Trib. Roma, sentenza 11/07/2024, n. 8290
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Testo completo
R.G. 12042/2022
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE DI ROMA
TERZA SEZIONE LAVORO
Il Tribunale, nella persona del Giudice dott.ssa S A, spirati i termini assegnati, ex art. 127 ter cpc, fino al 10.7.2024, ha pronunciato, mediante deposito telematico in data odierna, la seguente
SENTENZA nella causa promossa da:
, elettivamente domiciliato in Roma, via Parte_1
C 6, presso lo studio dell'avv. S M B che lo rappresenta e difende per procura allegata al ricorso
RICORRENTE in persona del l.r.p.t., elettivamente Controparte_1
domiciliata in Roma, largo Olgiata lotto 39/B, presso lo studio dell'avv.
M M, che la rappresenta e difende per procura allegata alla memoria difensiva in persona del l.r.p.t., elettivamente Controparte_2
domiciliata in Roma, largo Olgiata lotto 39/B, presso lo studio dell'avv.
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M M, che la rappresenta e difende per procura allegata alla memoria difensiva
RESISTENTI
OGGETTO: differenze retributive, mansioni superiori, risarcimento del danno, mobbing
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso ex art. 414 c.p.c., ritualmente notificato, Parte_1
premesso di essere stato assunto, in data 3.10.2011, dalla
[...]
con la qualifica di commesso alle vendite al pubblico e CP_1
inquadramento nel livello 4 del CCNL Commercio, dedotto di aver lavorato per un orario costantemente superiore a quello contrattualmente stabilito, di aver svolto, dal 2016, mansioni superiori rispetto a quello del suo formale inquadramento e di aver subito vessazioni continue da parte del – il quale, pur non presente nell'organigramma Parte_2
aziendale, era colui che impartiva le direttive e gli ordini sul lavoro assieme a sua sorella ed al capo del personale – e Pt_3 Controparte_3
di essere stato, dall'ottobre 2021, assunto a sua insaputa dalla
[...]
dopo essere stato costretto a firmare la sua lettera di Controparte_2
licenziamento dalle tuttavia continuando a lavorare Controparte_1
con le identiche modalità precedenti, prospettata la gestione di fatto del rapporto di lavoro da parte del l'avvenuta cessione di azienda tra Pt_2
le due società succedutesi nel rapporto medesimo (con conseguente responsabilità solidale tra le medesime per il credito fatto valere) e la responsabilità del datore per il danno non patrimoniale patito (per
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l'inadempimento datoriale nel corso dello svolgimento del rapporto lavorativo e per il mobbing subito) da liquidarsi in via equitativa, conveniva in giudizio le società datrici di lavoro chiedendo al Tribunale di voler “condannare entrambe le società convenute e Controparte_1 Controparte_2
nelle persona dei rispettivi l.r.p.t. in solido al pagamento in favore del Sig..
[...] Pt_1
della somma complessiva di € 132.261,61 a titolo di differenze retributive,
[...]
indennitarie e T.F.R. non corrisposti;voglia altresì condannare a pagare al Ricorrente
a titolo risarcitorio, ognuna per le rispettive responsabilità così come accertate in fatto e in diritto, la alla somma di € 60.000,00 e Controparte_1 Controparte_2
alla somma di € 7.500,00;ovvero condannare le Convenute al pagamento di quella diversa somma che sarà accertata come dovuta, oltre agli interessi legali maturati dalla data della domanda a quella dell'effettivo soddisfo. Con vittoria di spese, diritti ed onorari del presente procedimento”.
Si costituiva in giudizio la la quale, contestata la Controparte_1
ricostruzione in fatto del ricorrente – e in particolare la asserita amministrazione di fatto delle da parte di terzi, le Controparte_1
vessazioni poste in essere dal (mero cliente della società ed Pt_2
estraneo al rapporto di lavoro dedotto in giudizio) nei confronti del la dedotta cessione d'azienda, il preteso svolgimento di Pt_1
mansioni superiori e di lavoro straordinario da parte del ricorrente e, in ogni caso, la dovutezza di qualsivoglia somma a titolo di differenze retributive in favore del lavoratore – resisteva al ricorso chiedendone il rigetto eccependo, in ogni caso, la prescrizione quinquennale del credito fatto valere.
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Altresì la si costituiva in giudizio e, con difesa affatto Controparte_2
analoga a quella della dedotto l'intervenuto accordo tra Controparte_1
le due società esclusivamente in ordine all'accollo del TFR maturato dal lavoratore (a fronte della cessione di alcuni beni mobili e arredi di ufficio) ben noto al che lo aveva firmato, a sua volta eccepita la Pt_1
prescrizione, chiedeva il rigetto del ricorso.
In via riconvenzionale, dedotto che il lavoratore non avesse rispettato il termine di un mese e mezzo di preavviso al momento delle dimissioni, chiedeva condannarsi il al pagamento, in suo favore Pt_1
dell'ammontare di € 2.231,26, oltre interessi dal dovuto al soddisfo.
All'udienza dell'8.3.2023 il ricorrente accettava, in acconto sul maggior avere, l'ammontare di € 12.411,66 a titolo di pagamento delle due ultime buste paga e del TFR, dedotto l'ammontare ammesso come dovuto a titolo di mancato preavviso.
La causa era istruita documentalmente e mediante prova per testi: rinviata per la decisione, all'esito dello spirare dei termini assegnati ex art. 127 ter cpc, era dunque decisa con il deposito telematico della presente sentenza.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Preliminarmente deve evidenziarsi che all'esito dell'accettazione, all'udienza dell'8.3.2023, dell'offerta banco iudicis da parte del lavoratore dell'ammontare di € 12.411,66 – quale importo a titolo di pagamento delle due ultime buste paga e TFR con compensazione delle somme dovute dal lavoratore a titolo di preavviso – è venuto meno l'interesse della
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convenuta alla domanda riconvenzionale spesa nella Controparte_2
memoria difensiva.
Nel merito la domanda del ricorrente è parzialmente fondata.
Non ha trovato serio riscontro probatorio, in primo luogo, la domanda del D'Ottavi volta ad ottenere le differenze retributive per lo straordinario asseritamente svolto sulla scorta della deduzione di un lavoro articolato su dieci ore giornaliere per cinque giorni a settimana.
Al proposito, in disparte le dichiarazioni dei testi condotti da parte resistente – tutti soggetti ancora alle dipendenze della convenuta
[...]
e/o comunque non neutrali (quali il alle vicende Controparte_2 Pt_2
che la interessano in questo giudizio) – l'unico teste di parte ricorrente che ha affermato che il dovesse rispettare un orario di dieci ore Pt_1
giornaliere, il non solo è stato alle dipendenze della Testimone_1
società convenuta solo fino all'anno 2019, ma ha reso una dichiarazione vieppiù laconica al riguardo (“alla fine delle uscite doveva tornare presso la sede e doveva terminare l'orario di lavoro di dieci ore giornaliere - 49 ore settimanali, distribuite su cinque giorni a settimana)”, omettendo di specificare la concreta collocazione dell'orario di lavoro svolto dal ricorrente nell'arco della giornata, oltre che di puntualizzare il fatto che eventualmente fosse, quello riferito, un orario imposto per ogni giornata lavorativa o, invece, esclusivamente per i giorni in cui si verificavano le uscite.
Il teste dal canto suo, esaminato all'udienza del 7.2.2024, Testimone_2
in qualità di cliente della e poi della Controparte_1 CP_2
presente presso la sede di lavoro del ricorrente solo nelle occasioni legate
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alle esigenze di acquisti per i suoi clienti (“Io andavo a volte una volta al mese,
a volte più volte in una settimana, dipendeva dalle esigenze dei miei clienti…”), ha riferito di averlo visto lavorare (non quotidianamente, n.d.r.) “anche più di otto ore”, tuttavia specificando che “era presente anche fino alle 19 dalle 8,30 di mattina” (“So che lavorava anche più di otto ore;a volte con i miei clienti stavamo tutto il giorno, andavamo via per l'ora del pranzo e poi tornavamo e lui era presente anche fino alle 19 dalle 8,30 di mattina, orario al quale io spesso arrivavo con i miei clienti”), e quindi di fatto confermando – in assenza di qualsivoglia riferimento alla pausa tra la mattina ed il pomeriggio - l'orario di lavoro dedotto dalle convenute nelle proprie difese (9-13/15-19).
Né, del resto, a dirimere i dubbi in ordine alla dedotta abitualità dell'orario lavorativo giornaliero di dieci ore possono soccorrere i fogli presenza prodotti dal D'Ottavi (all.ti 17 e 18 al ricorso), non solo perché relativi solo ad alcune giornate lavorative (del 2016 e del 2021) ma anche perché non tutti riportanti lo stacco della pausa pranzo e comunque non attestanti quanto affermato dal ricorrente (non essendo apprezzabile il rispetto costante, da parte dello stesso, di un orario di dieci ore quotidiane).
Ora è che sul lavoratore che chieda in via giudiziale il compenso per lavoro straordinario grava un onere probatorio rigoroso (cfr. per tutte
Cass. n. 16150/2018) - dovendo essere fornita dal dipendente la prova, non solo dell'esecuzione di attività lavorativa al di fuori del normale orario di lavoro, ma altresì della puntuale collocazione temporale della stessa
Cass. 9906/2015 - in mancanza dell'assolvimento del quale – come nel
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caso di specie, in cui le laconiche e lacunose dichiarazioni dei testi non consentono di ritenere appurate le concrete circostanze nelle quali sia stato prestato lo straordinario e in ogni caso la sua effettiva abitualità - la domanda non può trovare accoglimento.
Diversamente, il ricorrente - formalmente inquadrato nel 4^ livello come commesso alla vendita al pubblico - ha, a parere del Tribunale, ampiamente dimostrato lo svolgimento di mansioni di commesso specializzato inquadrabili nel 3^ livello del CCNL Commercio dall'anno
2016.
Al proposito il teste collega del ricorrente “per una decina Testimone_1
di anni”, fino al dicembre 2019, ha dichiarato “Il ricorrente era addetto alle vendite in sala, dall'accoglienza alla consulenza ai clienti fino alla compilazione dell'ordine e del contratto di vendita nei confronti dei clienti, redatto completamente da lui: in più si occupava dei rilievi tecnici in cantiere, prendeva le misure sia per la sue commesse che per quelle di altri colleghi. Era attivo nell'approfondire prodotti che erano meno conosciuti e si prodigava per tenere contatti con aziende fornitrici e con i rappresentanti di queste;per alcune ditte era diventato referente. Poteva applicare in autonomia degli sconti nel limite indicatoci dall'azienda. Forniva consulenza anche sugli sgravi fiscali ai quali potevano accedere i clienti;faceva anche le bolle doganali e si occupava dello sdoganamento;faceva anche personalmente dei disegni che mostrava ad ingegneri e architetti per trovare soluzioni personalizzate per i clienti;faceva accessi presso appartamenti in ristrutturazione e presso cantieri;almeno 3 giorni a settimana era prevista l'uscita e lo svolgimento delle attività di cui al cap. 27-34: assieme ai disegni occupava molto del suo tempo per queste attività. Alla fine delle uscite doveva
7 tornare presso la sede e doveva terminare l'orario di lavoro di dieci ore giornaliere (49 ore settimanali, distribuite su cinque giorni a settimana);l'episodio del cap. 41 lo conosco ma non ero presente;confermo che il Ricorrente, dopo avere firmato la lettera di licenziamento, proseguiva a svolgere le stesse identiche prestazioni senza soluzione di continuità e senza alcuna modifica dei luoghi, delle persone e delle cose, fina alla data di cessazione definitiva del rapporto di lavoro, avvenuta il 16.11.2021”.
Dal canto suo il teste cliente delle società convenute, a Testimone_2
conferma del fatto che il ricorrente non svolgesse esclusivamente le mansioni di semplice commesso all'interno dei locali, all'udienza 7.2.2024 ha riferito: “ mi mostrava i prodotti presenti nello show room e poi mi faceva Pt_1
un preventivo;mi seguiva tutta la parte del carico dei container e tutta la parte dell'esenzione Iva e del packing list;so che spesso andava a prendere misure in giro per
Roma. Io lo chiamavo e lui magari mi diceva che non ci sarebbe stato quel giorno per fare prelievi a Roma e fuori Roma;io l'ho visto personalmente da mio padre una volta prendere le misure per tutte le tendine parasole. So che poteva fare sconti ma dietro le direttive della società”.
Orbene a fronte delle dichiarazioni dei testi e soggetti in Tes_1 Tes_2
posizione del tutto neutrale rispetto alle convenute società, del tutto non attendibili devono ritenersi le deposizioni dei testi – Parte_2
coinvolto nel giudizio quale asserito datore di lavoro “di fatto” – CP_3
e (compagno della , tutti
[...] Testimone_3 Testimone_4 CP_3
attualmente dipendenti della società convenuta (e prima di CP_1
, i quali, affermando che per le misurazioni e le rilevazioni ci
[...]
fosse del personale specializzato - al fine, evidentemente, di confutare la
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circostanza che il se ne occupasse - non hanno potuto negare Pt_1
che il ricorrente uscisse dalla sede per questo scopo (“il è andato Pt_1
fuori con loro per imparare varie volte, non so se abbia imparato…” cfr. deposizione “Il è capitato che sia andato fuori sede per Testimone_3 Pt_1
fare delle misurazioni, sia a Roma che forse fuori ma non so esattamente, anche se la società ha del personale apposito per le misurazioni fuori dalla sede”, cfr. deposizione “Le misurazioni venivano affidate a personale più Testimone_4
tecnico se si trattava di commissioni più complesse, altrimenti andavamo anche noi per le più semplici”, cfr. deposizione , involontariamente Controparte_3
confermando che le mansioni di estimo svolte dal ricorrente al di fuori dello show room fossero effettivamente di natura specializzata (dacché affidate di norma a personale tecnico).
Sulla scorta della maggiore attendibilità dei testi di parte ricorrente – come detto concretamente indifferenti all'esito del giudizio – è dato dunque affermare che il ricorrente svolgesse mansioni diverse da quelle di semplice commesso alla vendita al pubblico di cui al 4^ livello del CCNL
Commercio (“Al quarto livello appartengono i lavoratori che eseguono compiti operativi anche di vendita e relative operazioni complementari….”), occupandosi piuttosto di una serie di compiti comportanti il possesso di conoscenze tecniche (misurazioni, rilievi, disegni) e di un'adeguata esperienza, in maniera concretamente prevalente - dacché spesso fuori sede - rispetto alle attività di semplice commesso, alle quali comunque affiancava anche quelle di consulenza fiscale per i clienti.
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Del tutto consono alle emergenze processuali relative alle mansioni svolte dal ricorrente è, pertanto, il livello 3^ del CCNL Commercio, al quale appartengono “i lavoratori che svolgono mansioni di concetto o prevalentemente tali che comportino particolari conoscenze tecniche ed adeguata esperienza, e i lavoratori specializzati provetti che, in condizioni di autonomia operativa nell'ambito delle proprie mansioni, svolgono lavori che comportano una specifica ed adeguata capacità professionale acquisita mediante approfondita preparazione teorica e tecnico-pratica comunque conseguita…”.
La domanda va accolta, pertanto, sul punto.
Nessun riscontro, di contro, può essere dato alla domanda di pagamento delle ferie non godute, non avendo alcuno di testi condotti da parte ricorrente riferito in ordine a detta circostanza.
E invero, con riguardo alla domanda di pagamento di somme a titolo di mancata fruizione di riposi e mancati riposi per festività lavorate, secondo il costante insegnamento della Suprema Corte grava sul lavoratore che agisce in giudizio per chiedere la corresponsione dell'indennità sostitutiva delle ferie non godute l'onere di provare l'avvenuta prestazione di attività lavorativa nei giorni ad esse destinati (“Il lavoratore che agisca in giudizio per chiedere la corresponsione della indennità sostitutiva delle ferie non godute ha l'onere di provare l'avvenuta prestazione di attività lavorativa nei giorni ad esse destinati, atteso che l'espletamento di attività lavorativa in eccedenza rispetto alla normale durata del periodo di effettivo lavoro annuale si pone come fatto costitutivo dell'indennità suddetta, mentre incombe al datore di lavoro l'onere di fornire la prova del relativo
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pagamento;per tutte, Cass. Sez. L, Sentenza n. 8521 del 27/04/2015;Sez.
L, Sentenza n. 26985 del 22/12/2009);principi del tutto analoghi sono, poi, affermati in ordine alla richiesta di pagamento di somme a titolo di permessi non goduti, mancati riposi e lavoro prestato nei giorni festivi.
Il ricorrente nella specie ha omesso di allegare specificamente i fatti costitutivi del diritto vantato e non ha formulato al riguardo istanze istruttorie, limitandosi ad inserire nel conteggio la voce relativa.
Passando ora ad esaminare la domanda risarcitoria – da prendere in considerazione solo con riguardo alla lamentata lesione della dignità umana e al mobbing verticale, dal momento che quella residua è stata formulata dal ricorrente in relazione agli “inadempimenti datoriali” per gli straordinari non pagati e per le ferie negate, come detto, tuttavia, inerenti fatti non provati – la stessa presuppone l'esame delle deduzioni del ricorrente in ordine alla allegata amministrazione di fatto di entrambe le società convenute da parte del coadiuvato in tale veste Parte_2
dalla sorella Parte ricorrente al proposito ha dedotto che il Pt_3 Pt_2
pur assente dall'organigramma aziendale, “dettava quotidianamente le direttive lavorative al Ricorrente e a tutti i suoi colleghi;… decideva personalmente ogni aspetto della gestione del personale, dei clienti e dei fornitori;… compilava personalmente gli assegni;decideva quali fornitori e collaboratori pagare, determinava gli importi e le scadenze di pagamento…” (cfr. pag. 2 ricorso), amministrando di fatto entrambe le società convenute per l'intero periodo di collaborazione del ricorrente e “aveva pieno potere decisionale, di spesa, amministrativo, di gestione del personale” (cfr. pag. 11 ricorso).
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La prospettazione del ricorrente ha trovato ampio riscontro all'esito della svolta istruttoria.
In disparte le dichiarazioni del stesso – direttamente interessato Pt_2
dalle deduzioni del ricorrente – e quelle dei testi condotti da parte resistente – come detto niente affatto neutrali rispetto agli interessi della società convenuta, per la quale a tutt'oggi lavorano – il teste
[...]
collega del ricorrente per circa dieci anni, ha riferito che Tes_1
“All'apice dell'organizzazione c'era e poi c'era sua sorella Parte_2 Pt_4
erano loro a dare le direttive sul lavoro anche al ricorrente. Ci dicevano da come
[...]
gestire gli ordini, a come gestire i rapporti con i clienti, così come i tempi di consegna da dire ai clienti in ragione della disponibilità dei materiali, e quindi come dare le risposte anche quando non coerenti con la realtà che conoscevamo. Il direttore del personale nei fatti era era perlopiù sempre presente in sede mentre Parte_4 Parte_2
aveva anche un'altra attività quindi c'era di meno. Parte_4 Controparte_3
era responsabile tecnico, anche lui ci dava indicazioni sul lavoro soprattutto per gli aspetti tecnici”.
Dal canto suo il teste cliente della società e Testimone_2
frequentatore assiduo della sede della stessa, ha dichiarato “…io so che erano due fratelli e a dare le direttive al ricorrente, li ho visti personalmente Parte_2 Pt_3
farlo. Quando mi seguiva nella sala mostra spesso venivano o o Pt_1 Pt_3
a dire a lui e anche agli altri dipendenti cosa dovevano fare. Dicevano proprio Parte_2
“fai questo, “fai quello”, come un capo fa con un impiegato. Io andavo a volte una volta al mese, a volte più volte in una settimana, dipendeva dalle esigenze dei miei clienti. Quando sono andato ho visto sempre o o sul posto che davano Parte_2 Pt_3
12 direttive. Loro erano i proprietari, ciò so perché loro stessi lo dicevano e i pagamenti delle forniture li intestavo e li davo a loro”.
Ora è che non v'è ragione, a parere del Tribunale, per non dare credito a tali affermazioni, stante la ragionevole piena genuinità ed attendibilità dei testi dai quali esse provengono, a dispetto della scarsa credibilità del
(potenzialmente danneggiato da eventuali dichiarazioni contra se, Pt_2
che si è ben guardato di operare) e di quelle del teste – Testimone_4
unico altro testimone che ha riferito sulla circostanza, tutt'ora dipendente della e niente affatto neutrale rispetto all'esito del giudizio – il quale CP_2
ha riferito che “I proprietari erano diversi. aveva amministratore il CP_1 [...]
e invece ha amministratore Le direttive sul Parte_5 CP_2 Persona_1
lavoro le davano queste persone rispettivamente nei diversi periodi: oggi anche dal
, che è il nostro responsabile. ha un ufficio là dentro la sede e Controparte_3 Pt_2
per noi è un cliente. Lui è amministratore della e per noi è un cliente. Org_1
L'ufficio è proprio dentro la struttura della sede nostra. Non ci diceva lui cosa dovevamo fare. Invece la sorella lavorava con noi, era una nostra collega, non ci Pt_3
dava ordini”.
È emerso, dunque, che il formalmente estraneo alla Parte_2
società (rectius, alle società), presente costantemente presso la sede con un proprio “ufficio” (all'interno del quale, tuttavia, non è dato sapere quale altra attività svolgesse) nella stessa collocato, si atteggiasse come agente in nome e per conto della società dando ordini e direttive ai lavoratori (al come del resto al , esprimendosi, in tal senso, per Pt_1 Tes_1
certo nell'interesse dell'attività svolta dalla stessa nel fornire indicazioni ai
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lavoratori su come gestire gli ordini, i rapporti con i clienti, i tempi di consegna da riferire ai clienti in ragione della disponibilità dei materiali
(cfr. testimonianza . Tes_1
Di non poco momento sono poi le dichiarazioni del teste in Tes_2
ordine al fatto che i ( e affermassero di essere i Pt_2 Parte_2 Pt_3
“padroni” e che ricevevano i pagamenti delle forniture, intestati a loro.
Altresì assai eloquente in ordine al ruolo del è la circostanza Pt_2
riferita dal teste in ordine al fatto che dopo le sue dimissioni Tes_1
venne contatto dal medesimo, che gli chiese se volesse essere Pt_2
assunto da di tornare, così, a lavorare alle sue dipendenze (“…mi ha CP_2
chiesto se volevo essere assunto da mi ha chiesto di tornare a lavorare CP_2
alle sue dipendenze”).
Alla luce di tali emergenze può dunque ben dirsi che - pur senza necessità di qualificazioni formali del ruolo rispettivamente svolto - il Parte_2
e sua sorella svolgessero concretamente una funzione di
[...] Pt_3
gestione amministrativa e del personale all'interno dell'azienda.
Tanto consente di imputare al datore di lavoro “formale” le condotte vessatorie poste in essere dal lamentate ai propri danni dal Pt_2
nel corso del rapporto lavorativo, concretamente rafforzative Pt_1
della posizione dallo stesso rivestita nell'ambito della gestione dell'attività dell'azienda.
All'esito dell'istruttoria orale, invero, ha trovato ampio riscontro quanto affermato dal ricorrente in ordine alle continue offese subìte durante il rapporto lavorativo da parte del alle umiliazioni inferte per prassi Pt_2
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al lavoratore dallo stesso e da sua sorella, al clima teso ed intimidatorio creato nell'ambiente di lavoro dai medesimi.
Al proposito il teste ha riferito: “…Ho assistito a vari episodi in cui Tes_1
il insultava il ricorrente. La prima reazione del se c'era un errore era Pt_2 Pt_2
esplosiva. Capitava con una certa ricorrenza. Erano improperi diretti come “imbecille”
o cose più scurrili, coinvolgendo anche la sua famiglia. L'ho sentito personalmente chiedere la disponibilità della moglie del ricorrente pur di convincere un cliente (“per chiudere un ordine di vendita devi fare qualsiasi cosa, anche far scopare tua moglie al cliente se necessario”) e dire la frase che mi si legge (“la prossima volta che so che prendi un giorno di ferie senza avermelo chiesto prima, ti metto sulla scrivania e mi ti inculo fisicamente”). Confermo di aver personalmente sentito il pronunciare le seguenti Pt_2
espressioni all'indirizzo del ricorrente: “tu sei un minorato mentale, un ottuso, un idiota, uno stupido, una nullità, un decerebrato, non capisci un cazzo”;“Questa azienda è mia e qui vige la dittatura!”;“Questo è il Califfato di Gregna e io qui sono la legge”;“Qui lo Stato italiano non esiste, tu non hai diritti, devi fare quello che dico”;“Qui devi lavorare obbligatoriamente 10 ore al giorno”;“Devi pensare solo a vendere, devi fissare appuntamenti anche in pausa pranzo, anche nei giorni di riposo”;
“Se stai male vieni al lavoro;se tua madre sta male tu vieni al lavoro;decido io se stai male o no”;“Qui il lavoro viene prima della tua vita privata e di ogni altra cosa”…Confermo sul capitolo 16 le espressioni testuali rivolte al ricorrente;è avvenuto più volte, serviva a mantenere la giusta tensione sul lavoro, secondo lui. Confermo che coadiuvava quotidianamente il fratello nella gestione del ricorrente e Parte_4
degli altri lavoratori addetti alla vendita al pubblico quando questi erano nel salone espositivo;confermo sul 21 che anche lei anche gridando e insultando ordinava al
15 ricorrente e a tutti noi di prendere appuntamenti di vendita al di fuori dell'orario di lavoro e nei giorni di riposo;ero in sala quando si è verificato l'episodio di cui al cap.
24, si è sentito benissimo che il ha detto al ricorrente “io gli straordinari non li Pt_2
pago;comunque devi fare sempre 10 ore di lavoro al giorno, altrimenti vedi che ti succede”;confermo di aver sentito per essere presente ed essere stato anche io il destinatario della frase ““io ho deciso che non ve la pago e che non prenderete la quattordicesima neanche nei prossimi anni, qui comando io e faccio io le leggi!... .
Emblematica, poi, in ordine al clima che si respirava nella sede di lavoro, è
l'espressione del medesimo teste in relazione al fatto che egli stesso si è determinato a dimettersi per sottrarsi a quel tipo di pressione (“Io mi sono dimesso per sottrarmi a quel tipo di pressione, accettando un lavoro meno remunerato dopo 13 anni che lavoravo là”).
La frequenza, il contenuto e le concrete circostanze nelle quali i riferiti episodi si sono verificati reiteratamente nel corso del rapporto e la riferibilità delle condotte ad una figura “datoriale” per come sopra appurato, inducono il Tribunale a ritenere senz'altro provata una condotta di mobbing nei riguardi del ricorrente.
Giova osservare, in linea generale, che, nella giurisprudenza della
Cassazione, per “mobbing” si intende comunemente una condotta del datore di lavoro o del superiore gerarchico, sistematica e protratta nel tempo, tenuta nei confronti del lavoratore nell'ambiente di lavoro, che si risolve in sistematici e reiterati comportamenti ostili che finiscono per assumere forme di prevaricazione o di persecuzione psicologica, da cui può conseguire la mortificazione morale e l'emarginazione del dipendente,
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con effetto lesivo del suo equilibrio fisiopsichico e del complesso della sua personalità (cfr. Cass. sez. L. sent. n. 3785/2009;nello stesso senso, cfr.
Cass sez L. sent n. 18836/2013 che si riferisce altresì ad una condotta risolventesi in sistematici e reiterati abusi, idonei a configurare il cosiddetto terrorismo psicologico, che si caratterizzi, sul piano soggettivo, con la coscienza ed intenzione del datore di lavoro di arrecare danni - di vario tipo ed entità - al dipendente medesimo). Ai fini della configurabilità della condotta lesiva del datore di lavoro sono, pertanto, rilevanti: a) la molteplicità di comportamenti di carattere persecutorio, illeciti o anche leciti se considerati singolarmente, che siano stati posti in essere in modo miratamente sistematico e prolungato contro il dipendente con intento vessatorio;b) l'evento lesivo della salute o della personalità del dipendente;c) il nesso eziologico tra la condotta del datore o del superiore gerarchico e il pregiudizio all'integrità psico-fisica del lavoratore;
d) la prova dell'elemento soggettivo, cioè dell'intento persecutorio unificante di tutti i comportamenti lesivi (cfr., per tutte, Cass. sez. L, sent.
n. 3785/2009 e n. 17698/2014). E infatti, in tema di mobbing lavorativo,
l'elemento qualificante, che deve essere provato da chi assume di avere subito la condotta vessatoria, va ricercato non nell'illegittimità dei singoli atti bensì nell'intento persecutorio che li unifica, sicché la legittimità dei provvedimenti può rilevare indirettamente perché, in difetto di elementi probatori di segno contrario, sintomatica dell'assenza dell'elemento soggettivo che deve sorreggere la condotta, unitariamente considerata (cfr.
Cass. sez. L, Ord. n. 26684/2017).
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Orbene, alla luce delle emergenze processuali non può ragionevolmente porsi in dubbio che le condotte vessatorie poste in essere dal – Pt_2
così come da sua sorella – reiterate con abitualità, connotate da intenzionalità (dacché peraltro volutamente tese a creare un clima di tensione, cfr. testimonianza “Confermo sul capitolo 16 le espressioni Tes_1
testuali rivolte al ricorrente;è avvenuto più volte, serviva a mantenere la giusta tensione sul lavoro, secondo lui”) per certo causative di un turbamento psicologico in danno del ricorrente (così come del resto dei lavoratori tutti che respiravano la medesima aria nell'ambiente lavorativo, cfr. deposizione
giunto a dimettersi per sottrarsi a quel tipo di pressione), Tes_1
configurino in concreto i caratteri del mobbing per come sopra descritto.
Il invero, è stato sottoposto a continue a reiterate mortificazioni Pt_1
e offese alla sua persona ed alla sua professionalità da parte del datore di lavoro, trovandosi per lungo tempo in posizione di soggezione, costretto, senza ragionevole possibilità di reagire adeguatamente, a subire vessazioni nell'ambiente nel quale era chiamato a svolgere la propria attività lavorativa quotidianamente, evidentemente non in condizioni di serenità.
Tanto è pertanto sufficiente, ove anche per presunzioni, ad ipotizzare una grave lesione della dignità umana del lavoratore correlata alle avverse condizioni lavorative nelle quali si è trovato ad operare, stante
l'inadeguatezza dell'ambiente lavorativo, in violazione del disposto di cui all'art. 2087 c.c., che tutela le condizioni di salute anche psicologica dei lavoratori.
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Quanto alla liquidazione del danno, necessariamente equitativa, ben può prendersi a riferimento una frazione pari al 20% dalla retribuzione media percepita così come individuata dal conteggio depositato dallo stesso ricorrente su invito dell'Ufficio pari a circa 1.900,00 mensili nel periodo
2016-2021 dal lavoratore moltiplicata per il numero di mesi di durata del lavoro (circa 120) per un totale, arrotondato, di complessivi € 45.000,00.
Giungendo, infine, all'esame della questione relativa al soggetto tenuto all'obbligazione retributiva e risarcitoria nei confronti del lavoratore, la tesi del con riguardo all'intervenuto fenomeno di cessione di Pt_1
azienda da parte della nei confronti della Controparte_1 CP_2
ha trovato ragionevole riscontro all'esito del giudizio.
In particolare, il ha dedotto di aver firmato una lettera di Pt_1
licenziamento dalla nel settembre 2020, di aver Controparte_1
continuato, da qual momento, a lavorare senza soluzione di continuità svolgendo le stesse identiche prestazioni, nei medesimi luoghi, con le stesse attrezzature e concrete modalità, ricevendo sempre ordini e direttive dal di aver scoperto solo leggendo la busta paga del mese Pt_2
di ottobre 2020 di essere dipendente della alle Controparte_2
medesime condizioni retributive precedenti;di non aver mai firmato alcuna lettera di assunzione.
Il teste ancora dipendente al tempo del verificarsi di tali Testimone_1
vicende (dacché dimessosi nel dicembre 2019), ha confermato il transito del ricorrente alle dipendenze della senza alcun mutamento nel CP_2
rapporto lavorativo (“confermo che il ricorrente, dopo aver firmato la lettera di
19 licenziamento, proseguiva a svolgere le stesse identiche prestazioni senza soluzione di continuità e senza alcuna modifica dei luoghi, delle persone e delle cose, fino alla data di cessazione definitiva del rapporto di lavoro…”), essendo stato peraltro destinatario della medesima offerta da parte del in seguito alle sue Pt_2
dimissioni (“dopo essermi dimesso sono stato contattato da che mi ha chiesto Pt_2
se volevo essere assunto da mi ha chiesto di tornare a lavorare alle sue CP_2
dipendenze”): lo stesso teste, pur ammettendo di non conoscere
“approfonditamente” le vicende societarie, ha confermato che c'era stato “un cambiamento di ragione sociale, per come stata vissuta in azienda la vicenda, da
a , che il personale era transitato dall'una Controparte_1 CP_2
all'altra società (“nel dicembre 2019 alcuni colleghi erano già stati assunti da
[...]
) e che, tuttavia, tutto quanto relativo al lavoro era rimasto CP_2
invariato (“ma i locali (la sede operativa) sono rimasti gli stessi così come i mezzi di lavoro e i dipendenti”).
Benché un mero - seppur assiduo - cliente delle società convenute, il teste
dal canto suo, pur non essendo a conoscenza delle Testimone_2
vicende societarie ha tuttavia affermato che il ricorrente ha svolto sempre le stesse mansioni (“…Nel periodo in cui ho frequentato la sede della società ha sempre svolto le stesse mansioni…”).
Aldilà del dato formale emergente dalle visure societarie prodotte, dunque, il collegamento tra le due società è emerso, all'esito del giudizio, anzitutto dalla dimostrata continuità (senza alcuna soluzione) della prestazione lavorativa del e dei suoi colleghi alle medesime Pt_1
condizioni precedenti (anche retributive) e con le stesse identiche
20
modalità, nello stesso luogo, con le stesse attrezzature e sempre in obbedienza alle direttive del Pt_2
Sulla scorta degli evidenziati elementi, ben può dirsi attuata, nel caso di specie, una concreta continuità aziendale tra le società datrici di lavoro, con prosecuzione dell'attività dell'una da parte dell'altra, senza qualsivoglia interruzione, mediante l'utilizzo non solo degli stessi locali ma anche delle attrezzature e, non in ultimo, dei lavoratori, le cui rispettive professionalità sono state impiegate per il prosieguo dell'attività di impresa senza alcuna necessità neppure di formazione ulteriore o diversa.
Avvalora la tesi della cessione di azienda altresì la circostanza che la
[...]
abbia provveduto ad accollarsi il TFR dei lavoratori della Controparte_2
(cfr. doc. 4 e 5 ) a Controparte_1 Controparte_1 CP_2
fronte di un debito della prima nei confronti della seconda per una precedente operazione commerciale per vendita mobili, macchine e arredi di ufficio, quale chiaro indizio dell'interesse della a mantenere le CP_2
attrezzature della sede di lavoro nella quale proseguire l'attività con gli stessi dipendenti presso di lei transitati.
L'art. 2112 co. 5° c.c., nel testo modificato dall'art. 32 d. lgs. 276/2003 attualmente vigente, prevede che: “ai fini e per gli effetti di cui al presente articolo si intende per trasferimento d'azienda qualsiasi operazione che, in seguito a cessione contrattuale o fusione, comporti il mutamento nella titolarità di un'attività economica organizzata, con o senza scopo di lucro, preesistente al trasferimento e che conserva nel trasferimento la propria identità a prescindere dalla tipologia negoziale o dal provvedimento sulla base del quale il trasferimento è attuato ivi compresi l'usufrutto
21 o l'affitto di azienda. Le disposizioni del presente articolo si applicano altresì al trasferimento di parte dell'azienda, intesa come articolazione funzionalmente autonoma di un'attività economica organizzata, identificata come tale dal cedente e dal cessionario al momento del suo trasferimento”.
Costituisce trasferimento d'azienda ai sensi dell'art. 2112 c.c. qualsiasi operazione che comporti il mutamento della titolarità di un'attività economica qualora l'entità oggetto del trasferimento conservi, successivamente allo stesso, la propria identità, da accertarsi in base al complesso delle circostanze di fatto che caratterizzano la specifica operazione (tra cui il tipo d'impresa, la cessione o meno di elementi materiali, la riassunzione o meno del personale, il trasferimento della clientela, il grado di analogia tra le attività esercitate).
La fattispecie del trasferimento di azienda regolata dall'art. 2112 cod. civ. ricorre tutte le volte che, rimanendo immutata l'organizzazione aziendale, vi sia soltanto la sostituzione della persona del titolare - in virtù di una vicenda giuridica riconducibile al fenomeno della successione in senso ampio - indipendentemente dallo strumento tecnico-giuridico adottato e a prescindere da un rapporto contrattuale diretto tra l'imprenditore uscente
e quello subentrante nella gestione, essendo sufficiente, ai fini dell'integrazione delle condizioni per l'operatività della tutela del lavoratore, il subentro nella gestione del complesso dei beni organizzati ai fini dell'esercizio dell'impresa, ossia la continuità nell'esercizio dell'attività imprenditoriale, restando immutati il complesso di beni organizzati dell'impresa e l'oggetto di quest'ultima, costituendo un indice probatorio
22
di tale continuità l'impiego del medesimo personale e l'utilizzo dei medesimi beni aziendali (cfr. in tal senso, Cass. sent. n. 12771/2012 nonché Cass. n. 26808/2018).
Nel caso di specie tra le società convenute è chiaramente intervenuta una successione nello svolgimento dell'intera attività, essendo le stesse risultate utilizzatrici del complesso delle medesime attrezzature e degli stessi strumenti, presso lo stesso locale (sede di entrambe le società, così come risultante dalle visure prodotte), ove il ricorrente si è recato quotidianamente per tutto il periodo dedotto in giudizio ricevendo ordini
e direttive dai medesimi preposti.
Deve pertanto ritenersi accertato che il rapporto lavorativo sorto rispettivamente tra il e la il 3.10.2011 sia Pt_1 Controparte_1
proseguito, ai sensi dell'art. 2112 c.c. (e quindi per trasferimento di azienda) a partire dall'ottobre 2020, con la con gli stessi Controparte_4
orari e le medesime modalità.
Può dirsi emersa, dunque, con sufficiente certezza la assoluta continuità tra l'attività imprenditoriale delle società convenute che ben può ritenersi, ai fini che qui interessano, quale trasferimento di azienda, una volta realizzatosi il quale, i rapporti di lavoro preesistenti al trasferimento proseguono con il nuovo titolare senza necessità del consenso da parte dei lavoratori, con l'effetto che ogni lavoratore può far valere nei confronti del nuovo titolare i diritti maturati in precedenza ed esercitabili nei confronti del cedente (Cass. 7 dicembre 2006, n. 26215).
23
Alla luce della ricostruzione così operata, deve affermarsi la tenutezza, con riguardo all'obbligo retributivo e risarcitorio, di entrambe le società convenute, e specificamente della fino al tempo del Controparte_1
licenziamento formale del lavoratore (fine settembre 2020) e della
[...]
per l'intero periodo lavorato. CP_2
In ordine alla quantificazione delle somme spettanti al D'Ottavi, parte ricorrente su invito dell'Ufficio ha provveduto a depositare, in data
27.5.2024, un conteggio subordinato formulato secondo diverse ipotesi e con la specificazione delle diverse voci.
Il detto conteggio deve anzitutto essere preso in considerazione esclusivamente con riguardo alle somme dovute per le mansioni superiori svolte dal ricorrente dal 2016 in poi, essendo come detto, non dovute somme per il non provato lavoro straordinario.
Sulla scorta delle deduzioni di parte convenuta nei riguardi dei riformulati conteggi, nondimeno, devono essere espunte altresì le voci relative alle ferie non godute dal ricorrente, in ordine alle quali non è stata raggiunta la prova.
Nella specie, come detto, nessuno dei testi esaminati ha riferito in relazione alla circostanza, essendo rimasta pertanto la domanda priva di riscontro.
Non contestate, poi, da parte del ricorrente sono state le ricevute di pagamento da lui firmate prodotte dalla difesa della convenuta CP_1
relative a festività e permessi non goduti (all. 6 memoria
[...] CP_1
dal 2016 in poi per un totale di € 6.200,00 (e non anche di €
[...]
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5.450,00 come indicato dalla convenuta), e anticipi tredicesima e quattordicesima (all. 5 memoria , per un totale di € Controparte_1
250,00 in relazione all'anno 2017 i cui importi, pertanto, devono essere detratti, dalle rispettive voci, dal conteggio effettuato dal D'Ottavi.
Essendo la somma già ricevuta a titolo di permessi e festività assorbente
l'intera voce indicata nei conteggi medesimi, effettuate le decurtazioni secondo i criteri esposti, l'ammontare dovuto complessivamente al ricorrente è pari a € 24.125,10 (come risultante dal “Riepilogo” effettuato dalla difesa del ricorrente nelle note depositate il 07.06.2024 e non anche da quello di cui al conteggio subordinato depositato il 27.05.2024 il quale non tiene conto - evidentemente per mero errore - del TFR già percepito per l'ammontare di € 18.842,67), maggiorato di rivalutazione e interessi dalle singole date di maturazione del credito al soddisfo.
Dell'intero importo deve rispondere per certo la Controparte_2
(cessionaria), mentre la (cedente) resta responsabile Controparte_1
solidale per l'ammontare dovuto fino a fine settembre 2016, pari a €
20.420,53 calcolata sulle reali competenze percepite dal ottobre 2020 a novembre 2021, con esclusione delle ferie non godute, delle festività e dei permessi, mutuate dall'ipotesi formulata da parte ricorrente nel conteggio subordinato già al netto dello straordinario.
Con riguardo all'obbligazione risarcitoria, invece, si ritiene del tutto equo che l'ammontare individuato a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale (€ 45.000,00) sia posto a carico della Controparte_1
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per l'ammontare di € 40.000,00 e a carico della per Controparte_2
l'ammontare di € 5.000,00.
Infondata è, infine, l'eccezione di prescrizione sollevata dalla difesa delle convenute sulla scorta dell'ormai acclarato principio secondo cui il rapporto di lavoro a tempo indeterminato, così come modulato per effetto della L. n. 92 del 2012 e del D.Lgs. n. 23 del 2015, mancando dei presupposti di predeterminazione certa delle fattispecie di risoluzione e di una loro tutela adeguata, non è (più) assistito da un regime di stabilità.
Sicché, per tutti quei diritti che non siano prescritti al momento di entrata in vigore della L. n. 92 del 2012, il termine di prescrizione decorre, a norma del combinato disposto degli artt. 2948 n. 4 e 2935 c.c. dalla cessazione del rapporto di lavoro (Cass. Sent. n. 26246 del 6/9/2022).
L'accoglimento solo parziale della domanda suggerisce la compensazione di metà delle spese di giudizio tra le parti, dovendo le convenute in solido
(ed ognuna per la percentuale ad essa spettante, individuata quella della
in un ottavo del totale) essere condannate alla rifusione CP_2
delle restanti sostenute dal ricorrente e liquidate come in dispositivo.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE DI ROMA
TERZA SEZIONE LAVORO
Il Tribunale, nella persona del Giudice dott.ssa S A, spirati i termini assegnati, ex art. 127 ter cpc, fino al 10.7.2024, ha pronunciato, mediante deposito telematico in data odierna, la seguente
SENTENZA nella causa promossa da:
, elettivamente domiciliato in Roma, via Parte_1
C 6, presso lo studio dell'avv. S M B che lo rappresenta e difende per procura allegata al ricorso
RICORRENTE in persona del l.r.p.t., elettivamente Controparte_1
domiciliata in Roma, largo Olgiata lotto 39/B, presso lo studio dell'avv.
M M, che la rappresenta e difende per procura allegata alla memoria difensiva in persona del l.r.p.t., elettivamente Controparte_2
domiciliata in Roma, largo Olgiata lotto 39/B, presso lo studio dell'avv.
1
M M, che la rappresenta e difende per procura allegata alla memoria difensiva
RESISTENTI
OGGETTO: differenze retributive, mansioni superiori, risarcimento del danno, mobbing
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso ex art. 414 c.p.c., ritualmente notificato, Parte_1
premesso di essere stato assunto, in data 3.10.2011, dalla
[...]
con la qualifica di commesso alle vendite al pubblico e CP_1
inquadramento nel livello 4 del CCNL Commercio, dedotto di aver lavorato per un orario costantemente superiore a quello contrattualmente stabilito, di aver svolto, dal 2016, mansioni superiori rispetto a quello del suo formale inquadramento e di aver subito vessazioni continue da parte del – il quale, pur non presente nell'organigramma Parte_2
aziendale, era colui che impartiva le direttive e gli ordini sul lavoro assieme a sua sorella ed al capo del personale – e Pt_3 Controparte_3
di essere stato, dall'ottobre 2021, assunto a sua insaputa dalla
[...]
dopo essere stato costretto a firmare la sua lettera di Controparte_2
licenziamento dalle tuttavia continuando a lavorare Controparte_1
con le identiche modalità precedenti, prospettata la gestione di fatto del rapporto di lavoro da parte del l'avvenuta cessione di azienda tra Pt_2
le due società succedutesi nel rapporto medesimo (con conseguente responsabilità solidale tra le medesime per il credito fatto valere) e la responsabilità del datore per il danno non patrimoniale patito (per
2
l'inadempimento datoriale nel corso dello svolgimento del rapporto lavorativo e per il mobbing subito) da liquidarsi in via equitativa, conveniva in giudizio le società datrici di lavoro chiedendo al Tribunale di voler “condannare entrambe le società convenute e Controparte_1 Controparte_2
nelle persona dei rispettivi l.r.p.t. in solido al pagamento in favore del Sig..
[...] Pt_1
della somma complessiva di € 132.261,61 a titolo di differenze retributive,
[...]
indennitarie e T.F.R. non corrisposti;voglia altresì condannare a pagare al Ricorrente
a titolo risarcitorio, ognuna per le rispettive responsabilità così come accertate in fatto e in diritto, la alla somma di € 60.000,00 e Controparte_1 Controparte_2
alla somma di € 7.500,00;ovvero condannare le Convenute al pagamento di quella diversa somma che sarà accertata come dovuta, oltre agli interessi legali maturati dalla data della domanda a quella dell'effettivo soddisfo. Con vittoria di spese, diritti ed onorari del presente procedimento”.
Si costituiva in giudizio la la quale, contestata la Controparte_1
ricostruzione in fatto del ricorrente – e in particolare la asserita amministrazione di fatto delle da parte di terzi, le Controparte_1
vessazioni poste in essere dal (mero cliente della società ed Pt_2
estraneo al rapporto di lavoro dedotto in giudizio) nei confronti del la dedotta cessione d'azienda, il preteso svolgimento di Pt_1
mansioni superiori e di lavoro straordinario da parte del ricorrente e, in ogni caso, la dovutezza di qualsivoglia somma a titolo di differenze retributive in favore del lavoratore – resisteva al ricorso chiedendone il rigetto eccependo, in ogni caso, la prescrizione quinquennale del credito fatto valere.
3
Altresì la si costituiva in giudizio e, con difesa affatto Controparte_2
analoga a quella della dedotto l'intervenuto accordo tra Controparte_1
le due società esclusivamente in ordine all'accollo del TFR maturato dal lavoratore (a fronte della cessione di alcuni beni mobili e arredi di ufficio) ben noto al che lo aveva firmato, a sua volta eccepita la Pt_1
prescrizione, chiedeva il rigetto del ricorso.
In via riconvenzionale, dedotto che il lavoratore non avesse rispettato il termine di un mese e mezzo di preavviso al momento delle dimissioni, chiedeva condannarsi il al pagamento, in suo favore Pt_1
dell'ammontare di € 2.231,26, oltre interessi dal dovuto al soddisfo.
All'udienza dell'8.3.2023 il ricorrente accettava, in acconto sul maggior avere, l'ammontare di € 12.411,66 a titolo di pagamento delle due ultime buste paga e del TFR, dedotto l'ammontare ammesso come dovuto a titolo di mancato preavviso.
La causa era istruita documentalmente e mediante prova per testi: rinviata per la decisione, all'esito dello spirare dei termini assegnati ex art. 127 ter cpc, era dunque decisa con il deposito telematico della presente sentenza.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Preliminarmente deve evidenziarsi che all'esito dell'accettazione, all'udienza dell'8.3.2023, dell'offerta banco iudicis da parte del lavoratore dell'ammontare di € 12.411,66 – quale importo a titolo di pagamento delle due ultime buste paga e TFR con compensazione delle somme dovute dal lavoratore a titolo di preavviso – è venuto meno l'interesse della
4
convenuta alla domanda riconvenzionale spesa nella Controparte_2
memoria difensiva.
Nel merito la domanda del ricorrente è parzialmente fondata.
Non ha trovato serio riscontro probatorio, in primo luogo, la domanda del D'Ottavi volta ad ottenere le differenze retributive per lo straordinario asseritamente svolto sulla scorta della deduzione di un lavoro articolato su dieci ore giornaliere per cinque giorni a settimana.
Al proposito, in disparte le dichiarazioni dei testi condotti da parte resistente – tutti soggetti ancora alle dipendenze della convenuta
[...]
e/o comunque non neutrali (quali il alle vicende Controparte_2 Pt_2
che la interessano in questo giudizio) – l'unico teste di parte ricorrente che ha affermato che il dovesse rispettare un orario di dieci ore Pt_1
giornaliere, il non solo è stato alle dipendenze della Testimone_1
società convenuta solo fino all'anno 2019, ma ha reso una dichiarazione vieppiù laconica al riguardo (“alla fine delle uscite doveva tornare presso la sede e doveva terminare l'orario di lavoro di dieci ore giornaliere - 49 ore settimanali, distribuite su cinque giorni a settimana)”, omettendo di specificare la concreta collocazione dell'orario di lavoro svolto dal ricorrente nell'arco della giornata, oltre che di puntualizzare il fatto che eventualmente fosse, quello riferito, un orario imposto per ogni giornata lavorativa o, invece, esclusivamente per i giorni in cui si verificavano le uscite.
Il teste dal canto suo, esaminato all'udienza del 7.2.2024, Testimone_2
in qualità di cliente della e poi della Controparte_1 CP_2
presente presso la sede di lavoro del ricorrente solo nelle occasioni legate
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alle esigenze di acquisti per i suoi clienti (“Io andavo a volte una volta al mese,
a volte più volte in una settimana, dipendeva dalle esigenze dei miei clienti…”), ha riferito di averlo visto lavorare (non quotidianamente, n.d.r.) “anche più di otto ore”, tuttavia specificando che “era presente anche fino alle 19 dalle 8,30 di mattina” (“So che lavorava anche più di otto ore;a volte con i miei clienti stavamo tutto il giorno, andavamo via per l'ora del pranzo e poi tornavamo e lui era presente anche fino alle 19 dalle 8,30 di mattina, orario al quale io spesso arrivavo con i miei clienti”), e quindi di fatto confermando – in assenza di qualsivoglia riferimento alla pausa tra la mattina ed il pomeriggio - l'orario di lavoro dedotto dalle convenute nelle proprie difese (9-13/15-19).
Né, del resto, a dirimere i dubbi in ordine alla dedotta abitualità dell'orario lavorativo giornaliero di dieci ore possono soccorrere i fogli presenza prodotti dal D'Ottavi (all.ti 17 e 18 al ricorso), non solo perché relativi solo ad alcune giornate lavorative (del 2016 e del 2021) ma anche perché non tutti riportanti lo stacco della pausa pranzo e comunque non attestanti quanto affermato dal ricorrente (non essendo apprezzabile il rispetto costante, da parte dello stesso, di un orario di dieci ore quotidiane).
Ora è che sul lavoratore che chieda in via giudiziale il compenso per lavoro straordinario grava un onere probatorio rigoroso (cfr. per tutte
Cass. n. 16150/2018) - dovendo essere fornita dal dipendente la prova, non solo dell'esecuzione di attività lavorativa al di fuori del normale orario di lavoro, ma altresì della puntuale collocazione temporale della stessa
Cass. 9906/2015 - in mancanza dell'assolvimento del quale – come nel
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caso di specie, in cui le laconiche e lacunose dichiarazioni dei testi non consentono di ritenere appurate le concrete circostanze nelle quali sia stato prestato lo straordinario e in ogni caso la sua effettiva abitualità - la domanda non può trovare accoglimento.
Diversamente, il ricorrente - formalmente inquadrato nel 4^ livello come commesso alla vendita al pubblico - ha, a parere del Tribunale, ampiamente dimostrato lo svolgimento di mansioni di commesso specializzato inquadrabili nel 3^ livello del CCNL Commercio dall'anno
2016.
Al proposito il teste collega del ricorrente “per una decina Testimone_1
di anni”, fino al dicembre 2019, ha dichiarato “Il ricorrente era addetto alle vendite in sala, dall'accoglienza alla consulenza ai clienti fino alla compilazione dell'ordine e del contratto di vendita nei confronti dei clienti, redatto completamente da lui: in più si occupava dei rilievi tecnici in cantiere, prendeva le misure sia per la sue commesse che per quelle di altri colleghi. Era attivo nell'approfondire prodotti che erano meno conosciuti e si prodigava per tenere contatti con aziende fornitrici e con i rappresentanti di queste;per alcune ditte era diventato referente. Poteva applicare in autonomia degli sconti nel limite indicatoci dall'azienda. Forniva consulenza anche sugli sgravi fiscali ai quali potevano accedere i clienti;faceva anche le bolle doganali e si occupava dello sdoganamento;faceva anche personalmente dei disegni che mostrava ad ingegneri e architetti per trovare soluzioni personalizzate per i clienti;faceva accessi presso appartamenti in ristrutturazione e presso cantieri;almeno 3 giorni a settimana era prevista l'uscita e lo svolgimento delle attività di cui al cap. 27-34: assieme ai disegni occupava molto del suo tempo per queste attività. Alla fine delle uscite doveva
7 tornare presso la sede e doveva terminare l'orario di lavoro di dieci ore giornaliere (49 ore settimanali, distribuite su cinque giorni a settimana);l'episodio del cap. 41 lo conosco ma non ero presente;confermo che il Ricorrente, dopo avere firmato la lettera di licenziamento, proseguiva a svolgere le stesse identiche prestazioni senza soluzione di continuità e senza alcuna modifica dei luoghi, delle persone e delle cose, fina alla data di cessazione definitiva del rapporto di lavoro, avvenuta il 16.11.2021”.
Dal canto suo il teste cliente delle società convenute, a Testimone_2
conferma del fatto che il ricorrente non svolgesse esclusivamente le mansioni di semplice commesso all'interno dei locali, all'udienza 7.2.2024 ha riferito: “ mi mostrava i prodotti presenti nello show room e poi mi faceva Pt_1
un preventivo;mi seguiva tutta la parte del carico dei container e tutta la parte dell'esenzione Iva e del packing list;so che spesso andava a prendere misure in giro per
Roma. Io lo chiamavo e lui magari mi diceva che non ci sarebbe stato quel giorno per fare prelievi a Roma e fuori Roma;io l'ho visto personalmente da mio padre una volta prendere le misure per tutte le tendine parasole. So che poteva fare sconti ma dietro le direttive della società”.
Orbene a fronte delle dichiarazioni dei testi e soggetti in Tes_1 Tes_2
posizione del tutto neutrale rispetto alle convenute società, del tutto non attendibili devono ritenersi le deposizioni dei testi – Parte_2
coinvolto nel giudizio quale asserito datore di lavoro “di fatto” – CP_3
e (compagno della , tutti
[...] Testimone_3 Testimone_4 CP_3
attualmente dipendenti della società convenuta (e prima di CP_1
, i quali, affermando che per le misurazioni e le rilevazioni ci
[...]
fosse del personale specializzato - al fine, evidentemente, di confutare la
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circostanza che il se ne occupasse - non hanno potuto negare Pt_1
che il ricorrente uscisse dalla sede per questo scopo (“il è andato Pt_1
fuori con loro per imparare varie volte, non so se abbia imparato…” cfr. deposizione “Il è capitato che sia andato fuori sede per Testimone_3 Pt_1
fare delle misurazioni, sia a Roma che forse fuori ma non so esattamente, anche se la società ha del personale apposito per le misurazioni fuori dalla sede”, cfr. deposizione “Le misurazioni venivano affidate a personale più Testimone_4
tecnico se si trattava di commissioni più complesse, altrimenti andavamo anche noi per le più semplici”, cfr. deposizione , involontariamente Controparte_3
confermando che le mansioni di estimo svolte dal ricorrente al di fuori dello show room fossero effettivamente di natura specializzata (dacché affidate di norma a personale tecnico).
Sulla scorta della maggiore attendibilità dei testi di parte ricorrente – come detto concretamente indifferenti all'esito del giudizio – è dato dunque affermare che il ricorrente svolgesse mansioni diverse da quelle di semplice commesso alla vendita al pubblico di cui al 4^ livello del CCNL
Commercio (“Al quarto livello appartengono i lavoratori che eseguono compiti operativi anche di vendita e relative operazioni complementari….”), occupandosi piuttosto di una serie di compiti comportanti il possesso di conoscenze tecniche (misurazioni, rilievi, disegni) e di un'adeguata esperienza, in maniera concretamente prevalente - dacché spesso fuori sede - rispetto alle attività di semplice commesso, alle quali comunque affiancava anche quelle di consulenza fiscale per i clienti.
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Del tutto consono alle emergenze processuali relative alle mansioni svolte dal ricorrente è, pertanto, il livello 3^ del CCNL Commercio, al quale appartengono “i lavoratori che svolgono mansioni di concetto o prevalentemente tali che comportino particolari conoscenze tecniche ed adeguata esperienza, e i lavoratori specializzati provetti che, in condizioni di autonomia operativa nell'ambito delle proprie mansioni, svolgono lavori che comportano una specifica ed adeguata capacità professionale acquisita mediante approfondita preparazione teorica e tecnico-pratica comunque conseguita…”.
La domanda va accolta, pertanto, sul punto.
Nessun riscontro, di contro, può essere dato alla domanda di pagamento delle ferie non godute, non avendo alcuno di testi condotti da parte ricorrente riferito in ordine a detta circostanza.
E invero, con riguardo alla domanda di pagamento di somme a titolo di mancata fruizione di riposi e mancati riposi per festività lavorate, secondo il costante insegnamento della Suprema Corte grava sul lavoratore che agisce in giudizio per chiedere la corresponsione dell'indennità sostitutiva delle ferie non godute l'onere di provare l'avvenuta prestazione di attività lavorativa nei giorni ad esse destinati (“Il lavoratore che agisca in giudizio per chiedere la corresponsione della indennità sostitutiva delle ferie non godute ha l'onere di provare l'avvenuta prestazione di attività lavorativa nei giorni ad esse destinati, atteso che l'espletamento di attività lavorativa in eccedenza rispetto alla normale durata del periodo di effettivo lavoro annuale si pone come fatto costitutivo dell'indennità suddetta, mentre incombe al datore di lavoro l'onere di fornire la prova del relativo
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pagamento;per tutte, Cass. Sez. L, Sentenza n. 8521 del 27/04/2015;Sez.
L, Sentenza n. 26985 del 22/12/2009);principi del tutto analoghi sono, poi, affermati in ordine alla richiesta di pagamento di somme a titolo di permessi non goduti, mancati riposi e lavoro prestato nei giorni festivi.
Il ricorrente nella specie ha omesso di allegare specificamente i fatti costitutivi del diritto vantato e non ha formulato al riguardo istanze istruttorie, limitandosi ad inserire nel conteggio la voce relativa.
Passando ora ad esaminare la domanda risarcitoria – da prendere in considerazione solo con riguardo alla lamentata lesione della dignità umana e al mobbing verticale, dal momento che quella residua è stata formulata dal ricorrente in relazione agli “inadempimenti datoriali” per gli straordinari non pagati e per le ferie negate, come detto, tuttavia, inerenti fatti non provati – la stessa presuppone l'esame delle deduzioni del ricorrente in ordine alla allegata amministrazione di fatto di entrambe le società convenute da parte del coadiuvato in tale veste Parte_2
dalla sorella Parte ricorrente al proposito ha dedotto che il Pt_3 Pt_2
pur assente dall'organigramma aziendale, “dettava quotidianamente le direttive lavorative al Ricorrente e a tutti i suoi colleghi;… decideva personalmente ogni aspetto della gestione del personale, dei clienti e dei fornitori;… compilava personalmente gli assegni;decideva quali fornitori e collaboratori pagare, determinava gli importi e le scadenze di pagamento…” (cfr. pag. 2 ricorso), amministrando di fatto entrambe le società convenute per l'intero periodo di collaborazione del ricorrente e “aveva pieno potere decisionale, di spesa, amministrativo, di gestione del personale” (cfr. pag. 11 ricorso).
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La prospettazione del ricorrente ha trovato ampio riscontro all'esito della svolta istruttoria.
In disparte le dichiarazioni del stesso – direttamente interessato Pt_2
dalle deduzioni del ricorrente – e quelle dei testi condotti da parte resistente – come detto niente affatto neutrali rispetto agli interessi della società convenuta, per la quale a tutt'oggi lavorano – il teste
[...]
collega del ricorrente per circa dieci anni, ha riferito che Tes_1
“All'apice dell'organizzazione c'era e poi c'era sua sorella Parte_2 Pt_4
erano loro a dare le direttive sul lavoro anche al ricorrente. Ci dicevano da come
[...]
gestire gli ordini, a come gestire i rapporti con i clienti, così come i tempi di consegna da dire ai clienti in ragione della disponibilità dei materiali, e quindi come dare le risposte anche quando non coerenti con la realtà che conoscevamo. Il direttore del personale nei fatti era era perlopiù sempre presente in sede mentre Parte_4 Parte_2
aveva anche un'altra attività quindi c'era di meno. Parte_4 Controparte_3
era responsabile tecnico, anche lui ci dava indicazioni sul lavoro soprattutto per gli aspetti tecnici”.
Dal canto suo il teste cliente della società e Testimone_2
frequentatore assiduo della sede della stessa, ha dichiarato “…io so che erano due fratelli e a dare le direttive al ricorrente, li ho visti personalmente Parte_2 Pt_3
farlo. Quando mi seguiva nella sala mostra spesso venivano o o Pt_1 Pt_3
a dire a lui e anche agli altri dipendenti cosa dovevano fare. Dicevano proprio Parte_2
“fai questo, “fai quello”, come un capo fa con un impiegato. Io andavo a volte una volta al mese, a volte più volte in una settimana, dipendeva dalle esigenze dei miei clienti. Quando sono andato ho visto sempre o o sul posto che davano Parte_2 Pt_3
12 direttive. Loro erano i proprietari, ciò so perché loro stessi lo dicevano e i pagamenti delle forniture li intestavo e li davo a loro”.
Ora è che non v'è ragione, a parere del Tribunale, per non dare credito a tali affermazioni, stante la ragionevole piena genuinità ed attendibilità dei testi dai quali esse provengono, a dispetto della scarsa credibilità del
(potenzialmente danneggiato da eventuali dichiarazioni contra se, Pt_2
che si è ben guardato di operare) e di quelle del teste – Testimone_4
unico altro testimone che ha riferito sulla circostanza, tutt'ora dipendente della e niente affatto neutrale rispetto all'esito del giudizio – il quale CP_2
ha riferito che “I proprietari erano diversi. aveva amministratore il CP_1 [...]
e invece ha amministratore Le direttive sul Parte_5 CP_2 Persona_1
lavoro le davano queste persone rispettivamente nei diversi periodi: oggi anche dal
, che è il nostro responsabile. ha un ufficio là dentro la sede e Controparte_3 Pt_2
per noi è un cliente. Lui è amministratore della e per noi è un cliente. Org_1
L'ufficio è proprio dentro la struttura della sede nostra. Non ci diceva lui cosa dovevamo fare. Invece la sorella lavorava con noi, era una nostra collega, non ci Pt_3
dava ordini”.
È emerso, dunque, che il formalmente estraneo alla Parte_2
società (rectius, alle società), presente costantemente presso la sede con un proprio “ufficio” (all'interno del quale, tuttavia, non è dato sapere quale altra attività svolgesse) nella stessa collocato, si atteggiasse come agente in nome e per conto della società dando ordini e direttive ai lavoratori (al come del resto al , esprimendosi, in tal senso, per Pt_1 Tes_1
certo nell'interesse dell'attività svolta dalla stessa nel fornire indicazioni ai
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lavoratori su come gestire gli ordini, i rapporti con i clienti, i tempi di consegna da riferire ai clienti in ragione della disponibilità dei materiali
(cfr. testimonianza . Tes_1
Di non poco momento sono poi le dichiarazioni del teste in Tes_2
ordine al fatto che i ( e affermassero di essere i Pt_2 Parte_2 Pt_3
“padroni” e che ricevevano i pagamenti delle forniture, intestati a loro.
Altresì assai eloquente in ordine al ruolo del è la circostanza Pt_2
riferita dal teste in ordine al fatto che dopo le sue dimissioni Tes_1
venne contatto dal medesimo, che gli chiese se volesse essere Pt_2
assunto da di tornare, così, a lavorare alle sue dipendenze (“…mi ha CP_2
chiesto se volevo essere assunto da mi ha chiesto di tornare a lavorare CP_2
alle sue dipendenze”).
Alla luce di tali emergenze può dunque ben dirsi che - pur senza necessità di qualificazioni formali del ruolo rispettivamente svolto - il Parte_2
e sua sorella svolgessero concretamente una funzione di
[...] Pt_3
gestione amministrativa e del personale all'interno dell'azienda.
Tanto consente di imputare al datore di lavoro “formale” le condotte vessatorie poste in essere dal lamentate ai propri danni dal Pt_2
nel corso del rapporto lavorativo, concretamente rafforzative Pt_1
della posizione dallo stesso rivestita nell'ambito della gestione dell'attività dell'azienda.
All'esito dell'istruttoria orale, invero, ha trovato ampio riscontro quanto affermato dal ricorrente in ordine alle continue offese subìte durante il rapporto lavorativo da parte del alle umiliazioni inferte per prassi Pt_2
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al lavoratore dallo stesso e da sua sorella, al clima teso ed intimidatorio creato nell'ambiente di lavoro dai medesimi.
Al proposito il teste ha riferito: “…Ho assistito a vari episodi in cui Tes_1
il insultava il ricorrente. La prima reazione del se c'era un errore era Pt_2 Pt_2
esplosiva. Capitava con una certa ricorrenza. Erano improperi diretti come “imbecille”
o cose più scurrili, coinvolgendo anche la sua famiglia. L'ho sentito personalmente chiedere la disponibilità della moglie del ricorrente pur di convincere un cliente (“per chiudere un ordine di vendita devi fare qualsiasi cosa, anche far scopare tua moglie al cliente se necessario”) e dire la frase che mi si legge (“la prossima volta che so che prendi un giorno di ferie senza avermelo chiesto prima, ti metto sulla scrivania e mi ti inculo fisicamente”). Confermo di aver personalmente sentito il pronunciare le seguenti Pt_2
espressioni all'indirizzo del ricorrente: “tu sei un minorato mentale, un ottuso, un idiota, uno stupido, una nullità, un decerebrato, non capisci un cazzo”;“Questa azienda è mia e qui vige la dittatura!”;“Questo è il Califfato di Gregna e io qui sono la legge”;“Qui lo Stato italiano non esiste, tu non hai diritti, devi fare quello che dico”;“Qui devi lavorare obbligatoriamente 10 ore al giorno”;“Devi pensare solo a vendere, devi fissare appuntamenti anche in pausa pranzo, anche nei giorni di riposo”;
“Se stai male vieni al lavoro;se tua madre sta male tu vieni al lavoro;decido io se stai male o no”;“Qui il lavoro viene prima della tua vita privata e di ogni altra cosa”…Confermo sul capitolo 16 le espressioni testuali rivolte al ricorrente;è avvenuto più volte, serviva a mantenere la giusta tensione sul lavoro, secondo lui. Confermo che coadiuvava quotidianamente il fratello nella gestione del ricorrente e Parte_4
degli altri lavoratori addetti alla vendita al pubblico quando questi erano nel salone espositivo;confermo sul 21 che anche lei anche gridando e insultando ordinava al
15 ricorrente e a tutti noi di prendere appuntamenti di vendita al di fuori dell'orario di lavoro e nei giorni di riposo;ero in sala quando si è verificato l'episodio di cui al cap.
24, si è sentito benissimo che il ha detto al ricorrente “io gli straordinari non li Pt_2
pago;comunque devi fare sempre 10 ore di lavoro al giorno, altrimenti vedi che ti succede”;confermo di aver sentito per essere presente ed essere stato anche io il destinatario della frase ““io ho deciso che non ve la pago e che non prenderete la quattordicesima neanche nei prossimi anni, qui comando io e faccio io le leggi!... .
Emblematica, poi, in ordine al clima che si respirava nella sede di lavoro, è
l'espressione del medesimo teste in relazione al fatto che egli stesso si è determinato a dimettersi per sottrarsi a quel tipo di pressione (“Io mi sono dimesso per sottrarmi a quel tipo di pressione, accettando un lavoro meno remunerato dopo 13 anni che lavoravo là”).
La frequenza, il contenuto e le concrete circostanze nelle quali i riferiti episodi si sono verificati reiteratamente nel corso del rapporto e la riferibilità delle condotte ad una figura “datoriale” per come sopra appurato, inducono il Tribunale a ritenere senz'altro provata una condotta di mobbing nei riguardi del ricorrente.
Giova osservare, in linea generale, che, nella giurisprudenza della
Cassazione, per “mobbing” si intende comunemente una condotta del datore di lavoro o del superiore gerarchico, sistematica e protratta nel tempo, tenuta nei confronti del lavoratore nell'ambiente di lavoro, che si risolve in sistematici e reiterati comportamenti ostili che finiscono per assumere forme di prevaricazione o di persecuzione psicologica, da cui può conseguire la mortificazione morale e l'emarginazione del dipendente,
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con effetto lesivo del suo equilibrio fisiopsichico e del complesso della sua personalità (cfr. Cass. sez. L. sent. n. 3785/2009;nello stesso senso, cfr.
Cass sez L. sent n. 18836/2013 che si riferisce altresì ad una condotta risolventesi in sistematici e reiterati abusi, idonei a configurare il cosiddetto terrorismo psicologico, che si caratterizzi, sul piano soggettivo, con la coscienza ed intenzione del datore di lavoro di arrecare danni - di vario tipo ed entità - al dipendente medesimo). Ai fini della configurabilità della condotta lesiva del datore di lavoro sono, pertanto, rilevanti: a) la molteplicità di comportamenti di carattere persecutorio, illeciti o anche leciti se considerati singolarmente, che siano stati posti in essere in modo miratamente sistematico e prolungato contro il dipendente con intento vessatorio;b) l'evento lesivo della salute o della personalità del dipendente;c) il nesso eziologico tra la condotta del datore o del superiore gerarchico e il pregiudizio all'integrità psico-fisica del lavoratore;
d) la prova dell'elemento soggettivo, cioè dell'intento persecutorio unificante di tutti i comportamenti lesivi (cfr., per tutte, Cass. sez. L, sent.
n. 3785/2009 e n. 17698/2014). E infatti, in tema di mobbing lavorativo,
l'elemento qualificante, che deve essere provato da chi assume di avere subito la condotta vessatoria, va ricercato non nell'illegittimità dei singoli atti bensì nell'intento persecutorio che li unifica, sicché la legittimità dei provvedimenti può rilevare indirettamente perché, in difetto di elementi probatori di segno contrario, sintomatica dell'assenza dell'elemento soggettivo che deve sorreggere la condotta, unitariamente considerata (cfr.
Cass. sez. L, Ord. n. 26684/2017).
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Orbene, alla luce delle emergenze processuali non può ragionevolmente porsi in dubbio che le condotte vessatorie poste in essere dal – Pt_2
così come da sua sorella – reiterate con abitualità, connotate da intenzionalità (dacché peraltro volutamente tese a creare un clima di tensione, cfr. testimonianza “Confermo sul capitolo 16 le espressioni Tes_1
testuali rivolte al ricorrente;è avvenuto più volte, serviva a mantenere la giusta tensione sul lavoro, secondo lui”) per certo causative di un turbamento psicologico in danno del ricorrente (così come del resto dei lavoratori tutti che respiravano la medesima aria nell'ambiente lavorativo, cfr. deposizione
giunto a dimettersi per sottrarsi a quel tipo di pressione), Tes_1
configurino in concreto i caratteri del mobbing per come sopra descritto.
Il invero, è stato sottoposto a continue a reiterate mortificazioni Pt_1
e offese alla sua persona ed alla sua professionalità da parte del datore di lavoro, trovandosi per lungo tempo in posizione di soggezione, costretto, senza ragionevole possibilità di reagire adeguatamente, a subire vessazioni nell'ambiente nel quale era chiamato a svolgere la propria attività lavorativa quotidianamente, evidentemente non in condizioni di serenità.
Tanto è pertanto sufficiente, ove anche per presunzioni, ad ipotizzare una grave lesione della dignità umana del lavoratore correlata alle avverse condizioni lavorative nelle quali si è trovato ad operare, stante
l'inadeguatezza dell'ambiente lavorativo, in violazione del disposto di cui all'art. 2087 c.c., che tutela le condizioni di salute anche psicologica dei lavoratori.
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Quanto alla liquidazione del danno, necessariamente equitativa, ben può prendersi a riferimento una frazione pari al 20% dalla retribuzione media percepita così come individuata dal conteggio depositato dallo stesso ricorrente su invito dell'Ufficio pari a circa 1.900,00 mensili nel periodo
2016-2021 dal lavoratore moltiplicata per il numero di mesi di durata del lavoro (circa 120) per un totale, arrotondato, di complessivi € 45.000,00.
Giungendo, infine, all'esame della questione relativa al soggetto tenuto all'obbligazione retributiva e risarcitoria nei confronti del lavoratore, la tesi del con riguardo all'intervenuto fenomeno di cessione di Pt_1
azienda da parte della nei confronti della Controparte_1 CP_2
ha trovato ragionevole riscontro all'esito del giudizio.
In particolare, il ha dedotto di aver firmato una lettera di Pt_1
licenziamento dalla nel settembre 2020, di aver Controparte_1
continuato, da qual momento, a lavorare senza soluzione di continuità svolgendo le stesse identiche prestazioni, nei medesimi luoghi, con le stesse attrezzature e concrete modalità, ricevendo sempre ordini e direttive dal di aver scoperto solo leggendo la busta paga del mese Pt_2
di ottobre 2020 di essere dipendente della alle Controparte_2
medesime condizioni retributive precedenti;di non aver mai firmato alcuna lettera di assunzione.
Il teste ancora dipendente al tempo del verificarsi di tali Testimone_1
vicende (dacché dimessosi nel dicembre 2019), ha confermato il transito del ricorrente alle dipendenze della senza alcun mutamento nel CP_2
rapporto lavorativo (“confermo che il ricorrente, dopo aver firmato la lettera di
19 licenziamento, proseguiva a svolgere le stesse identiche prestazioni senza soluzione di continuità e senza alcuna modifica dei luoghi, delle persone e delle cose, fino alla data di cessazione definitiva del rapporto di lavoro…”), essendo stato peraltro destinatario della medesima offerta da parte del in seguito alle sue Pt_2
dimissioni (“dopo essermi dimesso sono stato contattato da che mi ha chiesto Pt_2
se volevo essere assunto da mi ha chiesto di tornare a lavorare alle sue CP_2
dipendenze”): lo stesso teste, pur ammettendo di non conoscere
“approfonditamente” le vicende societarie, ha confermato che c'era stato “un cambiamento di ragione sociale, per come stata vissuta in azienda la vicenda, da
a , che il personale era transitato dall'una Controparte_1 CP_2
all'altra società (“nel dicembre 2019 alcuni colleghi erano già stati assunti da
[...]
) e che, tuttavia, tutto quanto relativo al lavoro era rimasto CP_2
invariato (“ma i locali (la sede operativa) sono rimasti gli stessi così come i mezzi di lavoro e i dipendenti”).
Benché un mero - seppur assiduo - cliente delle società convenute, il teste
dal canto suo, pur non essendo a conoscenza delle Testimone_2
vicende societarie ha tuttavia affermato che il ricorrente ha svolto sempre le stesse mansioni (“…Nel periodo in cui ho frequentato la sede della società ha sempre svolto le stesse mansioni…”).
Aldilà del dato formale emergente dalle visure societarie prodotte, dunque, il collegamento tra le due società è emerso, all'esito del giudizio, anzitutto dalla dimostrata continuità (senza alcuna soluzione) della prestazione lavorativa del e dei suoi colleghi alle medesime Pt_1
condizioni precedenti (anche retributive) e con le stesse identiche
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modalità, nello stesso luogo, con le stesse attrezzature e sempre in obbedienza alle direttive del Pt_2
Sulla scorta degli evidenziati elementi, ben può dirsi attuata, nel caso di specie, una concreta continuità aziendale tra le società datrici di lavoro, con prosecuzione dell'attività dell'una da parte dell'altra, senza qualsivoglia interruzione, mediante l'utilizzo non solo degli stessi locali ma anche delle attrezzature e, non in ultimo, dei lavoratori, le cui rispettive professionalità sono state impiegate per il prosieguo dell'attività di impresa senza alcuna necessità neppure di formazione ulteriore o diversa.
Avvalora la tesi della cessione di azienda altresì la circostanza che la
[...]
abbia provveduto ad accollarsi il TFR dei lavoratori della Controparte_2
(cfr. doc. 4 e 5 ) a Controparte_1 Controparte_1 CP_2
fronte di un debito della prima nei confronti della seconda per una precedente operazione commerciale per vendita mobili, macchine e arredi di ufficio, quale chiaro indizio dell'interesse della a mantenere le CP_2
attrezzature della sede di lavoro nella quale proseguire l'attività con gli stessi dipendenti presso di lei transitati.
L'art. 2112 co. 5° c.c., nel testo modificato dall'art. 32 d. lgs. 276/2003 attualmente vigente, prevede che: “ai fini e per gli effetti di cui al presente articolo si intende per trasferimento d'azienda qualsiasi operazione che, in seguito a cessione contrattuale o fusione, comporti il mutamento nella titolarità di un'attività economica organizzata, con o senza scopo di lucro, preesistente al trasferimento e che conserva nel trasferimento la propria identità a prescindere dalla tipologia negoziale o dal provvedimento sulla base del quale il trasferimento è attuato ivi compresi l'usufrutto
21 o l'affitto di azienda. Le disposizioni del presente articolo si applicano altresì al trasferimento di parte dell'azienda, intesa come articolazione funzionalmente autonoma di un'attività economica organizzata, identificata come tale dal cedente e dal cessionario al momento del suo trasferimento”.
Costituisce trasferimento d'azienda ai sensi dell'art. 2112 c.c. qualsiasi operazione che comporti il mutamento della titolarità di un'attività economica qualora l'entità oggetto del trasferimento conservi, successivamente allo stesso, la propria identità, da accertarsi in base al complesso delle circostanze di fatto che caratterizzano la specifica operazione (tra cui il tipo d'impresa, la cessione o meno di elementi materiali, la riassunzione o meno del personale, il trasferimento della clientela, il grado di analogia tra le attività esercitate).
La fattispecie del trasferimento di azienda regolata dall'art. 2112 cod. civ. ricorre tutte le volte che, rimanendo immutata l'organizzazione aziendale, vi sia soltanto la sostituzione della persona del titolare - in virtù di una vicenda giuridica riconducibile al fenomeno della successione in senso ampio - indipendentemente dallo strumento tecnico-giuridico adottato e a prescindere da un rapporto contrattuale diretto tra l'imprenditore uscente
e quello subentrante nella gestione, essendo sufficiente, ai fini dell'integrazione delle condizioni per l'operatività della tutela del lavoratore, il subentro nella gestione del complesso dei beni organizzati ai fini dell'esercizio dell'impresa, ossia la continuità nell'esercizio dell'attività imprenditoriale, restando immutati il complesso di beni organizzati dell'impresa e l'oggetto di quest'ultima, costituendo un indice probatorio
22
di tale continuità l'impiego del medesimo personale e l'utilizzo dei medesimi beni aziendali (cfr. in tal senso, Cass. sent. n. 12771/2012 nonché Cass. n. 26808/2018).
Nel caso di specie tra le società convenute è chiaramente intervenuta una successione nello svolgimento dell'intera attività, essendo le stesse risultate utilizzatrici del complesso delle medesime attrezzature e degli stessi strumenti, presso lo stesso locale (sede di entrambe le società, così come risultante dalle visure prodotte), ove il ricorrente si è recato quotidianamente per tutto il periodo dedotto in giudizio ricevendo ordini
e direttive dai medesimi preposti.
Deve pertanto ritenersi accertato che il rapporto lavorativo sorto rispettivamente tra il e la il 3.10.2011 sia Pt_1 Controparte_1
proseguito, ai sensi dell'art. 2112 c.c. (e quindi per trasferimento di azienda) a partire dall'ottobre 2020, con la con gli stessi Controparte_4
orari e le medesime modalità.
Può dirsi emersa, dunque, con sufficiente certezza la assoluta continuità tra l'attività imprenditoriale delle società convenute che ben può ritenersi, ai fini che qui interessano, quale trasferimento di azienda, una volta realizzatosi il quale, i rapporti di lavoro preesistenti al trasferimento proseguono con il nuovo titolare senza necessità del consenso da parte dei lavoratori, con l'effetto che ogni lavoratore può far valere nei confronti del nuovo titolare i diritti maturati in precedenza ed esercitabili nei confronti del cedente (Cass. 7 dicembre 2006, n. 26215).
23
Alla luce della ricostruzione così operata, deve affermarsi la tenutezza, con riguardo all'obbligo retributivo e risarcitorio, di entrambe le società convenute, e specificamente della fino al tempo del Controparte_1
licenziamento formale del lavoratore (fine settembre 2020) e della
[...]
per l'intero periodo lavorato. CP_2
In ordine alla quantificazione delle somme spettanti al D'Ottavi, parte ricorrente su invito dell'Ufficio ha provveduto a depositare, in data
27.5.2024, un conteggio subordinato formulato secondo diverse ipotesi e con la specificazione delle diverse voci.
Il detto conteggio deve anzitutto essere preso in considerazione esclusivamente con riguardo alle somme dovute per le mansioni superiori svolte dal ricorrente dal 2016 in poi, essendo come detto, non dovute somme per il non provato lavoro straordinario.
Sulla scorta delle deduzioni di parte convenuta nei riguardi dei riformulati conteggi, nondimeno, devono essere espunte altresì le voci relative alle ferie non godute dal ricorrente, in ordine alle quali non è stata raggiunta la prova.
Nella specie, come detto, nessuno dei testi esaminati ha riferito in relazione alla circostanza, essendo rimasta pertanto la domanda priva di riscontro.
Non contestate, poi, da parte del ricorrente sono state le ricevute di pagamento da lui firmate prodotte dalla difesa della convenuta CP_1
relative a festività e permessi non goduti (all. 6 memoria
[...] CP_1
dal 2016 in poi per un totale di € 6.200,00 (e non anche di €
[...]
24
5.450,00 come indicato dalla convenuta), e anticipi tredicesima e quattordicesima (all. 5 memoria , per un totale di € Controparte_1
250,00 in relazione all'anno 2017 i cui importi, pertanto, devono essere detratti, dalle rispettive voci, dal conteggio effettuato dal D'Ottavi.
Essendo la somma già ricevuta a titolo di permessi e festività assorbente
l'intera voce indicata nei conteggi medesimi, effettuate le decurtazioni secondo i criteri esposti, l'ammontare dovuto complessivamente al ricorrente è pari a € 24.125,10 (come risultante dal “Riepilogo” effettuato dalla difesa del ricorrente nelle note depositate il 07.06.2024 e non anche da quello di cui al conteggio subordinato depositato il 27.05.2024 il quale non tiene conto - evidentemente per mero errore - del TFR già percepito per l'ammontare di € 18.842,67), maggiorato di rivalutazione e interessi dalle singole date di maturazione del credito al soddisfo.
Dell'intero importo deve rispondere per certo la Controparte_2
(cessionaria), mentre la (cedente) resta responsabile Controparte_1
solidale per l'ammontare dovuto fino a fine settembre 2016, pari a €
20.420,53 calcolata sulle reali competenze percepite dal ottobre 2020 a novembre 2021, con esclusione delle ferie non godute, delle festività e dei permessi, mutuate dall'ipotesi formulata da parte ricorrente nel conteggio subordinato già al netto dello straordinario.
Con riguardo all'obbligazione risarcitoria, invece, si ritiene del tutto equo che l'ammontare individuato a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale (€ 45.000,00) sia posto a carico della Controparte_1
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per l'ammontare di € 40.000,00 e a carico della per Controparte_2
l'ammontare di € 5.000,00.
Infondata è, infine, l'eccezione di prescrizione sollevata dalla difesa delle convenute sulla scorta dell'ormai acclarato principio secondo cui il rapporto di lavoro a tempo indeterminato, così come modulato per effetto della L. n. 92 del 2012 e del D.Lgs. n. 23 del 2015, mancando dei presupposti di predeterminazione certa delle fattispecie di risoluzione e di una loro tutela adeguata, non è (più) assistito da un regime di stabilità.
Sicché, per tutti quei diritti che non siano prescritti al momento di entrata in vigore della L. n. 92 del 2012, il termine di prescrizione decorre, a norma del combinato disposto degli artt. 2948 n. 4 e 2935 c.c. dalla cessazione del rapporto di lavoro (Cass. Sent. n. 26246 del 6/9/2022).
L'accoglimento solo parziale della domanda suggerisce la compensazione di metà delle spese di giudizio tra le parti, dovendo le convenute in solido
(ed ognuna per la percentuale ad essa spettante, individuata quella della
in un ottavo del totale) essere condannate alla rifusione CP_2
delle restanti sostenute dal ricorrente e liquidate come in dispositivo.
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