TAR Palermo, sez. I, sentenza 2024-02-09, n. 202400491

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Palermo, sez. I, sentenza 2024-02-09, n. 202400491
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Palermo
Numero : 202400491
Data del deposito : 9 febbraio 2024
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 09/02/2024

N. 00491/2024 REG.PROV.COLL.

N. 02073/2020 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2073 del 2020, proposto da -OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avvocati -OMISSIS- P e M L P, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Ministero dell'Interno, Prefettura di Trapani, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore , rappresentati e difesi dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Palermo, domiciliataria ex lege in Palermo, via Mariano Stabile, n.184;

per l'annullamento

del provvedimento n. 2642/ Area 1/ Antimafia del 08/09/2020, comunicato via PEC, in data 14.09.2020, nonchè della nota dell’Autorità Nazionale Anticorruzione emessa in data 8.10.2020 e degli atti presupposti e conseguenti.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno e della Prefettura di Trapani;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 6 febbraio 2024 il dott. L G e uditi per le parti i difensori presenticome specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Con ricorso ritualmente proposto, il sig. -OMISSIS-, in proprio e nella qualità di amministratore unico della -OMISSIS- &
C., ha chiesto l’annullamento del provvedimento n. 2642/ Area 1/ Antimafia dell’8 settembre 2020, della Prefettura di Trapani e della nota emessa dalla Autorità Nazionale Anticorruzione a mezzo della quale è stato comunicato al ricorrente che la predetta nota interdittiva è stata iscritta nel casellario informatico ai sensi dell’art. 213 del d.lgs. 50 del 18 aprile 2016.

In fatto il ricorrente deduce che, con il provvedimento prefettizio gravato, la Prefettura richiama una precedente comunicazione interdittiva avente n. 56943 adottata dallo stesso Ufficio, in data 19 agosto 2019, nei confronti di -OMISSIS- (cl. 67), già socio di maggioranza della -OMISSIS- s.r.l., condannato con sentenza emessa dalla Corte di Appello di Palermo, in data 19 marzo 1994 (irrevocabile il 27 marzo 1995) alla pena di mesi 4 di reclusione per il reato di associazione di tipo mafioso e, con decreto n. 109/94 RMP emesso dal Tribunale di Trapani in data 14 aprile 1998, sottoposto alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale, con obbligo di soggiorno nel comune di residenza per la durata di anni 2 e mesi 6 (misura successivamente confermata dalla Corte di Appello di Palermo il 26 gennaio 1999).

Lo stesso Ufficio aggiunge poi che, dalla lettura della visura camerale storica della società, risulta che il predetto -OMISSIS-, in data 30 agosto 2019, aveva ceduto le quote societarie a-OMISSIS- -OMISSIS-, attuale socio di maggioranza ed amministratore unico della ditta in trattazione, nei confronti del quale veniva avviata una nuova istruttoria all’esito della quale sarebbero risultate esistenti situazioni tali da giustificare l’emissione dell’impugnato provvedimento.

Il ricorso è assistito da tre censure così rubricate:

I - Violazione degli artt. 84, 85, commi 2 e 3, e 91 del d. lgs. n. 159 del 2011;
eccesso di potere per carenza e travisamento dei presupposti;
violazione dell’art. 3 della l. n. 241 del 1990;

II - Difetto dei presupposti di istruttoria, motivazione apparente;
violazione e/o falsa applicazione dell’art. 91, comma 5, del D.lgs. n.159/2011;

III. Violazione e/o falsa applicazione degli art. 7 e 10 della legge 241/1990.

Con memoria del 7 gennaio 2021, il ricorrente ha anche evidenziato profili di illegittimità costituzionale e non conformità alla normativa sovranazionale di alcune disposizioni del Codice antimafia. Si dubita, in particolare, della legittimità costituzionale dell’art. 92 del D.lgs. 159/2011 per la disparità di trattamento tra i soggetti destinatari di una misura di prevenzione e quelli attinti da informazione antimafia interdittiva, che deriverebbe dal fatto che, soltanto per i primi, il comma 5 dell’art. 67 del D.lgs. 159/2011 prevede che "le decadenze e i divieti previsti dal presente articolo possono essere esclusi dal giudice nel caso in cui per effetto degli stessi verrebbero a mancare i mezzi di sostentamento all'interessato e alla famiglia".

Riesiste in giudizio la Prefettura di Trapani, per il tramite dell’Avvocatura dello Stato di Palermo che ha all’uopo depositato memoria a difesa chiedendo il rigetto del ricorso.

Con ordinanza n. -OMISSIS- del 15 gennaio 2021, questa Sezione ha respinto la richiesta di sospensione degli atti gravati “tenuto conto in particolare del chiaro disposto dell’art. 84, comma 4, lett. f) del codice antimafia valorizzato dalla Prefettura resistente nell’emissione del provvedimento gravato che appare, quantomeno prima facie, applicabile al caso di specie attese le circostanze con cui è avvenuta la cessione delle quote societarie dal -OMISSIS-, soggetto già condannato per reati di tipo mafioso, a-OMISSIS- -OMISSIS-, attuale socio di maggioranza ed amministratore unico della ditta -OMISSIS- s.r.l.”.

A seguito di appello cautelare, il CGA ha confermato il provvedimento di primo grado con ordinanza n. -OMISSIS- del 10 maggio 2021 in quanto: “la cessione all’odierno appellante delle quote societarie della s.r.l. -OMISSIS-, della quale lo stesso è oggi socio di maggioranza e amministratore unico, da parte del signor -OMISSIS- è avvenuta il 30 agosto 2019 a ridosso dell’interdittiva antimafia emessa nei confronti dello stesso il 19 agosto 2019;

- tale cessione non abnormemente è stata spiegata dall’amministrazione procedente secondo la logica del "più probabile che non", con la permeabilità mafiosa della società e il malcelato intento di dissimularla con la sostituzione negli organi sociali e nella rappresentanza legale della stessa”.

All’udienza pubblica del 6 febbraio 2024 la causa è stata posta in decisione.

DIRITTO

1. Viene in decisione il ricorso promosso dall’odierno istante – titolare della ditta -OMISSIS- &
C., con sede in -OMISSIS- – avverso l’informativa antimafia interdittiva n. 2642/ Area 1/ Antimafia del dell’8 settembre 2020, adottata dalla Prefettura di Trapani.

2. A conferma di quanto già delibato in sede cautelare, il ricorso deve essere respinto poiché infondato.

3. Deve premettersi che, secondo il consolidato orientamento anche del giudice di appello, “la verifica della legittimità dell’informativa deve essere effettuata sulla base di una valutazione unitaria degli elementi e dei fatti che, visti nel loro complesso, possono costituire una ipotesi ragionevole e probabile di permeabilità della singola impresa ad ingerenze della criminalità organizzata di stampo mafioso sulla base della regola causale del “più probabile che non”, integrata da dati di comune esperienza, evincibili dall’osservazione dei fenomeni sociali (quale è quello mafioso), e che risente della estraneità al sistema delle informazioni antimafia di qualsiasi logica penalistica di certezza probatoria raggiunta al di là del ragionevole dubbio (Cons. St., sez. III, 18 aprile 2018, n. 2343).

Ai fini dell’adozione dell’interdittiva occorre, da un lato, non già provare l'intervenuta infiltrazione mafiosa, bensì soltanto la sussistenza di elementi sintomatico-presuntivi dai quali – secondo un giudizio prognostico latamente discrezionale – sia deducibile il pericolo di ingerenza da parte della criminalità organizzata;
d’altro lato, detti elementi vanno considerati in modo unitario, e non atomistico, cosicché ciascuno di essi acquisti valenza nella sua connessione con gli altri (Cons. St., sez. III, 18 aprile 2018, n. 2343).

Ciò che connota la regola probatoria del “più probabile che non” non è un diverso procedimento logico, ma la (minore) forza dimostrativa dell’inferenza logica, sicché, in definitiva, l’interprete è sempre vincolato a sviluppare un’argomentazione rigorosa sul piano metodologico, “ancorché sia sufficiente accertare che l’ipotesi intorno a quel fatto sia più probabile di tutte le altre messe insieme, ossia rappresenti il 50% + 1 di possibilità, ovvero, con formulazione più appropriata, la c.d. probabilità cruciale” (Cons. St., sez. III, 26 settembre 2017, n. 4483).

Come ribadito dalla Sezione (27 dicembre 2019, n. 8883, riprendendo un ormai consolidato orientamento del giudice di appello), l’informazione antimafia implica una valutazione discrezionale da parte dell’autorità prefettizia in ordine al pericolo di infiltrazione mafiosa, capace di condizionare le scelte e gli indirizzi dell’impresa. Tale pericolo deve essere valutato secondo un ragionamento induttivo, di tipo probabilistico, che non richiede di attingere un livello di certezza oltre ogni ragionevole dubbio, tipico dell’accertamento finalizzato ad affermare la responsabilità penale, e quindi fondato su prove, ma implica una prognosi assistita da un attendibile grado di verosimiglianza, sulla base di indizi gravi, precisi e concordanti, sì da far ritenere “più probabile che non”, appunto, il pericolo di infiltrazione mafiosa.

Ha aggiunto la Sezione (n. 8883 del 2019) che lo stesso legislatore – art. 84, comma 3, d.lgs. n. 159 del 2011 – ha riconosciuto quale elemento fondante l’informazione antimafia la sussistenza di “eventuali tentativi” di infiltrazione mafiosa “tendenti a condizionare le scelte e gli indirizzi delle società o imprese interessate”. Eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa e tendenza di questi ad influenzare la gestione dell’impresa sono nozioni che delineano una fattispecie di pericolo, propria del diritto della prevenzione, finalizzato, appunto, a prevenire un evento che, per la stessa scelta del legislatore, non necessariamente è attuale, o inveratosi, ma anche solo potenziale, purché desumibile da elementi non meramente immaginari o aleatori” (Consiglio di Stato, Sez. III, 25 novembre 2021 n. 7890). Per quanto attiene agli elementi indiziari, deve inoltre rammentarsi che i dati e i fatti valorizzati dal Prefetto devono essere valutati non atomisticamente, ma in chiave unitaria, al fine di valutare l’esistenza o meno di un pericolo di una permeabilità della struttura imprenditoriale a possibili tentativi di infiltrazione da parte della criminalità organizzata, secondo la valutazione di tipo induttivo che la norma attributiva rimette al potere cautelare dell’amministrazione;
e, d’altro canto, non è necessario che la Prefettura fornisca la “effettiva prova” del condizionamento, per quanto sopra rilevato dalla costante giurisprudenza.

E’ stato anche chiarito che “…gli elementi posti a base dell’informativa possono essere anche non penalmente rilevanti o non costituire oggetto di procedimenti penali, o possono finanche essere già stati oggetto del giudizio penale, con esito di proscioglimento o di assoluzione (cfr. Consiglio di Stato, Sez. III, n. 4693 del 15 settembre 2014), purché sia configurabile una pluralità di “indizi gravi, precisi e concordanti, oggettivamente riscontrabili, che secondo l’esperienza comune assumono un significato univoco” (Consiglio di Stato, Sez. IlI, n. 452 del 20 gennaio 2020).

6.4.- Con particolare riguardo alle fattispecie in cui assumono rilievo, ai fini prognostici, le relazioni di natura parentale, si è sottolineato che, affinché le stesse possano assumere significato ai fini interdittivi, occorre che emerga un intreccio di interessi economici e familiari dai quali sia possibile desumere la sussistenza dell’oggettivo pericolo che rapporti di collaborazione intercorsi a vario titolo tra soggetti inseriti nello stesso contesto familiare costituiscano strumenti volti a diluire e mascherare l’infiltrazione mafiosa (Consiglio di Stato, Sez. III, n. 2855 del 2 maggio 2019).

La Prefettura, quindi, può dare rilievo ai rapporti di parentela tra titolari, soci, amministratori, direttori generali dell’impresa e soggetti affiliati, organici, contigui alle associazioni mafiose, laddove tali rapporti, per la loro natura, intensità o per altre caratteristiche concrete, lascino ritenere, in virtù della logica del “più probabile che non”, che le decisioni inerenti alla sua gestione possano essere influenzate, anche indirettamente, dalla mafia mediante il contatto col congiunto.

6.5.- Si è infatti affermato che nei contesti sociali, in cui attecchisce il fenomeno mafioso, all’interno della famiglia si può verificare una “influenza reciproca” di comportamenti e possono sorgere legami di cointeressenza, di solidarietà, di copertura o quanto meno di soggezione o di tolleranza: una tale influenza può essere desunta non dalla considerazione (che sarebbe in sé errata e in contrasto con i principi costituzionali) che il parente di un mafioso sia anch’egli mafioso, ma per la doverosa considerazione, per converso, che la complessa organizzazione della mafia ha una struttura clanica, si fonda e si articola, a livello particellare, sul nucleo fondante della ‘famiglia', sicché in una ‘famiglia' mafiosa anche il soggetto che non sia attinto da pregiudizio mafioso può subire, nolente, l’influenza del ‘capofamiglia’ e dell’associazione mafiosa…” (cfr. Consiglio di Stato, Sez. III, 23 dicembre 2022, n. 11265).

4. Applicando i su esposti principi al caso di specie, con riferimento al complessivo quadro indiziario, dall’istruttoria poi trasfusa nell’informativa è emerso che:

- la -OMISSIS- &
C. è stata già attinta da una precedente comunicazione antimafia di contenuto interdittivo, n. 56493 adottata il 19 agosto 2019, nella quale è stato evidenziato che -OMISSIS- (cl. 67), già socio di maggioranza, è stato condannato con sentenza emessa dalla Corte di Appello di Palermo, in data 19 marzo 1994 (irrevocabile il 27 marzo 1995), alla pena di anni 4 di reclusione per il reato di associazione di tipo mafioso e che, con decreto n. 104/94 R.M.P. emesso dal Tribunale di Trapani in data 14.4.1998 è stato sottoposto alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale, con obbligo di soggiorno nel comune di residenza per la durata di anni 2 e mesi 6, successivamente confermata dalla Corte di Appello di Palermo il 26. Gennaio 1999;

- dalla visura camerale storica, risulta che il predetto -OMISSIS- ha ceduto le quote societarie a -OMISSIS- -OMISSIS- in data 30 agosto 2019, quindi, in data immediatamente successiva all’emissione del primo provvedimento interdittivo della Prefettura. Tale circostanza, come già evidenziato in sede cautelare, rientra a pieno titolo nella fattispecie di cui all’art. 84, comma 4, lett. f) e art. 91, comma 5, del D.lgs. n. 159/2011, che prevede tra le situazioni relative ai tentativi di infiltrazione maliosa che danno luogo all’adozione dell’interdittiva antimafia “le sostituzioni negli organi sociali, nella rappresentanza legale della società nonché nella titolarità delle imprese individuali ovvero delle quote societarie effettuate ...con modalità che, per i tempi in cui vengono realizzati [...] denotino l’intento di eludere la normativa sulla documentazione antimafia” ;

- il socio di minoranza della società è stata avvistata in compagnia di persone controindicate. Infatti, -OMISSIS-, nipote acquisita di -OMISSIS- -OMISSIS-, è stata controllata: a) in data 26 febbraio 2017 in compagnia di -OMISSIS- (cl. 86), nipote del noto latitante mafioso -OMISSIS- -OMISSIS-;
b) in data 6 novembre 2016, in compagnia di -OMISSIS- (cl.84), anch’esso nipote del predetto -OMISSIS- -OMISSIS- e il 20 marzo 2014 con -OMISSIS- (cl.90), condannato in data 27 settembre 2016 ai sensi dell’art. 416-ter per il reato di voto scambio politico-mafioso. Tali frequentazioni rientrano nel novero dell’art. 91, comma 5, del D.lgs. n. 159/2011 il quale prevede che “il Prefetto competente estende gli accertamenti pure ai soggetti che risultino poter determinare in qualsiasi modo gli indirizzi dell’impresa”.

Ne consegue che il giudizio prognostico si basa sulla valutazione complessiva di plurimi elementi concreti, che giustificano la valutazione di permeabilità mafiosa, con conseguente assenza del denunciato eccesso di potere per carenza e travisamento dei fatti, nonché del difetto di motivazione.

Infatti, come condivisibilmente osservato dalla Difesa erariale, l’inserimento di -OMISSIS- -OMISSIS-, persona incensurata, nella società potrebbe essere stata finalizzata a mimetizzare situazioni e circostanze di fatto (rapporti di parentela, situazioni di controllo di fatto da parte di soggetti contigui alle associazioni criminali) idonee a giustificare l’adozione di informazioni interdittive.

5. Anche il terzo motivo non può essere accolto.

Il ricorrente si duole della mancata comunicazione di avvio del procedimento volto all’adozione dell’interdittiva: tale prospettazione non convince, alla luce del quadro normativo vigente al momento dell’adozione del provvedimento.

Sul punto, va richiamato il consolidato orientamento della giurisprudenza anche di questo TAR, riferito alla normativa antimafia nella versione antecedente alle modifiche apportate dall’art. 48 del d.l. n. 152/2021 (conv. dalla l. n. 233/2021) – vigente ratione temporis – secondo cui “…l’Amministrazione è esonerata dall’obbligo di comunicazione, di cui all’art. 7 della l. 7 agosto 1990, n. 241, nonché dalle altre garanzie partecipative, relativamente all’informativa antimafia, «atteso che si tratta di procedimento in materia di tutela antimafia, come tale intrinsecamente caratterizzato da profili del tutto specifici connessi ad attività di indagine, oltre che da finalità, da destinatari e da presupposti incompatibili con le procedure partecipative, nonché da oggettive e intrinseche ragioni di urgenza» (v., ex plurimis, Cons. St., sez. III, 28 ottobre 2016, n. 4555). Si è costantemente affermato, dunque, che, ai fini dell’adozione dell’interdittiva antimafia, non occorre la comunicazione di avvio del procedimento, previsto dall’art. 7 della L. n. 241 ovvero il preavviso di rigetto, previsto dall’art. 10 - bis della stessa legge, poiché i procedimenti in materia di tutela antimafia sono tipicamente connessi ad attività di indagine giudiziaria e caratterizzati da ragioni di urgenza e da finalità, destinatari e presupposti incompatibili con le ordinarie procedure partecipative. Questo Consiglio di Stato, nelle sentenze n. 820 del 31 gennaio 2020 e n. 2854 del 26 maggio 2020, ha affermato che - ferma rimanendo ogni competenza della Corte di Giustizia UE sulla compatibilità della normativa italiana con il diritto eurounitario (che peraltro è stato esaminato nel modo sopra riportato) - il procedimento finalizzato all’emissione dell’informazione antimafia non sconta una totale assenza di contraddittorio, nel nostro ordinamento, ma conosce una interlocuzione solo eventuale, prevista dall’art. 93, comma 7, d.lgs. n. 159 del 2011, secondo cui il Prefetto competente al rilascio dell’informazione, ove lo ritenga utile, sulla base della documentazione e delle informazioni acquisite, invita in sede di audizione personale i soggetti interessati a produrre, anche allegando elementi documentali, ogni informazione utile. In particolare, la Sezione, con sentenza del 31 gennaio 2020, n. 820, ha ritenuto che l’assenza di una necessaria interlocuzione procedimentale in questa materia non costituisca un vulnus al principio di buona amministrazione, perché, come sopra ricordato, la discovery anticipata, già in sede procedimentale, di elementi o notizie contenuti in atti di indagine coperti da segreto investigativo o in informative riservate delle forze di polizia, spesso connessi ad inchieste della magistratura inquirente contro la criminalità organizzata di stampo mafioso e agli atti delle indagini preliminari, potrebbe frustrare la finalità preventiva perseguita dalla legislazione antimafia, che ha l’obiettivo di prevenire il tentativo di infiltrazione da parte delle organizzazioni criminali, la cui capacità di penetrazione nell’economia legale ha assunto forme e “travestimenti” sempre più insidiosi. Ed ancora, la delicatezza della ponderazione intesa a contrastare in via preventiva la minaccia insidiosa ed esiziale delle organizzazioni mafiose, richiesta all’autorità amministrativa, può comportare anche un’attenuazione, se non una eliminazione, del contraddittorio procedimentale, che del resto non è un valore assoluto, come - si è detto - ha pure chiarito la Corte di Giustizia UE nella sua giurisprudenza (cfr. Corte cost., sent. n. 309 del 1990 e sent. n. 71 del 2015), o slegato dal doveroso contemperamento di esso con interessi di pari se non superiore rango costituzionale, né un bene in sé, o un fine supremo e ad ogni costo irrinunciabile, ma è un principio strumentale al buon andamento della pubblica amministrazione (art. 97 Cost.) e, in ultima analisi, al principio di legalità sostanziale (art. 3, comma secondo, Cost.), vero e più profondo fondamento del moderno diritto amministrativo (Cons. St., sez. III, 9 febbraio 2017, n. 565) (cfr. Consiglio di Stato, Sez. III, 27 ottobre 2021 n. 7180;
nello stesso senso, C.G.A. 11 marzo 2021, n. 203;
T.A.R. Piemonte, Sez. I, 15 marzo 2021, n. 268)”
(cfr. T.A.R. Sicilia, Sez. I, 12 gennaio 2024, n. 119).

Dai su esposti principi consolidatisi in base al quadro normativo previgente, deriva l’infondatezza della censura.

6. In ultimo, per quanto riguarda l’istanza di rimessione alla Corte Costituzionale della questione di legittimità costituzionale dell’art. 92 del d.lgs. 159/2011 per la disparità di trattamento tra i soggetti destinatari di una misura di prevenzione e quelli attinti da informazione antimafia interdittiva, a prescindere dalla lacunosità della stessa in quanto non supportata da idonee argomentazioni, il Collegio osserva che su analoghe richieste si è già espressa la Consulta in due occasioni, dichiarandole inammissibili ritenendo in definitiva che “non può essere una pronuncia di questa Corte, allo stato, a farsi carico […] di sanare l’accertato vulnus al principio di uguaglianza ”, stante che “la necessità di accordare tutela alle esigenze di sostentamento dei soggetti che subiscono, insieme alle loro famiglie, a causa delle inibizioni all’attività economica, gli effetti dell’informazione interdittiva…” merita una rimeditazione da parte del legislatore che “tuttavia, non risulta finora avvenuta”. Si rinvia, pertanto, a quanto delibato dalla Corte Costituzionale con le sentenze nn. 180 del 19 luglio 2022 e n. 212 del 17 ottobre 2022 per una completa disamina delle argomentazioni ivi svolte.

7. Conclusivamente, per tutto quanto esposto e rilevato, il ricorso, in quanto infondato, deve essere rigettato, con salvezza dei provvedimenti impugnati.

Le spese di giudizio, ai sensi degli articoli 26 cod. proc. amm. e 91 cod. proc. civ., seguono la soccombenza e si liquidano nella misura quantificata in dispositivo.

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