Trib. Roma, sentenza 31/10/2024, n. 10992

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Sul provvedimento

Citazione :
Trib. Roma, sentenza 31/10/2024, n. 10992
Giurisdizione : Trib. Roma
Numero : 10992
Data del deposito : 31 ottobre 2024

Testo completo


R.G. 23609/2024
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TERZA SEZIONE LAVORO
Il Tribunale, nella persona del Giudice dott.ssa S A, allo spirare dei termini per le note ex art. 127 ter cpc ha pronunciato, mediante deposito telematico in data odierna, la seguente
SENTENZA nella causa promossa da
, elettivamente domiciliato in Roma, viale Gorizia 52, presso lo Parte_1
studio dell'avv. M T che lo rappresenta e difende per procura allegata al ricorso
RICORRENTE
CONTRO
, in persona del rappresentato e Controparte_1 CP_2
difeso ex lege dall'Avvocatura Generale dello Stato e domiciliato presso i suoi uffici in
Roma, Via dei Portoghesi 12

in persona del Presidente pro-tempore, elettivamente domiciliato in Roma, presso CP_3
l'Avvocatura Metropolitana dell'Istituto di Roma, via Cesare Beccaria 29, rappresentato e difeso dall'avv. A F per procura generale alle liti
RESISTENTI
OGGETTO: differenze retributive
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. Con ricorso depositato in data 19 giugno 2024 e ritualmente notificato, la parte ricorrente in epigrafe indicata ha convenuto avanti l'intestato Tribunale il Controparte_1
, esponendo:
[...]
- di essere detenuto, dal mese di marzo 2004 sino al mese di dicembre 2010 presso l'Istituto
Casa Circondariale “Bicocca” di Catania;
dal mese di dicembre 2010 sino al mese di febbraio 2012 presso l'Istituto Casa Circondariale di Catanzaro;
dal mese di febbraio 2012 sino alla data di redazione del presente ricorso presso l'Istituto Casa di Reclusione “P.
Pittalis” di Tempio Pausania.;
- di aver prestato - dal mese di aprile 2004 sino al mese di dicembre 2022 - attività lavorativa, con varie mansioni, specificate in ricorso, presso i suddetti istituti penitenziari, precisando altresì che detto rapporto di lavoro deve ritenersi unico, sia pure con interruzioni e perché non cessata l'attività lavorativa.
- che, con riferimento al lavoro intramurario svolto nel periodo aprile 2004 – giugno 2017, si è visto corrispondere la mercede carceraria, come da cedolini paga allegati, inferiore a quanto previsto dagli artt. 20 e 22 l. n. 354/1975 (in relazione all'adeguamento della mercede) in quanto parametrata ai livelli retributivi del CCNL applicabile vigenti al 1993
e non più adeguati da parte del . CP_1
Assumendo, quindi, di aver maturato un credito per differenze retributive (per retribuzione, 13^ e 14^, indennità sostitutiva delle ferie maturate e non godute, lavoro straordinario, compenso aggiuntivo per lavoro festivo e TFR) pari a € 14.992,76 calcolato mediante applicazione di una retribuzione oraria corrispondente alla misura non inferiore ai due terzi delle tariffe minime previste dalla contrattazione collettiva per i livelli di inquadramento corrispondenti alle mansioni svolte, secondo le determinazioni già individuate dal convenuto (come da nota 10.11.1993), CP_1 Controparte_1
ha chiesto la condanna del al pagamento del detto ammontare, “con ogni CP_1
conseguenza prevista dalla legge in punto di regolarizzazione della posizione previdenziale ed assicurativa”, oltre interessi e rivalutazione monetaria e con vittoria di spese da distrarsi.


4. Il , tempestivamente costituitosi, ha eccepito in via preliminare Controparte_1
la prescrizione quinquennale del credito ex art. 2948 c.c. per il periodo anteriore al quinquennio alla data di notifica del ricorso. In relazione al quantum ha eccepito la non
debenza della 14^ mensilità, l'assenza di prova del lavoro straordinario svolto ed il difetto di compenso raddoppiato per il lavoro festivo perché non determinato dalla competente commissione prima del 2018.


5. L' costituendosi in giudizio, sottolineata l'assenza di qualsiasi pretesa nei suoi CP_3
confronti, chiedeva, “in caso di accertamento di dovuta ricostruzione di posizione previdenziale”, la condanna del datore di lavoro al versamento in proprio favore dei contributi previdenziali
“con aggravio di somme aggiuntive dall'inadempimento al saldo” nei limiti della prescrizione ex lege.


6. All'odierna udienza, celebrata con le modalità della trattazione scritta, previo scambio di note ex art. 127 ter cpc, la causa, di natura documentale, è stata dunque decisa mediante deposito telematico della presente sentenza.
MOTIVI DELLA DECISIONE
L'eccezione di prescrizione è infondata.
Come noto in tema di lavoro carcerario la prescrizione non decorre durante lo svolgimento dell'attività lavorativa e tale sospensione permane fino alla cessazione del rapporto di lavoro non potendo estendersi all'intero periodo di detenzione ( cfr Ord. Cass sez lav n° 27340/2019, Cass. 3925/2015, Cass. 3062/2015 ). Come ben chiarito dalla sentenza della Corte di Appello di Roma n° 726/2023 “ l'esistenza di fatti estintivi del “rapporto di lavoro carcerario”, atti ad interrompere il regime di sospensione del termine prescrizionale, deve essere provata da chi l'adduce, e non può essere desunta dal fatto che l'attività sia stata svolta in diverse carceri, posto che il rapporto di lavoro si instaura con il e non con l'Istituto di pena - argomentando da CP_1
Cass. n. 12205/2019 e Cass n. 18308/2009, sia pure riguardo all'applicazione dei criteri di competenza territoriale di cui all'art. 413 c.p.c. - sicchè il trasferimento del detenuto non comporta, di per sé, cessazione del rapporto, né, come pretende l'appellante, la cessazione del rapporto può essere desunta dal mero mutamento di mansioni via via assegnate” .
Deve richiamarsi sul tema il condivisibile orientamento da ultimo ribadito dalla Corte di
Appello di Roma con le recenti sentenze n° 677/2024 del 23/2/2024 e n° 680/2024 del
16/2/2024, secondo il quale “Invero, pur nella diversità delle mansioni (riconducibili tutte, comunque, alla figura di addetto ai servizi vari dell'Istituto di pena), e pur nella diversità dei luoghi di espletamento di tali mansioni (le varie Case circondariali), il rapporto de quo - lo si ripete - è caratterizzato dalla unicità e dalla continuità. In altri termini, appare dirimente sottolineare che non siamo in presenza di una pluralità di rapporti distinti, ma di un unico rapporto di lavoro, svoltosi continuativamente durante il periodo di detenzione, anche se non coincidente con la durata di quest'ultimo (tanto che qui il dies a quo si fa decorrere dalla “cessazione del rapporto di lavoro”, e non dal “fine pena”, ossia dalla scadenza dello stato di detenzione). Al riguardo - pur in difetto di idonea documentazione di supporto da parte del
Ministero (v. supra) - potrebbe opinarsi che trattavasi di una pluralità di contratti a termine, ma privi della forma scritta, richiesta ad substantiam per il lavoro a tempo determinato. In realtà, va evidenziata la peculiarità del lavoro penitenziario che, innanzitutto, per i condannati, è obbligatorio, per cui non si costituisce per contratto, ma mediante provvedimenti di “assegnazione al lavoro” che, stante il carattere limitato dei posti disponibili, dipendono dall'utile collocazione in un'apposita graduatoria;
le stesse assegnazioni al lavoro sono, poi, del tutto precarie, e non danno luogo a rapporti stabili;
inoltre, nessuna disciplina sembra emergere quanto alla cessazione del “rapporto di lavoro” interno, potendo il lavoratore- detenuto essere “escluso dall'attività lavorativa” se manifesta un sostanziale rifiuto ad espletarla o per motivi disciplinari, che, peraltro, non si riferiscono specificamente al lavoro come tale (v, in proposito, legge

n. 354/1975, d.P.R. n. 230/2000, e s.m.i.). Ne deriva che il lavoro penitenziario non dà luogo ad un rapporto giuridico obbligatorio simile, per struttura, a quello delineato dall'art. 2094 c.c., nel quale una parte assume stabilmente l'obbligo di collaborare e l'altra quello di retribuire, potendo tali obblighi persistere fino a quando una delle parti recede;
i detenuti hanno il diritto e l'obbligo di lavorare in quanto

e per quanto ammessi al lavoro e per il tempo in cui, di volta in volta, sussiste disponibilità di lavoro carcerario (quindi, non sono ipotizzabili licenziamenti in senso stretto, tanto che, ai detenuti-lavoratori, non dovrebbe spettare l'indennità di disoccupazione per i periodi di inattività che si determinano in relazione ai meccanismi di rotazione di cui sopra). In quest'ordine di concetti, non risulta chiaro quando, in una condizione stabile di detenzione, cesserebbe il “rapporto di lavoro” svolto nelle more, non essendoci tra le parti alcun rapporto obbligatorio stabile in senso lavoristico, ma un rapporto vagamente assimilabile al lavoro intermittente cui le parti sono reciprocamente tenute se ed in quanto e fintanto che c'è lavoro da svolgere in carcere. Trovano così conferma i rilievi secondo cui, in tema di lavoro carcerario, il termine di prescrizione dei diritti del lavoratore non decorre durante lo svolgimento del rapporto di lavoro, in sé privo di stabilità, poiché, nei confronti del prestatore, è configurabile una situazione di metus, che, pur non identificandosi necessariamente in un timore di rappresaglie da parte del datore di lavoro, è riconducibile alla circostanza che la configurazione sostanziale e la tutela giurisdizionale dei diritti nascenti dall'attività lavorativa del detenuto possono non coincidere con quelli che contrassegnano il lavoro libero, attesa la necessità di preservare le modalità essenziali di esecuzione della pena e le corrispondenti esigenze organizzative dell'Amministrazione penitenziaria. Resta fermo che l'esistenza di fatti estintivi del
“rapporto di lavoro carcerario”, atti ad interrompere il regime di sospensione del termine prescrizionale, deve essere provata da chi l'adduce, e non può essere desunta dal fatto che l'attività sia stata svolta in diverse carceri, posto che il rapporto di lavoro si instaura con il e non con l'Istituto di pena - CP_1
argomentando da Cass. n. 12205/2019 e Cass n. 18308/2009, sia pure riguardo all'applicazione dei criteri di competenza territoriale di cui all'art. 413 c.p.c. - sicché il trasferimento del detenuto non comporta, di per sé, cessazione del rapporto, né, come pretende l'appellante, la cessazione del rapporto può essere desunta dal mero mutamento di mansioni via via assegnate”.
Deve in ogni caso evidenziarsi che il ricorrente ha dimostrato di aver posto in essere - a differenza di quanto eccepito dalla difesa del convenuto - validi atti interruttivi CP_1
della prescrizione, tale dovendosi considerare la diffida del 31.05.2024 (all. 10 al ricorso), nelle quale, se pur non specificati i periodi specificamente lavorati dai singoli detenuti che in quella sede hanno conferito mandato al legale, sono ben chiari la richiesta di adeguamento delle retribuzioni ricevute (“INVITA E DIFFIDA il Controparte_4
a versare, immediatamente, una retribuzione commisurata ai 2/3 delle paghe sindacali (prese
[...]
come riferimento) vigenti alla data di espletamento della prestazione lavorativa”), le ragioni poste a fondamento della pretesa e i riferimenti normativi a sostegno della stessa.
Facendo applicazione alla fattispecie di detti principi e tenuto conto della prestazione lavorativa fino al mese di dicembre 2022 e della diffida in atti, l'eccezione di prescrizione
è infondata.
Nel merito la domanda è fondata e deve essere accolta nei termini che seguono.
In via preliminare, si evidenzia che è documentalmente provato che il ricorrente, detenuto, dal mese di aprile 2004 al giugno 2017 abbia prestato attività lavorativa, con le mansioni indicate in ricorso e riportate nelle buste paga in atti.
La questione controversa, oggetto di giudizio, attiene all'ammontare della mercede dovuta per lo svolgimento di tali mansioni, dettagliatamente allegata nel ricorso e documentalmente provata dalle buste paga in atti.
Giova in via preliminare inquadrare brevemente la disciplina legale e contrattuale applicabile al caso di specie. Va sul punto osservato che il lavoro penitenziario non ha carattere afflittivo ed è remunerato, come previsto dall'articolo 20 della L. 354/1975.
Infatti, l'art. 20 dell'Ordinamento Penitenziario prevede che "Il lavoro penitenziario non ha carattere afflittivo ed è remunerato" e che "L'organizzazione e i metodi del lavoro penitenziario devono riflettere quelli del lavoro nella società libera al fine di far acquisire ai soggetti una preparazione professionale adeguata alle normali condizioni lavorative per agevolarne il reinserimento sociale". L'art.
20 L. 354 cit. prevede poi che "La durata delle prestazioni lavorative non può superare i limiti stabiliti dalle leggi vigenti in materia di lavoro e, alla stregua di tali leggi, sono garantiti il riposo festivo e la tutela assicurativa e previdenziale. Ai detenuti e agli internati che frequentano i corsi di formazione professionale di cui al comma primo è garantita, nei limiti degli stanziamenti regionali, la tutela assicurativa e ogni altra tutela prevista dalle disposizioni vigenti in ordine a tali corsi". Il comma 6 del medesimo articolo stabilisce inoltre che "la durata delle prestazioni lavorative non può superare i limiti stabiliti dalle leggi vigenti in materia di lavoro e, alla stregua di tali leggi, sono garantiti il riposo festivo e la tutela assicurativa e previdenziale". Inoltre, l'art. 22, nel testo vigente all'epoca cui si riferisce la domanda azionata (anteriormente cioè alle modifiche introdotte con D.Lgs. 2 ottobre 2018, n. 124 art. 2, comma 1, lettera f) concernente in particolare la determinazione delle mercedi, prevede invece che "Le mercedi per ciascuna categoria di lavoranti sono equitativamente stabilite in relazione alla quantità e qualità del lavoro effettivamente prestato, alla organizzazione e al tipo del lavoro del detenuto in misura non inferiore ai due terzi del trattamento economico previsto dai contratti collettivi di lavoro. A tale fine é costituita una commissione composta dal
(omissis) degli istituti di prevenzione e di pena, che la presiede, dal direttore dell'ufficio del lavoro dei detenuti e degli internati della direzione generale per gli istituti di prevenzione e di pena, da un ispettore generale degli istituti di prevenzione e di pena, da un rappresentante del ministero del tesoro, da un rappresentante del ministero del lavoro e della previdenza sociale e da un delegato per ciascuna delle organizzazioni sindacali più rappresentative sul piano nazionale. La commissione stabilisce, altresì, il numero massimo di ore di permesso di assenza dal lavoro retribuite e le condizioni e modalità di fruizione delle stesse da parte dei detenuti e degli in- ternati addetti alle lavorazioni, interne o esterne, o ai servizi di istituto, i quali frequentino i corsi della scuola d'obbligo o delle scuole di istruzione secondaria di secondo grado, o i corsi di addestramento professionale, ove tali corsi si svolgano, negli istituti penitenziari, durante l'orario di lavoro ordinario". Orbene, la Commissione istituita in forza della normativa sopra richiamata, ha determinato la mercede da corrispondere a ciascuna categoria di lavoranti detenuti, con decorrenza dall'1.04.1976 prevedendo peraltro, che “…la mercede, riferita ai contratti nazionali di categoria, stabilita per giornate lavorative, è costituita dalla paga base, nonché dai ratei dell'indennità di contingenza, della 13^ mensilità e dell'indennità di anzianità…. Le effettive prestazioni di ogni lavorante in base alla quantità e alla qualità del lavoro vanno rapportate alle mansioni previste per ogni categoria nei prospetti d'inquadramento, attribuendo quindi il corrispondente livello retributivo…”, nonché la durata ordinaria del lavoro in 40 ore settimanali;
la corresponsione nelle giornate festive di una doppia mercede e della maggiorazione oraria del 25% per il lavoro straordinario (cfr. Circolare n. 2294/4748 del 9.3.76).
Nella specie il ricorrente si duole del fatto che la retribuzione così come pagata non sia stata mai adeguata fino a fine settembre 2017: tale fatto è confermato dalla circolare del
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