Trib. Catania, sentenza 04/12/2024, n. 5452

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Sul provvedimento

Citazione :
Trib. Catania, sentenza 04/12/2024, n. 5452
Giurisdizione : Trib. Catania
Numero : 5452
Data del deposito : 4 dicembre 2024

Testo completo


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE DI CATANIA
SEZIONE II CIVILE
Il Giudice del Lavoro del Tribunale di Catania, dott.ssa Elisa Milazzo, all'udienza del 20.11.2024, sostituita dal deposito di note ai sensi dell'art. 127 ter c.p.c., ha pronunciato la seguente
SENTENZA nella causa iscritta al n. 2741/2021 R.G.L., avente ad oggetto “richiesta riconoscimento emolumenti retributivi”,
PROMOSSA DA
rappresentata e difesa dall'avv. Valentina Agozzino giusta procura in atti Parte_1
- Ricorrente -
CONTRO in persona del legale Controparte_1 rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avv. Massimo Vallone e dall'avv. Rita
Camarda
- Resistente -
RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO



1. Premessa

Con ricorso depositato in cancelleria il 4.05.2021 adiva il Tribunale in Parte_1
funzione di Giudice del lavoro per sentire accogliere le seguenti conclusioni: “che il Giudice del
Lavoro adito, in accoglimento del presente ricorso, CONDANNI la Controparte_1
con sede in Aci S. Antonio, via Scalazza Grande n°87, p.iva
[...]
, al pagamento in favore della sig.ra generalizzata come in atti, senza P.IVA_1 Parte_1 dilazione, la complessiva somma di € 3.112,20 per le causali sopra indicate, al lordo delle ritenute di legge, oltre agli interessi legali maturati e maturandi e alla rivalutazione monetaria sino al soddisfo, nonché le spese e compensi della presente procedura. Occorrendo, in caso di contestazioni, si chiede che il decidente disponga CTU contabile al fine di quantificare le somme dovute alla ricorrente.”.
A sostegno delle proprie conclusioni esponeva di avere lavorato alle dipendenze della società resistente in qualità di impiegata con rapporto di lavoro subordinato a tempo parziale ed inquadramento al V livello del CCNL Commercio e che detto rapporto di lavoro era stato regolarizzato a far data dall'1.10.2009 e fino al 9.12.2019, data in cui si era vista costretta a rassegnare le proprie dimissioni per giusta causa, stante il perdurante inadempimento del datore di lavoro dell'obbligo di pagamento delle retribuzioni spettanti, avvenuto con sistematico ritardo e dopo molteplici richieste.
Affermava che con nota del 20.12.2019 aveva sollecitato il pagamento di quanto ancora dovutole da parte datoriale, ma che le somme spettanti non le erano state corrisposte, per cui aveva chiesto ed ottenuto da codesto Tribunale, nella persona del Giudice del lavoro dott.ssa Per_1
un decreto ingiuntivo (contrassegnato con il n. 2910/2020 R.G.L.) per emolumenti riferiti alle
[...]
retribuzioni maturate nel periodo ricompreso tra gennaio 2019 e novembre 2019 e al trattamento di fine rapporto;
in particolare, con il predetto D.I., alla società odierna resistente era stato ingiunto di pagarle, “… a titolo di retribuzioni da gennaio a novembre 2019, 14ma mensilità e TFR, “la somma di € 7.863,00, al lordo delle ritenute di legge;
gli interessi come per legge
”.
Affermava, altresì, che avverso detta ingiunzione di pagamento la società resistente aveva proposto opposizione, iscritta al n. 4465/2020 R.G.L. ed assegnata sempre al giudice del lavoro di codesto Tribunale dott.ssa (tale procedimento di opposizione, nelle more transitato Persona_1
nella titolarità del giudice del lavoro dott. Marco A. Pennisi, è stato frattanto definito con sentenza
n. 3314/2024 pubblicata in data 17.06.2024, con la quale, constatato il pagamento solo parziale eseguito dopo la notifica del decreto ingiuntivo opposto, è stato revocato il decreto ingiuntivo impugnato e condannata la società resistente al pagamento, in favore della odierna parte ricorrente, della somma di € 2.649,89, oltre interessi e rivalutazione dal dovuto al soddisfo).
La ricorrente, comunque, sosteneva di vantare ancora nei confronti della società odierna resistente ulteriori crediti non azionabili con il predetto ricorso per decreto ingiuntivo (né, come vedremo infra, con separato ricorso per decreto ingiuntivo appositamente proposto successivamente), vedendosi costretta, pertanto, ad adire nuovamente questo Tribunale in funzione di giudice del lavoro, questa volta con procedimento ordinario di merito, allo scopo di ottenere quanto ancora spettante, complessivamente ammontante alla somma di € 3.112,20, ottenuta sommando le richieste dalla stessa avanzate a titolo di tredicesima mensilità (€ 650,51), di ferie non godute (€ 1.233,44) e di indennità sostitutiva del mancato preavviso (€ 1.228,25).
Adiva, dunque, questo Tribunale in funzione di giudice del lavoro allo scopo di ottenere la condanna della società convenuta alla corresponsione in suo favore delle somme specificamente indicate nel riportato petitum, chiedendo, all'occorrenza ed in caso di eventuali contestazioni, volersi disporre CTU contabile per la quantificazione delle spettanze economiche dovutele.
Si costituiva in giudizio, con memoria del 25.10.2021, la società convenuta, contestando la fondatezza della domanda proposta dalla controparte - in particolare, eccependone l'inammissibilità per avere frazionato il credito di una determinata somma di denaro dovuta in forza di un unico rapporto di lavoro in plurime richieste giudiziali di adempimento, contestuali o scaglionate nel tempo - e chiedendone, pertanto, il rigetto.
Eccepiva, infatti, preliminarmente, a sostegno della dedotta inammissibilità del ricorso, che le domande formulate in seno al presente giudizio e derivanti dal medesimo rapporto di lavoro avrebbero potuto ben essere proposte nell'ambito del giudizio monitorio richiamato supra
(contrassegnato con il n. 2910/2020 R.G.L.), implicando le stesse (specificamente, pretese di pagamento della 13^ mensilità 2019, delle ferie non godute e dell'indennità sostitutiva del mancato preavviso) un mero calcolo aritmetico che ben poteva essere eseguito nel ricorso per decreto ingiuntivo.
Subentrato nelle more nella titolarità del procedimento, questo giudice, constatata
l'infruttuosità di ogni tentativo volto ad un bonario componimento della lite intrapresa, istruita la causa a mezzo del solo esame della documentazione prodotta, ritenendo la causa oramai matura per la decisione disponeva che l'udienza del 20.11.2024 fosse sostituita dal deposito di note scritte contenenti le sole istanze e conclusioni.
Nel termine perentorio assegnato ai sensi dell'art. 127 ter c.p.c. le parti costituite hanno depositato note e la causa viene, pertanto, decisa con la presente sentenza.
*****************
Così ricostruito l'iter processuale, il Tribunale reputa che il ricorso, alla luce della documentazione in atti e degli esiti dell'attività istruttoria espletata sulla stessa in corso di causa, sia fondato e che lo stesso meriti, pertanto, di essere integralmente accolto per le ragioni di seguito evidenziate.


2. Sulla preliminare eccezione di inammissibilità del ricorso

Occorre preliminarmente esaminare l'eccezione di inammissibilità del ricorso, sollevata dalla difesa della società convenuta sul presupposto che le domande formulate in seno al presente giudizio ordinario di merito e derivanti da un medesimo rapporto di lavoro avrebbero dovuto essere
proposte dalla ricorrente nell'ambito del giudizio monitorio richiamato in premessa (contrassegnato con il n. 2910/2020 R.G.L.), implicando le stesse domande (pretese di pagamento della 13^ mensilità 2019, delle ferie non godute e dell'indennità sostitutiva del mancato preavviso) un mero calcolo aritmetico che avrebbe potuto tranquillamente essere eseguito nel ricorso per decreto ingiuntivo.
Sul punto parte resistente invoca la giurisprudenza della Suprema Corte secondo cui non è legittimo per il creditore suddividere in più richieste giudiziali di adempimento una somma di denaro dovuta in virtù di un unico rapporto obbligatorio. Tale prassi, oltre a violare i principi di correttezza e buona fede che devono caratterizzare il rapporto tra le parti, costituisce anche una violazione del principio costituzionale del giusto processo.
In particolare, le Sezioni Unite, con le sentenze n. 4090/2017 e n. 4091/2017 richiamate dalla società resistente, hanno specificato questi principi, stabilendo che, sebbene sia possibile proporre domande relative a diversi diritti di credito in processi separati, quando queste pretese derivino da uno stesso rapporto di durata tra le parti e siano inscrivibili nello stesso creditore, il giudice deve valutare se esista un interesse oggettivamente valutabile alla tutela processuale frazionata. Il frazionamento del credito, che sia contemporaneo o distribuito nel tempo, è sussumibile in una pratica contraria ai principi di correttezza e buona fede che devono governare il rapporto tra le parti, sia durante l'esecuzione del contratto che in fase di azione legale per ottenere
l'adempimento. Inoltre, tale frazionamento è in contrasto con il principio costituzionale del giusto processo, rappresentando un abuso degli strumenti processuali offerti dal sistema giuridico (cfr.
Cass. n. 19898/2018, Cass. n. 15398/2019, Cass. n. 26089/2019, Cass. n. 9398/2017 e Cass. n.
17019/2018).
Gli ermellini hanno stabilito che le richieste relative a diversi diritti di credito, pur riguardando uno stesso rapporto di durata tra le parti, possono essere separate in distinti procedimenti finché non siano, sostanzialmente, collegate dallo stesso fatto costitutivo, rendendo così impossibile una valutazione separata senza duplicare l'attività istruttoria e disperdere la conoscenza della stessa vicenda sostanziale. Solo in questo caso, le richieste possono essere avanzate in giudizi separati, a condizione che vi sia un interesse oggettivamente valutabile alla tutela processuale frazionata da parte del creditore.
Recentemente, è stato chiarito che tale interesse deve essere interpretato considerando due aspetti: il concetto di “medesimo rapporto di durata”
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