Trib. Firenze, sentenza 19/07/2024, n. 2397
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Testo completo
TRIBUNALE ORDINARIO di FIRENZE
Sezione Specializzata in materia di Immigrazione, Protezione Internazionale e libera circolazione dei cittadini UE.
Il collegio composto dai seguenti magistrati:
dott. L M Presidente dott.ssa B F Giudice relatore dott. U C Giudice
Nel procedimento iscritto al n.r.g.4349/2023 e promosso da
, con il patrocinio dell'avv. PANERAI ILARIA;Parte_1
RICORRENTE contro
, in persona del Ministro, l.r.p.t., con il patrocinio ex lege dell'Avvocatura CP_1 distrettuale di Stato di Firenze;
RESISTENTE
Nella camera di consiglio del 17/07/2024 ha emesso la seguente
SENTENZA ex art. 281 sexies cpc e ex art. 19-ter d.lgs 286/98
1. I fatti di lite e lo svolgimento del processo.
Con ricorso ex artt. 702 bis c.p.c. e 19 ter D. Lgs. 286/1998 depositato in data 29/03/2023,
nato in PAKISTAN il 14/05/1997, impugna il decreto adottato dalla Questura Parte_1 della Provincia di emesso in data 9.3.2023 e notificato il 9.3.2023 , con cui il Questore ha CP_1 rigettato la sua richiesta di rilascio di permesso di soggiorno per protezione speciale ex art 19 comma1.1. D.L.vo 286\1998, adeguandosi al parere negativo della Commissione Territoriale per il
Riconoscimento della Protezione Internazionale di Firenze in data 20.12.2022
Il ricorrente lamenta l'illegittimità del provvedimento del Questore, e la non corretta valutazione sia della Commissione Territoriale per il Riconoscimento della Protezione Internazionale che del Questore allorché non hanno riconosciuto i presupposti di un permesso di soggiorno per protezione speciale ai sensi dell'art. 19, commi 1 e 1.1 del d. lgs. 286/98.
Deduce il ricorrente che, per contro, è persona integrata nel tessuto sociale italiano, avendo anche ottenuto diversi impieghi lavorativi. pagina 1 di 9
Il ricorrente depositava, a riprova di quanto asserito documentazione: decreto rigetto notificato il
09.03.2023 Prot. 14/2023;Piano integrato di Politiche per l'Occupazione e per il lavoro PIPOL
26.10.2016, copia CUD 2019-2020-2021-2022;copia UniLav del 09.10.2017 di instaurazione del rapporto di lavoro;ricevuta emersione RM4707080961, Unilav del 28.02.2023, copia visura camerale la “Stella di Ye Lina”;documentazione alloggiativa;ricevuta istanza protezione speciale;copia decreto di espulsione.
Lamenta quindi di essere espatriato nel luglio 2015 ed in Italia dal marzo 2016, di aver presentato una prima domanda di protezione internazionale il 11/04/2016 (UD0003919), rigettata dalla Commissione di Gorizia il 19/06/2017 per non credibilità della vicenda, relativa ad una questione amorosa, di aver presentato ricorso al Tribunale di Trieste, il quale il 26/01/2018 rigettava lo stesso, ritenendo, in conformità con la Commissione, non sussistenti i presupposti per le protezioni maggiori e negando anche la protezione umanitaria, “a fronte del comportamento scarsamente collaborativo”, di aver partecipato, ad Udine, nel 2016 ad un progetto di formazione dell'Unione europea concluso con successo, che ,trascorso un anno dal suo arrivo, nel 2017, il ricorrente si è trasferito a grazie alla CP_1 disponibilità di alcuni amici che lo hanno accolto e messo in contatto con la Sig.ra Ye Lina, titolare dell'impresa individuale la “Stella di Ye Lina” che si occupa di produrre gioielli, e presso la quale il medesimo ha iniziato a formarsi.
Grazie a tale occupazione lavorativa, di aver avuto modo di specializzarsi in un settore particolare, apprendendo una professione “di nicchia” che richiede competenze specifiche che ha pienamente acquisito nel corso degli anni di professione, di aver sempre lavorato per la predetta azienda: inizialmente con contratti a tempo determinato di sei mesi, l'ultimo dei quali, nel 2019, si è poi trasformato in un contratto a tempo indeterminato, che, tuttavia, tale contratto si è concluso forzatamente a settembre 2020 quando, a causa del rigetto della seconda istanza di protezione internazionale presentata presso la Questura di , il Sig. è rimasto privo dei documenti CP_1 Pt_1 necessari per poter proseguire regolarmente il proprio contratto di lavoro, che, dopo il lockdown del
2020, desideroso di regolarizzare i propri documenti ma non potendo essere assunto regolarmente presso la sua datrice di lavoro, il Sig. si attivava per trovare un lavoro diverso in uno degli ambiti Pt_1 previsti nella procedura di emersione RM 4707080961, di aver comunque mantenuto nel tempo contatti continuativi e costanti con la Sig.ra Lina che ha sempre espresso di tenere particolarmente alla collaborazione del Sig. ed Il 28.02.2023 la titolare della Confezione Stella Ye Lina, ha assunto Pt_1 con contratto full time a tempo indeterminato, altresì di essere titolare di una stabile situazione Pt_1 alloggiativa in alla Via Roma n. 133/C, a tal fine si producono la dichiarazione di ospitalità, il CP_1 contratto di locazione e il documento che attesta la stabilità del domicilio dell'istante .
Deduce inoltre la violazione del principio di non respingimento, laddove venisse respinto in patria, in considerazione della situazione di sistematica violazione dei diritti umani dovuta alla condizione culturale, sociale, politica ed economica del Pakistan, quale emerge dalle principali fonti internazionali, laddove permane una situazione di diffusa instabilità, il rischio di subire attentati è molto elevato e sono sconsigliati viaggi per i soggetti provenienti dall'estero.
Insiste poi, sulla base della novellata formulazione dell'art. 19 d.lgs. 286/1998, perché sia valorizzata la condizione di vulnerabilità in cui verrebbe a trovarsi, ove fosse costretto a tornare in patria, rapportata alla perdita di legami sociali e familiari nel paese di provenienza, nonché al percorso di integrazione anche lavorativa in Italia.
pagina 2 di 9
Conclude chiedendo che, accertata la sussistenza dei requisiti previsti dall'art. 19, commi 1 e 1.1 ed annullato il provvedimento impugnato, sia dichiarato il diritto del ricorrente al riconoscimento della protezione speciale, nonché perché sia ordinato alla Questura competente il rilascio del relativo permesso di soggiorno.
Il in data 9.5.2023 si è costituito a mezzo dell'Avvocatura dello Stato, resistendo Controparte_2 alla domanda e chiedendo il rigetto della stessa.
Con note del 4 settembre 2023, il difensore di parte ricorrente depositava in atti le ultime buste paga
2023.
All'udienza di comparizione fissata per la discussione il giorno 14 settembre 2023, il giudice procedeva all'audizione del ricorrente, il quale dichiarava :
" mi chiamo sono nato a Sarkoda nello Stato Pakistan il giorno 14.3.1997 Parte_1
Sono arrivato in Italia nel 2017.
Attualmente lavoro a come saldatore, da 5/6 anni. CP_1
Prima avevo un contratto e poi ho fatto la sanatoria.
Mi pagano circa 1000/1100 al mese.
Lavoro 8 ore al giorno.
Mi fanno la busta paga.
Ho fatto un corso di italiano quando ero nel CAS, non ho fatto corsi di aggiornamento.
Vivo in casa in affitto con amici , io pago circa 150 euro al mese.” Il giudice da atto che il ricorrente comprende correttamente l'italiano e seppur a fatica si esprime anche in lingua italiana.
Il difensore di parte ricorrente insiste nell'accoglimento del ricorso, contesta la costituzione della commissione, rileva che alla presentazione dell'istanza il ricorrente aveva sospeso il permesso di soggiorno, salvo poi rirendere il lavoro e chiede termine per il deposito di documenti.
Il giudice delegato Autorizza la trattazione scritta della prossima udienza ex art 127 ter cc con termine per note conclusive e deposito documentazione aggiornata sino al 18.9.2023 avvertendo che all'esito della scadenza del termine la causa verrà rimessa al Collegio per la decisione.
Nel rispetto del termine concesso, il difensore di parte ricorrente depositava note difensive, in cui chiedeva l'accoglimento del ricorso e produceva i seguenti documenti: Cud 2021;Ricevuta emersione;
Contratto di lavoro;Certificato di idoneità al lavoro con specifiche mansioni;Ultima busta paga;
Ricevute bonifici.
Chiusa l'istruttoria, il giudice rimetteva la causa al collegio per la decisione.
2. Il quadro normativo.
Il Collegio Osserva preliminarmente il Collegio che la domanda oggetto di causa viene trattata, per il principio del tempus regit actum, col rito sommario collegiale di cui agli artt. 702 bis c.p.c. e 19 ter
D.l.vo 115\2011 quali norme processuali vigenti all'epoca di azionamento della domanda amministrativa (inoltrata nel maggio 2020).
Quanto alla normativa sostanziale applicabile la stessa va individuata in quella vigente all'epoca della presentazione dalla domanda al Questore (2022) che ha poi deciso, acquisito il parere della
Commissione Territoriale per il Riconoscimento della Protezione Internazionale competente.
Va rilevato al proposito che la domanda di rilascio è stata proposta successivamente all'emanazione del decreto-legge 113/2018 (entrato in vigore il 5.10.2018) che attraverso la tipizzazione di nuovi titoli di pagina 3 di 9
soggiorno ha sostanzialmente abolito il permesso di soggiorno 'umanitario', restringendo notevolmente l'ambito applicativo dell'art. 5 comma 6 D.L.vo 286\1998 che ha perso la connotazione di atipicità\residualità che caratterizzava la precedente formulazione .
IL D.L. 113\2018 ha comunque previsto, oltre alle ipotesi più tipizzate dei permessi per 'casi speciali' 1, all'art. 1 comma 8, la possibilità di concessione di permessi per 'protezione speciale', in caso di presupposti di sussistenza dei presupposti ex articolo 19, commi 1 e 1.1 e . 19 comma 2 lettera d-bis, in caso di valutazione di istanza di rinnovo di permesso di soggiorno 'umanitario' già una prima volta riconosciuto ai sensi dell'articolo 32, comma 3, del D.L.vo 25\2008 “.
Il decreto Lamorgese ha modificato l'art. 5, comma 6 T.U.I. reintroducendo, quale limite al diniego e alla revoca del permesso di soggiorno, “il rispetto degli obblighi costituzionali o internazionali dello stato italiano”. E' stato inoltre riscritto il comma 1.1. dell'art. 19 del d.lvo 286/98 la cui attuale formulazione è la seguente: “Non sono ammessi il respingimento o l'espulsione o l'estradizione di una persona verso uno
Stato qualora esistano fondati motivi di ritenere che essa rischi di essere sottoposta a tortura o a trattamenti inumani e degradanti. Nella valutazione di tali motivi si tiene conto anche dell'esistenza, in tale Stato, di violazioni sistematiche e gravi di diritti umani. Non sono altresì ammessi il respingimento o l'espulsione di una persona verso uno Stato qualora esistano fondati motivi di ritenere che l'allontanamento dal territorio nazionale comporti una violazione del diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, a meno che esso non sia necessario per ragioni di sicurezza nazionale ovvero di ordine e sicurezza pubblica. Ai fini della valutazione del rischio di violazione di cui al periodo precedente si tiene conto della natura e dell'effettività dei vincoli familiari dell'interessato, del suo effettivo inserimento sociale in Italia, della durata del suo soggiorno sul territorio nazionale nonché dell'esistenza di legami familiari, culturali o sociali con il suo Paese di origine.” Qualora ricorrano i presupposti di cui al comma 1.1 dell'art. 19 TUI, contempla il rilascio di un permesso di soggiorno “per protezione speciale” di durata biennale e convertibile in permesso di soggiorno per motivi di lavoro, ai sensi del combinato disposto degli artt. 19 comma 1.2. e 6 comma 1- bis) TUI e dell'art. 32 comma terzo D.lvo 25/2008 come modificati rispettivamente dagli artt. 1 lett.e )
e b) e 2 lett. e) del D.L. 130/2020.
La prima parte del novellato art. 19 comma 1.1 esplicita il divieto assoluto di non refoulement collegato sia al rischio del richiedente di essere sottoposto a trattamenti inumani e degradanti, formula che richiama il principio di cui all'art. 3 Cedu, sia alla clausola generale di cui all'art. 5, comma 6, TUI.
Tale norma appare inoltre riconoscere uno spazio residuale di tutela per coloro che si trovino in condizioni di vulnerabilità non rilevanti ai fini delle protezioni maggiori ma comunque di rilevo costituzionale (art. 10, comma 3 Cost).
La seconda parte dell'art. 19.1.1. ha invece introdotto una nuova fattispecie di inespellibilità per rischio di violazione del diritto alla vita privata e familiare, con un evidente richiamo all'art. 8 CEDU. Quest'ultima, a differenza della prima, ha un carattere relativo in quanto comunque è necessario valutare se la permanenza dello straniero in Italia contrasti con ragioni di sicurezza nazionale, nonché di ordine e sicurezza pubblica. 1 i permessi di soggiorno per le vittime di violenza domestica di cui all'art. 18-bis D.L.vo 286\1998 , per ipotesi di sfruttamento lavorativo di cui all'art. 22 D.L.vo 286\1998, per protezione sociale di cui all'art. 18 D.L.vo 286\1998 , per calamità di cui all'art. 20-bis D.L.vo 286\1998 e per atti di particolare valore civile di cui all'art. 42-bis D.L.vo 286\1998 pagina 4 di 9
Ciò posto è evidente che la nuova normativa ha tenuto conto dell'elaborazione giurisprudenziale compiuta dalla Corte di Cassazione in tema di protezione umanitaria (durante il vigore dell'art. 5, comma 6 TUI in vigore e prima dell'entrata in vigore del d.l. 113/2018).
La disciplina della protezione umanitaria costituisce una forma di protezione complementare, rispetto al rifugio e alla protezione sussidiaria - che hanno invece derivazione comunitaria ed internazionale-, e rappresenta una manifestazione attuativa del diritto di asilo costituzionale (art. 10, comma 3 Cost)
(Corte Cost. 24 luglio 2019, n. 194).
Tale forma di protezione costituisce una misura atipica e residuale, che include situazioni in cui, pur non sussistendo i presupposti per il riconoscimento di una tutela tipica, non può disporsi l'espulsione e deve provvedersi all'accoglienza del richiedente che si trovi in condizioni di vulnerabilità, da valutarsi caso per caso. Può trattarsi di situazioni di vulnerabilità soggettiva (come ad es. condizioni di salute o di età del richiedente), ma anche di carattere oggettivo, relative al paese di origine (ad es. grave instabilità politica, carestie, disastri naturali, condizioni di povertà estreme), ovvero contesti personali e situazionali che, pur non avendo caratteristiche o intensità sufficiente per integrare i presupposti delle protezioni “maggiori”, risultino tuttavia meritevoli di tutela, alla luce dei valori e dei principi costituzionali del nostro ordinamento.
Le situazioni c.d. vulnerabili possono quindi derivare da cause non normativamente tipizzate:“Gli interessi protetti non possono restare ingabbiati in regole rigide e parametri severi, che ne limitino le possibilità di adeguamento, mobile ed elastico, ai valori costituzionali e sovranazionali;sicché, ha puntualizzato questa Corte, l'apertura e la residualità della tutela non consentono tipizzazioni (tra varie, Cass. 15 maggio 2019, nn. 13079 e 13096). Le basi normative non sono, allora, affatto fragili, ma “a compasso largo”: l'orizzontalità dei diritti umani fondamentali, col sostegno dell'art. 8 Cedu, promuove l'evoluzione della norma, elastica, sulla protezione umanitaria a clausola generale di sistema, capace di favorire i diritti umani e di radicarne l'attuazione (Cass. sez. un. 29461/2019). La giurisprudenza di legittimità, a far data dalla sentenza n. 4455/2018, ha attribuito rilievo centrale, ai fini della concessione della protezione umanitaria, alla valutazione comparativa tra il grado d'integrazione effettiva nel nostro paese e la situazione soggettiva e oggettiva del richiedente nel paese di origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità dell'esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile e costitutivo della dignità personale.
Da ultimo, le Sezioni Unite hanno chiarito che “occorre operare una valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al Paese di origine, in raffronto alla situazione d'integrazione raggiunta in Italia. Tale valutazione comparativa dovrà essere svolta attribuendo alla condizione soggettiva e oggettiva del richiedente nel Paese di origine un peso tanto minore quanto maggiore risulti il grado di integrazione che il richiedente dimostri di aver raggiunto nel tessuto sociale italiano. Situazioni di deprivazione dei diritti umani di particolare gravità nel Paese di origine possono fondare il diritto del richiedente alla protezione umanitaria anche in assenza di un apprezzabile livello di integrazione del medesimo in Italia. Per contro, quando si accerti che tale livello sia stato raggiunto, se il ritorno in Paesi d'origine rende probabile un significativo scadimento delle condizioni di vita privata e/o familiare sì da recare un vulnus al diritto riconosciuto dall'art. 8 della Convenzione EDU, sussiste un serio motivo di carattere umanitario, ai sensi dell'art. 5 T.U. cit., per riconoscere il permesso di soggiorno”. Nel compiere tale giudizio, quindi, devono valutarsi “non solo il rischio di danni futuri – legati alle condizioni oggettive e soggettive che il migrante (ri)troverà nel Paese di origine – ma anche il rischio pagina 5 di 9 di un danno attuale da perdita di relazioni affettive, di professionalità maturate, di osmosi culturale riuscita”. In particolare, “in presenza di un elevato livello di integrazione effettiva nel nostro Paese – desumibile da indici socialmente rilevanti quali la titolarità di un rapporto di lavoro (pur se a tempo determinato costituendo tale forma di rapporto di lavoro quella più diffusa, in questo momento storico, di accesso al mercato del lavoro), la titolarità di un rapporto locatizio, la presenza di figli che frequentino asili o scuole, la partecipazione ad attività associative radicate nel territorio di insediamento – saranno le condizioni oggettive e soggettive nel Paese di origine ad assumere una rilevanza proporzionalmente minore” e viceversa “situazioni di deprivazione dei diritti umani di particolare gravità nel Paese di origine possono fondare il diritto del richiedente alla protezione umanitaria anche in assenza di un apprezzabile livello di integrazione del medesimo in Italia” (Cass. sez. un. 24413/2021).
Per quanto sussista una certa continuità tra la disciplina della protezione umanitaria e quella della protezione speciale il nuovo regime appare maggiormente incentrato sul radicamento dello straniero sul territorio nazionale. Se, infatti, ai fini della concessione della protezione umanitaria deve essere effettuata una "comparazione attenuata” tra la situazione di inserimento sociale in Italia del richiedente
e il pericolo di gravi violazioni dei diritti umani che egli avrebbe potuto soffrire in caso di rimpatrio,
l'attuale normativa attribuisce all'elemento del rischio della violazione della vita privata e familiare una rilevanza autonoma o, quantomeno, prevalente nella valutazione dei presupposti necessari al riconoscimento della protezione speciale.
La giurisprudenza di legittimità, richiamando l'art. 8 CEDU, ha chiarito che sono tre i parametri di radicamento sul territorio nazionale che assumono rilevanza sulla base della formulazione dell'art. 19, comma 1.1: quello familiare, quello sociale (in cui sono incluse le relazioni lavorative ed economiche che pure concorrono a comporre la vita privata ovvero l'identità sociale di una persona) e quello desumibile dalla durata del soggiorno sul territorio nazionale, quest'ultimo difficilmente apprezzabile in via autonoma (Cass. 7861/2022;Cass. 24945/2022).
La Cassazione, richiamando la sentenza delle Sezioni Unite n. 24413 del 2021, pur riferita alla previgente protezione complementare, ma sviluppando argomentazioni che per la loro generalità appaiono suscettibili di essere trasposte anche nel nuovo contesto normativo, ha precisato che “"tutti i rapporti sociali tra gli immigrati stabilmente insediati e la comunità nella quale vivono” sono “parte integrante della nozione di "vita privata" ai sensi dell'art.
Sezione Specializzata in materia di Immigrazione, Protezione Internazionale e libera circolazione dei cittadini UE.
Il collegio composto dai seguenti magistrati:
dott. L M Presidente dott.ssa B F Giudice relatore dott. U C Giudice
Nel procedimento iscritto al n.r.g.4349/2023 e promosso da
, con il patrocinio dell'avv. PANERAI ILARIA;Parte_1
RICORRENTE contro
, in persona del Ministro, l.r.p.t., con il patrocinio ex lege dell'Avvocatura CP_1 distrettuale di Stato di Firenze;
RESISTENTE
Nella camera di consiglio del 17/07/2024 ha emesso la seguente
SENTENZA ex art. 281 sexies cpc e ex art. 19-ter d.lgs 286/98
1. I fatti di lite e lo svolgimento del processo.
Con ricorso ex artt. 702 bis c.p.c. e 19 ter D. Lgs. 286/1998 depositato in data 29/03/2023,
nato in PAKISTAN il 14/05/1997, impugna il decreto adottato dalla Questura Parte_1 della Provincia di emesso in data 9.3.2023 e notificato il 9.3.2023 , con cui il Questore ha CP_1 rigettato la sua richiesta di rilascio di permesso di soggiorno per protezione speciale ex art 19 comma1.1. D.L.vo 286\1998, adeguandosi al parere negativo della Commissione Territoriale per il
Riconoscimento della Protezione Internazionale di Firenze in data 20.12.2022
Il ricorrente lamenta l'illegittimità del provvedimento del Questore, e la non corretta valutazione sia della Commissione Territoriale per il Riconoscimento della Protezione Internazionale che del Questore allorché non hanno riconosciuto i presupposti di un permesso di soggiorno per protezione speciale ai sensi dell'art. 19, commi 1 e 1.1 del d. lgs. 286/98.
Deduce il ricorrente che, per contro, è persona integrata nel tessuto sociale italiano, avendo anche ottenuto diversi impieghi lavorativi. pagina 1 di 9
Il ricorrente depositava, a riprova di quanto asserito documentazione: decreto rigetto notificato il
09.03.2023 Prot. 14/2023;Piano integrato di Politiche per l'Occupazione e per il lavoro PIPOL
26.10.2016, copia CUD 2019-2020-2021-2022;copia UniLav del 09.10.2017 di instaurazione del rapporto di lavoro;ricevuta emersione RM4707080961, Unilav del 28.02.2023, copia visura camerale la “Stella di Ye Lina”;documentazione alloggiativa;ricevuta istanza protezione speciale;copia decreto di espulsione.
Lamenta quindi di essere espatriato nel luglio 2015 ed in Italia dal marzo 2016, di aver presentato una prima domanda di protezione internazionale il 11/04/2016 (UD0003919), rigettata dalla Commissione di Gorizia il 19/06/2017 per non credibilità della vicenda, relativa ad una questione amorosa, di aver presentato ricorso al Tribunale di Trieste, il quale il 26/01/2018 rigettava lo stesso, ritenendo, in conformità con la Commissione, non sussistenti i presupposti per le protezioni maggiori e negando anche la protezione umanitaria, “a fronte del comportamento scarsamente collaborativo”, di aver partecipato, ad Udine, nel 2016 ad un progetto di formazione dell'Unione europea concluso con successo, che ,trascorso un anno dal suo arrivo, nel 2017, il ricorrente si è trasferito a grazie alla CP_1 disponibilità di alcuni amici che lo hanno accolto e messo in contatto con la Sig.ra Ye Lina, titolare dell'impresa individuale la “Stella di Ye Lina” che si occupa di produrre gioielli, e presso la quale il medesimo ha iniziato a formarsi.
Grazie a tale occupazione lavorativa, di aver avuto modo di specializzarsi in un settore particolare, apprendendo una professione “di nicchia” che richiede competenze specifiche che ha pienamente acquisito nel corso degli anni di professione, di aver sempre lavorato per la predetta azienda: inizialmente con contratti a tempo determinato di sei mesi, l'ultimo dei quali, nel 2019, si è poi trasformato in un contratto a tempo indeterminato, che, tuttavia, tale contratto si è concluso forzatamente a settembre 2020 quando, a causa del rigetto della seconda istanza di protezione internazionale presentata presso la Questura di , il Sig. è rimasto privo dei documenti CP_1 Pt_1 necessari per poter proseguire regolarmente il proprio contratto di lavoro, che, dopo il lockdown del
2020, desideroso di regolarizzare i propri documenti ma non potendo essere assunto regolarmente presso la sua datrice di lavoro, il Sig. si attivava per trovare un lavoro diverso in uno degli ambiti Pt_1 previsti nella procedura di emersione RM 4707080961, di aver comunque mantenuto nel tempo contatti continuativi e costanti con la Sig.ra Lina che ha sempre espresso di tenere particolarmente alla collaborazione del Sig. ed Il 28.02.2023 la titolare della Confezione Stella Ye Lina, ha assunto Pt_1 con contratto full time a tempo indeterminato, altresì di essere titolare di una stabile situazione Pt_1 alloggiativa in alla Via Roma n. 133/C, a tal fine si producono la dichiarazione di ospitalità, il CP_1 contratto di locazione e il documento che attesta la stabilità del domicilio dell'istante .
Deduce inoltre la violazione del principio di non respingimento, laddove venisse respinto in patria, in considerazione della situazione di sistematica violazione dei diritti umani dovuta alla condizione culturale, sociale, politica ed economica del Pakistan, quale emerge dalle principali fonti internazionali, laddove permane una situazione di diffusa instabilità, il rischio di subire attentati è molto elevato e sono sconsigliati viaggi per i soggetti provenienti dall'estero.
Insiste poi, sulla base della novellata formulazione dell'art. 19 d.lgs. 286/1998, perché sia valorizzata la condizione di vulnerabilità in cui verrebbe a trovarsi, ove fosse costretto a tornare in patria, rapportata alla perdita di legami sociali e familiari nel paese di provenienza, nonché al percorso di integrazione anche lavorativa in Italia.
pagina 2 di 9
Conclude chiedendo che, accertata la sussistenza dei requisiti previsti dall'art. 19, commi 1 e 1.1 ed annullato il provvedimento impugnato, sia dichiarato il diritto del ricorrente al riconoscimento della protezione speciale, nonché perché sia ordinato alla Questura competente il rilascio del relativo permesso di soggiorno.
Il in data 9.5.2023 si è costituito a mezzo dell'Avvocatura dello Stato, resistendo Controparte_2 alla domanda e chiedendo il rigetto della stessa.
Con note del 4 settembre 2023, il difensore di parte ricorrente depositava in atti le ultime buste paga
2023.
All'udienza di comparizione fissata per la discussione il giorno 14 settembre 2023, il giudice procedeva all'audizione del ricorrente, il quale dichiarava :
" mi chiamo sono nato a Sarkoda nello Stato Pakistan il giorno 14.3.1997 Parte_1
Sono arrivato in Italia nel 2017.
Attualmente lavoro a come saldatore, da 5/6 anni. CP_1
Prima avevo un contratto e poi ho fatto la sanatoria.
Mi pagano circa 1000/1100 al mese.
Lavoro 8 ore al giorno.
Mi fanno la busta paga.
Ho fatto un corso di italiano quando ero nel CAS, non ho fatto corsi di aggiornamento.
Vivo in casa in affitto con amici , io pago circa 150 euro al mese.” Il giudice da atto che il ricorrente comprende correttamente l'italiano e seppur a fatica si esprime anche in lingua italiana.
Il difensore di parte ricorrente insiste nell'accoglimento del ricorso, contesta la costituzione della commissione, rileva che alla presentazione dell'istanza il ricorrente aveva sospeso il permesso di soggiorno, salvo poi rirendere il lavoro e chiede termine per il deposito di documenti.
Il giudice delegato Autorizza la trattazione scritta della prossima udienza ex art 127 ter cc con termine per note conclusive e deposito documentazione aggiornata sino al 18.9.2023 avvertendo che all'esito della scadenza del termine la causa verrà rimessa al Collegio per la decisione.
Nel rispetto del termine concesso, il difensore di parte ricorrente depositava note difensive, in cui chiedeva l'accoglimento del ricorso e produceva i seguenti documenti: Cud 2021;Ricevuta emersione;
Contratto di lavoro;Certificato di idoneità al lavoro con specifiche mansioni;Ultima busta paga;
Ricevute bonifici.
Chiusa l'istruttoria, il giudice rimetteva la causa al collegio per la decisione.
2. Il quadro normativo.
Il Collegio Osserva preliminarmente il Collegio che la domanda oggetto di causa viene trattata, per il principio del tempus regit actum, col rito sommario collegiale di cui agli artt. 702 bis c.p.c. e 19 ter
D.l.vo 115\2011 quali norme processuali vigenti all'epoca di azionamento della domanda amministrativa (inoltrata nel maggio 2020).
Quanto alla normativa sostanziale applicabile la stessa va individuata in quella vigente all'epoca della presentazione dalla domanda al Questore (2022) che ha poi deciso, acquisito il parere della
Commissione Territoriale per il Riconoscimento della Protezione Internazionale competente.
Va rilevato al proposito che la domanda di rilascio è stata proposta successivamente all'emanazione del decreto-legge 113/2018 (entrato in vigore il 5.10.2018) che attraverso la tipizzazione di nuovi titoli di pagina 3 di 9
soggiorno ha sostanzialmente abolito il permesso di soggiorno 'umanitario', restringendo notevolmente l'ambito applicativo dell'art. 5 comma 6 D.L.vo 286\1998 che ha perso la connotazione di atipicità\residualità che caratterizzava la precedente formulazione .
IL D.L. 113\2018 ha comunque previsto, oltre alle ipotesi più tipizzate dei permessi per 'casi speciali' 1, all'art. 1 comma 8, la possibilità di concessione di permessi per 'protezione speciale', in caso di presupposti di sussistenza dei presupposti ex articolo 19, commi 1 e 1.1 e . 19 comma 2 lettera d-bis, in caso di valutazione di istanza di rinnovo di permesso di soggiorno 'umanitario' già una prima volta riconosciuto ai sensi dell'articolo 32, comma 3, del D.L.vo 25\2008 “.
Il decreto Lamorgese ha modificato l'art. 5, comma 6 T.U.I. reintroducendo, quale limite al diniego e alla revoca del permesso di soggiorno, “il rispetto degli obblighi costituzionali o internazionali dello stato italiano”. E' stato inoltre riscritto il comma 1.1. dell'art. 19 del d.lvo 286/98 la cui attuale formulazione è la seguente: “Non sono ammessi il respingimento o l'espulsione o l'estradizione di una persona verso uno
Stato qualora esistano fondati motivi di ritenere che essa rischi di essere sottoposta a tortura o a trattamenti inumani e degradanti. Nella valutazione di tali motivi si tiene conto anche dell'esistenza, in tale Stato, di violazioni sistematiche e gravi di diritti umani. Non sono altresì ammessi il respingimento o l'espulsione di una persona verso uno Stato qualora esistano fondati motivi di ritenere che l'allontanamento dal territorio nazionale comporti una violazione del diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, a meno che esso non sia necessario per ragioni di sicurezza nazionale ovvero di ordine e sicurezza pubblica. Ai fini della valutazione del rischio di violazione di cui al periodo precedente si tiene conto della natura e dell'effettività dei vincoli familiari dell'interessato, del suo effettivo inserimento sociale in Italia, della durata del suo soggiorno sul territorio nazionale nonché dell'esistenza di legami familiari, culturali o sociali con il suo Paese di origine.” Qualora ricorrano i presupposti di cui al comma 1.1 dell'art. 19 TUI, contempla il rilascio di un permesso di soggiorno “per protezione speciale” di durata biennale e convertibile in permesso di soggiorno per motivi di lavoro, ai sensi del combinato disposto degli artt. 19 comma 1.2. e 6 comma 1- bis) TUI e dell'art. 32 comma terzo D.lvo 25/2008 come modificati rispettivamente dagli artt. 1 lett.e )
e b) e 2 lett. e) del D.L. 130/2020.
La prima parte del novellato art. 19 comma 1.1 esplicita il divieto assoluto di non refoulement collegato sia al rischio del richiedente di essere sottoposto a trattamenti inumani e degradanti, formula che richiama il principio di cui all'art. 3 Cedu, sia alla clausola generale di cui all'art. 5, comma 6, TUI.
Tale norma appare inoltre riconoscere uno spazio residuale di tutela per coloro che si trovino in condizioni di vulnerabilità non rilevanti ai fini delle protezioni maggiori ma comunque di rilevo costituzionale (art. 10, comma 3 Cost).
La seconda parte dell'art. 19.1.1. ha invece introdotto una nuova fattispecie di inespellibilità per rischio di violazione del diritto alla vita privata e familiare, con un evidente richiamo all'art. 8 CEDU. Quest'ultima, a differenza della prima, ha un carattere relativo in quanto comunque è necessario valutare se la permanenza dello straniero in Italia contrasti con ragioni di sicurezza nazionale, nonché di ordine e sicurezza pubblica. 1 i permessi di soggiorno per le vittime di violenza domestica di cui all'art. 18-bis D.L.vo 286\1998 , per ipotesi di sfruttamento lavorativo di cui all'art. 22 D.L.vo 286\1998, per protezione sociale di cui all'art. 18 D.L.vo 286\1998 , per calamità di cui all'art. 20-bis D.L.vo 286\1998 e per atti di particolare valore civile di cui all'art. 42-bis D.L.vo 286\1998 pagina 4 di 9
Ciò posto è evidente che la nuova normativa ha tenuto conto dell'elaborazione giurisprudenziale compiuta dalla Corte di Cassazione in tema di protezione umanitaria (durante il vigore dell'art. 5, comma 6 TUI in vigore e prima dell'entrata in vigore del d.l. 113/2018).
La disciplina della protezione umanitaria costituisce una forma di protezione complementare, rispetto al rifugio e alla protezione sussidiaria - che hanno invece derivazione comunitaria ed internazionale-, e rappresenta una manifestazione attuativa del diritto di asilo costituzionale (art. 10, comma 3 Cost)
(Corte Cost. 24 luglio 2019, n. 194).
Tale forma di protezione costituisce una misura atipica e residuale, che include situazioni in cui, pur non sussistendo i presupposti per il riconoscimento di una tutela tipica, non può disporsi l'espulsione e deve provvedersi all'accoglienza del richiedente che si trovi in condizioni di vulnerabilità, da valutarsi caso per caso. Può trattarsi di situazioni di vulnerabilità soggettiva (come ad es. condizioni di salute o di età del richiedente), ma anche di carattere oggettivo, relative al paese di origine (ad es. grave instabilità politica, carestie, disastri naturali, condizioni di povertà estreme), ovvero contesti personali e situazionali che, pur non avendo caratteristiche o intensità sufficiente per integrare i presupposti delle protezioni “maggiori”, risultino tuttavia meritevoli di tutela, alla luce dei valori e dei principi costituzionali del nostro ordinamento.
Le situazioni c.d. vulnerabili possono quindi derivare da cause non normativamente tipizzate:“Gli interessi protetti non possono restare ingabbiati in regole rigide e parametri severi, che ne limitino le possibilità di adeguamento, mobile ed elastico, ai valori costituzionali e sovranazionali;sicché, ha puntualizzato questa Corte, l'apertura e la residualità della tutela non consentono tipizzazioni (tra varie, Cass. 15 maggio 2019, nn. 13079 e 13096). Le basi normative non sono, allora, affatto fragili, ma “a compasso largo”: l'orizzontalità dei diritti umani fondamentali, col sostegno dell'art. 8 Cedu, promuove l'evoluzione della norma, elastica, sulla protezione umanitaria a clausola generale di sistema, capace di favorire i diritti umani e di radicarne l'attuazione (Cass. sez. un. 29461/2019). La giurisprudenza di legittimità, a far data dalla sentenza n. 4455/2018, ha attribuito rilievo centrale, ai fini della concessione della protezione umanitaria, alla valutazione comparativa tra il grado d'integrazione effettiva nel nostro paese e la situazione soggettiva e oggettiva del richiedente nel paese di origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità dell'esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile e costitutivo della dignità personale.
Da ultimo, le Sezioni Unite hanno chiarito che “occorre operare una valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al Paese di origine, in raffronto alla situazione d'integrazione raggiunta in Italia. Tale valutazione comparativa dovrà essere svolta attribuendo alla condizione soggettiva e oggettiva del richiedente nel Paese di origine un peso tanto minore quanto maggiore risulti il grado di integrazione che il richiedente dimostri di aver raggiunto nel tessuto sociale italiano. Situazioni di deprivazione dei diritti umani di particolare gravità nel Paese di origine possono fondare il diritto del richiedente alla protezione umanitaria anche in assenza di un apprezzabile livello di integrazione del medesimo in Italia. Per contro, quando si accerti che tale livello sia stato raggiunto, se il ritorno in Paesi d'origine rende probabile un significativo scadimento delle condizioni di vita privata e/o familiare sì da recare un vulnus al diritto riconosciuto dall'art. 8 della Convenzione EDU, sussiste un serio motivo di carattere umanitario, ai sensi dell'art. 5 T.U. cit., per riconoscere il permesso di soggiorno”. Nel compiere tale giudizio, quindi, devono valutarsi “non solo il rischio di danni futuri – legati alle condizioni oggettive e soggettive che il migrante (ri)troverà nel Paese di origine – ma anche il rischio pagina 5 di 9 di un danno attuale da perdita di relazioni affettive, di professionalità maturate, di osmosi culturale riuscita”. In particolare, “in presenza di un elevato livello di integrazione effettiva nel nostro Paese – desumibile da indici socialmente rilevanti quali la titolarità di un rapporto di lavoro (pur se a tempo determinato costituendo tale forma di rapporto di lavoro quella più diffusa, in questo momento storico, di accesso al mercato del lavoro), la titolarità di un rapporto locatizio, la presenza di figli che frequentino asili o scuole, la partecipazione ad attività associative radicate nel territorio di insediamento – saranno le condizioni oggettive e soggettive nel Paese di origine ad assumere una rilevanza proporzionalmente minore” e viceversa “situazioni di deprivazione dei diritti umani di particolare gravità nel Paese di origine possono fondare il diritto del richiedente alla protezione umanitaria anche in assenza di un apprezzabile livello di integrazione del medesimo in Italia” (Cass. sez. un. 24413/2021).
Per quanto sussista una certa continuità tra la disciplina della protezione umanitaria e quella della protezione speciale il nuovo regime appare maggiormente incentrato sul radicamento dello straniero sul territorio nazionale. Se, infatti, ai fini della concessione della protezione umanitaria deve essere effettuata una "comparazione attenuata” tra la situazione di inserimento sociale in Italia del richiedente
e il pericolo di gravi violazioni dei diritti umani che egli avrebbe potuto soffrire in caso di rimpatrio,
l'attuale normativa attribuisce all'elemento del rischio della violazione della vita privata e familiare una rilevanza autonoma o, quantomeno, prevalente nella valutazione dei presupposti necessari al riconoscimento della protezione speciale.
La giurisprudenza di legittimità, richiamando l'art. 8 CEDU, ha chiarito che sono tre i parametri di radicamento sul territorio nazionale che assumono rilevanza sulla base della formulazione dell'art. 19, comma 1.1: quello familiare, quello sociale (in cui sono incluse le relazioni lavorative ed economiche che pure concorrono a comporre la vita privata ovvero l'identità sociale di una persona) e quello desumibile dalla durata del soggiorno sul territorio nazionale, quest'ultimo difficilmente apprezzabile in via autonoma (Cass. 7861/2022;Cass. 24945/2022).
La Cassazione, richiamando la sentenza delle Sezioni Unite n. 24413 del 2021, pur riferita alla previgente protezione complementare, ma sviluppando argomentazioni che per la loro generalità appaiono suscettibili di essere trasposte anche nel nuovo contesto normativo, ha precisato che “"tutti i rapporti sociali tra gli immigrati stabilmente insediati e la comunità nella quale vivono” sono “parte integrante della nozione di "vita privata" ai sensi dell'art.
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