Trib. Caltagirone, sentenza 26/02/2024, n. 172
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Testo completo
N. R.G. 2018 455
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL TRIBUNALE DI CALTAGIRONE
SEZIONE CIVILE
Il Tribunale, in composizione collegiale, composto dai sig.ri Magistrati: dr.ssa C G Presidente dr.ssa P C Giudice dr.ssa G F Giudice est.
Ha pronunciato la seguente
SENTENZA nella causa di primo grado iscritta al n. 455/2018 R.G. promossa da:
, nato a Caltagirone il 1.7.1977, ed ivi residente in Via Gulino n. 15, Parte_1
, difeso dall'Avv. P C;CodiceFiscale_1
attore contro
, nata a Caltagirone il 13.9.1984, c.f. , ed ivi Controparte_1 C.F._2 residente in Via Volta Sansone n. 20, rappresentata e difesa dall'avv. F D S;convenuta
e nei confronti di
AVV. , curatore speciale di , nato a Caltagirone il 26.07.2005 CP_2 Persona_1
c.f. , residente presso la Comunità di Caltagirone;C.F._3 Org_1
convenuto
Nonché con l'intervento di:
1
, nata a Caltagirone il 17.10.1970, c.f. ed ivi residente CP_3 C.F._4
in via Gulino 15, anche nella qualità di genitore esercente la responsabilità genitoriale sul figlio minore nato a Caltagirone il 4.9.2010, c.f. , difesa Persona_2 C.F._5 dall'Avv. P C terzo intervenuto
E con l'intervento del Pubblico Ministero.
Interveniente necessario
Oggetto: IMPUGNAZIONE DI RICONOSCIMENTO DI FIGLIO
CONCLUSIONI DELLE PARTI
Le parti hanno rassegnato le rispettive conclusioni con note scritte depositate per l'udienza del
27.9.2023, sostituita ai sensi dell'art. 127 ter c.p.c.
La causa veniva quindi trattenuta per la decisione, previa assegnazione alle parti dei termini ex art.
190 c.p.c.
Il Pubblico Ministero concludeva chiedendo il rigetto della domanda di parte attrice.
Concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto
Con atto di citazione del 12.4.2018, ritualmente notificato, il sig. conveniva Parte_1
in giudizio la sig.ra nella qualità di genitore esercente la responsabilità Controparte_1
genitoriale sul figlio minore nato a Caltagirone il 26.7.2005 e dalla quale era Persona_1 intervenuta sentenza di divorzio in data 21.2.2014, impugnando ai sensi dell'art. 263 c.c. per difetto di veridicità il riconoscimento del predetto figlio assumendo di avere avuto il dubbio di Per_1
non esserne il padre biologico perché già successivamente al suo riconoscimento aveva sospettato che la sig.ra , con la quale si era comunque poi sposato in data 10.9.2005, intrattenesse CP_1
una relazione con altro soggetto, con il quale dopo la separazione era poi andata a convivere.
L'attore rappresentava, inoltre, di aver successivamente formato un nuovo nucleo familiare con la attuale moglie, sig.ra , dalla cui unione è nato il figlio , il 4.9.2010. CP_3 Persona_2
In via istruttoria chiedeva che venisse disposto il test comparativo del DNA (analisi dei polimorfismi) volto all'accertamento del rapporto di filiazione biologica.
In data 27.6.2018 si costituiva in giudizio la sig.ra la quale in via del tutto Controparte_1 preliminare eccepiva la inammissibilità della azione proposta dall'attore, essendo ormai spirato il termine annuale per la proposizione della domanda, ai sensi dell'art. 263 c.c.
2
Domandava comunque il rigetto nel merito attesa la evidente pretestuosità della azione (peraltro incardinata dopo oltre dieci anni dai pretesi dubbi sulla paternità) nonché comunque la genericità della stessa.
In data 17.1.2019 interveniva volontariamente in giudizio la sig.ra attuale CP_4 moglie dell'attore, vantando di essere portatrice sia di un interesse personale di valenza morale e patrimoniale in qualità di coniuge del sig. , sia di un interesse patrimoniale in qualità di Parte_1
genitore del figlio minore il quale è portatore di un interesse immediato e diretto Persona_2
a non vedere pregiudicata la propria posizione successoria nei confronti del padre . Parte_1
La sig.ra pertanto, aderiva alla proposta impugnazione del riconoscimento del minore CP_4 avanzata dall'attore, facendo proprie le deduzioni proposte. Persona_1
Instaurato il giudizio, con ordinanza del 24.07.2018, il Giudice istruttore sollecitava la nomina di un curatore speciale del minore ai sensi dell'art 321 c.c., che veniva poi individuato nella persona dell'Avv. P P, la quale quindi si costituiva nel presente giudizio con comparsa di costituzione del 10.10.2022, chiedendo il rigetto della domanda avanzata dall'attore poiché prescritta
e comunque infondata nel merito quella avanzata anche dalla terza intervenuta.
Con successiva ordinanza del 7.6.2023 il Giudice istruttore rigettava la richiesta di CTU genetica, ritenendola esplorativa e rinviava la causa per la precisazione delle conclusioni.
Le parti quindi precisavano le rispettive conclusioni alla udienza del 27.9.2023 e la causa veniva trattenuta per la decisione, previa assegnazione dei termini ex art. 190 c.p.c.
§
La domanda proposta dall'attore è manifestamente inammissibile in quanto Parte_1
tardivamente proposta oltre il termine annuale ex lege fissato, ai sensi dell'art. 263 c.c.
Infatti, il legislatore dopo la modifica apportata dal D.lgs. 154/2013, ha espressamente previsto che il termine per esperire la impugnazione del riconoscimento del figlio da parte dell'autore del riconoscimento è di un anno, mentre per chiunque abbia interesse è di cinque anni. L'art. 104 comma
10 del D.lgs. n. 154/2013, in tema di disposizioni transitorie, ha previsto che “… nel caso di riconoscimento di figlio annotato sull'atto di nascita prima dell'entrata in vigore del presente decreto legislativo, i termini per proporre l'azione di impugnazione, previsti dall'art. 263 e dai commi secondo, terzo e quarto dell'art. 267 del codice civile, decorrono dal giorno dell'entrata in vigore del medesimo decreto legislativo”.
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Orbene, Il D.lgs. 154/2013, modificativo dell'azione ex art. 263 c.c. è entrato in vigore in data
07.02.2014, dal chè consegue che per l'autore del riconoscimento il termine per esperire l'azione ex art. 263 era spirato il 07.02.2015, mentre per tutti coloro i quali vantino comunque un interesse all'azione il termine ultimo cadeva in data 07.02.2019.
E' dunque di palmare evidenza che, per quanto specificamente attiene alla azione proposta dall'odierno attore (ossia appunto l'autore del riconoscimento), il quale ha incardinato il giudizio in data 12.4.2018, la domanda deve essere dichiarata inammissibile poiché proposta oltre il termine fissato per legge.
Tale argomentazione già di per sé sarebbe sufficiente a sostenere il rigetto quantomeno della domanda proposta dal sig. che deve comunque ritenersi infondata anche nel merito, valutazione Per_2
che assume rilievo anche per quanto attiene alla diversa posizione della terza intervenuta sig.ra la cui domanda risulta invece di per sé tempestiva (poiché ancora non scaduto il più CP_4 ampio termine di 5 anni fissato dall'art.263 c.c.) ma in ogni caso, per le medesime ragioni di cui appresso si dirà, comunque infondata nel merito.
A sostegno della presente decisione, si deve infatti evidenziare, in primo luogo, la assoluta genericità delle circostanze esposte dall'attore ( e dunque anche dal terzo intervenuto in adesione) a sostegno del preteso difetto di veridicità del riconoscimento del figlio fondato a ben vedere sulla Per_1
base di labiali sospetti sulla identità del padre naturale, assumendo che quest'ultimo fosse un terzo soggetto (neppure identificato) con il quale la sig.ra avrebbe in realtà avuto una CP_1
relazione prima ancora del matrimonio con il sig. . Per_2
Nessun altro dato specifico e circostanziato è stato fornito dall'attore – né dalla terza intervenuta – a sostegno di tale asserzione, dovendosi peraltro sottolineare la singolare circostanza del lungo lasso temporale intercorso tra la nascita del figlio (luglio del 2005) e la decisione di incardinare il presente giudizio, a distanza di oltre dieci anni e nonostante, a dire dello stesso sig. , quest'ultimo Per_2
avesse sempre nutrito dubbi sul fatto che fosse in realtà stato concepito dalla sig.ra Per_1
con un altro uomo, tanto che tale relazione era sempre stata fonte di litigi tra i due CP_1
coniugi, poi sfociati nella irreversibile crisi del matrimonio (cfr. pag. 2 atto di citazione).
La mancanza di ulteriori elementi – anche solo circostanziali- forniti dalle parti che hanno assunto il difetto di veridicità del riconoscimento e posto che neppure sono stati indicati mezzi di prova specifici che potessero dare conferma dei - pur generici -sospetti espressi, non può che condurre, a parere del
Collegio, a una valutazione di infondatezza della domanda, poiché del tutto non provata. Né a tale carenza probatoria può sopperire la semplice richiesta di esperire una CTU genetica, difatti rigettata
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dal Giudice istruttore e ciò perché, sebbene sia vero che nei casi quali quello in esame, la consulenza si rivela spesso un strumento indispensabile per l'accertamento della verità, poiché di regola fornisce un risultato definitivamente tranquillizzante sui fatti di causa, tale mezzo non può essere utilizzato al fine di esonerare del tutto la parte dal fornire la prova di quanto assume vero e può quindi essere legittimamente negato (come avvenuto nel caso di specie) qualora la parte tenda con esso a supplire
a una completa mancanza delle proprie allegazioni o offerte di prova, ovvero a compiere una indagine esplorativa alla ricerca di elementi, fatti o circostanze di cui non era stata fornita – neppure in una ottica indiziaria – una minima allegazione.
In ogni caso, poi, il rigetto della domanda trova conforto in una ulteriore e non certo secondaria valutazione, laddove si impone al Tribunale di assicurare che l'applicazione delle norme di legge avvenga nel solco dei principi e dei valori costituzionali e che prima ancora la stessa interpretazione delle norme sia coerente con una lettura costituzionalmente orientata delle stesse.
Tale regola generale non ha certo un rilievo solo teorico o di mero principio ma anzi assume una valenza pratica significativa nel caso in esame.
Da essa difatti deriva che, quand'anche la chiesta CTU genetica non avesse avuto carattere esplorativo
e fosse dunque stata in astratto meritevole di accoglimento, non sarebbe stata comunque disposta, dovendosi considerare nel caso di specie recessivo l'accertamento della verità biologica rispetto all'interesse del figlio alla conservazione della propria identità personale, ovverosia del proprio acquisito status di figlio.
Questa conclusione trova d'altra parte sostegno nella progressiva - e tuttavia ormai consolidata - rimeditazione della prevalenza assoluta per lungo tempo accordata al cosiddetto favor veritatis, ovvero alla verità biologica, sul favor filiationis, ossia all'interesse del figlio a conservare la stabilità della propria identità familiare e sociale quand'anche si riveli non corrispondente alla verità biologica.
Più propriamente è ormai principio acquisito in seno alla giurisprudenza non solo di legittimità ma anche costituzionale quello secondo il quale il favor veritatis non costituisce più automaticamente
l'unico parametro utilizzabile, dovendosi effettuare un bilanciamento con il favor filiationis, operazione imprescindibile per stabilire se l'interesse alla corrispondenza tra status e realtà genetica possa in concreto reputarsi secondario di fronte all'interesse del figlio a conservare la propria identità personale ormai acquisita, quand'anche non corrispondente alla verità genetica.
D'altra parte, l'identità personale di ogni individuo, a ben vedere, si plasma anche e soprattutto attraverso la formazione di legami familiari, affettivi e relazionali che possono anche prescindere dai dati meramente biologici e che, specie per quanto attiene ai figli, rende non più predicabile in termini
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assoluti l'idea che alla verità biologica corrisponda automaticamente anche il miglior interesse del minore.
E non v'è dubbio sul punto che l'evoluzione non solo della giurisprudenza ma anche della stessa legislazione in materia di stato delle persone, adeguandosi in primis alle convenzioni europee e internazionali (in particolare, la CEDU, la Carta di Nizza e la Convenzione europea dei diritti del fanciullo), ha radicato nel nostro ordinamento proprio la centralità dell'interesse dei minori e la conseguente necessità di valutare, caso per caso e in concreto, quale sia il best interest dei predetti in tutte le decisioni che li riguardano, superando la tentazione di accordare qualunque automatismo al mero dato biologico ed assumendo, così, che i legami familiari meritevoli di tutela possono anche prescindere dalla verità naturale, trovando invece nutrimento e ragione in un complesso di circostanze di fatto, che l'ordinamento riconosce e garantisce.
Peraltro, di particolare rilievo anche ai fini della presente decisione la considerazione che proprio le norme che regolano la materia della contestazione dello stato di figlio siano state quelle maggiormente interessate dalla evoluzione giurisprudenziale e poi anche normativa, ispirata dai principi di cui si è detto.
Si pensi in particolare alla riforma della filiazione del 2013 che, come visto, ha inciso, tra le altre cose, proprio sull'art. 263 c.c. (norma invocata nel caso che ci occupa) limitando la imprescrittibilità della azione di impugnazione solo al figlio ed invece introducendo dei limiti temporali alla proponibilità della stessa azione in capo all'autore del riconoscimento (1 anno) ovvero a terzi che vantino un interesse (5 anni) e così assicurando già per via normativa, attraverso la fissazione di un criterio temporale, un primo bilanciamento tra verità biologica e conservazione dello status.
Non solo. A prescindere anche dal dato temporale, sempre con riferimento all'art. 263 c.c. la Corte
Costituzionale con la sentenza n. 272 del 2017 aveva poi tracciato la strada per la corretta interpretazione e applicazione della norma, dichiarando non fondata la questione di legittimità costituzionale sollevata in relazione all'art. 263 c.c. nella parte in cui non prevede che l'impugnazione del riconoscimento del figlio minore per difetto di veridicità possa essere accolta solo quando sia rispondente all'interesse dello stesso.
Con la citata sentenza, la Corte Costituzionale aveva invero tracciato la linea direttrice per una interpretazione costituzionalmente orientata della norma affermando che “non si vede conseguentemente perché, davanti all'azione di cui all'art. 263 cod. civ., fatta salva quella proposta dallo stesso figlio, il giudice non debba valutare: se l'interesse a far valere la verità di chi la solleva prevalga su quello del minore;se tale azione sia davvero idonea a realizzarlo”.
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In buona sostanza, la Consulta con la citata sentenza aveva suggerito che l'interpretazione corretta
(poiché obbediente al dettato costituzionale) dell'art. 263 c.c. possa- ed anzi debba - avere come parametro la valutazione del concreto interesse del minore all'accertamento della verità, in disparte anche a ogni ulteriore indagine sul merito del disconoscimento richiesto.
La linea dettata dalla Corte Costituzionale sull'art. 263 c.c. è stata seguita in diverse occasioni dalla giurisprudenza di legittimità che, anche di recente (cfr. Corte di Cassazione, ordinanza del
10.10.2023) ha condiviso le valutazioni operate dai giudici di merito, nella parte in cui veniva rilevato che “sebbene non sussista un legame biologo tra la minore e il ricorrente e questi abbia effettuato il riconoscimento nella piena consapevolezza di non esserne il padre, si è consolidato nel tempo l'interesse della minore a mantenere la sua identità giuridica e sociale così come definita dal riconoscimento, non veritiero, ma non di mera compiacenza, perché originariamente sorretto dalla intenzione di costituire un nucleo familiare con la madre della bambina e la bambina stessa” ed inoltre specificando che “ è irrilevante che la norma (art. 263, n.d.r.) in esame non parli espressamente di necessità di considerare l'interesse del minore, perché, come sopra specificato, ciò
è comunque imposto da altre norme anche di rango superiore a quella legislativa, e tra esse il parametro costituzionale.”
Con la detta ordinanza la Suprema Corte ha indi rigettato il ricorso proposto avverso la sentenza della
Corte d'Appello che aveva rigettato la domanda di impugnazione di riconoscimento di figlio naturale, ritenendo preminente l'interesse della minore al mantenimento del proprio status di figlia rispetto all'interesse all'accertamento della verità biologica.
E d'altra parte, nel caso di specie si impone una lettura costituzionalmente orientata dell'art. 263 c.c., operazione che costituisce non solo una facoltà ma un vero e proprio obbligo in capo al Giudice, in tutti i casi in cui la mera applicazione del dettato della norma condurrebbe ad una soluzione contrastante con i principi costituzionali.
Per quello che qui interessa, l'applicazione dell'art. 263 c.c. che non tenga conto dell'interesse del minore così come sopra delineato, determinerebbe una evidente disparità con il trattamento riservato ai figli nati in costanza di matrimonio (con evidente lesione dell'art 3 della Costituzione) .
Ed infatti, per effetto della previsione contenuta nel citato art. 263 c.c. il figlio nato fuori dal matrimonio risulterebbe maggiormente esposto alla perdita della propria identità acquisita di figlio, posto il riconoscimento della legittimazione alla proposizione dell'azione di disconoscimento in capo
a “chiunque vi abbia interesse” laddove la speculare norma contenuta nell'art. 244 c.c. prevede che oltre che alla madre, al marito ed allo stesso figlio che ha raggiunto la maggiore età “L'azione può
7 essere altresì promossa da un curatore speciale nominato dal giudice, assunte sommarie informazioni, su istanza del figlio minore che ha compiuto i quattordici anni, o del pubblico ministero
o dell'altro genitore, quando si tratta di minore di età inferiore”.
Tale disparità risulta tanto più evidente alla luce della già ricordata evoluzione normativa che ha condotto alla piena equiparazione tra lo status di figlio nato dentro e fuori il matrimonio.
Ed invero , se dunque il codice civile aveva inteso preservare la certezza dei rapporti familiari per i figli nati in costanza di matrimonio, limitando la platea dei soggetti legittimati a proporre il disconoscimento ed invece disatteso tale esigenza per i figli c.d. more uxorio ( in astratto esposti a una azione proponibile anche “da chiunque vi abbia interesse” pur con la limitazione temporale di cui si è detto) ciò avveniva in un contesto normativo generale che differenziava i relativi status, che tuttavia è oggi venuto totalmente meno, con la conseguenza che tale differenziazione appare oggi non giustificabile .
In tale ottica, è proprio la lettura costituzionalmente orientata dell'art. 263 c.c. che consente di superare il contrasto e di recuperare l'esigenza di perseguire il miglior interesse dei figli, legittimando il Giudice a operare comunque un bilanciamento tra l'interesse alla verità biologica e l'interesse del figlio a preservare la propria identità, onde verificare se le circostanze concrete giustifichino che il secondo debba considerarsi davvero sub-valente rispetto al primo.
Nel caso di specie, allora, questa operazione di bilanciamento non può che condurre a ritenere comunque prevalente l'interesse di a vedere preservato il proprio status di figlio Persona_1
e la propria identità personale, ormai da tempo radicata (avendo oggi 19 anni) e in astratto pregiudicata da una azione intrapresa a distanza di oltre tredici anni dalla nascita, senza che siano state addotte giustificazioni a sostegno di tale inerzia.
E' evidente che il decorso del tempo consolida l'identità personale di ciascun individuo ed è dunque ancor più imprescindibile, in questi casi, un accertamento rigoroso circa la rispondenza all'interesse del figlio a vedersi in concreto privato della propria identità, sino a quel momento conosciuta.
Soccorre nel caso di specie il principio elaborato dalla già citata pronuncia della Cassazione del
10.10.2023 che in un caso molto simile a quello in esame, ha concluso affermando che “ai fini dell'accoglimento dell'azione di impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità ai sensi dell'art. 263 c.c. il giudice (..)deve anche valutare e comparare gli interessi in gioco e segnatamente se non prevalga sull'interesse del richiedente l'interesse del figlio a mantenere lo status giuridico sociale acquisito e consolidato nel tempo;a tal fine acquista rilevanza il comportamento dell'autore il riconoscimento, in particolare qualora, nonostante consapevole della non veridicità, abbia
8 trascurato di agire per un lasso di tempo sufficientemente lungo a far consolidare l'identità giuridica
e sociale del soggetto che ha riconosciuto come figlio”.
Per tutto quanto precede, quindi, l'azione proposta dall'attore e dalla terza intervenuta doveva ritenersi comunque infondata anche nel merito.
Le spese di lite
Le spese di lite seguono la soccombenza e vanno pertanto integralmente poste a carico dell'attore e della terza intervenuta, sig.ra valendo le seguenti considerazioni anche con CP_4
CP_ riferimento alla condanna, richiesta dal curatore speciale Avv. , ai sensi dell'art. 96 c.p.c. comma
1, al risarcimento dei danni a favore di (nelle more del giudizio divenuto Persona_1
maggiorenne).
A parere del Collegio, la chiesta condanna ai sensi dell'art. 96 comma 1 c.p.c. deve essere rigettata poiché tale eventuale determinazione comunque richiede che la parte istante deduca e dimostri la concreta ed effettiva sussistenza di un danno in conseguenza del comportamento processuale della controparte, non essendo ipotizzabile una valutazione di automatica verificazione di un pregiudizio – in questo caso morale – quale diretto effetto della condotta processuale della controparte.
Nel caso di specie, il curatore speciale del sig. si è di fatto limitato a rilevare una Persona_1
condizione di oggettiva sofferenza psicologica del proprio assistito, derivante dalla condotta del padre ed ancor più acuita dalla scelta di quest'ultimo di proporre addirittura azione di impugnazione del riconoscimento dello stato di figlio, di fatto così assumendo una sorta di presunzione assoluta di riconducibilità di tale sofferenza alle scelte processuali del padre. Tale valutazione non può tuttavia fondare una condanna per lite temeraria ai sensi dell'art. 96 comma 1 c.p.c., prodromica quindi a una condanna risarcitoria, tanto più che in verità dagli stessi atti di causa (cfr. decreto reso dal Tribunale per i minorenni di Catania, in atti), emerge che già prima della instaurazione del presente Per_1
giudizio aveva manifestato un forte disagio psicologico, tanto che è stato affidato al Servizio Sociale
e collocato presso una comunità familiare, dove tuttora risiede.
A parere del Collegio, ricorrono invece i presupposti di condanna delle parti soccombenti per responsabilità aggravata ex art. 96, comma 3, c.p.c., la quale, a differenza di quella di cui ai primi due commi, non richiede neppure la domanda di parte né la prova del danno, esigendo solo, sul piano soggettivo, la mala fede o la colpa grave della parte soccombente, che nel caso di specie si ritiene sussistere, stante la violazione del grado minimo di diligenza che ab origine già consentiva di avvertire facilmente l'infondatezza e prima ancora (con particolare riferimento alla posizione
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dell'attore, ampiamente decaduto dai termini per la proposizione della domanda) la inammissibilità della propria domanda.
Per tali ragioni, ai sensi dell'art. 96 comma 3 c.p.c., si pone a carico delle parti soccombenti, in solido tra loro, l'obbligo di versare a favore della sig.ra e del sig. Controparte_1 Per_1
un importo che equitativamente si può determinare nella misura di complessivi euro 900,00,
[...] pari circa a 1/3 delle spese di lite, che si liquidano nell'importo specificato in dispositivo alla luce dei parametri di cui al D.M. 55 del 2014 e 147 del 2022.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL TRIBUNALE DI CALTAGIRONE
SEZIONE CIVILE
Il Tribunale, in composizione collegiale, composto dai sig.ri Magistrati: dr.ssa C G Presidente dr.ssa P C Giudice dr.ssa G F Giudice est.
Ha pronunciato la seguente
SENTENZA nella causa di primo grado iscritta al n. 455/2018 R.G. promossa da:
, nato a Caltagirone il 1.7.1977, ed ivi residente in Via Gulino n. 15, Parte_1
, difeso dall'Avv. P C;CodiceFiscale_1
attore contro
, nata a Caltagirone il 13.9.1984, c.f. , ed ivi Controparte_1 C.F._2 residente in Via Volta Sansone n. 20, rappresentata e difesa dall'avv. F D S;convenuta
e nei confronti di
AVV. , curatore speciale di , nato a Caltagirone il 26.07.2005 CP_2 Persona_1
c.f. , residente presso la Comunità di Caltagirone;C.F._3 Org_1
convenuto
Nonché con l'intervento di:
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, nata a Caltagirone il 17.10.1970, c.f. ed ivi residente CP_3 C.F._4
in via Gulino 15, anche nella qualità di genitore esercente la responsabilità genitoriale sul figlio minore nato a Caltagirone il 4.9.2010, c.f. , difesa Persona_2 C.F._5 dall'Avv. P C terzo intervenuto
E con l'intervento del Pubblico Ministero.
Interveniente necessario
Oggetto: IMPUGNAZIONE DI RICONOSCIMENTO DI FIGLIO
CONCLUSIONI DELLE PARTI
Le parti hanno rassegnato le rispettive conclusioni con note scritte depositate per l'udienza del
27.9.2023, sostituita ai sensi dell'art. 127 ter c.p.c.
La causa veniva quindi trattenuta per la decisione, previa assegnazione alle parti dei termini ex art.
190 c.p.c.
Il Pubblico Ministero concludeva chiedendo il rigetto della domanda di parte attrice.
Concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto
Con atto di citazione del 12.4.2018, ritualmente notificato, il sig. conveniva Parte_1
in giudizio la sig.ra nella qualità di genitore esercente la responsabilità Controparte_1
genitoriale sul figlio minore nato a Caltagirone il 26.7.2005 e dalla quale era Persona_1 intervenuta sentenza di divorzio in data 21.2.2014, impugnando ai sensi dell'art. 263 c.c. per difetto di veridicità il riconoscimento del predetto figlio assumendo di avere avuto il dubbio di Per_1
non esserne il padre biologico perché già successivamente al suo riconoscimento aveva sospettato che la sig.ra , con la quale si era comunque poi sposato in data 10.9.2005, intrattenesse CP_1
una relazione con altro soggetto, con il quale dopo la separazione era poi andata a convivere.
L'attore rappresentava, inoltre, di aver successivamente formato un nuovo nucleo familiare con la attuale moglie, sig.ra , dalla cui unione è nato il figlio , il 4.9.2010. CP_3 Persona_2
In via istruttoria chiedeva che venisse disposto il test comparativo del DNA (analisi dei polimorfismi) volto all'accertamento del rapporto di filiazione biologica.
In data 27.6.2018 si costituiva in giudizio la sig.ra la quale in via del tutto Controparte_1 preliminare eccepiva la inammissibilità della azione proposta dall'attore, essendo ormai spirato il termine annuale per la proposizione della domanda, ai sensi dell'art. 263 c.c.
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Domandava comunque il rigetto nel merito attesa la evidente pretestuosità della azione (peraltro incardinata dopo oltre dieci anni dai pretesi dubbi sulla paternità) nonché comunque la genericità della stessa.
In data 17.1.2019 interveniva volontariamente in giudizio la sig.ra attuale CP_4 moglie dell'attore, vantando di essere portatrice sia di un interesse personale di valenza morale e patrimoniale in qualità di coniuge del sig. , sia di un interesse patrimoniale in qualità di Parte_1
genitore del figlio minore il quale è portatore di un interesse immediato e diretto Persona_2
a non vedere pregiudicata la propria posizione successoria nei confronti del padre . Parte_1
La sig.ra pertanto, aderiva alla proposta impugnazione del riconoscimento del minore CP_4 avanzata dall'attore, facendo proprie le deduzioni proposte. Persona_1
Instaurato il giudizio, con ordinanza del 24.07.2018, il Giudice istruttore sollecitava la nomina di un curatore speciale del minore ai sensi dell'art 321 c.c., che veniva poi individuato nella persona dell'Avv. P P, la quale quindi si costituiva nel presente giudizio con comparsa di costituzione del 10.10.2022, chiedendo il rigetto della domanda avanzata dall'attore poiché prescritta
e comunque infondata nel merito quella avanzata anche dalla terza intervenuta.
Con successiva ordinanza del 7.6.2023 il Giudice istruttore rigettava la richiesta di CTU genetica, ritenendola esplorativa e rinviava la causa per la precisazione delle conclusioni.
Le parti quindi precisavano le rispettive conclusioni alla udienza del 27.9.2023 e la causa veniva trattenuta per la decisione, previa assegnazione dei termini ex art. 190 c.p.c.
§
La domanda proposta dall'attore è manifestamente inammissibile in quanto Parte_1
tardivamente proposta oltre il termine annuale ex lege fissato, ai sensi dell'art. 263 c.c.
Infatti, il legislatore dopo la modifica apportata dal D.lgs. 154/2013, ha espressamente previsto che il termine per esperire la impugnazione del riconoscimento del figlio da parte dell'autore del riconoscimento è di un anno, mentre per chiunque abbia interesse è di cinque anni. L'art. 104 comma
10 del D.lgs. n. 154/2013, in tema di disposizioni transitorie, ha previsto che “… nel caso di riconoscimento di figlio annotato sull'atto di nascita prima dell'entrata in vigore del presente decreto legislativo, i termini per proporre l'azione di impugnazione, previsti dall'art. 263 e dai commi secondo, terzo e quarto dell'art. 267 del codice civile, decorrono dal giorno dell'entrata in vigore del medesimo decreto legislativo”.
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Orbene, Il D.lgs. 154/2013, modificativo dell'azione ex art. 263 c.c. è entrato in vigore in data
07.02.2014, dal chè consegue che per l'autore del riconoscimento il termine per esperire l'azione ex art. 263 era spirato il 07.02.2015, mentre per tutti coloro i quali vantino comunque un interesse all'azione il termine ultimo cadeva in data 07.02.2019.
E' dunque di palmare evidenza che, per quanto specificamente attiene alla azione proposta dall'odierno attore (ossia appunto l'autore del riconoscimento), il quale ha incardinato il giudizio in data 12.4.2018, la domanda deve essere dichiarata inammissibile poiché proposta oltre il termine fissato per legge.
Tale argomentazione già di per sé sarebbe sufficiente a sostenere il rigetto quantomeno della domanda proposta dal sig. che deve comunque ritenersi infondata anche nel merito, valutazione Per_2
che assume rilievo anche per quanto attiene alla diversa posizione della terza intervenuta sig.ra la cui domanda risulta invece di per sé tempestiva (poiché ancora non scaduto il più CP_4 ampio termine di 5 anni fissato dall'art.263 c.c.) ma in ogni caso, per le medesime ragioni di cui appresso si dirà, comunque infondata nel merito.
A sostegno della presente decisione, si deve infatti evidenziare, in primo luogo, la assoluta genericità delle circostanze esposte dall'attore ( e dunque anche dal terzo intervenuto in adesione) a sostegno del preteso difetto di veridicità del riconoscimento del figlio fondato a ben vedere sulla Per_1
base di labiali sospetti sulla identità del padre naturale, assumendo che quest'ultimo fosse un terzo soggetto (neppure identificato) con il quale la sig.ra avrebbe in realtà avuto una CP_1
relazione prima ancora del matrimonio con il sig. . Per_2
Nessun altro dato specifico e circostanziato è stato fornito dall'attore – né dalla terza intervenuta – a sostegno di tale asserzione, dovendosi peraltro sottolineare la singolare circostanza del lungo lasso temporale intercorso tra la nascita del figlio (luglio del 2005) e la decisione di incardinare il presente giudizio, a distanza di oltre dieci anni e nonostante, a dire dello stesso sig. , quest'ultimo Per_2
avesse sempre nutrito dubbi sul fatto che fosse in realtà stato concepito dalla sig.ra Per_1
con un altro uomo, tanto che tale relazione era sempre stata fonte di litigi tra i due CP_1
coniugi, poi sfociati nella irreversibile crisi del matrimonio (cfr. pag. 2 atto di citazione).
La mancanza di ulteriori elementi – anche solo circostanziali- forniti dalle parti che hanno assunto il difetto di veridicità del riconoscimento e posto che neppure sono stati indicati mezzi di prova specifici che potessero dare conferma dei - pur generici -sospetti espressi, non può che condurre, a parere del
Collegio, a una valutazione di infondatezza della domanda, poiché del tutto non provata. Né a tale carenza probatoria può sopperire la semplice richiesta di esperire una CTU genetica, difatti rigettata
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dal Giudice istruttore e ciò perché, sebbene sia vero che nei casi quali quello in esame, la consulenza si rivela spesso un strumento indispensabile per l'accertamento della verità, poiché di regola fornisce un risultato definitivamente tranquillizzante sui fatti di causa, tale mezzo non può essere utilizzato al fine di esonerare del tutto la parte dal fornire la prova di quanto assume vero e può quindi essere legittimamente negato (come avvenuto nel caso di specie) qualora la parte tenda con esso a supplire
a una completa mancanza delle proprie allegazioni o offerte di prova, ovvero a compiere una indagine esplorativa alla ricerca di elementi, fatti o circostanze di cui non era stata fornita – neppure in una ottica indiziaria – una minima allegazione.
In ogni caso, poi, il rigetto della domanda trova conforto in una ulteriore e non certo secondaria valutazione, laddove si impone al Tribunale di assicurare che l'applicazione delle norme di legge avvenga nel solco dei principi e dei valori costituzionali e che prima ancora la stessa interpretazione delle norme sia coerente con una lettura costituzionalmente orientata delle stesse.
Tale regola generale non ha certo un rilievo solo teorico o di mero principio ma anzi assume una valenza pratica significativa nel caso in esame.
Da essa difatti deriva che, quand'anche la chiesta CTU genetica non avesse avuto carattere esplorativo
e fosse dunque stata in astratto meritevole di accoglimento, non sarebbe stata comunque disposta, dovendosi considerare nel caso di specie recessivo l'accertamento della verità biologica rispetto all'interesse del figlio alla conservazione della propria identità personale, ovverosia del proprio acquisito status di figlio.
Questa conclusione trova d'altra parte sostegno nella progressiva - e tuttavia ormai consolidata - rimeditazione della prevalenza assoluta per lungo tempo accordata al cosiddetto favor veritatis, ovvero alla verità biologica, sul favor filiationis, ossia all'interesse del figlio a conservare la stabilità della propria identità familiare e sociale quand'anche si riveli non corrispondente alla verità biologica.
Più propriamente è ormai principio acquisito in seno alla giurisprudenza non solo di legittimità ma anche costituzionale quello secondo il quale il favor veritatis non costituisce più automaticamente
l'unico parametro utilizzabile, dovendosi effettuare un bilanciamento con il favor filiationis, operazione imprescindibile per stabilire se l'interesse alla corrispondenza tra status e realtà genetica possa in concreto reputarsi secondario di fronte all'interesse del figlio a conservare la propria identità personale ormai acquisita, quand'anche non corrispondente alla verità genetica.
D'altra parte, l'identità personale di ogni individuo, a ben vedere, si plasma anche e soprattutto attraverso la formazione di legami familiari, affettivi e relazionali che possono anche prescindere dai dati meramente biologici e che, specie per quanto attiene ai figli, rende non più predicabile in termini
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assoluti l'idea che alla verità biologica corrisponda automaticamente anche il miglior interesse del minore.
E non v'è dubbio sul punto che l'evoluzione non solo della giurisprudenza ma anche della stessa legislazione in materia di stato delle persone, adeguandosi in primis alle convenzioni europee e internazionali (in particolare, la CEDU, la Carta di Nizza e la Convenzione europea dei diritti del fanciullo), ha radicato nel nostro ordinamento proprio la centralità dell'interesse dei minori e la conseguente necessità di valutare, caso per caso e in concreto, quale sia il best interest dei predetti in tutte le decisioni che li riguardano, superando la tentazione di accordare qualunque automatismo al mero dato biologico ed assumendo, così, che i legami familiari meritevoli di tutela possono anche prescindere dalla verità naturale, trovando invece nutrimento e ragione in un complesso di circostanze di fatto, che l'ordinamento riconosce e garantisce.
Peraltro, di particolare rilievo anche ai fini della presente decisione la considerazione che proprio le norme che regolano la materia della contestazione dello stato di figlio siano state quelle maggiormente interessate dalla evoluzione giurisprudenziale e poi anche normativa, ispirata dai principi di cui si è detto.
Si pensi in particolare alla riforma della filiazione del 2013 che, come visto, ha inciso, tra le altre cose, proprio sull'art. 263 c.c. (norma invocata nel caso che ci occupa) limitando la imprescrittibilità della azione di impugnazione solo al figlio ed invece introducendo dei limiti temporali alla proponibilità della stessa azione in capo all'autore del riconoscimento (1 anno) ovvero a terzi che vantino un interesse (5 anni) e così assicurando già per via normativa, attraverso la fissazione di un criterio temporale, un primo bilanciamento tra verità biologica e conservazione dello status.
Non solo. A prescindere anche dal dato temporale, sempre con riferimento all'art. 263 c.c. la Corte
Costituzionale con la sentenza n. 272 del 2017 aveva poi tracciato la strada per la corretta interpretazione e applicazione della norma, dichiarando non fondata la questione di legittimità costituzionale sollevata in relazione all'art. 263 c.c. nella parte in cui non prevede che l'impugnazione del riconoscimento del figlio minore per difetto di veridicità possa essere accolta solo quando sia rispondente all'interesse dello stesso.
Con la citata sentenza, la Corte Costituzionale aveva invero tracciato la linea direttrice per una interpretazione costituzionalmente orientata della norma affermando che “non si vede conseguentemente perché, davanti all'azione di cui all'art. 263 cod. civ., fatta salva quella proposta dallo stesso figlio, il giudice non debba valutare: se l'interesse a far valere la verità di chi la solleva prevalga su quello del minore;se tale azione sia davvero idonea a realizzarlo”.
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In buona sostanza, la Consulta con la citata sentenza aveva suggerito che l'interpretazione corretta
(poiché obbediente al dettato costituzionale) dell'art. 263 c.c. possa- ed anzi debba - avere come parametro la valutazione del concreto interesse del minore all'accertamento della verità, in disparte anche a ogni ulteriore indagine sul merito del disconoscimento richiesto.
La linea dettata dalla Corte Costituzionale sull'art. 263 c.c. è stata seguita in diverse occasioni dalla giurisprudenza di legittimità che, anche di recente (cfr. Corte di Cassazione, ordinanza del
10.10.2023) ha condiviso le valutazioni operate dai giudici di merito, nella parte in cui veniva rilevato che “sebbene non sussista un legame biologo tra la minore e il ricorrente e questi abbia effettuato il riconoscimento nella piena consapevolezza di non esserne il padre, si è consolidato nel tempo l'interesse della minore a mantenere la sua identità giuridica e sociale così come definita dal riconoscimento, non veritiero, ma non di mera compiacenza, perché originariamente sorretto dalla intenzione di costituire un nucleo familiare con la madre della bambina e la bambina stessa” ed inoltre specificando che “ è irrilevante che la norma (art. 263, n.d.r.) in esame non parli espressamente di necessità di considerare l'interesse del minore, perché, come sopra specificato, ciò
è comunque imposto da altre norme anche di rango superiore a quella legislativa, e tra esse il parametro costituzionale.”
Con la detta ordinanza la Suprema Corte ha indi rigettato il ricorso proposto avverso la sentenza della
Corte d'Appello che aveva rigettato la domanda di impugnazione di riconoscimento di figlio naturale, ritenendo preminente l'interesse della minore al mantenimento del proprio status di figlia rispetto all'interesse all'accertamento della verità biologica.
E d'altra parte, nel caso di specie si impone una lettura costituzionalmente orientata dell'art. 263 c.c., operazione che costituisce non solo una facoltà ma un vero e proprio obbligo in capo al Giudice, in tutti i casi in cui la mera applicazione del dettato della norma condurrebbe ad una soluzione contrastante con i principi costituzionali.
Per quello che qui interessa, l'applicazione dell'art. 263 c.c. che non tenga conto dell'interesse del minore così come sopra delineato, determinerebbe una evidente disparità con il trattamento riservato ai figli nati in costanza di matrimonio (con evidente lesione dell'art 3 della Costituzione) .
Ed infatti, per effetto della previsione contenuta nel citato art. 263 c.c. il figlio nato fuori dal matrimonio risulterebbe maggiormente esposto alla perdita della propria identità acquisita di figlio, posto il riconoscimento della legittimazione alla proposizione dell'azione di disconoscimento in capo
a “chiunque vi abbia interesse” laddove la speculare norma contenuta nell'art. 244 c.c. prevede che oltre che alla madre, al marito ed allo stesso figlio che ha raggiunto la maggiore età “L'azione può
7 essere altresì promossa da un curatore speciale nominato dal giudice, assunte sommarie informazioni, su istanza del figlio minore che ha compiuto i quattordici anni, o del pubblico ministero
o dell'altro genitore, quando si tratta di minore di età inferiore”.
Tale disparità risulta tanto più evidente alla luce della già ricordata evoluzione normativa che ha condotto alla piena equiparazione tra lo status di figlio nato dentro e fuori il matrimonio.
Ed invero , se dunque il codice civile aveva inteso preservare la certezza dei rapporti familiari per i figli nati in costanza di matrimonio, limitando la platea dei soggetti legittimati a proporre il disconoscimento ed invece disatteso tale esigenza per i figli c.d. more uxorio ( in astratto esposti a una azione proponibile anche “da chiunque vi abbia interesse” pur con la limitazione temporale di cui si è detto) ciò avveniva in un contesto normativo generale che differenziava i relativi status, che tuttavia è oggi venuto totalmente meno, con la conseguenza che tale differenziazione appare oggi non giustificabile .
In tale ottica, è proprio la lettura costituzionalmente orientata dell'art. 263 c.c. che consente di superare il contrasto e di recuperare l'esigenza di perseguire il miglior interesse dei figli, legittimando il Giudice a operare comunque un bilanciamento tra l'interesse alla verità biologica e l'interesse del figlio a preservare la propria identità, onde verificare se le circostanze concrete giustifichino che il secondo debba considerarsi davvero sub-valente rispetto al primo.
Nel caso di specie, allora, questa operazione di bilanciamento non può che condurre a ritenere comunque prevalente l'interesse di a vedere preservato il proprio status di figlio Persona_1
e la propria identità personale, ormai da tempo radicata (avendo oggi 19 anni) e in astratto pregiudicata da una azione intrapresa a distanza di oltre tredici anni dalla nascita, senza che siano state addotte giustificazioni a sostegno di tale inerzia.
E' evidente che il decorso del tempo consolida l'identità personale di ciascun individuo ed è dunque ancor più imprescindibile, in questi casi, un accertamento rigoroso circa la rispondenza all'interesse del figlio a vedersi in concreto privato della propria identità, sino a quel momento conosciuta.
Soccorre nel caso di specie il principio elaborato dalla già citata pronuncia della Cassazione del
10.10.2023 che in un caso molto simile a quello in esame, ha concluso affermando che “ai fini dell'accoglimento dell'azione di impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità ai sensi dell'art. 263 c.c. il giudice (..)deve anche valutare e comparare gli interessi in gioco e segnatamente se non prevalga sull'interesse del richiedente l'interesse del figlio a mantenere lo status giuridico sociale acquisito e consolidato nel tempo;a tal fine acquista rilevanza il comportamento dell'autore il riconoscimento, in particolare qualora, nonostante consapevole della non veridicità, abbia
8 trascurato di agire per un lasso di tempo sufficientemente lungo a far consolidare l'identità giuridica
e sociale del soggetto che ha riconosciuto come figlio”.
Per tutto quanto precede, quindi, l'azione proposta dall'attore e dalla terza intervenuta doveva ritenersi comunque infondata anche nel merito.
Le spese di lite
Le spese di lite seguono la soccombenza e vanno pertanto integralmente poste a carico dell'attore e della terza intervenuta, sig.ra valendo le seguenti considerazioni anche con CP_4
CP_ riferimento alla condanna, richiesta dal curatore speciale Avv. , ai sensi dell'art. 96 c.p.c. comma
1, al risarcimento dei danni a favore di (nelle more del giudizio divenuto Persona_1
maggiorenne).
A parere del Collegio, la chiesta condanna ai sensi dell'art. 96 comma 1 c.p.c. deve essere rigettata poiché tale eventuale determinazione comunque richiede che la parte istante deduca e dimostri la concreta ed effettiva sussistenza di un danno in conseguenza del comportamento processuale della controparte, non essendo ipotizzabile una valutazione di automatica verificazione di un pregiudizio – in questo caso morale – quale diretto effetto della condotta processuale della controparte.
Nel caso di specie, il curatore speciale del sig. si è di fatto limitato a rilevare una Persona_1
condizione di oggettiva sofferenza psicologica del proprio assistito, derivante dalla condotta del padre ed ancor più acuita dalla scelta di quest'ultimo di proporre addirittura azione di impugnazione del riconoscimento dello stato di figlio, di fatto così assumendo una sorta di presunzione assoluta di riconducibilità di tale sofferenza alle scelte processuali del padre. Tale valutazione non può tuttavia fondare una condanna per lite temeraria ai sensi dell'art. 96 comma 1 c.p.c., prodromica quindi a una condanna risarcitoria, tanto più che in verità dagli stessi atti di causa (cfr. decreto reso dal Tribunale per i minorenni di Catania, in atti), emerge che già prima della instaurazione del presente Per_1
giudizio aveva manifestato un forte disagio psicologico, tanto che è stato affidato al Servizio Sociale
e collocato presso una comunità familiare, dove tuttora risiede.
A parere del Collegio, ricorrono invece i presupposti di condanna delle parti soccombenti per responsabilità aggravata ex art. 96, comma 3, c.p.c., la quale, a differenza di quella di cui ai primi due commi, non richiede neppure la domanda di parte né la prova del danno, esigendo solo, sul piano soggettivo, la mala fede o la colpa grave della parte soccombente, che nel caso di specie si ritiene sussistere, stante la violazione del grado minimo di diligenza che ab origine già consentiva di avvertire facilmente l'infondatezza e prima ancora (con particolare riferimento alla posizione
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dell'attore, ampiamente decaduto dai termini per la proposizione della domanda) la inammissibilità della propria domanda.
Per tali ragioni, ai sensi dell'art. 96 comma 3 c.p.c., si pone a carico delle parti soccombenti, in solido tra loro, l'obbligo di versare a favore della sig.ra e del sig. Controparte_1 Per_1
un importo che equitativamente si può determinare nella misura di complessivi euro 900,00,
[...] pari circa a 1/3 delle spese di lite, che si liquidano nell'importo specificato in dispositivo alla luce dei parametri di cui al D.M. 55 del 2014 e 147 del 2022.
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