Trib. Palermo, sentenza 11/03/2025, n. 1145

TRIB Palermo
Sentenza
11 marzo 2025
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TRIB Palermo
Sentenza
11 marzo 2025

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Sul provvedimento

Citazione :
Trib. Palermo, sentenza 11/03/2025, n. 1145
Giurisdizione : Trib. Palermo
Numero : 1145
Data del deposito : 11 marzo 2025

Testo completo

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE DI PALERMO
Sezione lavoro e previdenza
Il Giudice del Lavoro dott. Fabio Montalto ha pronunciato la seguente
SENTENZA nel procedimento iscritto al n. 744/2023 R.G.L. vertente tra
ER AR NT (c.f. [...]), parte rappresentata e difesa dall'avv. Vito Galbo;

- parte ricorrente -
e
INPS (c.f. 02121151001), parte rappresentata e difesa dall'avv. Giuseppe Bernocchi;

- parte resistente -
Oggetto: indebito previdenziale/assistenziale.
Conclusioni: come da note ex art. 127 ter c.p.c. depositate per l'udienza scritta del 10 marzo
2025.
Motivazione
Con ricorso depositato il 23 gennaio 2023 PE MA NA ha chiesto che venga accertata l'inesistenza del diritto dell'Inps di ripetere la somma di € 11.780,84 richiesta con la nota del 22 aprile 2022 a titolo di asserito indebito maturato sulla pensione cat. INVCIV nel periodo tra l'1 aprile 2019 ed il 31 maggio 2022, nonché dell'ulteriore somma di € 247,92, richiesta per la medesima ragione giusta nota di sollecito del 30 maggio 2022, relativamente al periodo tra l'1 gennaio 2018 ed il 30 novembre 2019. A sostegno della superiore domanda la ricorrente ha eccepito l'irripetibilità dell'indebito ai sensi dell'art. 13 della L. 412/1991, lamentando anche la violazione dei principi di “collaborazione” e buona fede
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dell'Amministrazione, e, in subordine, ha eccepito la prescrizione quinquennale del credito avversario (cfr. ricorso per la compiuta disamina delle difese ivi spiegate).
Con la memoria di costituzione depositata il 22 dicembre 2023 l'Inps ha chiesto il rigetto del ricorso, contestandone la fondatezza. Più specificamente l'Istituto resistente, con riguardo al primo indebito (€ 11.780,84, periodo 1 aprile 2019 - 31 maggio 2022), ha dedotto che il debito sarebbe scaturito dalla visita di revisione del 6 marzo 2019 e dalla verifica reddituale effettuata nell'aprile 2022; con riguardo al secondo indebito (€ 247,92, periodo 1 gennaio 2018 - 30 novembre 2019), ha dedotto che giusta ricostituzione del 23 ottobre 2019
l'importo dell'assegno sarebbe stato ricalcolato in ragione dei redditi percepiti dalla beneficiaria (cfr. memoria).
Con le note ex art. 127 ter c.p.c. depositate l'1 marzo 2025 la ricorrente, oltre ad insistere nelle difese già svolte, ha contestato la riduzione della percentuale d'invalidità attribuitale in sede di revisione
Così sinteticamente esposte le rispettive domande, eccezioni e difese, va osservato quanto segue.
Sulla contestazione della percentuale d'invalidità riconosciuta in sede di revisione.
In via assolutamente preliminare va esclusa la possibilità della PE di contestare in questa sede la percentuale d'invalidità riconosciutale in sede di revisione, visto che, da un lato, la richiesta formulata per la prima volta con le note dell'1 marzo 2025 integra una domanda nuova (e, come tale, inammissibile) e, dall'altro lato, tra la notifica del verbale della visita di revisione (avvenuta il 26 marzo 2019: cfr. ricevuta di consegna allegata alla memoria di costituzione) e la contestazione dell'1 marzo 2025 è trascorso un termine ben superiore a sei mesi (con la conseguente decadenza ex art. 42, comma 3, d.lgs. 269/2003).
Sull'indebito di € 11.780,84 relativo al periodo 1 aprile 2019 - 31 maggio 2022.
Sul carattere indebito della prestazione ricevuta dalla PE nel periodo in esame non sussiste alcun dubbio: esso, infatti, non risulta neppure contestato con l'atto introduttivo (cfr. ricorso).
Ciò detto, occorre esaminare i tre motivi di ricorso formulati dalla ricorrente, precisando, tuttavia, che l'indebito di cui si discute riguarda una prestazione assistenziale
(qual è la pensione di inabilità) e non previdenziale.
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In primo luogo, la ricorrente ha eccepito l'irripetibilità dell'indebito perché la responsabilità dell'erogazione sarebbe ascrivibile interamente all'Inps, mentre ella non avrebbe posto in essere alcuna condotta dolosa.
Le superiori premesse sono pienamente condivisibili, ma non conducono alla conclusione sostenuta dalla ricorrente.
La Corte di Cassazione, infatti, ha chiarito che, “premesso che il diritto alle prestazioni assistenziali nasce dalla legge, quando si realizzino le condizioni da questa previste, e che gli atti dell'amministrazione o dell'ente pubblico hanno la natura di meri atti di certazione, ricognizione e adempimento - e non di concessione della prestazione -, il diritto alla prestazione viene meno nel momento in cui venga accertata la insussistenza delle condizioni cui la legge subordina la corresponsione della prestazione. Ne consegue che le erogazioni indebite effettuate dopo l'accertamento della insussistenza dei requisiti non sono sottratte alla regola generale dell'art. 2033 cod. civ., restando irrilevante il mancato rispetto delle norme che impongono all'amministrazione di attivarsi prontamente, sospendendo i pagamenti ed emanando il formale provvedimento di revoca entro termini prefissati, concretizzandosi tali atti (sospensione e revoca) in meri atti di gestione del rapporto obbligatorio. Né, così interpretato, il sistema normativo della ripetibilità delle prestazioni assistenziali indebitamente erogate contrasta con l'art. 38 Cost., giacché è ragionevole che la fine dell'affidamento dell'assistito nella definitività dell'attribuzione patrimoniale ricevuta venga fatta
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