Trib. Vasto, sentenza 21/03/2024, n. 123
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Testo completo
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE DI VASTO
Il Giudice del Lavoro, Dott. A D, dato atto della trattazione della presente controversia in data 20.03.2024 ai sensi dell'art. 127 ter c.p.c., ha emesso la seguente
SENTENZA
nella controversia individuale di lavoro recante n.R.G. 36/2024
TRA
(C.F. ), rappresentata e Parte_1 C.F._1
difesa dall'Avv. F O (C.F.: C.F._2
ricorrente
CONTRO
[...]
Controparte_1
, in
[...]
persona del Ministro e dei legali rappresentanti p.t., rappresentati e difesi, ai sensi dell'art. 417-bis c.p.c., dal Dott. P T
resistenti
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con ricorso depositato in data 22.01.2024, la parte ricorrente in epigrafe indicata, dopo aver premesso di essere collaboratrice scolastica attualmente in servizio con contratto a tempo indeterminato presso l' di Vasto, nonché di Controparte_2
aver presentato, al tempo dell'immissione in ruolo, dichiarazione dei servizi preruolo resi, chiedendone il riconoscimento, cui conseguiva decreto di ricostruzione di carriera emesso dall'amministrazione convenuta con il quale le venivano riconosciuti anni 5 e giorni 10 per il servizio preruolo prestato, ha domandato accertarsi
l'illegittimità di tale parziale riconoscimento, in luogo della maggiore anzianità di anni 5, mesi 7 e giorni 11 cui ritiene di aver diritto, con conseguente condanna dell'amministrazione resistente al riconoscimento integralmente di detto servizio ed al pagamento delle differenze retributive così maturate. Ha rassegnato, quindi, le seguenti conclusioni: “Accertata e dichiarata l'illegittimità del parziale riconoscimento dell'effettiva anzianità di servizio, condannare il
[...]
a riconoscere integralmente detto servizio, nonché al Controparte_1
pagamento delle differenze retributive così determinate, nell'ambito della prescrizione quinquennale, oltre alla maggior somma tra interessi legali e rivalutazione monetaria dalle singole scadenze al soddisfo”. Il tutto, con vittoria di spese di lite, con distrazione.
Costituitosi in giudizio, il resistente, previa eccezione di prescrizione CP_1
dell'invocato diritto, ha domandato il rigetto del ricorso, in quanto infondato in fatto e in diritto. Il tutto, con vittoria di spese di lite.
Il ricorso è fondato e, in quanto tale, merita accoglimento, per i motivi di seguito esposti.
Deve premettersi che nel presente giudizio non sono controversi, in quanto documentati e non contestati (cfr. doc. n. 1 fascicolo di parte ricorrente), il rapporto
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di lavoro a tempo indeterminato intercorrente tra le parti dal 01.09.2019, data di immissione in ruolo del ricorrente, la qualifica di collaboratore amministrativo Organ appartenente al personale del ricorrente, nonché la successione dei contratti a tempo determinato della parte ricorrente dal 13.11.2004 al 30.06.2019
Oggetto, del giudizio, dunque, è la legittimità della condotta ministeriale che non ha riconosciuto integralmente il servizio preruolo prestato dal ricorrente sino alla definitiva immissione in ruolo.
Preliminarmente, occorre dare atto dei riferimenti normativi in rilievo nel caso di specie e dell'evoluzione della giurisprudenza nazionale ed europea espressasi in merito.
L'art. 526, comma 1, D.Lgs. n. 297/1994 prevede che: “Al personale docente ed educativo non di ruolo spetta il trattamento economico iniziale previsto per il corrispondente personale docente di ruolo”.
L'art. 485, paragrafo 1, D.Lgs. n. 297/1994 prevede che “Al personale docente delle scuole di istruzione secondaria ed artistica, il servizio prestato presso le predette scuole statali e pareggiate, comprese quelle all'estero, in qualità di docente non di ruolo, è riconosciuto come servizio di ruolo, ai fini giuridici ed economici, per intero per i primi quattro anni e per i due terzi del periodo eventualmente eccedente, nonché ai soli fini economici per il rimanente terzo. I diritti economici derivanti da detto riconoscimento sono conservati e valutati in tutte le classi di stipendio successive a quella attribuita al momento del riconoscimento medesimo”.
La clausola 4 dell'Accordo Quadro sul lavoro a tempo determinato del 18.3.1999, attuato dalla Direttiva 1999/70/CE del 28.6.1999, al punto 1 prevede che: “Per quanto riguarda le condizioni di impiego, i lavoratori a tempo determinato non possono essere trattati in modo meno favorevole dei lavoratori a tempo indeterminato comparabili per il solo fatto di avere un contratto o rapporto di lavoro
Pag. 3 di 18 a tempo determinato, a meno che non sussistano ragioni oggettive”; il punto 4 della citata clausola prosegue disponendo che: “I criteri del periodo di anzianità di servizio relativi a particolari condizioni di lavoro dovranno essere gli stessi sia per i lavoratori a tempo determinato sia per quelli a tempo indeterminato, eccetto quando criteri diversi in materia di periodo di anzianità siano giustificati da motivazioni oggettive”.
Chiamata a pronunciarsi sulla questione, la Corte di Giustizia dell'Unione Europea ha affermato che “La riserva di cui all'art. 137, n. 5, CE, non può impedire ad un lavoratore a tempo determinato di richiedere, in base al divieto di discriminazione, il beneficio di una condizione di impiego riservata ai soli lavoratori a tempo indeterminato, allorché proprio l'applicazione di tale principio comporta il pagamento di una differenza di retribuzione… La mera circostanza che un impiego sia qualificato come «di ruolo» in base all'ordinamento interno e presenti taluni aspetti caratterizzanti il pubblico impiego dello Stato membro interessato è priva di rile vanza sotto questo aspetto, pena rimettere seriamente in questione l'efficacia pratica della direttiva 1999/70 e quella dell'accordo quadro nonché la loro applicazione uniforme negli Stati membri, riservando a questi ultimi la possibilità di escludere, a loro discrezione, talune categorie di persone dal beneficio della tutela voluta da tali strumenti comunitari (v., per analogia, sentenze 9 settembre punti 58 e
59, nonché 5 ottobre 2004, cause riunite da C-397/01 a C-403/01, Pfeiffer e a., Racc. pag. I-8835, punto 99). In effetti, come si evince non soltanto dall'art. 249, terzo comma, CE, ma parimenti dall'art. 2, primo comma, della direttiva 1999/70, letto alla luce del suo diciassettesimo considerando', gli Stati membri infatti sono tenuti a garantire il risultato imposto dal diritto comunitario (v. sentenza Adeneler e a., citata, punto 68)… 1) La nozione di «condizioni di impiego» di cui alla clausola 4, punto 1, dell'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, concluso il 18 marzo
Pag. 4 di 18 1999, contenuto in allegato alla direttiva del Consiglio 28 giugno 1999, 1999/70/CE, relativa all'accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, dev'essere interpretata nel senso che e ssa può servire da fondamento ad una pretesa come quella in esame nella causa principale che mira ad attribuire ad un lavoratore
a tempo determinato scatti di anzianità che l'ordinamento nazionale riserva ai soli lavoratori a tempo indeterminato, 2) La clausola 4, punto 1, dell'accordo quadro dev'essere interpretata nel senso che osta all'introduzione di una disparità di trattamento tra lavoratori a tempo determinato e lavoratori a tempo indeterminato giustificata dalla mera circostanza di essere prevista da una disposizione legislativa
o regolamentare di uno Stato membro ovvero da un contratto collettivo concluso tra i rappresentanti sindacali del personale e il datore di lavoro interessato” (CGUE C-
307/05, ). Persona_1
Successivamente, il Giudice eurounitario si è nuovamente pronunciato sulla questione, affermando che “Un'indennità per anzianità di servizio … rientra nell'ambito di applicazione della clausola 4, punto 1, dell'Accordo Quadro, in quanto costituisce una condizione d'impiego, pe r cui i lavoratori a tempo determinato possono opporsi ad un trattamento che, relativamente al versamento di tale indennità, al di fuori di qualsiasi giustificazione obiettiva, sia meno favorevole di quello riservato ai lavoratori a tempo indeterminato che si trovano in una situazione comparabile. Il carattere temporaneo del rapporto di lavoro di taluni dipendenti pubblici non può costituire, di per sé, una ragione oggettiva ai sensi di tale clausola dell'Accordo Quadro” (CGUE C-444/09, e C-456/09, . Per_2 Persona_3
In coerenza con quanto statuito dalla giurisprudenza europea, la giurisprudenza di legittimità ha dapprima stabilito che “La clausola 4 dell'Accordo quadro sul rapporto
a tempo determinato recepito dalla direttiva 99/70/CE, di diretta applicazione, impone di riconoscere la anzianità di servizio maturata al personale del comparto
Pag. 5 di 18 scuola assunto con contratti a termine, ai fini della attribuzione della medesima progressione stipendiale prevista per i dipendenti a tempo indeterminato dai CCNL succedutisi nel tempo. Vanno, conseguentemente, disapplicate le disposizioni dei richiamati CCNL che, prescindendo dalla anzianità maturata, commisurano in ogni caso la retribuzione degli assunti a tempo determinato al trattamento economico iniziale previsto per i dipendenti a tempo indeterminato. L'art. 53 della legge n. 312 dell'Il luglio 1980, che prevedeva scatti biennali di anzianità per il personale non di ruolo, non è applicabile ai contratti a tempo determinato del personale del comparto scuola ed è stato richiamato, ex artt. 69, comma 1, e 71 d.lgs n. 165 del 2001, dal
CCNL 4.8.1995 e dai contratti successivi, per affermarne la perdurante vigenza limitatamente ai soli insegnanti di religione” (Cass. n. 22558/2016).
Ancora, la Corte di Giustizia dell'Unione Europea, con la più recente decisione del
20.9.2018, ha affermato che “La clausola 4 dell'Accordo quadro sul lavoro a Per_4
tempo determinato, concluso il 18 marzo 1999, che figura in allegato alla direttiva
1999/70/CE del Consiglio, del 28 giugno 1999, relativa all'accordo quadro CES,
UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, deve essere interpretata nel senso che essa non osta, in linea di principio, a una normativa nazionale come quella di cui al procedimento principale, la quale, ai fini dell'inquadramento di un lavoratore in una categoria retributiva al momento della sua assunzione in base ai titoli come dipendente pubblico di ruolo, tenga conto dei periodi di servizio prestati nell'ambito di contratti di lavoro a tempo determinato in misura integrale fino al quarto anno e poi, oltre tale limite, parzialmente, a concorrenza dei due terzi”.
A seguito della pronuncia da ultimo citata, la Suprema Corte nuovamente intervenuta con la più recente decisione n. 6146/2019, successiva alla decisione della Corte di
Giustizia del 20.09.2018, con la quale ha confermato la decisione di merito che ha riconosciuto il diritto alla progressione stipendiale proprio sulla scorta del citato
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quadro normativo e giurisprudenziale europeo.
Ciò posto, con specifico riguardo al caso di specie, devono recepirsi i principi enunciati dalla Suprema Corte nella sentenza n. 22558/2016 (e in termini conformi anche la più recente decisione n. 8945/17), secondo cui “La clausola 4 dell'Accordo quadro sul rapporto a tempo determinato recepito dalla direttiva 99/70/CE, di diretta applicazione, impone di riconoscere la anzianità di servizio maturata al personale del comparto scuola assunto con contratti a termine, ai fini della attribuzione della medesima progressione stipendiale prevista per i dipendenti a tempo indeterminato dai CCNL succedutisi nel tempo. Vanno, conseguentemente, disapplicate le disposizioni dei richiamati CCNL che, prescindendo dalla anzianità maturata, commisurano in ogni caso la retribuzione degli assunti a tempo determinato al trattamento economico iniziale previsto per i dipendenti a tempo indeterminato.
L'art. 53 della legge n. 312 dell'11 luglio 1980, che prevedeva scatti biennali di anzianità per il personale non di ruolo, non è applicabile ai contratti a tempo determinato del personale del comparto scuola ed è stato richiamato, ex arti. 69, comma 1, e 71 d.lgs n. 165 del 2001, dal CCNL 4.8.1995 e dai contratti successivi, per affermarne la perdurante vigenza limitatamente ai soli insegnanti di religione”
(Cass. Sez. Lav. n. 22558 cit.).
A tali conclusioni la Suprema Corte è pervenuta valorizzando il principio di non discriminazione, previsto dalla clausola n. 4 dell'Accordo quadro sul lavoro a tempo determinato (concluso il 18 marzo 1999 tra le organizzazioni intercategoriali a carattere generale – CE, CEEP e UNICE – e recepito dalla Direttiva 99/70/CE), da non confondere, peraltro, con il divieto di abusare della reiterazione del contratto a termine, oggetto della disciplina dettata dalla clausola n. 5 dello stesso Accordo, precisando che:
a) la clausola n. 4 dell'Accordo esclude in generale ed in termini non equivoci
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qualsiasi disparità di trattamento non obiettivamente giustificata nei confronti dei lavoratori a tempo determinato, sicché la stessa ha carattere incondizionato
e può essere fatta valere dal singolo dinanzi al giudice nazionale, che ha
l'obbligo di applicare il diritto dell'Unione e di tutelare i diritti che quest'ultimo attribuisce, disapplicando, se necessario, qualsiasi contraria disposizione del diritto interno (Corte di giustizia 15.4.2008, causa C- 268/06,
Impact;13.9.2007, causa C307/05, Del ;8.9.2011, causa C- Persona_1
177/10 Rosado Santana);
b) il principio di non discriminazione non può essere interpretato in modo restrittivo, per cui la riserva in materia di retribuzioni contenuta nell'art. 137, n.
5 del Trattato (og gi 153 n. 5), “non può impedire ad un lavoratore a tempo determinato di richiedere, in base al divieto di discriminazione, il beneficio di una condizione di impiego riservata ai soli lavoratori a tempo indeterminato, allorché proprio l'applicazione di tale principio comporta il pagamento di una differenza di retribuzione” (Del Cerro Alonso, cit., punto 42);
c) le maggiorazioni retributive derivanti da lla anzianità di servizio de l lavoratore costituiscono condizioni di impiego ai sensi della clausola 4, con la conseguenza che le stesse possono essere legittimamente negate agli assunti a tempo determinato solo in presenza di una giustificazione oggettiva (Corte di giustizia 9.7.2015, in causa C177/14, Regojo Dans, punto 44, e giurisprudenza ivi richiamata);
d) tal fine non è sufficiente che la diversità di trattamento sia prevista da una norma generale ed astratta , di legge o di contratto, né rilevano la natura pubblica del datore di lavoro e la distinzione fra impiego di ruolo e non di ruolo, perché la diversità di trattamento può essere giustificata solo da elementi precisi e concreti di differenziazione che contraddistinguano le modalità di
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lavoro e che attengano alla natura ed alle caratteristiche delle mansioni espletate (Regojo Dans, cit., punto 55 e con riferimento ai rapporti non di ruolo degli enti pubblici italiani Corte di Giustizia 18.10.2012, cause C302/11 e
C305/11, Valenza;7.3.2013, causa C393/11, Bertazzi).
L'accertata incompatibilità con la clausola n. 4 dell'Accordo quadro europeo allegato alla Direttiva 99/70 di norme interne che escludono il personale a tempo determinato dalla progressione economica riconosciuta in favore del personale assunto a tempo indeterminato, non può, quindi, alla luce dei principi affermati dalla Suprema Corte, che essere risolta in favore delle previsioni del diritto dell'Unione, in ragione della loro indubbia superiorità nella gerarchia delle fonti e del principio di primazia del diritto unionale rispetto a quello interno dei singoli Stati membri, con la conseguente disapplicazione, da parte del giudice nazionale, della normativa italiana in conflitto con esso.
Pertanto, in linea di principio, sussiste il diritto del docente e del personale amministrativo precario all'integrale riconoscimento del servizio preruolo svolto.
Il principio di non discriminazione, nondimeno, si estende, ricorrendone i presupposti di applicabilità, anche al tema della ricostruzione della carriera. E' evidente, infatti, che, una volta applicato il principio di non discriminazione alla progressione economica stipendiale prevista dalla contrattazione collettiva, come riconosciuta in favore di lavoratori a tempo indeterminato (di ruolo) “comparabili” ed in assenza di
“ragioni oggettive” di differenziazione, la sola circostanza dell'assunzione a tempo determinato si risolverebbe in una ingiustificata compressione dell'ambito coperto dallo stesso principio di non discriminazione.
Sul punto, occorre richiamare l'art. 485 del d.lgs. n. 297/1994, rubricato
“Riconoscimento dei servizi agli effetti della carriera”, che, al comma 1, stabilisce che “Al personale docente delle scuole di istruzione secondaria ed artistica, il
Pag. 9 di 18 servizio prestato presso le predette scuole statali e pareggiate, comprese quelle all'estero, in qualità di docente non di ruolo, è riconosciuto come servizio di ruolo, ai fini giuridici ed economici, per intero per i primi quattro anni e per i due terzi del periodo eventualmente eccedente, nonché ai solo fini economici per il rimanente terzo”.
La norma va letta in combinato disposto con l'art. 4, comma 3, L. n. 399/1988, rubricato “Inquadramento economico Passaggi di qualifica funzionale”, secondo cui
“Al compimento del sedicesimo anno per i docenti laureati della scuola secondaria superiore, del diciottesimo anno per i coordinatori amministrativi, per i docenti della scuola materna ed elementare, della scuola media e per i docenti diplomati della scuola secondaria superiore, del ventesimo anno per il personale ausiliario e collaboratore, del ventiquattresimo anno per i docenti dei conservatori di musica e delle accademie, l'anzianità utile ai soli fini economici è interamente valida ai fini dell'attribuzione delle successive posizioni stipendiali”.
Il successivo art. 489 D.Lgs. n. 297/1994, rubricato “Periodi di servizio utili al riconoscimento”, a sua volta, prevede, al comma 1, che “Ai fini del riconoscimento di cui ai precedenti articoli il servizio di insegnamento è da considerarsi come anno scolastico intero se ha avuto la durata prevista agli effetti della validità dell'anno dall'ordinamento scolastico vigente al momento della prestazione”.
La norma va coordinata con l'art. 11, comma 14, L. n. 124/1999, ai sensi del quale “Il comma 1 dell'articolo 489 del testo unico è da intendere nel senso che il servizio di insegnamento non di ruolo prestato a decorrere dall'anno scolastico 1974-1975 è considerato come anno scolastico intero se ha avuto la durata di almeno 180 giorni oppure se il servizio sia stato prestato ininterrottamente dal 1° febbraio fino al termine delle operazioni di scrutinio finale”.
La già citata sentenza “Motter” ha posto il problema della permanente validità o
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meno dei principi affermati dalla richiamata decisione della Suprema Corte n.
22558/2016, atteso che, pronunciandosi sulla compatibilità dell'art. 485 D.Lgs. n.
297/1994 (relativamente al personale docente) con l'art. 4 dell'Accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, ha stabilito che “48. Fatte salve le verifiche rientranti nella competenza esclusiva del giudice del rinvio, si deve ammettere che gli obiettivi invocati dal governo italiano nel caso di specie possono essere legittimamente considerati rispondenti a una reale necessità. 49. Risulta infatti dalle osservazioni di tale governo che la normativa nazionale di cui al procedimento principale mira, in parte, a rispecchiare le differenze tra l'esperienza acquisita dai docenti assunti mediante concorso e quella acquisita dai docenti assunti in base ai titoli, a motivo della diversità delle materie, delle condizioni e degli orari in cui questi ultimi devono intervenire, in particolare nell'amb ito di incarichi di sostituzione di altri docenti. Il governo italiano sostiene che, a causa dell'eterogeneità di tali situazioni, le prestazioni fornite dai docenti a tempo determinato per un periodo di almeno 180 giorni in un anno, vale a dire circa due terzi di un anno scolastico, sono computate dalla normativa nazionale come annualità complete. Fatta salva la verifica di tali elementi da parte del giudice del rinvio, un siffatto obiettivo appare conforme al principio del "pro rata temporis" cui fa espressamente riferimento la clausola 4, punto 2, dell'accordo quadro”.
Tuttavia, trattandosi di pronuncia relativa al personale docente, essa non può trovare applicazione al caso di specie, posta l'appartenenza del ricorrente al personale ATA.
Invero, in disparte la diversa normativa di riferimento (art. 569 D.Lgs. n. 279/94), non appaiono sussistere quelle obiettive ragioni - relative alla particolare modalità di lavoro e/o alla natura ed alle caratteristiche delle mansioni espletate – che giustificano la diversità di trattamento: in primo luogo, non è applicabile al personale
ATA la disposizione di favore di cui al combinato disposto degli artt. 489 D. Lgs. n.
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297/1994 e 11, comma 14, L. n. 124/1999, in forza del quale le prestazioni fornite dai docenti a tempo determinato per un periodo di almeno 180 giorni in un anno sono computate dalla normativa nazionale come annualità complete, con la conseguenza che, sotto tale profilo, nessuna discriminazione a contrario potrebbe verificarsi;in secondo luogo, non può sostenersi che la professionalità del personale ATA a termine sia diversa e non comparabile con quella del personale di ruolo, non potendo le argomentazioni addotte dal Governo Italiano con riferimento al personale docente valere anche per il personale ATA che, salvo diverse allegazioni specifiche contrarie dell'amministrazione, svolge sempre le stesse mansioni, indipendentemente dal termine dell'assunzione, di talché la professionalità del personale ATA non risulta influenzata in modo altrettanto intenso dalla maggiore o minore continuità con cui le relative mansioni siano state eseguite nel corso degli anni. Pertanto, si ritengono non sussistenti quelle ragioni oggettive che giustificano un trattamento differenziato, non potendo tali ragioni consistere nella natura non di ruolo del rapporto di lavoro e/o nella novità di ogni singolo contratto a termine rispetto al precedente, né nella particolare modalità di reclutamento del personale, così come statuito dalla giurisprudenza comunitaria.
Sul punto, giova ancora richiamare la decisione n. 31150/2019 con la quale la Corte di Cassazione ha confermato il suo precedente orientamento, affermando il seguente principio di diritto: “In tema di riconoscimento dei servizi preruolo del personale amministrativo tecnico ed ausiliario della scuola, l'art. 569 del d.lgs. n. 297 del 1994, si pone in contrasto con la clausola 4 dell'Accordo quadro allegato alla Direttiva
1999/70/CE, nella parte in cui prevede che il servizio effettivo prestato, calcolato ai sensi dell'art. 570 dello stesso decreto, sia utile integralmente ai fini giuridici ed economici solo limitatamente al primo triennio, mentre per la quota residua rilevi, ai soli fini economici, nei limiti dei due terzi;il giudice, una volta accertata la
Pag. 12 di 18 violazione della richiamata clausola 4, è tenuto a disapplicare la norma di diritto interno in contrasto con la direttiva e a riconoscere a ogni effetto al lavoratore a termine, poi immesso nei ruoli dell'amministrazione, l'intero servizio effettivo prestato”. Il principio di diritto affermato risulta pienamente condivisibile, in quanto in linea con l'evoluzione normativa e giurisprudenziale, in particolare comunitaria, in materia: in particolare, nella motivazione della decisione, viene evidenziata
l'insufficienza della circostanza della stipula del contratto a tempo determinato per giustificare il diverso trattamento, occorrendo che quest'ultimo sia giustificato mediante l'allegazione e la prova di “elementi precisi e concreti che contraddistinguano le condizioni di impiego”, come la “particolare natura delle mansioni” e/o la “legittima finalità di politica sociale”.
Applicando tale principio al caso di specie, deve osservarsi che non risulta comprovato nulla di specifico che giustifichi la disparità di trattamento che, conseguentemente, deve ritenersi illegittima. Ne consegue che, in assenza di elementi concreti e provati che depongano in senso contrario, la pacifica identità di mansioni e condizioni di impiego e l'analogia della formazione del personale assunto a tempo indeterminato e a termine inducono a ritenere che la posizione rivestita da parte ricorrente sia pienamente comparabile a quella dei corrispondenti colleghi assunti ab origine a tempo indeterminato. Diversamente, infatti, verrebbe a determinarsi una disparità di trattamento in relazione al riconoscimento dell'attività di servizio che non risulterebbe effettivamente giustificata da elementi concreti e oggettivi aal punto da rendere legittimo il differente trattamento.
In considerazione di tanto, deve ritenersi sussistente il diritto di parte ricorrente alla ricostruzione di carriera che valorizzi integralmente il pregresso servizio preruolo svolto a tempo determinato, con ogni conseguenza in termini giuridici ed economici.
A tal proposito, in mancanza di specifica contestazione, deve ritenersi congruo il
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ricalcolo dell'anzianità effettuato dalla ricorrente valorizzando integralmente il servizio preruolo svolto, per un totale di anni 5, mesi 7 e giorni 11.
Ciò posto, per quanto concerne l'eccezione di prescrizione sollevata dal CP_1
convenuto, deve ancora richiamarsi quanto stabilito dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui “L'anzianità di servizio in ruolo degli insegnanti configura un mero fatto giuridico, come tale insuscettibile di una prescrizione distinta da quella dei diritti patrimoniali che su di essa si fondano, con la conseguenza che, nel caso in cui il docente, prescrittosi un primo scatto di retribuzione, agisca tempestivamente per ottenere l'attribuzione di scatti successivi, questi debbono essere liquidati nella misura ad essi corrispondente, e cioè come se quello precedente, maturato ma non più dovuto per effetto della prescrizione, fosse stato corrisposto, in quanto il datore di lavoro può opporre al lavoratore la prescrizione quinquennale dei crediti relativi ai singoli aumenti ma non la prescrizione dell'anzianità di servizio quale fattispecie costitutiva di crediti ancora non prescritti… L'anzianità di servizio non è uno status
o un elemento costitutivo di uno status del lavoratore subordinato, nè un distinto bene della vita oggetto di un autonomo diritto, rappresentando piuttosto la dimensione temporale del rapporto di lavoro di cui integra il presupposto di fatto di specifici diritti, quali quelli all'indennità di fine rapporto, alla retribuzione, al risarcimento del danno per omissione contributiva, agli scatti di anzianità” onde essa “ è insuscettibile di un'autonoma prescrizione – distinta, in quanto tale, da quella dei diritti, a contenuto patrimoniale, che su di essa si fondano (posto che “non esiste… un diritto all'anzianità di ignoto contenuto autonomamente prescrivibile, ma esiste una anzianità, che costituisce presupposto di fatto per l'attribuzione di alcuni diritti, questi sì soggetti a prescrizione secondo il regime loro proprio… “l'anzianità di servizio, dunque, può essere oggetto di verifica giudiziale senza termine di tempo purché sussista nel ricorrente l'interesse ad agire che va valutato in ordine alla
Pag. 14 di 18 azionabilità dei singoli diritti di cui la prima costituisce il presupposto di fatto: da ciò deriva che l'effettiva anzianità di servizio può essere sempre accertata anche ai fini del riconoscimento del diritto ad una maggiore retribuzione per effetto del computo di un più alto numero di anni di anzianità salvo, in ordine al quantum della somma dovuta al lavoratore, il limite derivante dalla prescrizione quinquennale cui soggiace il diritto alla retribuzione.” (Cass. n. 2232/2020).
Tale principio deve ritenersi applicabile, per identità di ratio, anche al personale non docente, come nel caso di specie, qualificando il corretto inquadramento dell'anzianità di servizio e degli scatti ad essa connessi come fatti giuridici e non come diritti di contenuto patrimoniale, con conseguente non operatività, rispetto ai primi, della prescrizione;di contro, in riferimento al diritto alle differenze retributive invocato dalla ricorrente – questo sì soggetto a prescrizione, in considerazione della sua natura patrimoniale – deve ritenersi maturata la eccepita prescrizione relativamente ai diritti economici anteriori al quinquennio precedente la notifica del ricorso introduttivo del giudizio (29.01.2024). Ne deriva che il diritto agli emolumenti economici richiesti ricomprende i crediti maturati dal 29.01.2019 in avanti.
In ordine al quantum debeatur delle invocate differenze retributive, in mancanza di specifica contestazione, deve ritenersi congrua la somma di € 1.150,00 richiesta da parte ricorrente, calcolata tenendo conto della maturata prescrizione quinquennale dei crediti anteriori al 29.01.2019 e, dunque, relativamente all'arco temporale dal
29.01.2019 in avanti, oltre interessi e rivalutazione come per legge dal dì del dovuto al soddisfo.
Alla luce delle argomentazioni innanzi svolte, il ricorso va accolto, nei termini che seguono.
Deve dichiararsi l'illegittimità del decreto di ricostruzione della carriera prot. n. 603
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del 23.02.2021 emesso dall'amministrazione resistente e, per l'effetto, deve accertarsi il diritto di parte ricorrente al riconoscimento integrale, ai fini giuridici ed economici, del servizio preruolo svolto dall'a.s. 2004/2005 al 01.09.2019, data di immissione in ruolo, pari a anni 5, mesi 7 e giorni 11 di anzianità, nonché il diritto alla corresponsione delle differenze stipendiali così maturate in conseguenza di tale riconoscimento, per complessivi € 1.150,00, oltre interessi e rivalutazione come per legge dal dì del dovuto al soddisfo;per l'ulteriore effetto, deve condannarsi parte resistente al riconoscimento, in favore di parte ricorrente, dell'integrale servizio preruolo svolto, come sopra indicato, nonché al pagamento delle differenze retributive così maturate.
Le spese di lite del presente giudizio seguono la soccombenza e la liquidazione è affidata al dispositivo che segue, sulla scorta dei parametri di cui al D.M. n. 55/2014, come modificato dal D.M. n. 147/2022;per la determinazione del compenso si ha riguardo ai valori previsti dalle tabelle allegate al D.M. n. 55/14, in relazione alla tipologia di causa (procedimento in materia di lavoro), al valore della controversia
(scaglione da € 1.101,00 ad € 5.200,00) e alle fasi in cui si è articolata l'attività difensiva espletata nel presente giudizio (con esclusione della fase istruttoria). La liquidazione viene effettuata secondo parametri prossimi ai minimi, in considerazione della natura seriale della controversia e della ormai consolidata giurisprudenza europea e nazionale richiamata dalla ricorrente ed espressasi in senso favorevole alle relative istanze.
Le considerazioni sinora esposte sono dirimenti e assorbono ulteriori questioni in fatto o in diritto eventualmente contestate tra le parti.
Tali sono i motivi della presente decisione.
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE DI VASTO
Il Giudice del Lavoro, Dott. A D, dato atto della trattazione della presente controversia in data 20.03.2024 ai sensi dell'art. 127 ter c.p.c., ha emesso la seguente
SENTENZA
nella controversia individuale di lavoro recante n.R.G. 36/2024
TRA
(C.F. ), rappresentata e Parte_1 C.F._1
difesa dall'Avv. F O (C.F.: C.F._2
ricorrente
CONTRO
[...]
Controparte_1
, in
[...]
persona del Ministro e dei legali rappresentanti p.t., rappresentati e difesi, ai sensi dell'art. 417-bis c.p.c., dal Dott. P T
resistenti
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con ricorso depositato in data 22.01.2024, la parte ricorrente in epigrafe indicata, dopo aver premesso di essere collaboratrice scolastica attualmente in servizio con contratto a tempo indeterminato presso l' di Vasto, nonché di Controparte_2
aver presentato, al tempo dell'immissione in ruolo, dichiarazione dei servizi preruolo resi, chiedendone il riconoscimento, cui conseguiva decreto di ricostruzione di carriera emesso dall'amministrazione convenuta con il quale le venivano riconosciuti anni 5 e giorni 10 per il servizio preruolo prestato, ha domandato accertarsi
l'illegittimità di tale parziale riconoscimento, in luogo della maggiore anzianità di anni 5, mesi 7 e giorni 11 cui ritiene di aver diritto, con conseguente condanna dell'amministrazione resistente al riconoscimento integralmente di detto servizio ed al pagamento delle differenze retributive così maturate. Ha rassegnato, quindi, le seguenti conclusioni: “Accertata e dichiarata l'illegittimità del parziale riconoscimento dell'effettiva anzianità di servizio, condannare il
[...]
a riconoscere integralmente detto servizio, nonché al Controparte_1
pagamento delle differenze retributive così determinate, nell'ambito della prescrizione quinquennale, oltre alla maggior somma tra interessi legali e rivalutazione monetaria dalle singole scadenze al soddisfo”. Il tutto, con vittoria di spese di lite, con distrazione.
Costituitosi in giudizio, il resistente, previa eccezione di prescrizione CP_1
dell'invocato diritto, ha domandato il rigetto del ricorso, in quanto infondato in fatto e in diritto. Il tutto, con vittoria di spese di lite.
Il ricorso è fondato e, in quanto tale, merita accoglimento, per i motivi di seguito esposti.
Deve premettersi che nel presente giudizio non sono controversi, in quanto documentati e non contestati (cfr. doc. n. 1 fascicolo di parte ricorrente), il rapporto
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di lavoro a tempo indeterminato intercorrente tra le parti dal 01.09.2019, data di immissione in ruolo del ricorrente, la qualifica di collaboratore amministrativo Organ appartenente al personale del ricorrente, nonché la successione dei contratti a tempo determinato della parte ricorrente dal 13.11.2004 al 30.06.2019
Oggetto, del giudizio, dunque, è la legittimità della condotta ministeriale che non ha riconosciuto integralmente il servizio preruolo prestato dal ricorrente sino alla definitiva immissione in ruolo.
Preliminarmente, occorre dare atto dei riferimenti normativi in rilievo nel caso di specie e dell'evoluzione della giurisprudenza nazionale ed europea espressasi in merito.
L'art. 526, comma 1, D.Lgs. n. 297/1994 prevede che: “Al personale docente ed educativo non di ruolo spetta il trattamento economico iniziale previsto per il corrispondente personale docente di ruolo”.
L'art. 485, paragrafo 1, D.Lgs. n. 297/1994 prevede che “Al personale docente delle scuole di istruzione secondaria ed artistica, il servizio prestato presso le predette scuole statali e pareggiate, comprese quelle all'estero, in qualità di docente non di ruolo, è riconosciuto come servizio di ruolo, ai fini giuridici ed economici, per intero per i primi quattro anni e per i due terzi del periodo eventualmente eccedente, nonché ai soli fini economici per il rimanente terzo. I diritti economici derivanti da detto riconoscimento sono conservati e valutati in tutte le classi di stipendio successive a quella attribuita al momento del riconoscimento medesimo”.
La clausola 4 dell'Accordo Quadro sul lavoro a tempo determinato del 18.3.1999, attuato dalla Direttiva 1999/70/CE del 28.6.1999, al punto 1 prevede che: “Per quanto riguarda le condizioni di impiego, i lavoratori a tempo determinato non possono essere trattati in modo meno favorevole dei lavoratori a tempo indeterminato comparabili per il solo fatto di avere un contratto o rapporto di lavoro
Pag. 3 di 18 a tempo determinato, a meno che non sussistano ragioni oggettive”; il punto 4 della citata clausola prosegue disponendo che: “I criteri del periodo di anzianità di servizio relativi a particolari condizioni di lavoro dovranno essere gli stessi sia per i lavoratori a tempo determinato sia per quelli a tempo indeterminato, eccetto quando criteri diversi in materia di periodo di anzianità siano giustificati da motivazioni oggettive”.
Chiamata a pronunciarsi sulla questione, la Corte di Giustizia dell'Unione Europea ha affermato che “La riserva di cui all'art. 137, n. 5, CE, non può impedire ad un lavoratore a tempo determinato di richiedere, in base al divieto di discriminazione, il beneficio di una condizione di impiego riservata ai soli lavoratori a tempo indeterminato, allorché proprio l'applicazione di tale principio comporta il pagamento di una differenza di retribuzione… La mera circostanza che un impiego sia qualificato come «di ruolo» in base all'ordinamento interno e presenti taluni aspetti caratterizzanti il pubblico impiego dello Stato membro interessato è priva di rile vanza sotto questo aspetto, pena rimettere seriamente in questione l'efficacia pratica della direttiva 1999/70 e quella dell'accordo quadro nonché la loro applicazione uniforme negli Stati membri, riservando a questi ultimi la possibilità di escludere, a loro discrezione, talune categorie di persone dal beneficio della tutela voluta da tali strumenti comunitari (v., per analogia, sentenze 9 settembre punti 58 e
59, nonché 5 ottobre 2004, cause riunite da C-397/01 a C-403/01, Pfeiffer e a., Racc. pag. I-8835, punto 99). In effetti, come si evince non soltanto dall'art. 249, terzo comma, CE, ma parimenti dall'art. 2, primo comma, della direttiva 1999/70, letto alla luce del suo diciassettesimo considerando', gli Stati membri infatti sono tenuti a garantire il risultato imposto dal diritto comunitario (v. sentenza Adeneler e a., citata, punto 68)… 1) La nozione di «condizioni di impiego» di cui alla clausola 4, punto 1, dell'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, concluso il 18 marzo
Pag. 4 di 18 1999, contenuto in allegato alla direttiva del Consiglio 28 giugno 1999, 1999/70/CE, relativa all'accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, dev'essere interpretata nel senso che e ssa può servire da fondamento ad una pretesa come quella in esame nella causa principale che mira ad attribuire ad un lavoratore
a tempo determinato scatti di anzianità che l'ordinamento nazionale riserva ai soli lavoratori a tempo indeterminato, 2) La clausola 4, punto 1, dell'accordo quadro dev'essere interpretata nel senso che osta all'introduzione di una disparità di trattamento tra lavoratori a tempo determinato e lavoratori a tempo indeterminato giustificata dalla mera circostanza di essere prevista da una disposizione legislativa
o regolamentare di uno Stato membro ovvero da un contratto collettivo concluso tra i rappresentanti sindacali del personale e il datore di lavoro interessato” (CGUE C-
307/05, ). Persona_1
Successivamente, il Giudice eurounitario si è nuovamente pronunciato sulla questione, affermando che “Un'indennità per anzianità di servizio … rientra nell'ambito di applicazione della clausola 4, punto 1, dell'Accordo Quadro, in quanto costituisce una condizione d'impiego, pe r cui i lavoratori a tempo determinato possono opporsi ad un trattamento che, relativamente al versamento di tale indennità, al di fuori di qualsiasi giustificazione obiettiva, sia meno favorevole di quello riservato ai lavoratori a tempo indeterminato che si trovano in una situazione comparabile. Il carattere temporaneo del rapporto di lavoro di taluni dipendenti pubblici non può costituire, di per sé, una ragione oggettiva ai sensi di tale clausola dell'Accordo Quadro” (CGUE C-444/09, e C-456/09, . Per_2 Persona_3
In coerenza con quanto statuito dalla giurisprudenza europea, la giurisprudenza di legittimità ha dapprima stabilito che “La clausola 4 dell'Accordo quadro sul rapporto
a tempo determinato recepito dalla direttiva 99/70/CE, di diretta applicazione, impone di riconoscere la anzianità di servizio maturata al personale del comparto
Pag. 5 di 18 scuola assunto con contratti a termine, ai fini della attribuzione della medesima progressione stipendiale prevista per i dipendenti a tempo indeterminato dai CCNL succedutisi nel tempo. Vanno, conseguentemente, disapplicate le disposizioni dei richiamati CCNL che, prescindendo dalla anzianità maturata, commisurano in ogni caso la retribuzione degli assunti a tempo determinato al trattamento economico iniziale previsto per i dipendenti a tempo indeterminato. L'art. 53 della legge n. 312 dell'Il luglio 1980, che prevedeva scatti biennali di anzianità per il personale non di ruolo, non è applicabile ai contratti a tempo determinato del personale del comparto scuola ed è stato richiamato, ex artt. 69, comma 1, e 71 d.lgs n. 165 del 2001, dal
CCNL 4.8.1995 e dai contratti successivi, per affermarne la perdurante vigenza limitatamente ai soli insegnanti di religione” (Cass. n. 22558/2016).
Ancora, la Corte di Giustizia dell'Unione Europea, con la più recente decisione del
20.9.2018, ha affermato che “La clausola 4 dell'Accordo quadro sul lavoro a Per_4
tempo determinato, concluso il 18 marzo 1999, che figura in allegato alla direttiva
1999/70/CE del Consiglio, del 28 giugno 1999, relativa all'accordo quadro CES,
UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, deve essere interpretata nel senso che essa non osta, in linea di principio, a una normativa nazionale come quella di cui al procedimento principale, la quale, ai fini dell'inquadramento di un lavoratore in una categoria retributiva al momento della sua assunzione in base ai titoli come dipendente pubblico di ruolo, tenga conto dei periodi di servizio prestati nell'ambito di contratti di lavoro a tempo determinato in misura integrale fino al quarto anno e poi, oltre tale limite, parzialmente, a concorrenza dei due terzi”.
A seguito della pronuncia da ultimo citata, la Suprema Corte nuovamente intervenuta con la più recente decisione n. 6146/2019, successiva alla decisione della Corte di
Giustizia del 20.09.2018, con la quale ha confermato la decisione di merito che ha riconosciuto il diritto alla progressione stipendiale proprio sulla scorta del citato
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quadro normativo e giurisprudenziale europeo.
Ciò posto, con specifico riguardo al caso di specie, devono recepirsi i principi enunciati dalla Suprema Corte nella sentenza n. 22558/2016 (e in termini conformi anche la più recente decisione n. 8945/17), secondo cui “La clausola 4 dell'Accordo quadro sul rapporto a tempo determinato recepito dalla direttiva 99/70/CE, di diretta applicazione, impone di riconoscere la anzianità di servizio maturata al personale del comparto scuola assunto con contratti a termine, ai fini della attribuzione della medesima progressione stipendiale prevista per i dipendenti a tempo indeterminato dai CCNL succedutisi nel tempo. Vanno, conseguentemente, disapplicate le disposizioni dei richiamati CCNL che, prescindendo dalla anzianità maturata, commisurano in ogni caso la retribuzione degli assunti a tempo determinato al trattamento economico iniziale previsto per i dipendenti a tempo indeterminato.
L'art. 53 della legge n. 312 dell'11 luglio 1980, che prevedeva scatti biennali di anzianità per il personale non di ruolo, non è applicabile ai contratti a tempo determinato del personale del comparto scuola ed è stato richiamato, ex arti. 69, comma 1, e 71 d.lgs n. 165 del 2001, dal CCNL 4.8.1995 e dai contratti successivi, per affermarne la perdurante vigenza limitatamente ai soli insegnanti di religione”
(Cass. Sez. Lav. n. 22558 cit.).
A tali conclusioni la Suprema Corte è pervenuta valorizzando il principio di non discriminazione, previsto dalla clausola n. 4 dell'Accordo quadro sul lavoro a tempo determinato (concluso il 18 marzo 1999 tra le organizzazioni intercategoriali a carattere generale – CE, CEEP e UNICE – e recepito dalla Direttiva 99/70/CE), da non confondere, peraltro, con il divieto di abusare della reiterazione del contratto a termine, oggetto della disciplina dettata dalla clausola n. 5 dello stesso Accordo, precisando che:
a) la clausola n. 4 dell'Accordo esclude in generale ed in termini non equivoci
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qualsiasi disparità di trattamento non obiettivamente giustificata nei confronti dei lavoratori a tempo determinato, sicché la stessa ha carattere incondizionato
e può essere fatta valere dal singolo dinanzi al giudice nazionale, che ha
l'obbligo di applicare il diritto dell'Unione e di tutelare i diritti che quest'ultimo attribuisce, disapplicando, se necessario, qualsiasi contraria disposizione del diritto interno (Corte di giustizia 15.4.2008, causa C- 268/06,
Impact;13.9.2007, causa C307/05, Del ;8.9.2011, causa C- Persona_1
177/10 Rosado Santana);
b) il principio di non discriminazione non può essere interpretato in modo restrittivo, per cui la riserva in materia di retribuzioni contenuta nell'art. 137, n.
5 del Trattato (og gi 153 n. 5), “non può impedire ad un lavoratore a tempo determinato di richiedere, in base al divieto di discriminazione, il beneficio di una condizione di impiego riservata ai soli lavoratori a tempo indeterminato, allorché proprio l'applicazione di tale principio comporta il pagamento di una differenza di retribuzione” (Del Cerro Alonso, cit., punto 42);
c) le maggiorazioni retributive derivanti da lla anzianità di servizio de l lavoratore costituiscono condizioni di impiego ai sensi della clausola 4, con la conseguenza che le stesse possono essere legittimamente negate agli assunti a tempo determinato solo in presenza di una giustificazione oggettiva (Corte di giustizia 9.7.2015, in causa C177/14, Regojo Dans, punto 44, e giurisprudenza ivi richiamata);
d) tal fine non è sufficiente che la diversità di trattamento sia prevista da una norma generale ed astratta , di legge o di contratto, né rilevano la natura pubblica del datore di lavoro e la distinzione fra impiego di ruolo e non di ruolo, perché la diversità di trattamento può essere giustificata solo da elementi precisi e concreti di differenziazione che contraddistinguano le modalità di
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lavoro e che attengano alla natura ed alle caratteristiche delle mansioni espletate (Regojo Dans, cit., punto 55 e con riferimento ai rapporti non di ruolo degli enti pubblici italiani Corte di Giustizia 18.10.2012, cause C302/11 e
C305/11, Valenza;7.3.2013, causa C393/11, Bertazzi).
L'accertata incompatibilità con la clausola n. 4 dell'Accordo quadro europeo allegato alla Direttiva 99/70 di norme interne che escludono il personale a tempo determinato dalla progressione economica riconosciuta in favore del personale assunto a tempo indeterminato, non può, quindi, alla luce dei principi affermati dalla Suprema Corte, che essere risolta in favore delle previsioni del diritto dell'Unione, in ragione della loro indubbia superiorità nella gerarchia delle fonti e del principio di primazia del diritto unionale rispetto a quello interno dei singoli Stati membri, con la conseguente disapplicazione, da parte del giudice nazionale, della normativa italiana in conflitto con esso.
Pertanto, in linea di principio, sussiste il diritto del docente e del personale amministrativo precario all'integrale riconoscimento del servizio preruolo svolto.
Il principio di non discriminazione, nondimeno, si estende, ricorrendone i presupposti di applicabilità, anche al tema della ricostruzione della carriera. E' evidente, infatti, che, una volta applicato il principio di non discriminazione alla progressione economica stipendiale prevista dalla contrattazione collettiva, come riconosciuta in favore di lavoratori a tempo indeterminato (di ruolo) “comparabili” ed in assenza di
“ragioni oggettive” di differenziazione, la sola circostanza dell'assunzione a tempo determinato si risolverebbe in una ingiustificata compressione dell'ambito coperto dallo stesso principio di non discriminazione.
Sul punto, occorre richiamare l'art. 485 del d.lgs. n. 297/1994, rubricato
“Riconoscimento dei servizi agli effetti della carriera”, che, al comma 1, stabilisce che “Al personale docente delle scuole di istruzione secondaria ed artistica, il
Pag. 9 di 18 servizio prestato presso le predette scuole statali e pareggiate, comprese quelle all'estero, in qualità di docente non di ruolo, è riconosciuto come servizio di ruolo, ai fini giuridici ed economici, per intero per i primi quattro anni e per i due terzi del periodo eventualmente eccedente, nonché ai solo fini economici per il rimanente terzo”.
La norma va letta in combinato disposto con l'art. 4, comma 3, L. n. 399/1988, rubricato “Inquadramento economico Passaggi di qualifica funzionale”, secondo cui
“Al compimento del sedicesimo anno per i docenti laureati della scuola secondaria superiore, del diciottesimo anno per i coordinatori amministrativi, per i docenti della scuola materna ed elementare, della scuola media e per i docenti diplomati della scuola secondaria superiore, del ventesimo anno per il personale ausiliario e collaboratore, del ventiquattresimo anno per i docenti dei conservatori di musica e delle accademie, l'anzianità utile ai soli fini economici è interamente valida ai fini dell'attribuzione delle successive posizioni stipendiali”.
Il successivo art. 489 D.Lgs. n. 297/1994, rubricato “Periodi di servizio utili al riconoscimento”, a sua volta, prevede, al comma 1, che “Ai fini del riconoscimento di cui ai precedenti articoli il servizio di insegnamento è da considerarsi come anno scolastico intero se ha avuto la durata prevista agli effetti della validità dell'anno dall'ordinamento scolastico vigente al momento della prestazione”.
La norma va coordinata con l'art. 11, comma 14, L. n. 124/1999, ai sensi del quale “Il comma 1 dell'articolo 489 del testo unico è da intendere nel senso che il servizio di insegnamento non di ruolo prestato a decorrere dall'anno scolastico 1974-1975 è considerato come anno scolastico intero se ha avuto la durata di almeno 180 giorni oppure se il servizio sia stato prestato ininterrottamente dal 1° febbraio fino al termine delle operazioni di scrutinio finale”.
La già citata sentenza “Motter” ha posto il problema della permanente validità o
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meno dei principi affermati dalla richiamata decisione della Suprema Corte n.
22558/2016, atteso che, pronunciandosi sulla compatibilità dell'art. 485 D.Lgs. n.
297/1994 (relativamente al personale docente) con l'art. 4 dell'Accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, ha stabilito che “48. Fatte salve le verifiche rientranti nella competenza esclusiva del giudice del rinvio, si deve ammettere che gli obiettivi invocati dal governo italiano nel caso di specie possono essere legittimamente considerati rispondenti a una reale necessità. 49. Risulta infatti dalle osservazioni di tale governo che la normativa nazionale di cui al procedimento principale mira, in parte, a rispecchiare le differenze tra l'esperienza acquisita dai docenti assunti mediante concorso e quella acquisita dai docenti assunti in base ai titoli, a motivo della diversità delle materie, delle condizioni e degli orari in cui questi ultimi devono intervenire, in particolare nell'amb ito di incarichi di sostituzione di altri docenti. Il governo italiano sostiene che, a causa dell'eterogeneità di tali situazioni, le prestazioni fornite dai docenti a tempo determinato per un periodo di almeno 180 giorni in un anno, vale a dire circa due terzi di un anno scolastico, sono computate dalla normativa nazionale come annualità complete. Fatta salva la verifica di tali elementi da parte del giudice del rinvio, un siffatto obiettivo appare conforme al principio del "pro rata temporis" cui fa espressamente riferimento la clausola 4, punto 2, dell'accordo quadro”.
Tuttavia, trattandosi di pronuncia relativa al personale docente, essa non può trovare applicazione al caso di specie, posta l'appartenenza del ricorrente al personale ATA.
Invero, in disparte la diversa normativa di riferimento (art. 569 D.Lgs. n. 279/94), non appaiono sussistere quelle obiettive ragioni - relative alla particolare modalità di lavoro e/o alla natura ed alle caratteristiche delle mansioni espletate – che giustificano la diversità di trattamento: in primo luogo, non è applicabile al personale
ATA la disposizione di favore di cui al combinato disposto degli artt. 489 D. Lgs. n.
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297/1994 e 11, comma 14, L. n. 124/1999, in forza del quale le prestazioni fornite dai docenti a tempo determinato per un periodo di almeno 180 giorni in un anno sono computate dalla normativa nazionale come annualità complete, con la conseguenza che, sotto tale profilo, nessuna discriminazione a contrario potrebbe verificarsi;in secondo luogo, non può sostenersi che la professionalità del personale ATA a termine sia diversa e non comparabile con quella del personale di ruolo, non potendo le argomentazioni addotte dal Governo Italiano con riferimento al personale docente valere anche per il personale ATA che, salvo diverse allegazioni specifiche contrarie dell'amministrazione, svolge sempre le stesse mansioni, indipendentemente dal termine dell'assunzione, di talché la professionalità del personale ATA non risulta influenzata in modo altrettanto intenso dalla maggiore o minore continuità con cui le relative mansioni siano state eseguite nel corso degli anni. Pertanto, si ritengono non sussistenti quelle ragioni oggettive che giustificano un trattamento differenziato, non potendo tali ragioni consistere nella natura non di ruolo del rapporto di lavoro e/o nella novità di ogni singolo contratto a termine rispetto al precedente, né nella particolare modalità di reclutamento del personale, così come statuito dalla giurisprudenza comunitaria.
Sul punto, giova ancora richiamare la decisione n. 31150/2019 con la quale la Corte di Cassazione ha confermato il suo precedente orientamento, affermando il seguente principio di diritto: “In tema di riconoscimento dei servizi preruolo del personale amministrativo tecnico ed ausiliario della scuola, l'art. 569 del d.lgs. n. 297 del 1994, si pone in contrasto con la clausola 4 dell'Accordo quadro allegato alla Direttiva
1999/70/CE, nella parte in cui prevede che il servizio effettivo prestato, calcolato ai sensi dell'art. 570 dello stesso decreto, sia utile integralmente ai fini giuridici ed economici solo limitatamente al primo triennio, mentre per la quota residua rilevi, ai soli fini economici, nei limiti dei due terzi;il giudice, una volta accertata la
Pag. 12 di 18 violazione della richiamata clausola 4, è tenuto a disapplicare la norma di diritto interno in contrasto con la direttiva e a riconoscere a ogni effetto al lavoratore a termine, poi immesso nei ruoli dell'amministrazione, l'intero servizio effettivo prestato”. Il principio di diritto affermato risulta pienamente condivisibile, in quanto in linea con l'evoluzione normativa e giurisprudenziale, in particolare comunitaria, in materia: in particolare, nella motivazione della decisione, viene evidenziata
l'insufficienza della circostanza della stipula del contratto a tempo determinato per giustificare il diverso trattamento, occorrendo che quest'ultimo sia giustificato mediante l'allegazione e la prova di “elementi precisi e concreti che contraddistinguano le condizioni di impiego”, come la “particolare natura delle mansioni” e/o la “legittima finalità di politica sociale”.
Applicando tale principio al caso di specie, deve osservarsi che non risulta comprovato nulla di specifico che giustifichi la disparità di trattamento che, conseguentemente, deve ritenersi illegittima. Ne consegue che, in assenza di elementi concreti e provati che depongano in senso contrario, la pacifica identità di mansioni e condizioni di impiego e l'analogia della formazione del personale assunto a tempo indeterminato e a termine inducono a ritenere che la posizione rivestita da parte ricorrente sia pienamente comparabile a quella dei corrispondenti colleghi assunti ab origine a tempo indeterminato. Diversamente, infatti, verrebbe a determinarsi una disparità di trattamento in relazione al riconoscimento dell'attività di servizio che non risulterebbe effettivamente giustificata da elementi concreti e oggettivi aal punto da rendere legittimo il differente trattamento.
In considerazione di tanto, deve ritenersi sussistente il diritto di parte ricorrente alla ricostruzione di carriera che valorizzi integralmente il pregresso servizio preruolo svolto a tempo determinato, con ogni conseguenza in termini giuridici ed economici.
A tal proposito, in mancanza di specifica contestazione, deve ritenersi congruo il
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ricalcolo dell'anzianità effettuato dalla ricorrente valorizzando integralmente il servizio preruolo svolto, per un totale di anni 5, mesi 7 e giorni 11.
Ciò posto, per quanto concerne l'eccezione di prescrizione sollevata dal CP_1
convenuto, deve ancora richiamarsi quanto stabilito dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui “L'anzianità di servizio in ruolo degli insegnanti configura un mero fatto giuridico, come tale insuscettibile di una prescrizione distinta da quella dei diritti patrimoniali che su di essa si fondano, con la conseguenza che, nel caso in cui il docente, prescrittosi un primo scatto di retribuzione, agisca tempestivamente per ottenere l'attribuzione di scatti successivi, questi debbono essere liquidati nella misura ad essi corrispondente, e cioè come se quello precedente, maturato ma non più dovuto per effetto della prescrizione, fosse stato corrisposto, in quanto il datore di lavoro può opporre al lavoratore la prescrizione quinquennale dei crediti relativi ai singoli aumenti ma non la prescrizione dell'anzianità di servizio quale fattispecie costitutiva di crediti ancora non prescritti… L'anzianità di servizio non è uno status
o un elemento costitutivo di uno status del lavoratore subordinato, nè un distinto bene della vita oggetto di un autonomo diritto, rappresentando piuttosto la dimensione temporale del rapporto di lavoro di cui integra il presupposto di fatto di specifici diritti, quali quelli all'indennità di fine rapporto, alla retribuzione, al risarcimento del danno per omissione contributiva, agli scatti di anzianità” onde essa “ è insuscettibile di un'autonoma prescrizione – distinta, in quanto tale, da quella dei diritti, a contenuto patrimoniale, che su di essa si fondano (posto che “non esiste… un diritto all'anzianità di ignoto contenuto autonomamente prescrivibile, ma esiste una anzianità, che costituisce presupposto di fatto per l'attribuzione di alcuni diritti, questi sì soggetti a prescrizione secondo il regime loro proprio… “l'anzianità di servizio, dunque, può essere oggetto di verifica giudiziale senza termine di tempo purché sussista nel ricorrente l'interesse ad agire che va valutato in ordine alla
Pag. 14 di 18 azionabilità dei singoli diritti di cui la prima costituisce il presupposto di fatto: da ciò deriva che l'effettiva anzianità di servizio può essere sempre accertata anche ai fini del riconoscimento del diritto ad una maggiore retribuzione per effetto del computo di un più alto numero di anni di anzianità salvo, in ordine al quantum della somma dovuta al lavoratore, il limite derivante dalla prescrizione quinquennale cui soggiace il diritto alla retribuzione.” (Cass. n. 2232/2020).
Tale principio deve ritenersi applicabile, per identità di ratio, anche al personale non docente, come nel caso di specie, qualificando il corretto inquadramento dell'anzianità di servizio e degli scatti ad essa connessi come fatti giuridici e non come diritti di contenuto patrimoniale, con conseguente non operatività, rispetto ai primi, della prescrizione;di contro, in riferimento al diritto alle differenze retributive invocato dalla ricorrente – questo sì soggetto a prescrizione, in considerazione della sua natura patrimoniale – deve ritenersi maturata la eccepita prescrizione relativamente ai diritti economici anteriori al quinquennio precedente la notifica del ricorso introduttivo del giudizio (29.01.2024). Ne deriva che il diritto agli emolumenti economici richiesti ricomprende i crediti maturati dal 29.01.2019 in avanti.
In ordine al quantum debeatur delle invocate differenze retributive, in mancanza di specifica contestazione, deve ritenersi congrua la somma di € 1.150,00 richiesta da parte ricorrente, calcolata tenendo conto della maturata prescrizione quinquennale dei crediti anteriori al 29.01.2019 e, dunque, relativamente all'arco temporale dal
29.01.2019 in avanti, oltre interessi e rivalutazione come per legge dal dì del dovuto al soddisfo.
Alla luce delle argomentazioni innanzi svolte, il ricorso va accolto, nei termini che seguono.
Deve dichiararsi l'illegittimità del decreto di ricostruzione della carriera prot. n. 603
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del 23.02.2021 emesso dall'amministrazione resistente e, per l'effetto, deve accertarsi il diritto di parte ricorrente al riconoscimento integrale, ai fini giuridici ed economici, del servizio preruolo svolto dall'a.s. 2004/2005 al 01.09.2019, data di immissione in ruolo, pari a anni 5, mesi 7 e giorni 11 di anzianità, nonché il diritto alla corresponsione delle differenze stipendiali così maturate in conseguenza di tale riconoscimento, per complessivi € 1.150,00, oltre interessi e rivalutazione come per legge dal dì del dovuto al soddisfo;per l'ulteriore effetto, deve condannarsi parte resistente al riconoscimento, in favore di parte ricorrente, dell'integrale servizio preruolo svolto, come sopra indicato, nonché al pagamento delle differenze retributive così maturate.
Le spese di lite del presente giudizio seguono la soccombenza e la liquidazione è affidata al dispositivo che segue, sulla scorta dei parametri di cui al D.M. n. 55/2014, come modificato dal D.M. n. 147/2022;per la determinazione del compenso si ha riguardo ai valori previsti dalle tabelle allegate al D.M. n. 55/14, in relazione alla tipologia di causa (procedimento in materia di lavoro), al valore della controversia
(scaglione da € 1.101,00 ad € 5.200,00) e alle fasi in cui si è articolata l'attività difensiva espletata nel presente giudizio (con esclusione della fase istruttoria). La liquidazione viene effettuata secondo parametri prossimi ai minimi, in considerazione della natura seriale della controversia e della ormai consolidata giurisprudenza europea e nazionale richiamata dalla ricorrente ed espressasi in senso favorevole alle relative istanze.
Le considerazioni sinora esposte sono dirimenti e assorbono ulteriori questioni in fatto o in diritto eventualmente contestate tra le parti.
Tali sono i motivi della presente decisione.
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