Trib. Taranto, sentenza 13/11/2024, n. 2643

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Sul provvedimento

Citazione :
Trib. Taranto, sentenza 13/11/2024, n. 2643
Giurisdizione : Trib. Taranto
Numero : 2643
Data del deposito : 13 novembre 2024

Testo completo

Tribunale di Taranto REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale di Taranto, in composizione monocratica, in persona della dott.ssa
M F, in funzione di giudice del lavoro, ha pronunciato la seguente
S E N T E N Z A CONTESTUALE nella causa discussa all'udienza del 13.11.2024, promossa da:
rappresentata e difesa dall' avv. M S Parte_1
Ricorrente
C O N T R O
, in persona del Direttore Generale p.t., rappresentata e Controparte_1 difesa dall' avv. E.C. S
Resistente

Oggetto: Differenze retributive tempo tuta
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con ricorso del 05.05.2022, la ricorrente di cui in epigrafe asseriva di essere dipendente della e di prestare servizio con qualifica di Controparte_2 ausiliario socio-sanitario, inquadrato nel livello A2 CCNL Case di Cura AIOP dal
01.08.2010 ad oggi. Tanto premesso, deduceva che, in considerazione del ruolo professionale rivestito, aveva l'obbligo di rendere le prestazioni lavorative, dall'inizio alla fine di ciascun turno di servizio, utilizzando precipui indumenti di lavoro
(casacche, pantaloni, calzature) tenuti presso i luoghi di lavoro, dove venivano obbligatoriamente indossati e dismessi rispettivamente subito prima e subito dopo ogni turno.
In particolare, il ricorrente asseriva di essere tenuto, prima dell'inizio del turno, a recarsi presso l'apposito locale spogliatoio, messogli a disposizione dall'Azienda, per munirsi della relativa divisa;
allo stesso modo era tenuto a riporla presso il medesimo locale dopo la fine del turno.
L'effettivo orario in ingresso ed in uscita del lavoratore veniva poi rilevato dai cartellini marcatempo che i dipendenti sono tenuti a timbrare in ingresso ed in uscita dalla struttura ospedaliera.


Per lo svolgimento di tali attività di vestizione/svestizione il ricorrente era costretto
a essere presente in Azienda per almeno 14 minuti complessivi oltre il regolare orario di lavoro previsto.
Tanto considerato, il ricorrente si doleva del fatto che la non aveva CP_1 riconosciuto, per il periodo dal 1 gennaio 2017 al 1 novembre 2020, il tempo occorrente alla vestizione/svestizione quale tempo di lavoro e, pertanto, non le aveva liquidato la relativa retribuzione.
Per tali ragioni agiva in giudizio chiedendo che l' convenuta fosse CP_3 condannata per una somma complessivamente pari a € 3.520,23 a titolo di compenso per lavoro straordinario assertivamente espletato nel periodo dal
01.01.2017 al 01.11.2020, in relazione al tempo impiegato prima dell'inizio della prestazione lavorativa e al termine della stessa per indossare e dismettere la divisa di lavoro.
Si costituiva tardivamente la la quale eccepiva la prescrizione CP_1 quinquennale del credito e contestava nel merito quanto dedotto da parte ricorrente, negando che vi fosse una etero-direzione che imponesse le modalità di vestizione/svestizione come dedotte in ricorso. Precisava che, in ogni caso, a far data da giugno 2019 l'Accordo Aziendale aveva previsto in favore del personale la fruizione di 10 minuti di tolleranza in entrata e concludeva per il rigetto del ricorso.
Tanto premesso, il ricorso è fondato e merita accoglimento nei termini di seguito indicati.
Va evidenziato che il tema del tempo occorrente per le operazioni di vestizione e/o di vestizione e della sua retribuibilità, è stato oggetto di vari interventi della Corte di Cassazione.
In via generale la Corte ha sancito che: “Al fine di valutare se il tempo occorrente per le operazioni di vestizione o svestizione, debba essere retribuito o meno occorre far riferimento alla disciplina contrattuale specifica distinguendo l'ipotesi in cui tale operazione, con riguardo al tempo ed al luogo, sia soggetta al potere di conformazione del datore di lavoro dall'ipotesi in cui, per l'assenza di eterodirezione, le operazioni di vestizione e svestizione si configurino come atti di diligenza preparatoria all'esecuzione della prestazione e, come tali, non sono retribuiti;

l'eterodirezione può derivare dall'esplicita disciplina d'impresa o risultare implicitamente dalla natura degli indumenti, o dalla specifica funzione che devono assolvere, quando gli stessi siano diversi da quelli utilizzati o utilizzabili secondo un criterio di normalità sociale dell'abbigliamento..” (cfr. Cass.n. 5437/19).
La giurisprudenza di legittimità ha poi specificato in relazione alle mansioni svolte in ambito sanitario tale principio di carattere generale, con numerose decisioni.
Da ultimo, con una serie di pronunce alle quali chi scrive ritiene di aderire, si è ribadito che: “…consolidati arresti giurisprudenziali della Suprema Corte nella materia, del tutto condivisi da questo Collegio, che non ravvisa ragioni per discostarsene - ed ai quali, ai sensi dell'art. 118 disp. att. c.p.c., fa espresso richiamo
(cfr., in particolare e tra le molte, Cass. nn. 17635/2019;
3901/2019;
12935/2018;

27799/2017) -, secondo cui l'attività di vestizione attiene a comportamenti integrativi dell'obbligazione principale ed è funzionale al corretto espletamento dei doveri di diligenza preparatoria e costituisce, altresì, attività svolta non (o non soltanto) nell'interesse dell'Azienda, ma dell'igiene pubblica, imposta dalle superiori esigenze di sicurezza ed igiene. Pertanto, dà diritto alla retribuzione anche nel silenzio della contrattazione collettiva integrativa, in quanto, proprio per le peculiarità che la connotano, deve ritenersi implicitamente autorizzata da parte dell' e tali Pt_2 affermazioni non si pongono in contrasto con quanto affermato da questa Suprema
Corte con la sentenza n. 9215 del 2012 secondo cui, "nel rapporto di lavoro subordinato, il tempo necessario ad indossare l'abbigliamento di servizio
(c.d. tempo tuta) costituisce tempo di lavoro soltanto ove qualificato da eterodirezione, in difetto della quale l'attività di vestizione rientra nella diligenza
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