Trib. Pesaro, sentenza 18/06/2024, n. 530
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Testo completo
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE DI PESARO
Il Tribunale di Pesaro, nella persona del giudice unico, dott.ssa M R
P, ha pronunciato la seguente
SENTENZA nella causa civile iscritta al numero di ruolo generale 659/2023, avente ad oggetto: “Ricorso avverso provvedimento prefettizio di espulsione, ai sensi dell'art. 18 D. Lgs. 150/2011” promossa da
nato in Albania il 5.5.1986, c.f. Parte_1 C.F._1 residente a Colli al Metauro (PU) in Via Cagliari n. 6, rappresentato e difeso dall'Avv. M M del Foro di Pesaro, c.f. con studio C.F._2 in Pesaro in Via Manzoni n. 57, giusta procura rilasciata su foglio separato in calce al ricorso;
PARTE RICORRENTE nei confronti di
Controparte_1
, in persona del Prefetto pro tempore, con sede in Pesaro, Piazza del
[...]
Popolo n. 40, c.f. , giusta procura rilasciata su foglio separato in P.IVA_1 calce alla comparsa di costituzione e risposta;
PARTE RESISTENTE
CONCLUSIONI
Per parte ricorrente
“Voglia l'Onorevole Tribunale di Pesaro, respinte le contrarie istanze ed eccezioni ed in accoglimento di uno dei due motivi presentati, così decidere: -nel merito, dichiarare la illegittimità del prefato provvedimento e di tutti quelli presupposti, connessi e consequenziali, per le ragioni di fatto e di diritto esposti in narrativa e, per l'effetto, annullarli;- Disporre la trasmissione degli atti al Questore per il rilascio di un permesso di soggiorno per protezione speciale ai pagina 1 di 15 sensi dell'art. 19, comma 1.1, D.Lgs.286/1998;- in subordine, nella denegata ipotesi di conferma dell'espulsione, ridurre il termine del divieto di reingresso ad anni tre;in ogni caso, condannare la parte resistente al pagamento delle spese, diritti e onorari di lite, oltre CAP e IVA e spese generali”.
Per parte resistente
“Piaccia a Codesto Ill.mo Tribunale RESPINGERE il ricorso proposto da Pt_1
con vittoria di spese di giudizio, in ragione della pretestuosità e della
[...] stenza dell'azione esercitata”.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con ricorso ai sensi dell'art. 18 D.Lgs. 150/2011, nato in Albania e Parte_1 residente a Colli al Metauro (PU), ha proposto op verso il decreto di espulsione del Prefetto della Provincia di Pesaro-Urbino n. prot. All/005/2023 E del 16.3.2023, formulando in via preliminare istanza di sospensione dell'efficacia del provvedimento impugnato. In pendenza di causa, ha presentato, altresì, ricorso ex art. 700 c.p.c. Parte_1 depositato in data 21 iedendo al Tribunale di Pesaro, inaudita altera parte, la sospensione dell'esecutività e/o dell'esecuzione del provvedimento impugnato, ritenendo sussistenti i presupposti del fumus e del periculum, sulla base del fatto che l'accertamento giudiziale avrebbe superato i tempi di esecuzione immediata del provvedimento di espulsione, con conseguente lesione del diritto alla difesa. Nel merito, ha chiesto l'annullamento con efficacia immediata del provvedimento di espulsione emesso il 16.3.2023 e del conseguente ordine di allontanamento. Rigettata, con decreto del 21.3.2023, l'istanza inaudita altera parte e fissata l'udienza di comparizione delle parti, si è costituita la Controparte_1
, eccependo l'inammissibilità della domanda cautel
[...]
del ricorso. All'udienza del 19.4.2023 la difesa di parte ricorrente ha rinunciato al ricorso ex art. 700 c.p.c., essendo stato eseguito il provvedimento di accompagnamento, chiedendo un termine per replicare alla costituzione di parte resistente. Dopo alcuni rinvii disposti su istanza di parte ricorrente in attesa dell'esito del procedimento promosso dinanzi al Tribunale dei Minorenni di Ancona ai fini del rilascio della speciale autorizzazione di cui all'art. 31, comma 3, D.Lgs. 286/1998 e dopo la richiesta e l'acquisizione di chiarimenti sulla circostanza della cumulabilità o meno della durata dell'espulsione stabilita dal decreto oggetto del presente giudizio rispetto al provvedimento giudiziale, già passato in giudicato, reso nel procedimento di opposizione ad un precedente decreto di espulsione, all'udienza del 12.6.2024 la causa è stata discussa oralmente dai difensori e, quindi, trattenuta in decisione ai sensi dell'art. 281-sexies, ultimo comma, c.p.c.
I motivi di ricorso
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ha impugnato il provvedimento n. Prot. All/005/2023 E del 16.3.2023, Parte_1
pari data, con cui il Prefetto di ha decretato la sua Controparte_1 espulsione dal territorio nazionale, ai sensi d 5-ter TUI. Il provvedimento è stato eseguito dal Questore della Provincia di Pesaro-Urbino, che con atto Prot. All/005/2023 MA del 17.3.2023, notificato in pari data, ha disposto l'accompagnamento del ricorrente alla frontiera a mezzo della forza pubblica. Il ricorrente ha premesso in fatto:
-di essere un cittadino albanese e di aver fatto ingresso in Italia nell'anno 2001, quando aveva quindici anni, mantenendo da allora la residenza in Italia, unitamente alla sua famiglia d'origine allontanatasi dall'Albania (genitori, fratelli e sorelle);
-di essere coniugato;
-che a Fano sono nate le sue due bambine, nel 2010 e nel 2014;Per_1 Per_2
-che la sua famiglia vive nel Comune di Coll tauro (PU) ppartamento di proprietà acquistato con la erogazione di un mutuo che sta pagando con i redditi del suo lavoro, in quanto operaio con contratto a tempo indeterminato della ditta
“La Rete di Fabbrini s.r.l.” con sede in Via del Progresso s.n.c. a Colli al Metauro (PU);
-che con lui abitano anche i genitori ed in particolare il padre di cittadinanza italiana;
-che in data 26.7.2019 aveva richiesto la conversione del permesso di soggiorno da motivi familiari (che aveva ormai da dieci anni) a motivi di lavoro, ma il Questore di Pesaro-Urbino l'aveva rigettata con decreto dell'8.4.2020, ritenendolo una persona pericolosa per la sicurezza pubblica, rientrante nelle condizioni ostative al rilascio di un permesso di soggiorno;
-che tale istanza era stata rigettata sul presupposto, in particolare, che in data 28.2.2020 era stato tratto in arresto in flagranza di reato per il possesso di stupefacenti al fine di spaccio ai sensi dell'art. 73 comma 1 D.P.R. 309/90;
-che il Prefetto di Pesaro-Urbino con decreto n. A11/008/2021 E del 10.2.2021 ne aveva decretato l'espulsione con immediato accompagnamento alla frontiera, convalidato dal Giudice di Pace di Pesaro;Contr
-che, successivamente, era stato autorizzato a rientrare ex art. 17 per partecipare all'udienza di discussione fissata per il 7.3.2023 avanti al Tri e di Pesaro nel processo a suo carico (procedimento penale n. 570/2020 rgnr e 61/2021 rg dib.) a seguito dell'arresto per il reato di detenzione al fine di spaccio di sostanze stupefacenti, che aveva determinato la sua espulsione nel 2021;
-che tale autorizzazione (concessa per tre giorni a decorrere dal 6.3.2023) gli aveva consentito di rientrare in Italia;
-che in data 8.3.2023 aveva presentato alla Questura di Pesaro istanza di rilascio di permesso di soggiorno per motivi familiari ex art. 19 comma 2 lettera c) TUI, ma l'Ufficio Immigrazione non aveva voluto ricevere la domanda, non avendo la Questura fissato alcun appuntamento;
-che, stante la sua irregolarità sul territorio, in data 15.3.2023 era stato tratto in arresto ai sensi dell'art. 13 comma 13 TUI per non aver rispettato l'originario ordine del Prefetto di rientro nel territorio italiano, essendosi volontariamente
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trattenuto in Italia per stare con i propri familiari, alcuni dei quali, come detto, cittadini italiani;
-che in data 16.3.2023 il Tribunale penale di Pesaro in composizione monocratica non aveva convalidato l'arresto;
-che, a quel punto, l'ufficio immigrazione della Questura di Pesaro lo aveva trattenuto, rinviando gli atti al Prefetto di Pesaro-Urbino, che ne ha disposto una nuova espulsione ai sensi dell'art. 14 comma 5 ter TUI, oggetto della impugnativa in esame. Con il primo motivo di ricorso, il ricorrente ha eccepito l'illegittimità del decreto di espulsione per violazione dell'art. 19 co. lettera C del D.Lgs. 286/98, in quanto l'espulsione non poteva essere disposta né eseguita, sussistendo una causa di inespellibilità ex art. 19, comma 2, lettera C), trattandosi di soggetto straniero che conviveva con il padre cittadino italiano. Con il secondo motivo, ha eccepito l'illegittimità del decreto del Prefetto per violazione e/o falsa applicazione dell'art. 1 L. n. 1423/1956, come sostituito dall'art. 2 L. 327/1988, ovvero dell'art. 1 L. n. 575/1965, come sostituito dall'art. 13 L. 646/1982, norme confluite nell'ambito del c.d. codice delle misure di prevenzione;infatti, secondo la difesa del ricorrente, lo straniero non aveva i requisiti per essere dichiarato socialmente pericoloso né nel 2021 al momento dell'espulsione decretata ai sensi dell'art. 13, co. 2, lett. C), né nella successiva espulsione ex art. 14 co. 5 ter T.U.I. Il ricorrente ha sottolineato che, a suo carico, risulta una sola condanna, divenuta irrrevocabile nel 2013, per fatti avvenuti oltre quindici anni prima (l'11.02.2006), per l'ipotesi lieve del quinto comma del DPR 309/90, con il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche e il beneficio della sospensione della pena, beneficio non revocato perché poi non si è macchiato del compimento di altri reati. Ha poi precisato che nel passato vi sono state delle mere segnalazioni, senza neppure l'avvio di un procedimento penale, a parte i due effettivamente sussistenti (quello concluso con sentenza irrevocabile per fatti commessi nel 2006 e quello attualmente pendente in appello per fatti del 2020). Ha, quindi, affermato che il controllo giurisdizionale sul ricorso avverso il provvedimento di espulsione disposto ai sensi dell'art. 13, comma 2, lettera c) d.lgs. n. 286 de1 1998 (quindi, per pericolosità sociale) deve avere ad oggetto il riscontro dell'esistenza dei presupposti di appartenenza dello straniero ad una delle categorie di persone pericolose indicate nell'art. 1 L. n. 1423 del 1956, così come sostituito dall'art. 2 L. 3 agosto 1988, n. 327, ovvero nell'art. 1 della legge antimafia 31 maggio 1965, n. 575, come sostituito dall'art. 13 L. 13 settembre 1982, n. 646 (riferimenti da intendersi attualmente alle corrispondenti diposizioni del codice delle leggi antimafia delle misure di prevenzione approvato con d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, secondo quanto previsto dall'art. 116 di tale decreto), riscontro che va condotto sulla base dei seguenti criteri: a) necessità di un accertamento oggettivo e non meramente soggettivo degli elementi che giustificano sospetti e presunzioni;b) attualità della pericolosità;c) necessità di esaminare globalmente l'intera personalità del soggetto quale risulta da tutte le manifestazioni sociali della sua vita (Cass. 12721/2002, 5661/2003, 11321/2004, 17585/2010, 18482/2011). Circa la valutazione della pericolosità sociale, il ricorrente ha richiamato il recente intervento della Corte Costituzionale con la
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sentenza n. 88 del 9.3.2023, nella quale si è osservato, tra l'altro, che ben può verificarsi che la condanna, nel caso di reato ex art. 73 co. 5 D.P.R. 309/90 (fatto di lieve entità, come risulta per il ricorrente nell'unica condanna irrevocabile che ha subito), non sia tale da comportare un giudizio di pericolosità attuale riferito alla persona del reo, e ciò per varie ragioni: la lieve entità e le circostanze del fatto, il tempo ormai trascorso dalla sua commissione, il livello di integrazione sociale nel frattempo raggiunto. Risulta, pertanto, necessario che, nell'esaminare la domanda di rinnovo del permesso di soggiorno, l'autorità amministrativa apprezzi tali elementi, al fine di evitare che la sua valutazione si traduca in un giudizio astratto e, per ciò solo, lesivo dei diritti garantiti dall'art. 8 CEDU. Con il terzo motivo, il ricorrente ha contestato la violazione dell'art. 8 n. 1 della Convenzione dei diritti dell'uomo, in quanto egli è convivente con la moglie e due figlie minori e con il padre, che è cittadino italiano. In Italia il ricorrente ha tutti i suoi parenti, mentre non ha familiari in Albania, dalla quale si è allontanato quando aveva quindici anni, quindi circa vent'anni fa. Il provvedimento del Prefetto si pone, dunque, in contrasto con la normativa costituzionale laddove, ponendo delle limitazioni alla possibilità di coesione familiare, viola il disposto degli articoli 3,29 e 31 della Costituzione, avendo, tra l'altro, la Corte Europea affermato che il provvedimento deve essere giustificato da una necessità sociale imperativa, oltre che proporzionato allo scopo perseguito. Con il quarto motivo, il ricorrente ha evidenziato la necessità di salvaguardia del diritto all'unità familiare, in quanto padre naturale di due minori in tenera età,
, di anni 12 e , di anni 8, che erano conviventi con lui e la coniuge. Per_1 Per_2
quinto moti ccepito l'illegittimità del decreto di espulsione laddove dispone il divieto di reingresso per un periodo di dieci anni, termine che addirittura equivale al doppio del termine massimo consentito. Infatti, il D.L. 23 giugno 2011, n. 89, come modificato dalla L. di conversione 2 agosto 2011, n. 129, che ha modificato l'art. 14 del D.Lgs. 286/98 T.U.I. dispone che il divieto di reingresso nel territorio dello Stato a seguito di un'espulsione “opera per un periodo non inferiore a tre anni enon superiore a cinque anni, la cui durata è determinata tenendo conto di tutte le circostanze pertinenti il singolo caso. Nei casi di espulsione disposta ai sensi dei commi 1 e 2, lettera c) del presente articolo (…) può essere previsto un termine superiore a cinque anni, la cui durata è determinata tenendo conto di tutte le circostanze pertinenti il singolo caso”. La regola generale, quindi, è che il divieto di reingresso non possa essere superiore a cinque anni, e tale limite può essere superato nelle ipotesi di espulsione per pericolosità. Tuttavia, la norma prevede “un termine superiore a cinque anni”, e tale aumento può essere determinato soltanto “tenendo conto di tutte le circostanze pertinenti il singolo caso”. L'ipotesi derogatoria al termine ordinario da tre a cinque anni implica una concreta ed accurata verifica della condizione di fatto che legittimerebbe una più ampia durata del divieto, tale da integrare una condizione soggettiva che non può rapportarsi ad una ordinaria
“pericolosità sociale”, ma deve raggiungere una consistente gravità, sì da rappresentare, la permanenza del soggetto, una “grave minaccia” a beni giuridici di particolare rango e aventi una dimensione generale.
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Le difese della resistente
La ha resistito al ricorso, chiedendone il rigetto e Controparte_1 rib zza del provvedimento impugnato. Sul dedotto difetto di motivazione del decreto opposto, in quanto privo dell'indicazione dei presupposti di fatto e delle ragioni giuridiche, la ha CP_1 precisato che il provvedimento espulsivo impugnato è stato adottato Pt_1 si è indebitamente trattenuto sul territorio italiano, nonostante fosse gravat precedente decreto di espulsione comminato ai sensi dell'art. 13, comma 2, lett. C) TUI, disattendendo le prescrizioni del questore contenute nel decreto di reingresso di cui all'art. 17 TUI, emesso in data 28.2.2023, che gli consentivano di permanere in territorio italiano sino all'8.3.2023 (poi prorogato al 10.3.2023). La ha al riguardo evidenziato che “L'adozione di un nuovo CP_1 pro di espulsione dovuto alla violazione dell'ordine di allontanamento di cui all'art. 14, comma 5 bis, D.Lgs. n. 286/1998, non impone alcuna valutazione in ordine alla pericolosità del cittadino straniero ed ai suoi legami familiari, perché l'art. 14, comma 5 ter, che ne disciplina l'emissione, rinvia alle sole disposizioni dei commi 4 e 5 del precedente art. 13 D.Lgs. 286/1998 e non anche a quelle dei commi 2, lett. C) e 2 bis dello stesso articolo” (Cass. Sez. I, Ord. 5540 del 02.02.2023). Sulla dedotta violazione dell'art. 19, comma 2, lett. C) D.Lgs. 286/1998, in quanto il sarebbe convivente con il padre cittadino italiano, la ha Pt_1 CP_1 osservato nzitutto, che tale convivenza non è stata dimostra lta dotata dei necessari criteri di effettività, al di là delle risultanze prettamente anagrafiche e documentali;al contrario, secondo parte resistente, il non ha Pt_1 mai convissuto con il padre atteso che, successivamente al cambio idenza del padre avvenuto il 6.4.2022, egli si trovava già in Albania per effetto del primo decreto di espulsione eseguito l'11.2.2021 con accompagnamento coattivo. In effetti, anche il Giudice della convalida aveva appurato che il si trovava di Pt_1 fatto a vivere con il padre solamente nelle occasioni in cui ven torizzato ad entrare in Italia per partecipare alle udienze relative ai procedimenti nei quali era imputato. La ha, quindi, richiamato il principio di diritto, ampiamente condiviso CP_1 dal udenza, secondo cui la tutela all'unità familiare, tale da indurre il legislatore delegato ad imporre, con la previsione dell'art. 19 TUI, il divieto di espulsione dello straniero convivente con familiare entro il secondo grado cittadino italiano, trova limite nell'esigenza di preservare la sicurezza pubblica. Sulla presunta illegittimità del decreto prefettizio per violazione dell'art. 1 D.Lgs.vo 159/2011 e sulla valutazione della pericolosità sociale del cittadino albanese, parte resistente ha replicato che il è stato espulso nel 2021 perché Pt_1 ritenuto soggetto pericoloso in relazione ad u ndotta delittuosa che gli è valsa una condanna per il reato di cui all'art. 73, comma 5, DPR 309/1990, alla pena di mesi 8 di reclusione e al pagamento della multa di € 2.000,00 e l'adozione di un avviso orale da parte del Questore di Pesaro e Urbino, che lo inseriva nelle categorie delle persone di cui all'art. 3 del D.Lgs. 159/2011. Tale pericolosità non
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si sarebbe affatto affievolita, secondo la difesa di parte resistente, ed anzi ne emergerebbe la piena attualità in quanto il 7.3.2023 è stato nuovamente condannato per il reato di cui all'art. 73, comma 5, DPR 309/90 alla pena di anni 1, mesi 8 di reclusione ed € 2.000,00 di multa;inoltre, ad ulteriore conferma dell'atteggiamento di dispregio delle regole, il una volta rientrato sul Pt_1 territorio nazionale in data 6.3.2023 in virtù di aut zione ex art. 17 TUI, per assistere ad un processo penale che lo vedeva imputato (processo definito in primo grado con la sopra citata sentenza di condanna del 7.3.2023), ha disatteso i termini dell'autorizzazione, trattenendosi sul territorio nazionale irregolarmente. Secondo la sarebbe irrilevante il fatto che la prima condanna riportata CP_1 dal fac ento all'ipotesi lieve del 5 comma dell'art. 73 DPR 309/1990 Pt_1 per legislatore, nell'enucleare all'art. 4, comma 3 D.Lgs. 286/98 la congerie di stranieri che non possono ammettersi in Italia, li individua tra coloro che abbiano ricevuto una condanna, anche non definitiva, per i reati di cui all'art. 380, comma 1 e 2 c.p.p., ovvero tra coloro che si siano resi responsabili, tra gli altri, di illeciti in materia di stupefacenti, ritenendo la natura e la tipologia del reato di grave allarme sociale. Sull'attuale pericolosità, parte resistente ha evidenziato che l'ultima condanna riportata dallo straniero si pone al culmine di un percorso fondato su precedenti di polizia e su una precedente condanna dello stesso tipo (stupefacenti), che conferma la propensione a delinquere e l'incapacità di integrazione sul territorio, nonostante la presenza della famiglia e dei figli minori sul territorio e di un lavoro: in effetti, la formazione di una famiglia sul territorio italiano non può costituire garanzia assoluta di immunità dal rischio di espulsione, esistendo comunque una soglia di gravità, oggettivamente percepibile secondo l'id quod plerumque accidit, oltre la quale il comportamento criminale diviene intollerabile per lo Stato che offre ospitalità. Infine, circa la durata del divieto di rientro in Italia, la ha ribadito la CP_1 congruità e la conformità al dettato normativo del i 10 anni, in considerazione della pericolosità sociale del soggetto.
***
Così ricostruite le opposte prospettazioni difensive, occorre in via prioritaria procedere alla qualificazione giuridica della fattispecie sottoposta a questo giudice, posto che il decreto prefettizio impugnato è stato qualificato da parte resistente come decreto emesso ai sensi dell'art. 14, comma 5-ter TUI.
La qualificazione appare necessaria in quanto solo all'esito di tale accertamento è possibile delimitare l'oggetto del sindacato del giudice, che è tenuto a verificare la sussistenza di tutti i presupposti per l'adozione del provvedimento impugnato.
Innanzitutto, ritiene questo giudice che, contrariamente a quanto affermato dalla Prefettura di Pesaro-Urbino, non sia possibile ricondurre il decreto impugnato alla fattispecie di cui all'art. 14, comma 5-ter TUI.
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Al riguardo, appare dirimente la circostanza secondo cui la situazione che ha dato origine all'adozione del provvedimento impugnato è quella descritta dall'art. 13, comma 13, TUI, in quanto il già destinatario di un provvedimento di Pt_1 espulsione, si è trattenuto nel territorio dello Stato oltre il termine di efficacia dell'autorizzazione rilasciata dalla Questura di Pesaro-Urbino.
Tale fattispecie è radicalmente diversa da quella prevista dall'art. 14, commi 5-bis e 5-ter TUI, in quanto l'adozione di un nuovo provvedimento di espulsione ai sensi del comma 5-ter fa seguito alla “violazione all'ordine di allontanamento adottato dal questore ai sensi del comma 5-bis” dello stesso articolo, mentre nel caso qui in esame non si rinviene alcun pregresso ordine di allontanamento, trattandosi della diversa fattispecie della violazione del divieto di rientro nel territorio dello Stato dopo un precedente provvedimento di espulsione, disciplinata dall'art. 13, comma 13 TUI.
Che si tratti di fattispecie diverse e distinte tra loro lo si desume dalla lettura della direttiva del Parlamento europeo 2008/115/CE, così come interpretata dalla giurisprudenza della Suprema Corte (cfr. Cass. n. 16634/2013, i cui passaggi essenziali vengono di seguito testualmente riportati), dalla quale si evince chiaramente che le diverse situazioni di irregolarità del cittadino straniero non sono equiparabili. In particolare, dall'intero impianto della direttiva si ricava l'intento di distinguere le situazioni e di graduare gli interventi in una logica di adeguatezza e di proporzionalità, differenziando, quindi, la condizione del cittadino straniero in precedenza rimpatriato che faccia nuovamente ingresso nel territorio dello Stato senza la prescritta autorizzazione e prima del termine stabilito nell'ordine di rimpatrio e quella dello straniero che permanga nel territorio dello Stato in violazione dell'ordine di allontanamento. In tale contesto è pienamente legittimo e logicamente plausibile il differente trattamento riservato a chi non soddisfi (o non soddisfi più) le condizioni di ingresso, di soggiorno o di residenza in uno Stato membro rispetto a colui che, senza autorizzazione e in violazione di uno specifico divieto, faccia nuovamente ingresso nel territorio dello Stato dopo esserne stato allontanato.
La lettura complessiva sia dei considerando che dell'articolato della direttiva consentono, infatti, di affermare che la condizione del cittadino di un Paese terzo il cui soggiorno è irregolare, ma che non è ancora possibile allontanare (considerando 12) è caratterizzata da una sua autonomia e specificità rispetto a quella dello straniero sottoposto alla misura del rimpatrio forzato (considerando 13) con contestuale divieto di ingresso e di soggiorno nel territorio degli Stati membri (considerando 14). Sotto quest'ultimo profilo la direttiva attribuisce specifico rilievo alla circostanza che il cittadino di un Paese terzo sia già stato destinatario di plurime decisioni di rimpatrio o di provvedimenti di allontanamento
o sia entrato nel territorio di uno Stato membro quando era soggetto ad un
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divieto di ingresso (considerando 14). L'affermazione di tali principi è strettamente correlata all'obiettivo perseguito dalla direttiva, consistente nell'adozione di norme comuni in materia di rimpatrio, allontanamento, uso di misure coercitive, trattenimento e divieti di ingresso (considerando 20).
In attuazione di queste premesse generali, la direttiva distingue concettualmente il soggiorno irregolare - inteso come presenza nel territorio di uno Stato membro di un cittadino di un Paese terzo che non soddisfi o non soddisfi più le condizioni di ingresso di cui all'art. 5 del codice frontiere di Schengen o altre condizioni di ingresso, di soggiorno, o di residenza in tale Stato membro (art. 3, n. 2) - dal divieto di ingresso, che si fonda su una decisione, su un atto amministrativo o giudiziario che vieta l'ingresso e il soggiorno nel territorio degli Stati membri per un periodo determinato e costituisce un provvedimento autonomo rispetto alla decisione di rimpatrio (art. 3, n. 6). Quest'ultima consegue ad una decisione, ad un atto amministrativo o giudiziario che attesti o dichiari l'irregolarità del soggiorno di un cittadino di un Paese terzo e imponga o attesti l'obbligo di rimpatrio (art. 3, n. 4), inteso come il processo di ritorno di un cittadino di un Paese terzo sia in adempimento volontario di un obbligo di rimpatrio sia forzatamente. L'art. 6 della direttiva riconosce il diritto degli Stati membri di emettere una decisione di rimpatrio dello straniero irregolarmente soggiornante sul loro territorio. L'art. 7 della direttiva precisa, peraltro, che il rimpatrio deve prioritariamente svolgersi nella forma della "partenza volontaria", eventualmente accompagnata da misure idonee a garantire che lo straniero non approfitti del termine all'uopo concesso per darsi alla fuga eludendo così l'obbligo di allontanarsi. Lo stesso articolo richiede, inoltre, che l'allontanamento sia attuato con la notifica all'interessato della "decisione di rimpatrio", indicante anche un congruo termine per ottemperare all'ordine medesimo (da 7 a 30 giorni), peraltro prorogabile, tenendo conto delle necessità specifiche del caso individuale, quali, ad esempio, la previa durata del soggiorno o situazioni rilevanti per il rispetto del diritto all'unità familiare o ancora in base alle esigenze scolastiche dei minori (art. 7, punto 2).
L'art. 11 della direttiva distingue, a sua volta, nettamente i casi in cui alla decisione di rimpatrio deve obbligatoriamente conseguire un divieto di ingresso (omessa concessione di un periodo per la partenza volontaria;mancata ottemperanza all'obbligo di rimpatrio: art 11, comma 1, lett. a e b) da quelli in cui l'adozione di tale misura è meramente facoltativa (art. 11, comma 2). L'introduzione del divieto in questione è incoraggiata, ma si raccomanda che la sua durata sia determinata in base alle caratteristiche del caso concreto, valutando in particolare se l'espulsione sia dipesa dalla violazione di un precedente divieto (punto 14 del considerando). La disciplina prevede una determinazione discrezionale della durata del divieto, con un limite tendenzialmente pari a cinque anni e con possibilità di revoca nel caso sia pagina 9 di 15
dimostrata l'ottemperanza volontaria ad un provvedimento di allontanamento. Il divieto deve avere forma scritta, deve essere motivato in fatto e in diritto e deve indicare il rimedio proponibile dal destinatario. A richiesta deve essere tradotto in una lingua comprensibile dall'interessato (art. 12 della direttiva). Gli Stati membri devono garantire mezzi di ricorso effettivo.
Sulla base di quanto sinora esposto è evidente che la "irregolarità" del soggiorno nel territorio di uno Stato membro da parte di un cittadino di un Paese terzo costituisce il presupposto per l'adozione di una pluralità di provvedimenti connotati da reciproca autonomia e da peculiarità strutturali che si inseriscono a loro volta nell'ambito di diversi iter procedimentali, produttivi di esiti differenti. La conferma di tale conclusione può essere tratta dall'art. 6, comma 6, della direttiva che, legittimando gli Stati membri all'adozione contestuale di plurime misure (rimpatrio, allontanamento, divieto di ingresso) quale reazione del singolo ordinamento statale ad un soggiorno irregolare cui si intenda porre fine, ne riconosce la differenza ontologica e riafferma la legittimità dell'emissione di una pluralità di provvedimenti contro la medesima persona, pur se nel rispetto dei parametri di proporzionalità ed efficacia.
L'analisi delle premesse e dell'articolato della direttiva legittima la conclusione secondo cui le cause della presenza irregolare del cittadino di un Paese terzo sul territorio di uno degli Stati membri dell'Unione europea non sono riconducibili ad un'unica categoria di "irregolarità", ma si fondano piuttosto su presupposti differenti e che, rispetto alle singole situazioni, l'ordinamento statuale è legittimato ad adottare secondo un criterio di progressività, differenti tipologie di provvedimenti: 1) una decisione di rimpatrio quale atto dichiarativo della irregolarità del soggiorno stesso che imponga o attesti l'obbligo di rimpatrio;2) l'allontanamento coattivo dell'individuo fuori dello Stato membro;3) il divieto di ingresso, quale ulteriore misura inibitoria di un futuro ritorno, suscettibile di emissione nei confronti della persona il cui soggiorno irregolare sia già stato riconosciuto e che sia stato oggetto di rimpatrio immediato (art. 7, comma 4, della direttiva) ovvero sia stata inutilmente invitata ad allontanarsi entro un termine prefissato (art. 7 e 8 della direttiva).
In sintesi, coerentemente con i principi generali fissati dalla direttiva, con il diverso disvalore delle condotte e con il differente atteggiarsi dell'elemento soggettivo ad esse sotteso, il d. lgs. n. 286 del 1998 e successive modifiche distingue e disciplina in maniera differente la situazione dello straniero che faccia nuovamente ingresso, senza una speciale autorizzazione, nel territorio dello Stato da cui sia stato già in precedenza allontanato in virtù di un provvedimento di espulsione (art. 13, comma 13, d. lgs. n. 286 del 1998 e successive modifiche) rispetto alla inottemperanza, senza giustificato motivo, ad un provvedimento di
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allontanamento dal territorio dello Stato (art. 14, comma 5-ter, del d. lgs. n. 286 del 1998 e successive modifiche).
Anche la struttura delle due fattispecie criminose, assistite da sanzioni significativamente diverse, non è sovrapponibile, atteso che il delitto previsto dall'art. 13, comma 13, d. lgs. n. 286 del 1998 viene integrato dal nuovo ingresso, in mancanza di autorizzazione, nel territorio dello Stato da parte del cittadino extracomunitario già destinatario di un provvedimento di rimpatrio, mentre il reato disciplinato dall'art. 14, comma 5-ter d. lgs. n. 286 del 1998 e successive modifiche si concretizza nell'ingiustificata inosservanza dell'ordine di allontanamento adottato dal Questore. Proprio valorizzando la diversità strutturale tra le due fattispecie incriminatrici la giurisprudenza di legittimità ha ritenuto non estensibile alla condotta di reingresso non autorizzato nel territorio dello Stato la clausola di esclusione della responsabilità contemplata dall'art. 14, comma 5-ter d. 1gs. n. 286 del 1998 e successive modifiche (Sez. I, 14 dicembre 2011, n. 265) e ha già ritenuto manifestamente infondata la dedotta questione di legittimità costituzionale per contrasto con l'art. 3 della Costituzione.
Calati i principi sopra richiamati nella fattispecie in esame, non può non rilevarsi, innanzitutto, l'incongruenza della qualificazione giuridica contenuta nel decreto prefettizio - asseritamente emesso ai sensi dell'art. 14, comma 5-ter (confermata anche negli atti difensivi, ove, proprio facendo leva sulla peculiarità di tale fattispecie, viene richiamata Cass. ord n. 5540/2023, secondo cui nell'ipotesi di adozione di un nuovo provvedimento di espulsione dovuto alla violazione dell'ordine di allontanamento di cui all'art. 14, comma 5-bis, D.Lgs. n. 286/1998, non è richiesta alcuna valutazione in ordine alla pericolosità del cittadino straniero ed ai suoi legami familiari)-, rispetto alle motivazioni che il decreto pone a fondamento del “nuovo” divieto di reingresso, stabilito in anni dieci, motivazioni tutte riconducibili alla “condotta tenuta” dal e, quindi, proprio a quegli stessi Pt_1 elementi in cui si concretizzava il giudizio di pericolosità posto a fondamento del precedente decreto di espulsione, emesso ai sensi dell'art. 13, comma 2, lett. c) TUI.
Contestualmente, non può non rilevarsi come il decreto oggetto del presente giudizio tragga esclusiva giustificazione dalla violazione, da parte del del Pt_1 precedente divieto di reingresso nel territorio italiano, disposto dal decreto prefettizio del 10.2.2021 (doc. n. 5 fasc. resistente), la cui durata è stata rideterminata in anni cinque con ordinanza del Tribunale di Pesaro pubblicata in data 31.8.2021 (doc. n. 7 fasc. resistente), passata in giudicato. Va, al riguardo, evidenziato come nessun nuovo elemento o circostanza risulta essere sopravvenuta rispetto al quadro fattuale preso in considerazione nel precedente decreto prefettizio e nella decisione del Tribunale di Pesaro che quel decreto ha parzialmente riformato (limitatamente alla durata del divieto di reingresso). Ed
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invero, tutti gli elementi già valutati in quella sede e le argomentazioni poste a base della decisione del 31.8.2021, oramai definitiva, non sono suscettibili di nuova rivisitazione, né in senso favorevole al ricorrente, né tanto meno in senso peggiorativo, non essendo emersi elementi che possano modificare la valutazione già espressa nella precedente decisione. Va, al riguardo, evidenziato che l'ultimo fatto di reato (quello per il quale il è stato tratto in arresto il 28.2.2020), allo Pt_1 stato, è ancora sub iudice (la sentenza del Tribunale di Pesaro del 7.3.2023 che, tra l'altro, ha riqualificato il fatto nell'ipotesi più lieve del comma 5 dell'art. 73 D.P.R. 309/90, è stata, infatti, impugnata).
Si può, dunque, pacificamente affermare che il nuovo decreto di espulsione, oggetto dell'impugnativa in esame, laddove ripropone gli stessi elementi già ampiamente valutati nella pregressa decisione giudiziale del 31.8.2021 per fondare un nuovo e distinto divieto di reingresso di anni 10, incorre nel vizio di
“ne bis in idem”, nella misura in cui riproduce, reiterando le stesse identiche argomentazioni, il precedente decreto di espulsione sul quale si è formato il giudicato, ponendolo a fondamento di un nuovo divieto di rimpatrio di dieci anni, che si aggiunge a quello di cinque anni già stabilito per gli stessi fatti con l'ordinanza di questo Tribunale emessa in data 31.8.2021, la quale, avendo assunto carattere di definitività, non può essere modificata, mediante l'attribuzione, in questa sede, di una diversa valenza, sotto il profilo della pericolosità, a fatti già valutati.
Devono essere, pertanto, disattesi quei motivi di ricorso (in particolare, il secondo, il terzo e il quarto), che ripropongono le stesse censure già valutate nella pregressa impugnativa del precedente decreto di espulsione, non essendo intervenuti fatti nuovi che possano giustificare una rivisitazione degli elementi già valutati sotto il profilo della pericolosità.
Va, peraltro, sottolineato come la sentenza penale di condanna del 7.3.2023 non possa ritenersi fatto nuovo, sia perché l'accertamento della responsabilità penale non è ancora definitivo, vigendo il principio costituzionale della presunzione di innocenza, sia perché la valutazione di pericolosità rilevante ai fini che qui interessano va riferita al momento della commissione del fatto e non al momento del giudizio penale.
Riguardo, poi, al primo motivo di ricorso, fondato sulla dedotta violazione dell'art. 19, comma 2, lett. C) D.Lgs. 286/1998, in base all'assunto secondo cui il Pt_1 sarebbe convivente con il padre cittadino italiano, va condiviso quanto già osservato dal Giudice di Pace in sede di convalida, secondo cui tale convivenza non è stata dimostrata, né risulta caratterizzata da effettività, al di là delle risultanze anagrafiche e documentali, essendo, peraltro, emerso che, successivamente al cambio di residenza del padre avvenuto il 6.4.2022 (doc. n. 17 fasc. resistente), si trovava già in Albania per effetto del primo Parte_1
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decreto di espulsione eseguito l'11.2.2021 con accompagnamento coattivo, sicché è ragionevole ritenere che la permanenza presso l'abitazione del padre abbia avuto carattere transitorio, ricorrendo solo nelle occasioni in cui il veniva Pt_1 autorizzato ad entrare in Italia per partecipare alle udienze relative al procedimento penale in cui era imputato.
Ritiene, in definitiva, questo giudice che, anche per effetto del giudicato, gli elementi valorizzabili ai fini della determinazione del periodo di divieto di reingresso debbano essere desunti, esclusivamente, dalla condotta di violazione del precedente divieto (quello decorrente dal 20.2.2021, la cui efficacia è rimasta sospesa per effetto dell'autorizzazione ex art. 17 TUI). Come già detto, la concreta fattispecie in esame si distingue da quella di presenza irregolare, in quanto il è rientrato in Italia regolarmente, in forza di un'autorizzazione che Pt_1 gli è stata rilasciata dalla Questura al fine di partecipare all'udienza del 7.3.2023 nel processo penale che lo vedeva imputato del reato di cui all'art. 73 D.P.R. 309/90. Va osservato che la predetta autorizzazione ha solo la funzione di limitare temporalmente l'efficacia dell'ordine di allontanamento e del divieto di reingresso per finalità ritenute prevalenti rispetto a quelle che hanno determinato l'adozione del provvedimento di espulsione, che riprende efficacia alla scadenza del termine, ossia quando il cittadino straniero dovrebbe trovarsi nuovamente all'estero e gli scopi di cui all'art. 17 d.lgs. n. 286 del 1998 sono venuti meno (in questi termini, Cass. 28297 del 9.5.2023).
Il ha, quindi, sostanzialmente violato l'originario decreto di espulsione, Pt_1 trattenendosi in Italia oltre il termine consentito, termine che scadeva l'8.3.2023, poi prorogato al 10.3.2023.
Il decreto impugnato va, dunque, confermato nella parte in cui è stata decretata la nuova espulsione del posto che l'art. 13, comma 13, TUI prevede, in Pt_1 effetti, che, a seguito della violazione del divieto di reingresso, lo straniero viene
“nuovamente espulso con accompagnamento immediato”.
Riguardo al distinto provvedimento di divieto di reingresso occorre considerare tutti gli elementi di fatto che connotano la concreta fattispecie in esame.
Innanzitutto, dalla lettura del provvedimento di convalida emesso dal Giudice di Pace di Pesaro in data 20.3.2023 (doc. n. 14 fasc. resistente) risulta che il Pt_1 che avrebbe dovuto rientrare in Albania con un volo in partenza da Rimini in accordo con la Questura di Pesaro-Urbino, è rimasto in clandestinità sino alla data del 15 marzo, allorquando si presentava con il proprio legale di fiducia presso la Stazione dei Carabinieri di Colli al Metauro, ove veniva arrestato per violazione dell'art. 13, comma 13, del TUI.
La durata della permanenza in Italia in assenza di autorizzazione è stata oggettivamente breve (5 giorni) e, peraltro, tale permanenza non risulta sorretta pagina 13 di 15
dalla volontà di sottrarsi ai controlli, in quanto è stato lo stesso a presentarsi Pt_1 spontaneamente presso la stazione dei Carabinieri di Colli al Metauro.
La mera permanenza nel territorio dello Stato in difetto di valido titolo non può essere considerata, di per sé sola, un indicatore significativo di pericolosità sociale del in quanto quest'ultimo, nel periodo in cui si è trattenuto in Italia per Pt_1 partecipare al processo che lo vedeva imputato, era di fatto domiciliato presso il padre (la circostanza, non contestata, risulta anche dalla sopra richiamata sentenza del Giudice di Pace del 20.3.2023), per cui è ragionevole ritenere che fosse il padre (peraltro, cittadino italiano) a provvedere al suo mantenimento nei giorni compresi tra il 6 e il 15 marzo (nel senso che l'assenza di un titolo che legittimi la presenza dello straniero nel territorio dello Stato non costituisce, di per sé, un elemento sfavorevole sul piano della prognosi criminale, assumendo una siffatta valenza soltanto in quanto, per effetto dello stato di irregolarità del soggiorno, la persona sia privata della possibilità di un lecito sostentamento e, dunque, possa conseguentemente determinarsi alla commissione di reati per fare fronte alle proprie esigenze di vita, cfr. Cass. 23826 del 26.6.2020).
Valutati, quindi, gli elementi sopra evidenziati in relazione alla violazione dell'art. 13, comma 13, TUI (in particolare, la brevissima parentesi di permanenza irregolare e l'assenza di nuovi indicatori di pericolosità sociale), la durata del divieto di rimpatrio stabilita in anni dieci dal decreto impugnato appare manifestamente sproporzionata. Essa va, pertanto, ridotta alla misura di tre anni, non essendo emersi, come già evidenziato, elementi sfavorevoli che possano giustificare una determinazione nella misura massima di cinque anni.
In conclusiva sintesi, vanno rigettati tutti i motivi di ricorso, ad eccezione del quinto motivo, che va accolto nei termini sopra esposti.
La reciproca soccombenza giustifica l'integrale compensazione tra le parti delle spese di lite.
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