Trib. Trapani, sentenza 22/01/2024, n. 35

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Sul provvedimento

Citazione :
Trib. Trapani, sentenza 22/01/2024, n. 35
Giurisdizione : Trib. Trapani
Numero : 35
Data del deposito : 22 gennaio 2024

Testo completo

N. 1139 RG. 2022;


REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale di Trapani in persona del dott. M P in funzione di Giudice del Lavoro, nella causa tra:
, C.F. Parte_1 C.F._1
C.F. , Parte_2 C.F._2 parti ricorrenti, entrambe rappresentate e difese giusta procura in atti dall'avv. G M e VITA CHIRCO, CF/p.iva , C.F._3
Parte resistente, rappresentata e difesa giusta procura in atti dall'avv. M S. definisce il giudizio pronunciando la seguente
SENTENZA Con ricorso ritualmente notificato, le parti ricorrenti indicate in epigrafe hanno adito questo Tribunale esponendo:
- di aver lavorato presso l'abitazione della resistente (oltre che del suo defunto marito) dal 15.8.2015 al 6.8.2016, occupandosi della cura personale della stessa e del marito (sig. nonché della pulizia della casa e della cura dei Per_1 campi coltivati;

- che il ricorrente , in particolare, da agosto a novembre 2015, “per Pt_1 metà giornata, svolgeva la propria attività lavorativa [di elettricista] e per la rimanente parte coltivava i terreni” della resistente;
da dicembre 2015 ad agosto 2016, invece, avendo il sig. subito un intervento oculistico, Per_1
provvedeva a chiudere la propria ditta [di elettricista] dedicandosi interamente all'accudimento dei coniugi Per_1
- che la ricorrente “si occupava di accudire entrambi i coniugi e di tutte Pt_2 le faccende domestiche, oltre ad accompagnarli per il disbrigo pratiche presso banche ed uffici postali, nonché alla visite mediche”;
Lamentando il mancato pagamento di qualsivoglia emolumento, chiedono la condanna della resistente al pagamento di € 10.034,97 in favore del , e di € Pt_1
12.776,45 in favore della Pt_2
Si è costituita in giudizio la resistente la quale ha contestato l'esistenza dei dedotti rapporti di lavoro e ha chiesto il rigetto di ogni domanda.
Sul contraddittorio così costituito, la causa è stata decisa.
MOTIVAZIONE Il ricorso va rigettato.
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Preliminarmente giova ricordare che l'onere di provare l'esistenza del rapporto di lavoro ed il connotato della subordinazione, grava sulla parte ricorrente, secondo la regola generale di cui all'art. 2697 cc. (fra le tante, Cass.n. 11530/2013). Va detto che la Corte di Cassazione ha più volte chiarito che “Ogni attività umana economicamente rilevante può essere oggetto sia di rapporto di lavoro subordinato che di lavoro autonomo. Pertanto l'indagine ai fini della qualificazione del rapporto deve svolgersi con riferimento non già alla figura professionale astratta, ma alla fattispecie negoziale concreta come accertata dal giudice di merito” (Cass. 7608/91, seguita da innumerevoli pronunce conformi). Escluso che la prova della subordinazione possa essere desunta dal contenuto delle mansioni espletate, il lavoratore che intenda invocare l'applicazione del regime protezionistico riconosciuto ai lavoratori dipendenti (ossia, della contrattazione collettiva, dello Statuto dei Lavoratori, della protezione dal licenziamento ex L. 604/66 etc.) è tenuto in via principale a fornire la prova del fatto di aver svolto un'attività lavorativa caratterizzata dall'assoggettamento al potere direttivo e disciplinare del datore di lavoro. In questa ipotesi la subordinazione può darsi per dimostrata senz'altro, avendo il lavoratore fornito la prova diretta della eterodirezione della prestazione lavorativa. In alternativa, la subordinazione può essere dimostrata in via indiretta, attraverso i cc.dd. indici sussidiari. Con evidente approccio pragmatico, infatti, la giurisprudenza ha più volte sottolineato al rilevanza indiziaria delle seguenti circostanze:
- il fatto che l'attività lavorativa si svolga presso i locali aziendali e con impiego di attrezzature del datore di lavoro;

- il fatto che l'orario di lavoro sia fisso e caratterizzato da un vero e proprio obbligo di presenza, con conseguente necessità di giustificare le assenze, di concordare le ferie etc.;

- la mancanza del rischio aziendale in capo al lavoratore, stante l'assenza di una sia pur minima struttura imprenditoriale che faccia capo allo stesso;

- il coordinamento, da parte del datore di lavoro, dell'attività espletata dal prestatore d'opera con l'assetto organizzativo dato dal datore;
- la percezione, da parte del lavoratore, di una retribuzione prestabilita ed ancorata al decorso del tempo;

- il fatto che l'attività lavorativa venga svolta nei confronti di un unico datore di lavoro (c.d. monocommittenza). Trattandosi di prove indiziarie, i suddetti indici secondari acquistano rilevanza solo laddove abbiano i requisiti di gravità, precisione e concordanza tipici delle prove indirette. Da ciò si desume che, mentre nell'ipotesi in cui venga fornita la prova diretta sopra delineata, l'esistenza di un rapporto di lavoro-dipendente può dirsi per ciò solo dimostrata (rappresentando l'eterodirezione della prestazione e l'assoggettamento al potere disciplinare l'essenza della subordinazione), nel caso in cui venga fornita la prova indiretta il giudice deve procedere a “soppesare” gli indici secondari che emergono dall'istruttoria, ben potendo accadere che la subordinazione sussista
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nonostante la mancanza di taluno di essi, ovvero, che nonostante la presenza di alcuni indizi il rapporto debba essere comunque qualificato come connotato da autonomia.
Sulla base della detta premessa vanno analizzate le deduzioni di cui al ricorso. I ricorrenti deducono sì di aver lavorato per conto della resistente e del di lei defunto marito, ma nulla riferiscono circa i caratteri di tale rapporto. In particolare, con riferimento al , né dal tenore del ricorso, né da quello dei Pt_1 capitoli di prova orale articolati, emerge la sussistenza di alcuno degli indici sussidiari sopra ricordati. Piuttosto, il ricorrente si limita a riferire di aver svolto (peraltro, in concomitanza con l'esercizio di una propria attività professionale, almeno fino al novembre 2015) attività di assistenza alla resistente e al sig. di Per_1 aver coltivato i loro campi e di aver fruito di un'abitazione messa a disposizione da questi ultimi. La ricorrente invece, nel cap. 6 della prova testimoniale aggiunge la Pt_2 specificazione che l'attività svolta era espletata “ricevendo [dai s.ri Chirco e Per_1 precise direttive”, ma non indica il contenuto di alcuna di esse, quindi, non consente al giudice di valutare se le direttive cui si fa riferimento siano ascrivibili al potere del datore di lavoro ovvero ad altri possibili ruoli (ad es. quello del committente di una prestazione lavorativa espletata però in regime di autonomia). In sostanza, nel ricorso nulla di concreto si dice circa la sussistenza di un potere eterodirettivo della Chirco, né si indica un orario lavorativo etc. Peraltro, posto che nessuna retribuzione è stata percepita dai ricorrenti, non può essere ravvisato neppure l'indice sussidiario della percezione di un compenso in misura fissa e ancorata alla durata del lavoro. A ciò si aggiunga pure un'altra considerazione: i ricorrenti espongono di aver abitato, da agosto 2015 ad agosto 2016 in un immobile messo a disposizione dalla Chirco e dal espongono pure che il fece testamento innanzi al notaio nominando Per_1 Per_1 come erede la (sia pure con un fedecommesso in favore della propria Pt_2 coniuge), ma che poi i rapporti si guastarono, con la conseguenza “che i coniugi Per_1 siano venuti meno agli accordi raggiunti con i coniugi ”. Questa precisazione è Pt_1 sufficiente a far emergere il reale contenuto del rapporto che, presumibilmente, è intercorso fra le parti: la contropartita per l'attività di cura e assistenza menzionate in ricorso probabilmente avrebbe dovuto essere rappresentata dalla fruizione gratuita dell'immobile e dal lascito ereditario del sig. Per_1
Se così stanno le cose, posto che l'obbligazione avente ad oggetto il lascito ereditario è nulla (in quanto nessuno può obbligarsi a testare in un determinato modo o a non testare affatto), è evidente che non è ravvisabile un rapporto di lavoro subordinato;
in altre parole, si deve ritenere che i ricorrenti avessero una mera aspettativa di fatto (giuridicamente irrilevante) a conseguire l'eredità e che l'attività di cura e assistwnza menzionate in ricorso fossero deputate a coltivare tale aspettativa. Il fatto che, per via dell'evoluzione dei rapporti, l'aspettativa sia rimasta insoddisfatta è irrilevante, dovendosi comunque ritenere che non vi fosse alcuna valida obbligazione fra le parti
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(ferma restando, comunque, la possibilità per i ricorrenti di chiedere, laddove ne sussistano i presupposti l'indennizzo per ingiustificato arricchimento). Nello ottica appena delineate diviene chiara pure la ragione (altrimenti incomprensibile) per la quale, stando alle allegazioni dei ricorrenti, costoro avrebbero lavorato per circa un anno senza conseguire alcuna retribuzione, senza
“dimettersi”.
In conclusione, il ricorso va rigettato.
Le spese di lite vanno compensate, tenuto conto del fatto che la difesa della resistente è incentrata su profili irrilevanti ai fini del decidere (il rigetto, quindi, è stato pronunciato prescindendo dalle difese articolate dalla convenuta), nonché del fatto che quest'ultima ha serbato una condotta processuale scorretta, depositando memorie non autorizzate (denominate impropriamente “istanza”) in data 4.5.2023. In realtà, giova chiarire, un'istanza (in senso proprio) è finalizzata ad assicurare il miglior svolgimento del processo nell'interesse di tutte le parti, quindi, non può contenere attività difensiva;
ad es. si pensi all'istanza di nomina di un interprete per la parte che ne ha necessità, all'istanza di rinvio di udienza correlata all'impossibilità del difensore di parteciparvi, all'istanza di trattazione scritta etc. Sono invece note in senso tecnico quelle con le quali viene chiesta l'adozione di provvedimenti idonei a incidere sulla decisione finale in senso favorevole ad una sola parte (ad es. richieste di ammissione di prove, richieste di deposito di documenti, disconoscimenti documentali etc.). Ebbene: mentre per le prime può non essere strettamente necessario assicurare il contraddittorio (potendo il giudice valutare di volta in volta l'interesse della controparte a pronunciarsi), per le seconde è sempre necessario che il giudice assicuri alle parti parità di parola. Non a caso, l'art. 429 co. 2 cpc. subordina la facoltà di depositare note all'autorizzazione del giudice. Vale la pena di sottolineare quanto sia stata disdicevole (per non dire criminosa, ai sensi dell'art. 343 cp) la condotta serbata dal procuratore della resistente nel corso dell'udienza del 10.5.2023, allorché, di fronte all'ammonimento del giudice (che ricordava che le parti non possono depositare note senza autorizzazione), lo stesso abbia reagito rispondendo “questo lo dice lei” (frase non verbalizzata per evitare possibili sbocchi penali della vicenda), come se non fosse il giudice a dover assicurare la parità di strumenti nel processo, e come se l'art. 429 cpc non subordinasse proprio alla valutazione del giudice (non dell'avvocato) la possibilità per le parti di depositare note scritte. Per tali ragioni, le spese di lite vanno compensate integralmente.
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