TAR Roma, sez. 3T, sentenza 2011-03-15, n. 201102352

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. 3T, sentenza 2011-03-15, n. 201102352
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 201102352
Data del deposito : 15 marzo 2011
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 05988/1998 REG.RIC.

N. 02352/2011 REG.PROV.COLL.

N. 05988/1998 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Terza Ter)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 5988 del 1998, proposto da:
T G, rappresentato e difeso dagli avv.ti L C e D V, con domicilio eletto presso D V in Roma, via G. Ferrari, 11;

contro

Ministero dei Trasporti e della Navigazione, in persona del Ministro p.t., rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui Uffici è domiciliato per legge in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per l'annullamento

del decreto del 28.11.1997 notificato in data 4.3.1998, con il quale il Ministero dei Trasporti e della Navigazione rigettava il ricorso gerarchico avverso il provvedimento n. 2594/96 del 21.1.1997 dell’Ufficio di Disciplina, con il quale veniva disposta la sospensione dal servizio dell’addetto alle lavorazioni T G, in servizio presso l’Ufficio Provinciale M.C.T.C. di Pordenone fino alla conclusione del procedimento penale e dell’eventuale procedimento disciplinare con la corresponsione di una indennità pari al 50% della retribuzione fissa mensile;

di ogni altro atto ad esso connesso, presupposto o conseguente.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 24 febbraio 2011 il I ref. R P;

uditi l’avv. Valenza per il ricorrente e, ai preliminari, l’avv. dello Stato Urbani Neri per l’Amministrazione statale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Il sig. T G impugna, previa sospensiva dell’esecuzione, il decreto del 28/11/1997 del Ministero dei Trasporti, col quale veniva rigettato il ricorso gerarchico proposto avverso il provvedimento dell’Ufficio Disciplina, con il quale era disposta nei suoi confronti la sospensione cautelare facoltativa dal servizio fino alla conclusione del procedimento penale e dell’eventuale procedimento disciplinare, con la corresponsione di una indennità pari al 50% della retribuzione fissa mensile, nonché ogni altro atto connesso presupposto o conseguente.

Il ricorrente, addetto alle lavorazioni in servizio presso l’Ufficio Provinciale M.C.T.C. di Pordenone, era stato rinviato a giudizio del GIP di Pordenone in data 18.11.1996 per il reato di abuso d’ufficio aggravato, commesso nell’esercizio dei propri compiti di istituto afferenti al rilascio delle autorizzazioni per il trasporto di merci in conto terzi.

Questi i motivi dedotti con il gravame:

1) Violazione di legge per omesso avviso di inizio del procedimento di sospensione cautelare (art. 7, legge n. 241/90);

2) violazione di legge per carenza di motivazione (art. 3, legge n. 241/90);

3) violazione di legge (art. 27 C.C.N.L.) e/o eccesso di potere per motivazione insufficiente e/o incongrua;

4) violazione di legge (artt. 24, 25 e 27 C.C.N.L.);

5) incompetenza relativa ed eccesso di potere per violazione di circolare.

Si è costituita l’Amministrazione intimata per resistere al ricorso, chiedendone il rigetto perché infondato nel merito.

Con ordinanza collegiale n. 781/1998 del 4.6.1998 la Sezione ha respinto la domanda incidentale di sospensione dell’atto impugnato.

Alla pubblica udienza del 24 febbraio 2011 la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

Con il primo motivo di ricorso, il ricorrente lamenta l’omesso avviso di avvio del procedimento di sospensione cautelare dal servizio, con violazione dell’art. 7 della legge n. 241/90, che è diretto a salvaguardare l’esigenza di partecipazione al procedimento amministrativo dei soggetti nei confronti dei quali il provvedimento finale produrrà effetti diretti;
oltretutto, nel caso in esame non ci sarebbero state ragioni di impedimento o esigenze di celerità che non consentissero il previo avviso del diretto interessato.

La censura non ha pregio.

In relazione all’obbligo di comunicazione di avvio del procedimento amministrativo, previsto dal richiamato art. 7 della legge n. 241/90, deve ritenersi che la comunicazione sia necessaria solo quando, in relazione alle ragioni che giustificano l’adozione del provvedimento o ad altro profilo, la stessa sia idonea ad apportare una qualche utilità all’azione amministrativa affinché questa, sul piano del merito e della legittimità, riceva arricchimento dalla partecipazione del destinatario del provvedimento;
in mancanza di siffatta utilità, pertanto, l’obbligo della comunicazione viene meno (cfr. Cons. Stato, V, 19.3.1996, n. 283). E infatti, osserva il Collegio che, ove si verta in ipotesi di instaurazione di un procedimento disciplinare, al dipendente interessato deve essere data comunicazione dell’avvio del procedimento per consentire allo stesso, non solo di conoscere i relativi atti, ma altresì di svolgere adeguatamente le proprie difese (Cons. Stato, IV, 3.2.2006, n. 456).

Nel caso di specie, invece, dove l’instaurazione del procedimento era finalizzata all’adozione di un provvedimento di natura cautelare, consistente nella sospensione del dipendente dal servizio perché rinviato a giudizio per fatti riconducibili alla previsione di cui all’art. 27, comma 2, del C.C.N.L., la partecipazione dell’interessato al procedimento de quo non avrebbe potuto comunque apportare alcun elemento nuovo, posto che l’avvio del procedimento derivava dal fatto, oggettivo e incontrovertibile, dell’essere stato il ricorrente assoggettato ad un procedimento penale per un determinato titolo di reato, con la conseguente necessità , una volta verificata la ricorrenza dell’ipotesi di cui al citato art. 27, di emanare il provvedimento cautelare di sospensione impugnato.

D’altro canto, occorre pure considerare che nel caso in esame le esigenze di celerità e tempestività con cui occorreva allontanare il ricorrente dal posto di lavoro, in relazione all’accusa di reati attinenti ai compiti di istituto, imponeva di intervenire con urgenza, dispensando l’Amministrazione dal procedere alla previa comunicazione dell’avvio del procedimento di sospensione, secondo quanto ritenuto in fattispecie analoghe dalla giurisprudenza (Tar Campania, Napoli, V, 14.12.1995, n. 376).

Con il secondo e il terzo motivo di doglianza, il T lamenta la carenza di motivazione del provvedimento, sia in relazione all’art. 3 della legge n. 241/90, sia rispetto all’art. 27 C.C.N.L.. Secondo parte ricorrente, infatti, il provvedimento di sospensione facoltativa dal servizio per la pendenza di un giudizio penale sul dipendente dovrebbe tener conto della gravità del reato, anche sotto l’aspetto della perpetrazione in occasione della prestazione del servizio e del concreto turbamento che la permanenza in servizio dell’impiegato possa determinare sull’attività e nei riflessi della Pubblica amministrazione, e conseguentemente motivare in ordine all’effettivo pregiudizio che l’impiegato in servizio possa arrecare all’Amministrazione in ragione del reato addebitatogli;
in secondo luogo, trattandosi di sospensione dal servizio facoltativa e non obbligatoria, l’obbligo di motivazione sarebbe ancora più stringente laddove, nella specie, sulla base del reato contestato al T, si sarebbe dato “per scontato un ‘comportamento’ del ricorrente tutto invece da esaminare”. In particolare, essendo stato ipotizzato, a carico del predetto dipendente, il reato di abuso d’ufficio, viene dedotto in contrario che il ricorrente era semplicemente addetto alle lavorazioni con compiti meramente d’ordine e che, per di più, la semplice lettura degli atti processuali farebbe emergere l’estraneità dell’interessato agli episodi contestati anche ad altri soggetti.

Le doglianze non sono meritevoli di favorevole apprezzamento.

Va infatti considerato che la sospensione facoltativa dal servizio è una misura cautelare che viene discrezionalmente irrogata per evitare che il dipendente sottoposto a procedimento penale “per fatti direttamente attinenti al rapporto di lavoro”, come l’art. 27 del C.C.N.L. testualmente recita, permanga in servizio e, in tal modo, pregiudichi la regolarità dello svolgimento di questo, nuocendo al prestigio dell’ufficio (Cons. Stato, IV, 19.2.1988, n. 88).

Sotto questo profilo, il provvedimento risulta chiaramente e sufficientemente motivato, dal momento che, in esso, si prende atto dell’esistenza di un decreto giudiziale che dispone il giudizio nei confronti del ricorrente per un reato (abuso d’ufficio aggravato) attinente ai compiti d’istituto, in quanto relativo ad una autorizzazione al trasporto merci per conto terzi;
si considera l’esigenza cautelare, che il suddetto reato comporta, dell’ “allontanamento del citato dipendente dalle attività a contatto con l’utenza;
.. considerato che il comportamento tenuto dallo stesso lede l’immagine e il prestigio dell’Amministrazione”;
infine si considera “che la fattispecie sopra esposta rientra nelle previsioni di cui all’art. 27, comma 2, del C.C.N.L. citato”.

D’altra parte, come affermato in giurisprudenza, la sospensione cautelare dal servizio non richiede la certezza della esistenza dei fatti contestati e del grado di imputabilità di essi al dipendente, essendo al riguardo sufficiente una sommaria cognizione dei fatti (Cons. Stato, Sez.V, 17 dicembre 1990, n. 887), posto che la ratio della sospensione cautelare è ravvisabile nell’interesse pubblico ad evitare il pregiudizio per la regolarità del servizio e per il prestigio dell’Amministrazione che deriverebbe dalla permanenza in servizio di quei soggetti ai quali sono attribuiti i fatti di reato (Cons. Stato, Sez. VI, 23 giugno 1995, n. 617).

Con il quarto motivo il ricorrente, in relazione agli artt. 24, 25 e 27 del CCNL, denuncia la mancata contestazione degli addebiti nel prescritto termine di 20 giorni dalla comunicazione di rinvio a giudizio, con conseguente decadenza dell’Amministrazione dalla facoltà di avviare il procedimento disciplinare;
l’odierna intimata, infatti, sarebbe venuta a conoscenza del procedimento penale già nel corso del 1996, mentre il provvedimento di sospensione gravato, non recante peraltro alcuna contestazione di addebito, sarebbe stato adottato solo in data 21 gennaio1997 e notificato il successivo 27 febbraio.

In aggiunta a ciò, si contesta la stessa applicabilità al ricorrente delle norme sanzionatorie in quanto il codice disciplinare sarebbe stato affisso all’interno del luogo di lavoro solo in epoca successiva alla notizia di avvio del procedimento penale e all’instaurazione del procedimento disciplinare a carico del T: ne deriverebbe l’inapplicabilità delle norme sanzionatorie in esso previste, poiché a norma dell’art. 25 dello stesso codice, l’affissione nel luogo di lavoro costituirebbe condizione necessaria per l’applicabilità delle sanzioni in esso contemplate.

Le censure, ove pure ritenute pertinenti, non meritano adesione.

Non sussiste in capo alla p.a. alcun obbligo di contestazione degli addebiti in corso di procedimento penale, onde per formulare le contestazioni non sono stabiliti termini, né perentori né ordinatori, essendo piuttosto i termini riferiti e computati in relazione alla conoscenza della sentenza di condanna.

Nel caso di specie, poi, occorre considerare che ciò che viene in contestazione è la corretta applicazione, da parte dell’intimato Ministero, della misura cautelare della sospensione facoltativa, ai sensi dell’art. 27 del CCNL, e non già la corretta contestazione di un fatto di reato asseritamente imputabile al dipendente ovvero la corretta instaurazione dell’eventuale connesso procedimento disciplinare.

Infine, in merito alla pubblicità del codice disciplinare presso i locali dell’Ufficio, la relativa censura è da disattendere in quanto l’affissione del codice non può esser condizione per l’applicazione di una misura avente natura cautelare e che non è nello stesso prevista.

Nessun pregio infine va riconosciuto all’ultima censura, con la quale si lamentano il vizio di incompetenza relativa e l’eccesso di potere per violazione di circolare, in quanto il provvedimento di sospensione dal servizio sarebbe stato adottato dal Responsabile dell’Ufficio Disciplina, disattendendo la circolare ministeriale n. 225/66 del 23/11/1993 che indicava quale organo competente ad adottarlo il Direttore Generale Capo del Personale.

E invero, è agevole osservare che la circolare invocata dal ricorrente veniva successivamente superata dall’adozione delle norme di esecuzione del decreto legislativo n. 29/1993, intervenuta il 16 maggio 1995, e quindi prima dell’adozione dell’atto gravato, che prevedevano la creazione di un Ufficio Disciplina, il cui responsabile veniva anche incaricato della firma dei relativi atti, e pertanto anche l’ultimo motivo di ricorso è destituito di giuridico fondamento.

Per le considerazioni che precedono, il ricorso è del tutto infondato e pertanto deve essere respinto.

Sussistono comunque giusti motivi per disporre la compensazione tra le parti delle spese del presente giudizio.

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