Trib. Salerno, sentenza 28/05/2024, n. 1164

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Sul provvedimento

Citazione :
Trib. Salerno, sentenza 28/05/2024, n. 1164
Giurisdizione : Trib. Salerno
Numero : 1164
Data del deposito : 28 maggio 2024

Testo completo


TRIBUNALE DI SALERNO
SEZIONE LAVORO
Il Giudice del lavoro, dott. ssa Francesca D'Antonio, letto il ricorso ex art. 28 d.lgs. 150/2011, iscritto al N. 1196/2024 R.G. sez. Lavoro, proposto da
IA FF, difesa dagli avv. ti Marco Mocella, Daniela Mocella e Marilena Martuscelli;

RICORRENTE
CONTRO
BUSITALIA CAMPANIA S.P.A., difesa dall'avv. FA De Luca Tamajo;

RESISTENTE sciogliendo la riserva formulata all'udienza del 22.5.2024
OSSERVA
Con ricorso ex art. 28 d.lgs n. 150/2011 depositato in data 27.2.2024, la ricorrente in epigrafe, premesso di essere dipendente dell'azienda Busitalia s.p.a. con mansioni di autista, di essere coniugata con
FA ZA anch'egli dipendente della azienda convenuta con mansioni di autista e di avere con questi una figlia minore legalmente adottata, ha censurato i comportamenti aziendali consistiti nell'aver concesso solo ad essa ricorrente il cambio di turno senza limiti e nell'aver non consentito una programmazione sfalsata dei propri turni rispetto a quelli del marito, deducendo pertanto la attuata discriminazione per genere e in violazione delle pari opportunità.
Ha quindi rassegnato le seguenti conclusioni: “1) Dichiarare discriminatorio il comportamento dell'Azienda consistente nell'organizzare i propri turni senza evitare che quelli dei coniugi con figli minori, tra cui la ricorrente, si sovrappongano e, solo qualora ciò non fosse possibile, consentire senza limiti il cambio con altri colleghi dei propri turni di servizio. 2) Conseguentemente ordinare all'azienda convenuta di cessare tale condotta e rimuovere gli effetti della stessa;
3)

Condannare l'azienda al risarcimento del danno al risarcimento del danno anche non patrimoniale quantificato equitativamente in euro 20.000,00”.
Regolarmente instaurato il contraddittorio, si è costituita la convenuta Busitalia s.p.a. che ha negato, con articolate argomentazioni, la sussistenza di qualsivoglia comportamento discriminatorio posto direttamente o indirettamente in essere nei confronti della ricorrente e ha chiesto pertanto il rigetto del ricorso anche per difetto in capo alla ricorrente della titolarità soggettiva del diritto vantato.
All'udienza del 22.5.2024, espletato il libero interrogatorio delle parti, il Giudice riservava la decisione.
Pare anzitutto opportuno richiamare la disciplina la cui applicabilità è invocata in questa sede dalla parte attrice.
L'art. 28 d.lgs. 150/2011 (Delle controversie in materia di discriminazione) è una norma processuale che disciplina il rito applicabile per le controversie aventi ad oggetto la materia della discriminazione, nelle forme richiamate dalle norme sostanziali cui l'art. 28 fa espresso richiamo.
Recita la disposizione citata: «1. Le controversie in materia di discriminazione di cui all'articolo 44 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, quelle di cui all'articolo 4 del decreto legislativo 9 luglio 2003,
n. 215
, quelle di cui all'articolo 4 del decreto legislativo 9 luglio 2003, n. 216, quelle di cui all'articolo 3 della legge 1° marzo 2006, n. 67, e quelle di cui all'articolo 55-quinquies del decreto legislativo 11 aprile
2006, n. 198
, sono regolate dal rito sommario di cognizione, ove non diversamente disposto dal presente articolo. (…) 4. Quando il ricorrente fornisce elementi di fatto, desunti anche da dati di carattere statistico, dai quali si può presumere l'esistenza di atti, patti o comportamenti discriminatori, spetta al convenuto l'onere di provare l'insussistenza della discriminazione. I dati di carattere statistico possono essere relativi anche alle assunzioni, ai regimi contributivi, all'assegnazione delle mansioni e qualifiche, ai trasferimenti, alla progressione in carriera e ai licenziamenti dell'azienda interessata.

5. Con
l'ordinanza che definisce il giudizio il giudice può condannare il convenuto al risarcimento del danno anche non patrimoniale e ordinare la cessazione del comportamento, della condotta o dell'atto discriminatorio pregiudizievole, adottando, anche nei confronti della pubblica amministrazione, ogni altro provvedimento idoneo a rimuoverne gli effetti. Al fine di impedire la ripetizione della discriminazione, il giudice può ordinare di adottare, entro il termine fissato nel provvedimento, un piano di rimozione delle discriminazioni accertate. Nei casi di comportamento discriminatorio di carattere collettivo, il piano è adottato sentito l'ente collettivo ricorrente.

6. Ai fini della liquidazione del danno, il giudice tiene conto del fatto che l'atto o il comportamento discriminatorio costituiscono ritorsione ad una precedente azione giudiziale ovvero ingiusta reazione ad una precedente attività del soggetto leso volta ad ottenere il rispetto del principio della parità di trattamento.

7. Quando accoglie la domanda proposta, il giudice può ordinare la pubblicazione del provvedimento, per una sola volta e a spese del convenuto, su un quotidiano di tiratura nazionale. Dell'ordinanza è data comunicazione nei casi previsti dall'articolo 44, comma 11, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, dall'articolo 4, comma 1, del decreto legislativo 9 luglio 2003, n. 215, dall'articolo 4, comma 2, del decreto legislativo 9 luglio 2003, n. 216, e dall'articolo 55-quinquies, comma 8, del decreto legislativo 11 aprile 2006, n. 198».
Dovendosi nella specie anzitutto verificare se la fattispecie sottoposta al sindacato del giudice rientri nell'ambito di applicabilità della norma processuale sopra richiamata e, conseguentemente, se astrattamente considerata la condotta denunciata rientri nell'ambito di tutela della normativa sostanziale
ivi richiamata, deve pertanto procedersi all'analisi dei diversi testi legislativi richiamati al comma 1 dell'art. 28.
Si riporta quindi anzitutto il testo dell'articolo 44 del citato decreto legislativo n. 286 del 1998 (Azione civile contro la discriminazione) che così dispone:
«1. Quando il comportamento di un privato o della pubblica amministrazione produce una discriminazione per motivi razziali, etnici, linguistici, nazionali, di provenienza geografica o religiosi, è possibile ricorrere all'autorità giudiziaria ordinaria per domandare la cessazione del comportamento pregiudizievole e la rimozione degli effetti della discriminazione (…)
11. Ogni accertamento di atti o comportamenti discriminatori ai sensi dell'articolo 43 posti in essere da imprese alle quali siano stati accordati benefici ai sensi delle leggi vigenti dello Stato o delle regioni, ovvero che abbiano stipulato contratti di appalto attinenti all'esecuzione di opere pubbliche, di servizi o di forniture, è immediatamente comunicato dal Pretore, secondo le modalità previste dal regolamento di attuazione, alle amministrazioni pubbliche o enti pubblici che abbiano disposto la concessione del beneficio, incluse le agevolazioni finanziarie o creditizie, o dell'appalto. Tali amministrazioni, o enti revocano il beneficio e, nei casi più gravi, dispongono l'esclusione del responsabile per due anni da qualsiasi ulteriore concessione di agevolazioni finanziarie o creditizie, ovvero da qualsiasi appalto».
L'art. 43 d.lgs. 286/1998, a sua volta, recita: «Ai fini del presente capo, costituisce discriminazione ogni comportamento che, direttamente o indirettamente, comporti una distinzione, esclusione, restrizione o preferenza basata sulla razza, il colore, l'ascendenza o l'origine nazionale o etnica, le convinzioni e le pratiche religiose, e che abbia lo scopo o l'effetto di distruggere o di compromettere il riconoscimento, il godimento o l'esercizio, in condizioni di parità, dei diritti umani e delle libertà fondamentali in campo politico economico, sociale e culturale e in ogni altro settore della vita pubblica».
La seconda disposizione richiamata dall'art. 28 è l'articolo 4 del decreto legislativo 9 luglio 2003, n. 215
(Attuazione della direttiva 2000/43/CE per la parità di trattamento tra le persone indipendentemente dalla razza e dall'origine etnica), che così testualmente dispone:
Art. 4 (Tutela giurisdizionale dei diritti).
«1. I giudizi civili avverso gli atti e i comportamenti di cui
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