attraverso il riscontro di tipologie inficianti rilevanti sub specie della macroscopica ed evidente illogicità, irragionevolezza, arbitrarietà o, ancora, della manifesta disparità di trattamento o del travisamento del fatto.

Pur nel ribadire che, all’interno del controllo giurisdizionale sull'esercizio del potere che ha quale presupposto la valutazione di un fatto, in base a conoscenze scientifiche, nella fattispecie derivanti dalla scienza giuridica, la cognizione del giudice amministrativo è comunque piena e non solo estrinseca e che essa, conseguentemente, investe non solo le modalità del procedimento valutativo ma anche l'attendibilità del giudizio espresso dall'organo amministrativo, va nondimeno dato atto che il limite oggettivo di tale apprezzamento è determinato dall'opinabilità e relatività di ogni valutazione scientifica e dall'impossibilità per il giudice di sostituirsi all'Amministrazione, in quanto il potere di valutazione è stato attribuito dall'ordinamento all'Amministrazione stessa e non si verte in tema di giurisdizione di merito (si confrontino, nell’ambito delle numerose pronunce rese dal giudizi d’appello con carattere puntualmente confermativo dell’orientamento della Sezione sopra esposto: Consiglio di Stato, Sez. IV, 27 novembre 2008 n. 5862;
30 settembre 2008 n. 4724;
11 aprile 2007 n. 1463;
22 marzo 2007 n. 1390).

Non risulta, inoltre, utilmente invocabile, il raffronto con gli elaborati di candidati giudicati idonei, dovendo in proposito ricordarsi che il vizio di disparità di trattamento postula l’identità o la totale assimilabilità delle situazioni di base poste a raffronto (ex plurimis: Consiglio di Stato – Sez. IV – 12 febbraio 2010 n. 805;
2007 n. 1390) e dovendo affermarsi l’irrilevanza, in genere, per un candidato, del giudizio reso in favore di altro concorrente.

Con riguardo all’ulteriore doglianza volta a denunciare l’illegittimità della gravata valutazione di non idoneità in quanto adottata da una Sottocommissione di cui due componenti su tre sono stati nominati successivamente alla fissazione dei criteri ed alla seduta plenaria di correzione prevista dall’art. 5 del D.Lgs. n. 160 del 2006, risultando così asseritamente pregiudicata l’uniformità e l’omogeneità di valutazione che la norma ha inteso assicurare, ne ritiene il Collegio l’infondatezza.

Al riguardo, giova ricordare che il comma 3 dell’art. 5 del D.Lgs. n. 160 del 2006 stabilisce che “nella seduta di cui al sesto comma dell’articolo 8 del regio decreto 15 ottobre 1925, n. 1860, e successive modificazioni, la commissione definisce i criteri per la valutazione omogenea degli elaborati scritti;
i criteri per la valutazione delle prove orali sono definiti prima dell’inizio delle stesse. Alle sedute per la definizione dei suddetti criteri devono partecipare tutti i componenti della commissione, salvi i casi di forza maggiore e legittimo impedimento, la cui valutazione è rimessa al Consiglio superiore della magistratura. In caso di mancata partecipazione, senza adeguata giustificazione, a una di tali sedute o comunque a due sedute di seguito, il Consiglio superiore può deliberare la revoca del componente e la sua sostituzione con le modalità previste dal comma 1”.

Deve pertanto escludersi che la Commissione esaminatrice, allorquando è chiamata alla fissazione dei criteri di valutazione, operi come collegio perfetto, atteso che l’assenza di taluno dei componenti della Commissione, lungi dal riverberare valenza inficiante sui relativi atti, può – al più – indurre l’adozione di provvedimenti “sanzionatori” da parte del C.S.M., sostanziati dalla revoca della nomina a componente dell’organismo concorsuale.

L’assenza del carattere di collegio perfetto e la possibilità di funzionamento delle commissioni di esame attraverso supplenti non consente, quindi, di annettere alla circostanza dedotta da parte ricorrente valenza inficiante del giudizio di non idoneità, non essendo peraltro stati compiutamente allegati i solo affermati profili di non omogeneità delle valutazioni.

In conclusione, la delibata infondatezza delle censure proposte conduce al rigetto del ricorso.

Sussistono, peraltro, giusti motivi per compensare tra le parti le spese del giudizio.

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