Trib. Roma, sentenza 18/01/2024, n. 941
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Testo completo
N. R.G. 17436/2018
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE ORDINARIO di ROMA
OTTAVA SEZIONE CIVILE
Il Giudice unico del Tribunale di Roma dott. R C ha pronunciato la seguente
SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 17436/2018 e vertente tra:
(C.F. ), con il patrocinio dell'avv. Parte_1 C.F._1
ORLANDI SERGIO, elettivamente domiciliato in P.ZZA BUENOS AIRES ,20 SC.B
INT. 16 ROMA presso il difensore avv. ORLANDI SERGIO;
ATTORE
E
(C.F. ), con il patrocinio Controparte_1 C.F._2
dell'avv. e dell'avv. BECCARIA FRANCESCA ( VIA C.F._3
BELSIANA 71 ROMA;
CONVENUTO
OGGETTO: restituzione somme
CONCLUSIONI: come da verbale del 4/10/23
MOTIVI DELLA DECISIONE
La parte attrice ha esposto di essere stata coniugata con la parte convenuta dalla quale si era separata nel marzo 2014. Ha esposto che nel 2008 era stata sciolta l'impresa familiare costituita con il convenuto e che quest'ultimo si era appropriato del taxi, facente parte dell'impresa, con il pretesto di essere titolare della relativa licenza. Ha
1
esposto che in realtà la licenza sebbene rilasciata al nome del convenuto era di proprietà della parte attrice che aveva versato tutti gli importi necessari al fine di acquistarla.
Ha esposto che il convenuto aveva richiesto al comune di inserire la parte attrice come sostituto alla guida. Ha esposto che per consentire l'acquisto della licenza e dell'autovettura avevano anche acceso un mutuo per estinguere il quale l'attrice era stata costretta a vendere l'immobile di sua esclusiva proprietà.
Ha esposto che per effetto della separazione vi era stato anche lo scioglimento della comunione legale e che la relativa divisione del patrimonio andava effettuata ai sensi degli articoli 192 e 194 del codice civile per cui quello dei coniugi rimasto nel possesso esclusivo di beni fruttiferi già appartenuti alla comunione doveva ritenersi tenuto al pagamento pro quota del corrispettivo di tale godimento secondo le regole generali.
Ha esposto che il credito per i frutti civili sorge a partire dal momento in cui è stata formulata domanda di divisione dei beni comuni e che ai sensi dell'articolo 192 del codice civile il coniuge ha diritto al rimborso da parte della comunione delle somme appartenenti al proprio patrimonio personale utilizzate per spese e investimenti a beneficio di quello comune nella misura in cui dimostri l'appartenenza di dette somme ai propri averi personali.
Ha concluso chiedendo;
accettare e dichiarare che la parte attrice ha corrisposto con i propri beni personali al convenuto le somme indicate in narrativa per l'acquisto della licenza taxi e per
l'acquisto dell'auto Fiat Multipla;condannare il convenuto alla restituzione della licenza di taxi o alla corresponsione di quanto all'epoca versato dalla signora per l'acquisto della licenza e Parte_1
dell'automobile;condannare il convenuto al risarcimento dei danni per l'impossibilità della parte attrice di utilizzare al proprio vantaggio la licenza taxi.
2
Nelle memorie ex art. 183 n. 1 la parte attrice ha aggiunto il seguente capo di domanda:
“ comunque condannare il Sig. alla liquidazione della quota Controparte_1
dell'impresa familiare, cessata in data 31/12/2008, in favore della sig.ra
[...]
ai sensi dell'art. 230bis c.c. “ Parte_1
La parte convenuta ha contestato la domanda.
Ha esposto di avere utilizzato denaro proprio o presto in prestito e poi restituito per
l'acquisto della licenza.
In diritto ha sostenuto che la licenza del taxi rientra tra i beni usati per l'esercizio della professione che, pertanto, non rientrano nella comunione dei beni, trattandosi di beni di uso strettamente personale.
Ha sostenuto che ai sensi dell'art. 179 del codice civile, rientrerebbe nella comunione dei beni l'azienda solo se gestita insieme al coniuge e fondata dopo il matrimonio;se
l'azienda viene gestita insieme ma prima delle nozze apparteneva solo a uno dei coniugi, allora cadranno in comunione solo gli utili e gli incrementi.
Nel caso in esame, ha sostenuto, non si è verificata nessuna delle due ipotesi.
Ha concluso per il rigetto della domanda.
La domanda è infondata.
La parte attrice ha dedotto di avere corrisposto gli importi necessari a dar vita alla impresa familiare costituita con il coniuge convenuto. Segnatamente ha sostenuto di avere versato da una propria provvista esclusiva quanto necessario all'acquisto della licenza di tassista e della autovettura, formalmente intestati al convenuto che era anche il titolare della impresa familiare della quale l'attrice figurava come collaboratrice.
Ha chiesto pertanto la restituzione della licenza o degli importi ed ha formulato tale richiesta anche ai sensi dell'art. 192 cc.
3
L'articolo in questione prevede che ciascuno dei coniugi possa richiedere la restituzione delle somme prelevate dal patrimonio personale ed impiegate in spese ed investimenti del patrimonio comune.
Presupposto per l'accoglimento della domanda, pertanto, a prescindere dalla prova in fatto del versamento contributo, è la circostanza che i versamenti compiuti dalla attrice siano relativi al patrimonio comune, presupposto che nel caso di specie non sussiste.
L'impresa familiare, infatti, resta una impresa individuale (della quale, nel caso di specie, era titolare il convenuto) estranea al patrimonio comune. In forza dell'art. 177 cc ultimo comma rientrano nella comunione solo le aziende gestite da entrambi i coniugi e tale non è l'impresa familiare. Gli effetti di quest'ultima si riverberano unicamente ed eventualmente nella cd comunione de residuo.
In tal senso Cass. Civ., Sez. I, 02/12/2015, n. 24560 secondo la quale l'impresa familiare di cui all'art. 230 bis del c.c. appartiene solo al suo titolare, anche nel caso in cui alcuni beni aziendali siano di proprietà di uno dei familiari, in ciò differenziandosi dall'impresa collettiva, la quale appartiene per quote, eguali o diverse, a più persone, e dalla società, con la quale è incompatibile. L'inesistenza di quote in base alle quali determinare gli utili da distribuire implica che questi ultimi sono assegnati in relazione alla quantità e qualità del lavoro prestato e, in assenza di un patto di distribuzione periodica, non sono naturalmente destinati ad essere ripartiti tra i partecipanti, ma al reimpiego nell'azienda o all'acquisto di beni.
I proventi dell'attività separata di ciascuno dei coniugi, quindi, ai sensi nell'art. 177 del c.c., comma 1, lett. c., rientrano nella c.d. comunione “de residuo”, ossia cadono in comunione al momento dello scioglimento di quest'ultima, se e nella misura in cui non siano stati consumati.
Pertanto, in sede di scioglimento della comunione legale non spetta nulla alla parte attrice, posto che i contributi che sostiene di avere versato attengono alla impresa familiare e formano oggetto di comunione se non per i proventi ancora non consumati, ipotesi quest'ultima che non ricorre nel giudizio in esame.
4
La parte attrice avrebbe dovuto far valere eventuali diritti alla restituzione di finanziamenti alla impresa in sede di scioglimento della impresa familiare.
Nel giudizio in esame, però solo in sede di memoria ex art. 183 n. 1 ha chiesto di avere diritto alla propria quota ex art 230 bis cc, domanda tuttavia nuova e, pertanto, inammissibile.
Ne consegue che la domanda deve essere respinta.
Le spese di lite, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE ORDINARIO di ROMA
OTTAVA SEZIONE CIVILE
Il Giudice unico del Tribunale di Roma dott. R C ha pronunciato la seguente
SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 17436/2018 e vertente tra:
(C.F. ), con il patrocinio dell'avv. Parte_1 C.F._1
ORLANDI SERGIO, elettivamente domiciliato in P.ZZA BUENOS AIRES ,20 SC.B
INT. 16 ROMA presso il difensore avv. ORLANDI SERGIO;
ATTORE
E
(C.F. ), con il patrocinio Controparte_1 C.F._2
dell'avv. e dell'avv. BECCARIA FRANCESCA ( VIA C.F._3
BELSIANA 71 ROMA;
CONVENUTO
OGGETTO: restituzione somme
CONCLUSIONI: come da verbale del 4/10/23
MOTIVI DELLA DECISIONE
La parte attrice ha esposto di essere stata coniugata con la parte convenuta dalla quale si era separata nel marzo 2014. Ha esposto che nel 2008 era stata sciolta l'impresa familiare costituita con il convenuto e che quest'ultimo si era appropriato del taxi, facente parte dell'impresa, con il pretesto di essere titolare della relativa licenza. Ha
1
esposto che in realtà la licenza sebbene rilasciata al nome del convenuto era di proprietà della parte attrice che aveva versato tutti gli importi necessari al fine di acquistarla.
Ha esposto che il convenuto aveva richiesto al comune di inserire la parte attrice come sostituto alla guida. Ha esposto che per consentire l'acquisto della licenza e dell'autovettura avevano anche acceso un mutuo per estinguere il quale l'attrice era stata costretta a vendere l'immobile di sua esclusiva proprietà.
Ha esposto che per effetto della separazione vi era stato anche lo scioglimento della comunione legale e che la relativa divisione del patrimonio andava effettuata ai sensi degli articoli 192 e 194 del codice civile per cui quello dei coniugi rimasto nel possesso esclusivo di beni fruttiferi già appartenuti alla comunione doveva ritenersi tenuto al pagamento pro quota del corrispettivo di tale godimento secondo le regole generali.
Ha esposto che il credito per i frutti civili sorge a partire dal momento in cui è stata formulata domanda di divisione dei beni comuni e che ai sensi dell'articolo 192 del codice civile il coniuge ha diritto al rimborso da parte della comunione delle somme appartenenti al proprio patrimonio personale utilizzate per spese e investimenti a beneficio di quello comune nella misura in cui dimostri l'appartenenza di dette somme ai propri averi personali.
Ha concluso chiedendo;
accettare e dichiarare che la parte attrice ha corrisposto con i propri beni personali al convenuto le somme indicate in narrativa per l'acquisto della licenza taxi e per
l'acquisto dell'auto Fiat Multipla;condannare il convenuto alla restituzione della licenza di taxi o alla corresponsione di quanto all'epoca versato dalla signora per l'acquisto della licenza e Parte_1
dell'automobile;condannare il convenuto al risarcimento dei danni per l'impossibilità della parte attrice di utilizzare al proprio vantaggio la licenza taxi.
2
Nelle memorie ex art. 183 n. 1 la parte attrice ha aggiunto il seguente capo di domanda:
“ comunque condannare il Sig. alla liquidazione della quota Controparte_1
dell'impresa familiare, cessata in data 31/12/2008, in favore della sig.ra
[...]
ai sensi dell'art. 230bis c.c. “ Parte_1
La parte convenuta ha contestato la domanda.
Ha esposto di avere utilizzato denaro proprio o presto in prestito e poi restituito per
l'acquisto della licenza.
In diritto ha sostenuto che la licenza del taxi rientra tra i beni usati per l'esercizio della professione che, pertanto, non rientrano nella comunione dei beni, trattandosi di beni di uso strettamente personale.
Ha sostenuto che ai sensi dell'art. 179 del codice civile, rientrerebbe nella comunione dei beni l'azienda solo se gestita insieme al coniuge e fondata dopo il matrimonio;se
l'azienda viene gestita insieme ma prima delle nozze apparteneva solo a uno dei coniugi, allora cadranno in comunione solo gli utili e gli incrementi.
Nel caso in esame, ha sostenuto, non si è verificata nessuna delle due ipotesi.
Ha concluso per il rigetto della domanda.
La domanda è infondata.
La parte attrice ha dedotto di avere corrisposto gli importi necessari a dar vita alla impresa familiare costituita con il coniuge convenuto. Segnatamente ha sostenuto di avere versato da una propria provvista esclusiva quanto necessario all'acquisto della licenza di tassista e della autovettura, formalmente intestati al convenuto che era anche il titolare della impresa familiare della quale l'attrice figurava come collaboratrice.
Ha chiesto pertanto la restituzione della licenza o degli importi ed ha formulato tale richiesta anche ai sensi dell'art. 192 cc.
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L'articolo in questione prevede che ciascuno dei coniugi possa richiedere la restituzione delle somme prelevate dal patrimonio personale ed impiegate in spese ed investimenti del patrimonio comune.
Presupposto per l'accoglimento della domanda, pertanto, a prescindere dalla prova in fatto del versamento contributo, è la circostanza che i versamenti compiuti dalla attrice siano relativi al patrimonio comune, presupposto che nel caso di specie non sussiste.
L'impresa familiare, infatti, resta una impresa individuale (della quale, nel caso di specie, era titolare il convenuto) estranea al patrimonio comune. In forza dell'art. 177 cc ultimo comma rientrano nella comunione solo le aziende gestite da entrambi i coniugi e tale non è l'impresa familiare. Gli effetti di quest'ultima si riverberano unicamente ed eventualmente nella cd comunione de residuo.
In tal senso Cass. Civ., Sez. I, 02/12/2015, n. 24560 secondo la quale l'impresa familiare di cui all'art. 230 bis del c.c. appartiene solo al suo titolare, anche nel caso in cui alcuni beni aziendali siano di proprietà di uno dei familiari, in ciò differenziandosi dall'impresa collettiva, la quale appartiene per quote, eguali o diverse, a più persone, e dalla società, con la quale è incompatibile. L'inesistenza di quote in base alle quali determinare gli utili da distribuire implica che questi ultimi sono assegnati in relazione alla quantità e qualità del lavoro prestato e, in assenza di un patto di distribuzione periodica, non sono naturalmente destinati ad essere ripartiti tra i partecipanti, ma al reimpiego nell'azienda o all'acquisto di beni.
I proventi dell'attività separata di ciascuno dei coniugi, quindi, ai sensi nell'art. 177 del c.c., comma 1, lett. c., rientrano nella c.d. comunione “de residuo”, ossia cadono in comunione al momento dello scioglimento di quest'ultima, se e nella misura in cui non siano stati consumati.
Pertanto, in sede di scioglimento della comunione legale non spetta nulla alla parte attrice, posto che i contributi che sostiene di avere versato attengono alla impresa familiare e formano oggetto di comunione se non per i proventi ancora non consumati, ipotesi quest'ultima che non ricorre nel giudizio in esame.
4
La parte attrice avrebbe dovuto far valere eventuali diritti alla restituzione di finanziamenti alla impresa in sede di scioglimento della impresa familiare.
Nel giudizio in esame, però solo in sede di memoria ex art. 183 n. 1 ha chiesto di avere diritto alla propria quota ex art 230 bis cc, domanda tuttavia nuova e, pertanto, inammissibile.
Ne consegue che la domanda deve essere respinta.
Le spese di lite, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.
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