Trib. Reggio Calabria, sentenza 22/08/2024, n. 1193

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Sul provvedimento

Citazione :
Trib. Reggio Calabria, sentenza 22/08/2024, n. 1193
Giurisdizione : Trib. Reggio Calabria
Numero : 1193
Data del deposito : 22 agosto 2024

Testo completo

N. R.G. 967/2020
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL TRIBUNALE DI REGGIO CALABRIA
Prima Sezione Civile, in persona del Giudice istruttore dott. G C, ha pronunciato la seguente
S E N T E N Z A nella causa civile iscritta al n.967 dell'anno 2020 R.G.A.C. riservata in decisione all'udienza cartolare del 27.02.2024 vertente
TRA
(cod. fisc.: ) e (cod. fisc.: Parte_1 CodiceFiscale_1 Parte_2 [...]
), rappresentati e difesi dall'avv. D M, giusta procura in C.F._2
atti, presso il cui studio in Reggio Calabria alla via Del Gelsomino n.45 Sc.B hanno eletto domicilio.
-attori-
E
(cod. fisc.: ), rappresentato e difeso Parte_3 CodiceFiscale_3
dall'avv. V L, giusta procura in atti, presso il cui studio in Reggio
Calabria alla via Monsignor de' Lorenzo n.58 ha eletto domicilio.
-convenuto-
Conclusioni delle parti
All'udienza cartolare del 27 febbraio 2024 i procuratori delle parti insistevano nell'accoglimento delle conclusioni così come rassegnate nei propri scritti difensivi, nei verbali ed atti di causa.
IN FATTO E IN DIRITTO
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La presente sentenza è redatta ai sensi dell'art.132 c.p.c. come novellato, in base al quale si richiede soltanto la concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione.
Con atto di citazione notificato il 28.04.2020 e Parte_1 Parte_2
convenivano in giudizio per sentirlo condannare alla restituzione in Parte_3
suo favore della complessiva somma di € 11.025,00 o della diversa maggiore o minore somma che sarebbe stata accertata in corso di causa, oltre al risarcimento dei danni non patrimoniali subiti da quantificarsi in complessivi € 4.000,00, e con vittoria di spese e competenze di lite.
Premettevano gli istanti che e avrebbero dovuto Parte_1 Parte_3
contrarre matrimonio il 04.09.2019, tant'è che avevano provveduto ad eseguire le relative pubblicazioni e prenotato per il ricevimento la sala-ristorante La Corte ubicata nella frazione Gallina di Reggio Calabria;
assumevano che due giorni prima del giorno fissato per la celebrazione delle nozze il comunicava che non avrebbe contratto Pt_3
matrimonio, senza tuttavia addurre alcuna plausibile giustificazione, sebbene i due nubendi convivessero da qualche tempo e la donna fosse in stato di gravidanza;
rilevavano di avere sostenuto spese e contratto obbligazioni proprio in funzione del matrimonio, quantificati in complessivi € 11.025,00 per come analiticamente indicato nell'atto introduttivo.
Rassegnavano le conclusioni di cui in premessa.
Si costituiva il quale deduceva l'assoluta infondatezza della domanda, Parte_3
offrendo una diversa prospettazione dei fatti e osservando che a seguito della scoperta della di essere in attesa di una bambina a distanza di pochi mesi Parte_1
dall'inizio della relazione sentimentale, i genitori della donna gli avevano imposto di contrarre matrimonio con la figlia, prospettandogli l'evenienza che se si fosse rifiutato avrebbero frapposto ogni ostacolo possibile all'esercizio del suo diritto di padre, opponendosi al riconoscimento della nascitura e, soprattutto, ostacolando anche il benchè minimo rapporto con la figlia, così da essere costretto ad effettuare la promessa
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matrimoniale;
aggiungeva che in conseguenza del clima ostile creato nei suoi confronti,
e nonostante la piccola abbia visto la luce nell'ottobre 2019, egli non era riuscito Per_1
ad instaurare alcun rapporto con la minore;
sottolineava infine che nei giorni successivi alla data fissata per il matrimonio la aveva asportato dall'abitazione familiare, Pt_1
senza alcun consenso, tutti gli arredi che erano stati acquistati esclusivamente dal
Pt_3
Sulla scorta di queste precisazioni, e assumendo che ricorresse nella specie il “giusto motivo” di cui all'art.81 c.c. che scriminava il suo rifiuto a contrarre matrimonio, insisteva, pertanto per il rigetto della domanda.
Il processo veniva istruito con l'espletamento dell'interrogatorio formale del convenuto deferitogli da parte attrice e della prova testimoniale articolata dagli attori;
quindi all'udienza del 27.02.2024 la causa, sulle conclusioni nei termini integralmente riportati in epigrafe, veniva riservata per la decisione con l'assegnazione alle parti del termine perentorio di giorni sessanta per il deposito in cancelleria di comparse conclusionali e di ulteriore termine perentorio di giorni venti per le eventuali repliche.
La domanda è fondata e deve trovare accoglimento nei limiti e per le ragioni qui appresso esplicitate.
Vale la pena rammentare, più in generale e ai fini di un corretto inquadramento giuridico dell'istituto che qui viene in rilievo, che la promessa di matrimonio è una dichiarazione resa dai futuri sposi per portare a conoscenza di terzi il serio proposito di contrarre matrimonio, le cui conseguenze giuridiche sono disciplinate dall'art.79 c.c..
L'ordinamento giuridico contempla due diverse tipologie di promesse matrimoniali: la promessa di matrimonio semplice e la promessa solenne: la prima consiste in un atto, anche unilaterale, privo di particolari forme o requisiti con il quale si manifesta la volontà di unirsi in matrimonio;
è dunque un mero fatto sociale, dal quale discendono doveri di carattere esclusivamente morale tra le parti.
Il secondo tipo di promessa, invece, è disciplinata dall'art.81 c.c. e può realizzarsi tramite la redazione, da parte di due persone di maggiore età o del minore ammesso a
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contrarre matrimonio, di un atto in forma scritta (atto pubblico o scrittura privata) con il quale ci si impegna vicendevolmente a contrarre le nozze o ancora tramite la richiesta di pubblicazione di matrimonio disciplinata dall'art.93 c.c.
Ora, mentre nel caso di promessa semplice l'art.80 c.c. prevede che il promittente possa chiedere solo la restituzione dei doni fatti a causa della promessa, quella solenne ha invece conseguenze patrimoniali più pregnanti poiché, oltre all'obbligo di restituzione, obbliga anche chi rifiuta il matrimonio a risarcire all'altra parte il danno per le spese affrontate e per le obbligazioni contratte a causa della promessa (ad es. abito da sposa, bomboniere, preparativi per la cerimonia, ricevimento, anticipo sull'affitto della casa degli sposi, ecc.).
Si tratta di un risarcimento per danni che non discende tanto dall'inadempimento relativo ad una promessa vincolante, quanto da un comportamento contrario alla buona fede che trova riscontro, nell'ambito della disciplina del diritto di famiglia, anche nella sanzione prevista dall'art.139 c.c. a carico del coniuge che, pur conoscendo la causa di nullità del matrimonio, non la esterna all'altro (così Cass. n.1260/1994).
In ogni caso, la norma codicistica (art.81 c.c.) fa salva la possibilità della parte che rifiuta il matrimonio di provare che il suo comportamento sia sorretto da un “giusto motivo” che escluda così il risarcimento.
Ebbene, la Suprema Corte ha chiarito che il promesso sposo che non abbia provato, con onere probatorio posto a suo carico, la ricorrenza di un giustificato motivo e dopo che siano intervenute le pubblicazioni rifiuta di contrarre matrimonio è tenuto a rimborsare le spese sostenute dall'altro in vista delle nozze (Cass. n.20889/2015).
Dunque, due sono le questioni maggiormente rilevanti in tema di promessa di matrimonio che meritano di essere esaminate, e cioè l'individuazione di giustificati motivi alla base del rifiuto di convolare a nozze ed il calcolo delle spese eventualmente risarcibili.
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Nessun dubbio, per ciò che concerne l'onere della prova, che questo spetti al soggetto recedente il quale, per sottrarsi all'obbligazione riparatoria, deve provare la sussistenza del giustificato motivo quale fatto costitutivo negativo della pretesa dell'altra parte.
L'aspetto più delicato è proprio quello dell'indagine sulle eventuali ragioni che possono dare giustificazione al rifiuto di contrarre matrimonio, tenuto conto del fatto che spesso si tratta di motivazioni personali, legate ad aspetti emotivi e/o sentimentali che difficilmente possono formare oggetto di prova.
Certamente, vanno considerati giustificati motivi alla base del rifiuto tutte quelle situazioni in relazione alle quali il matrimonio già contratto può essere annullato;
si pensi ad esempio ai casi di interdizione, di incapacità di intendere e di volere, di consenso estorto con violenza, i quali consentono l'impugnazione del matrimonio e, dunque, a fortiori, vanno ritenuti idonei motivi per revocare l'assenso alle nozze non ancora celebrate.
Oltre a queste tassative ipotesi previste dal codice di rito, la giusta causa di recesso dalla promessa di matrimonio va valutata caso per caso, tenuto conto delle peculiarità delle situazioni concrete portate al vaglio del giudice.
Ebbene, delineato il quadro normativo e giurisprudenziale di riferimento, ritiene il
Giudicante che ricorrano nella vicenda processuale qui scrutinata i presupposti contemplati dalla norma codicistica per dar luogo per l'appunto all'accoglimento della domanda risarcitoria azionata.
Ed invero, incontestata si appalesa la circostanza della mancata celebrazione del matrimonio, per il rifiuto manifestato dal due giorni prima delle nozze fissate per Pt_3
il 04.09.2019, così come incontestato è il dato delle avvenute pubblicazioni di rito eseguite nelle forme indicate dalla legge (art.96 c.c.), che l'art.81 c.c. equipara a tutti gli effetti alla promessa vicendevole;
né tantomeno è stato mai contestato dal convenuto, che detta richiesta fosse invalida per sua incapacità o per altri vizi del consenso.
Ebbene, a fronte di tali inequivoci dati fattuali, il convenuto, sul quale giova ribadirlo, gravava il relativo onere, non ha fornito, al di là delle asserzioni difensive sviluppate con
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i propri scritti difensivi, il benchè minimo elemento probatorio positivo che supportasse almeno in via indiziaria la propria tesi difensiva, non assumendo ovviamente a tal fine alcuna valenza decisiva le dichiarazioni rese dal in sede di interrogatorio formale Pt_3
e le ragioni “ambientali” che sono state addotte dallo stesso a giustificazione della mancata celebrazione del matrimonio.
In buona sostanza, sebbene possa astrattamente rappresentarsi che in contesti caratterizzati, a tacere d'altro, da sottocultura e malcostume, tipici di realtà difficili quali quelle dell'Italia meridionale, le famiglie d'origine dei nubendi in siffatte situazioni possano esercitare vessazioni psicologiche e condizionamenti di ogni genere, pur tuttavia nella fattispecie qui esaminata ciò che rileva è che il convenuto non ha in alcun modo supportato probatoriamente la tesi delle pressioni e dei soprusi subiti, non avendo peraltro in tal senso articolato alcun mezzo istruttorio.
D'altra parte, non va sottaciuto che le asserite minacce e angherie di cui sarebbe rimasto vittima il non gli avrebbero di certo impedito di denunciare o comunque di Pt_3
segnalare la situazione venutasi a determinare, astenendosi nel contempo di acconsentire all'espletamento delle pubblicazioni del matrimonio.
Quanto alla natura del risarcimento, è ora da rilevare che il rifiuto di contrarre le nozze non può configurarsi come illecito extra-contrattuale, né come responsabilità contrattuale o precontrattuale, posto che la promessa di matrimonio non fa sorgere un vincolo giuridico tra le parti.
Si tratta piuttosto di una particolare forma di riparazione collegata direttamente dalla legge alla rottura del fidanzamento senza giusto motivo (fra le altre, Cass. n.9052/2010;

Cass. n.8733/1991;
Trib. Monza 06.06.2006).
Le ragioni della specialità di tale regime risarcitorio vanno rintracciate nell'esigenza di garantire la piena ed assoluta libertà nel compimento di un atto personalissimo come il matrimonio e di limitare l'ambito delle conseguenze risarcitorie di un rifiuto che il legislatore ha voluto mantenere sino all'ultimo momento possibile e liberamente opponibile (Trib. Bari 28.09.2006).
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Una piena responsabilità risarcitoria potrebbe, infatti, rappresentare per il promittente una sorta di pressione indiretta a contrarre le nozze, di certo contraria ai principi che governano l'ordinamento;
per contro, una forma di riparazione economica in caso di ingiustificato diniego di convolare a nozze appare sorretta da ragioni di equità e di tutela dell'affidamento incolpevole dell'altra parte.
È, dunque, al generale canone di buona fede che occorre far riferimento per conferire giustificazione al risarcimento riconosciuto dall'art.81 c.c.
In presenza, dunque, di elementi -quali le pubblicazioni che precedono il matrimonio- che abbiano ragionevolmente indotto una parte a fare affidamento sulla promessa altrui e ad affrontare spese in vista delle nozze, il codice civile non può che prevedere uno strumento risarcitorio a carico del nubendo promittente che abbia ingiustificatamente cambiato idea in ordine alla scelta di convolare a nozze.
L'oggetto della pretesa è limitato all'importo delle spese affrontate e delle obbligazioni contratte dal partner in vista della celebrazione, con esclusione quindi dei pregiudizi non patrimoniali eventualmente subiti, sfuggendo la fattispecie agli schemi di cui all'art.2059 c.c..
Ebbene, occorre innanzitutto individuare se le spese e le obbligazioni per le quali gli attori hanno chiesto il risarcimento dei danni siano innanzitutto eziologicamente connesse alla promessa di matrimonio, nel senso che non sarebbero state affrontate o contratte se non ci fosse stato il progetto matrimoniale e soprattutto se siano debitamente documentati tutti gli esborsi che sarebbero stati effettuati.
Ed allora, evidenziato che possono essere riconosciute esclusivamente le spese che risultano debitamente supportate dai relativi titoli (scontrini e/o ricevute fiscali, fatture) che ne attestino gli effettivi esborsi nella misura realmente sostenuta non potendosi considerare le attestazioni compilate a mano non recanti una data certa e non accompagnate dalla relativa certificazione fiscale, va detto che dall'esame della documentazione prodotta sono stati riscontrati i pagamenti eseguiti per l'abito nuziale
(per un totale di € 1.800,00 come da scontrini fiscali);
per le fedi (€ 500,00 come da
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scontrino fiscale);
per il servizio fotografico (nella misura di € 625,00 come da ricevuta);
per le bomboniere (€ 250,00 come da scontrino fiscale);
per lavori edili (€ 341,61 portati da due fatture di € 114,13 e € 227,48).
Nessun importo può invece essere riconosciuto per gli esborsi che sarebbero stati effettuati per mobili di arredamento e cucina, laddove del tutto inattendibili e generiche appaiono le dichiarazioni rese dal teste escusso peraltro Testimone_1
smentite dalla documentazione allegata dal convenuto che ha prodotto, unitamente al medesimo preventivo di spesa esibito da parte attrice, anche un assegno (per € 500,00) e uno scontrino fiscale (di € 3,830,00) che attestano che quantomeno, contrariamente a quanto riferito nella deposizione testimoniale (…. non ricordo quanto fu il costo complessivo dei mobili acquistati;
ricordo che mi furono pagati in contanti e ho lasciato una ricevuta;
… chiarisco che la mobilia a cui ho fatto sopra cenno è stata pagata dal signor
, che sia stato invece il a sopportare quasi integralmente i relativi Pt_1 Pt_3
costi, senza considerare che si appalesa quantomai inverosimile la tesi attorea - avvalorata dal teste- che tali beni di considerevole valore possano essere stati pagati esclusivamente in contanti.
Deve, in ogni caso, sottolinearsi, in via assorbente, a proposito di questa ultima tipologia di beni di cui si è chiesto il risarcimento, che una delimitazione del danno risarcibile è stato condivisibilmente individuata dalla prassi giurisprudenziale nei principi della compensatio lucri cum damno e del divieto di indebito arricchimento, per cui dalla determinazione del danno risarcibile deve essere detratto l'ammontare del valore dei beni che siano ancora utilizzabili dal nubendo non inadempiente ovvero di quelli dai quali sia comunque ricavabile un'utilità economica.
Ciò significa che anche sotto questo diverso profilo non può essere riconosciuto alcun rimborso delle spese di questi beni perché certamente utilizzabili e magari già utilizzati,
e considerato che parte attrice non ha minimamente dedotto di non avere trattenuto o di non avere alcun interesse a trattenere per sé detta mobilia e gli accessori.
Non spetta, altresì, all'attrice, il risarcimento del danno alla salute e del danno morale.
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Ed infatti, come sopra già ampiamente osservato, il comportamento del nubendo promittente che si scioglie dalla promessa, essendo espressione di quel diritto personale fondamentale che è la libertà matrimoniale, non può mai essere qualificato in termini di illiceità ex art.2043 c.c., vale a dire che di per sé la rottura della promessa di matrimonio, anche se fatta senza giusto motivo, non è mai antigiuridica, perché non
è non iure, e quindi non è mai produttiva di danni ingiusti.
Piuttosto, qualificata la previsione dell'art 81 c.c. come applicazione del principio, che governa la responsabilità precontrattuale, per il quale chi ha dato causa alla mancata stipulazione di un negozio deve rimborsare all'altra parte le spese per questo affrontate, ovvero come ipotesi di responsabilità ex lege, quale conseguenza di un atto giuridico in senso stretto, rilevante solo nelle limitatissime ipotesi previste, non vi è dubbio che proprio tale rigorosa previsione normativa e l'impossibilità di ricondurre l'obbligo di risarcimento ai principi generali dell'illecito contrattuale o aquiliano facciano sì che i danni ulteriori siano risarcibili esclusivamente quando non siano conseguenza (soltanto) della rottura della promessa, ma abbiano (anche) fonte diversa;
in particolare, siano conseguenza di un comportamento doloso o colposo produttivo di un danno ingiusto.
Ebbene, nella vicenda in esame, nessun altro addebito risulta mosso al convenuto se non quello di essersi sottratto, senza giusto motivo ed all'ultimo momento, alla promessa di matrimonio: tale comportamento, pur se produttivo di danni (intesi come lesioni di diritti fondamentali, quale è il diritto alla salute, quindi contra ius), non è tuttavia contrario ad una norma giuridica (costituendo espressione di un diritto, a sua volta fondamentale), quindi detti danni non sono risarcibili, a prescindere dalla sussistenza di eventuali profili colposi della condotta.
Le somme, come sopra determinate, sono dovute dal convenuto a titolo di risarcimento del danno e quindi vanno rivalutate;
quanto agli interessi, come di consueto in tale materia, va fatta applicazione dei principi espressi dalla Suprema Corte nella sentenza
n.1712/1995.
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Ne discende che va condannato a rifondere in favore degli attori la Parte_3
somma di € 3.516,61 da rivalutarsi e alla quale vanno aggiunti gli interessi legali come di seguito specificato: il credito innanzi determinato deve essere rivalutato dall'epoca della causazione del danno -04.09.2019- anno per anno secondo gli indici Istat ad un saggio equivalente agli interessi legali, con esclusione degli interessi sugli interessi (cfr.
Cass. sez. III n.23225/2005).
Successivamente alla pubblicazione della presente sentenza, sulla somma come sopra liquidata sono dovuti gli interessi nella misura legale fino all'effettivo soddisfacimento del credito.
Le spese del presente giudizio, seguendo la soccombenza, vanno poste a carico di parte convenuta e liquidate come da dispositivo in una misura che tuttavia deve necessariamente tenere conto dell'importo risarcitorio riconosciuto.
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