Trib. Milano, sentenza 03/06/2024, n. 2256
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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL TRIBUNALE D MILANO
SEZIONE LAVORO
La dott.ssa F S, in funzione di giudice del lavoro, ha
pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa di primo grado n. 4585/2023 R.G. promossa con ricorso da
, Parte_1
elettivamente domiciliata in Milano, via Fogazzaro n. 14/A, presso lo
studio degli avv.ti F R ed E V, che la
rappresentano e assistono nel presente giudizio,
ricorrente
contro
Controparte_1
elettivamente domiciliata in Milano, via Lamarmora n. 18, presso lo
studio degli avv.ti M G e F B, che la
rappresentano e difendono nel presente giudizio,
resistente
OGGETTO: retribuzione;tempo tuta, orario di lavoro.
All'udienza di discussione, i procuratori delle parti concludevano
come in atti.
FATTO E DIRITTO
Con ricorso ritualmente notificato, ha convenuto in Parte_1
giudizio formulando le seguenti conclusioni: CP_2
“Previo accertamento del tempo necessario a indossare e dismettere la divisa,
accertare e dichiarare il diritto dei ricorrenti alla remunerazione di tale tempo
nella misura 10 minuti giornalieri, o altra che risulterà in corso di causa, per
tutto il periodo lavorato, da retribuirsi con maggiorazione del 28% sulla
retribuzione oraria come da CCNL Pulizie 2011.
2. Per l'effetto della declaratoria sub 1) condannare in Controparte_3
persona del legale rappresentante pro tempore al pagamento in favore della
ricorrente dell'importo lordo di €. 1.036,78 o della diversa somma minore o
maggiore accertata in corso di causa
3. accertare e dichiarare la nullità e/o illegittimità della clausola relativa
alla collocazione temporale della prestazione lavorativa dei ricorrenti di cui al
contratto di assunzione, nonché occorrendo di ogni altra clausola di
flessibilità/elasticità eventualmente sottoscritta dalla ricorrente;
4. per l'effetto della precedente declaratoria, accertare e dichiarare il diritto
dei ricorrenti al risarcimento del danno anche ex art. 10 d.lgs. 81/2015 e
comunque ex art. 8 d.lgs. 61/2000 e, per l'effetto, condannare CP_3
a risarcire alla ricorrente tutti i danni subiti, da quantificarsi, per il
[...]
periodo dal 01/06/2016 al 28/02/2020, anche in via equitativa, nella misura di
€. 8.992,37 ovvero in quella diversa misura, anche maggiore, ritenuta di
giustizia.
5. Accertare e dichiarare il diritto della ricorrente ed il corrispettivo obbligo
della convenuta al versamento dei contributi previdenziali ed assicurativi
sulle differenze retributive dovute.
6. Spese, diritti ed onorari di causa con distrazione in favore del procuratore
antistatario.
2
7. Interessi e rivalutazione dal dovuto al saldo.
8. Sentenza esecutiva ex lege”.
Si è costituita ritualmente contrastando, a vario titolo, CP_1
le pretese avversarie di cui ha chiesto l'integrale rigetto.
Fallita la conciliazione, all'esito di prove orali, la causa è stata discussa
e decisa da remoto.
Ciò posto, la ricorrente agisce in questa sede in veste di dipendenti di
Contr
aggiudicataria, insieme ad un'altra società ( , CP_4
dell'appalto di pulizie presso il palazzo della Regione Lombardia.
Il rapporto si è svolto dal 1° giugno 2016 al 28 febbraio 2020.
La ricorrente rivendica differenze retributive connesse al tempo
impiegato per mettere e togliere la divisa da lavoro e il danno per
mancata fissazione dell'orario lavorativo.
Sui tempi connessi all'impiego della divisa, sono state espletate prove
orali che hanno dato il seguente esito:
teste : “…attualmente pensionata. In precedenza, Testimone_1
dipendente di sino al gennaio 2023, dipendente per circa tre CP_3
anni. Per la società, facevo le pulizie. Mai ho fatto causa alla società. La
ricorrente era mia collega, facevamo lo stesso lavoro presso la
[...]
Contr
Quando è subentrata nell'appalto, ci ha dato un camice Org_1
abbottonato sul davanti.
Chi voleva, teneva sotto i propri vestiti e chi voleva, se li toglieva e teneva il
camice.
Dopo due – tre mesi, ci hanno dato un pantalone blu con una casacca a righe
bianche e blu.
Io prendevo servizio alle 7. Per cui alle 6.50 arrivavo in spogliatoio, mi
cambiavo, indossavo la divisa e poi timbravo. La macchina per timbrare era
3
all'interno dello spogliatoio: preciso che la macchinetta era all'esterno della
stanza in cui ci si cambiava, occorreva percorrere un tratto che a me
richiedeva tre minuti;si arrivava in un magazzino dove c'era l'orologio per la
timbratura. Poi iniziavo il servizio smistandoci a seconda della destinazione.
A fine turno, dovevamo timbrare con la divisa indosso, poi andavamo in
spogliatoio e ci svestivamo.
Il tutto richiedeva complessivi 20 minuti circa, 10 per volta.
A me la ditta ha fornito anche le scarpe antinfortunistiche che indossavo. Non
tutti le indossavano perché il responsabile aveva detto che in Tes_2
aziende come Regione non obbligatorio indossarle, a differenza, ad esempio,
degli ospedali.
Quanto ho riferito in ordine alla mia persona, vale anche per la ricorrente.
All'interno della Regione pulivamo uffici, sale riunioni, bagni e sale break.
Pulivamo anche scale e parti comuni.
ADR: ad un certo punto, il responsabile ci ha informati che si Tes_2
poteva optare per una maglietta al posto della casacca che era grande. Cosa
che io ho fatto, si trattava di una t-shirt di cotone di colore blu. La procedura
per la vestizione è rimasta uguale.
ADR: lavoravo dalle 7 del mattino sino alle 14, con una piccola pausa;tre
volte alla settimana. Gli altri 2 giorni lavoravo dalle 7 alle 13, il sabato era
facoltativo per chi voleva fare qualche ora in più.
Contr Ho avuto questo orario per tutta la durata del rapporto con
Contr Preciso che ho lavorato per per tutta la durata dell'appalto con
[...]
. Teste “…di professione responsabile di Org_1 Testimone_3
produzione di dal gennaio 2019. Mi reco fisicamente sul luogo CP_3
degli appalti a seconda della necessità. Preciso che ogni appalto ha un suo
responsabile in loco.
4
Quindi io posso recarmi presso il singolo appalto quando occorre o
periodicamente, con cadenza varia che può essere anche semestrale. Mi sono
recato presso l'appalto di era un appalto abbastanza Org_1
importante.
Per i dipendenti era obbligatorio l'utilizzo del camice;per il personale adibito
alla pulizia delle aree esterne, c'era una divisa con felpa e pantaloni, anche per
chi lo faceva in modo saltuario.
L'obbligo era solo per il camice che veniva indossato sul posto anche in
ragione di direttive piuttosto stringenti da parte dell'Ente.
Non ho mai verificato se i dipendenti indossavano gli indumenti sul posto o
se arrivavano indossandoli già. Ma ritengo che gli indumenti di lavoro
venissero indossati sul posto.
Preciso che l'appalto comprendeva portineria all'ingresso, commessi ai piani
(attività di supporto ai dipendenti regionali) e attività di pulizia.
Preciso che gli indumenti che ho sin qui menzionato erano per il personale
delle pulizie mentre chi aveva altri incarichi indossava una divisa con
pantalone, giacca e camicia, forse anche cravatta e foulard ma non ne sono
sicurissimo.
Le macchinette per badgeare erano nelle portinerie N1 ed N6 e in area
antecedente il magazzino vicino agli spogliatoi.
Generalmente si badgeava prima di cambiarsi in quanto per arrivare agli
armadietti che avevamo occorreva farlo prima.
Preciso che non ricordo di averlo visto di persona ma lo deduco perché non si
poteva accedere a nessun luogo senza avere badgeato o senza
un'autorizzazione ad entrare”.
5
Teste “…di professione operaio, dipendente di Testimone_4
dal 1° marzo 2020. Lavoro presso il palazzo di Org_2 [...]
Org_1
Mai sono stato dipendente di prima di ho lavorato per Parte_2 Org_2
dal 1° giugno 2016 al 28 febbraio 2020. Pt_3
Ho fatto causa a mi sembra che si sia conclusa con una sentenza a mio CP_4
favore.
Era una causa per il tempo tuta, la mancata fascia oraria sulle lettere di
assunzione.
Conosco la ricorrente, siamo stati colleghi dal 1° giugno 2016;lei lavorava
Contr per ed io per ll'interno dello stesso appalto. CP_4
Io lavoravo dal lunedì al venerdì dalle 7 alle 14.
Venivo assegnato alle pulizie nelle varie aree e uffici, non erano sempre gli
stessi.
La ricorrente lavorava dal lunedì al venerdì con orario 7 – 12.30 il lunedì e 7
– 12 gli altri giorni.
Contr Prima che il lavorassi per e lei per abbiamo lavorato entrambi per CP_4
oggi . Org_3 Org_4
Avevo modo di vedere la ricorrente tutti i giorni, entravamo insieme la
mattina.
Preciso che per i primi 2 – 3 mesi di lavoro, è stato fornito a tutti i lavoratori,
a prescindere dalla società datrice, un camice azzurro abbottonato davanti che
arrivava al ginocchio. Avevamo l'obbligo di indossarlo la mattina, sul posto di
lavoro. Entravamo, timbravano ai tornelli con il badge della con il Org_1
montacarichi scendevamo al piano B1 dove ci sono gli spogliatoi, separati per
uomini e donne ma vicini;ci toglievamo il giubbotto e sopra indossavamo il
camice.
6
Alla fine del turno, in base all'orario, si scendeva al B1 dove c'è anche il
magazzino, si timbrava, si portava giù il carrello o il materiale sporco e ci si
cambiava.
Contr Dopo circa due mesi, sia per he per è arrivata una divisa composta CP_4
da pantalone blu, casacca con sfondo bianco a righe azzurrine, sia per gli
uomini che per le donne.
Dopo un po' di tempo, siccome la casacca teneva caldo ed era ingombrante,
abbiamo chiesto al responsabile dell'appalto, se potevano Testimone_5
esserci fornite della magliette.
Lui ha acconsentito e ha fatto avere a tutti delle magliette blu.
Le scarpe antinfortunistiche erano a discrezione, chi ha voluto le ha prese,
non c'è obbligo nel civile, solo per chi fa i risanamenti.
Indossavamo la divisa sul posto di lavoro, non potevano assolutamente venire
già vestiti da casa. Timbravamo dopo averla indossata.
Le operazioni di vestizione-svestizione prendevano in tutto 10-12 minuti,
intendo sia per l'arrivo che per l'uscita.
Il sabato lavoravamo per la Invece, con il subentro di e Org_3 CP_4
Contr
ci sono stati dei tagli e non lo abbiamo più fatto.
ADR: ero responsabile sindacale sull'appalto, lo sono Org_5
Contr tuttora. In questa veste mi occupavo sia dei lavoratori di he di CP_4
L'avv. R precisa che la vertenza del teste si è conclusa con conciliazione”.
Dalle deposizioni che precedono, può ritenersi provato in causa che
per i primi due – tre mesi dell'appalto presso Regione Org_1
entrambe le società appaltatrici ( e , odierna CP_4 CP_3
convenuta), avessero fornito ai dipendenti assegnati alle attività di
pulizia interna, quale divisa da lavoro, solo un camice abbottonato sul
davanti, da sovrapporre all'abbigliamento personale.
7
In seguito, è stata invece introdotta una vera e propria divisa,
composta da pantaloni e casacca, quest'ultima poi sostituita, in quanto
troppo pesante, da una maglietta in cotone.
I dipendenti erano tenuti ad indossare tali capi di vestiario
direttamente sul posto di lavoro.
Le testimonianze non sono univoche circa la “sequenza” vestizione –
timbratura.
Peraltro, non si pone al riguardo alcun reale problema in quanto,
stando ai testi e giunti sul posto di lavoro, prima Tes_3 Tes_4
si timbrava e dopo ci si cambiava mentre per la teste , Tes_1
avveniva l'esatto contrario ma con l'obbligo di giungere sul posto di
lavoro 10 minuti prima dell'orario di inizio (quindi, alle 06:50 anziché
alle 07:00), risultando, in entrambe le ipotesi, il tempo di vestizione
non retribuito.
Peraltro, le stringenti esigenze di sicurezza connesse con il luogo
dell'appalto ( , tali per cui non era consentito ai Org_1
dipendenti delle imprese di pulizie di accedere ad aree esterne al
palazzo con indosso la divisa, inducono a ritenere maggiormente
plausibile che prima fosse necessario accreditarsi nel luogo e poi
sbrigare le incombenze lavorative, tra cui la vestizione della divisa.
Si rammenta che per consolidata giurisprudenza di legittimità, al fine
di valutare se il tempo occorrente per le operazioni di vestizione o
svestizione, debba essere retribuito o meno, occorre far riferimento
alla disciplina contrattuale specifica, distinguendo l'ipotesi in cui tale
operazione, con riguardo al tempo ed al luogo, sia soggetta al potere
di conformazione del datore di lavoro dall'ipotesi in cui, per l'assenza
di eterodirezione, le operazioni di vestizione e svestizione si
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configurino come atti di diligenza preparatoria all'esecuzione della
prestazione e, come tali, non siano da retribuire;l'eterodirezione può
derivare dall'esplicita disciplina d'impresa o risultare implicitamente
dalla natura degli indumenti, o dalla specifica funzione che devono
assolvere, quando gli stessi siano diversi da quelli utilizzati o
utilizzabili secondo un criterio di normalità sociale dell'abbigliamento;
(Cass. 28/03/2018, n 7738;Cass. 26/01/2016, n. 1352;Cass. 07/06/2012, n.
9215;Cass. 08/09/2006 n. 19273);tale soluzione è stata ritenuta in linea
con la giurisprudenza comunitaria in tema di orario di lavoro di cui
alla direttiva n. 2003/88/CE (Corte di Giustizia UE del 10 settembre
2015 in C-266/14;rif. Cass. Civ. n. 1352 /2016 cit.).
In tale ultima pronuncia, la medesima Corte di Cassazione afferma:
“…la vestizione degli indumenti necessari per lo svolgimento della
prestazione di lavoro (e, più in generale, della divisa aziendale) costituisce
un'operazione preparatoria della prestazione di lavoro e ad essa strumentale.
La consolidata giurisprudenza della Sezione lavoro di questa Corte ritiene che
al fine di valutare se il tempo occorrente per tale operazione debba essere
retribuito o meno, occorre far riferimento alla disciplina contrattuale
specifica. In particolare, ove sia data facoltà al lavoratore di scegliere il tempo
e il luogo ove indossare la divisa o gli indumenti (anche eventualmente presso
la propria abitazione, prima di recarsi al lavoro), la relativa operazione fa
parte degli atti di diligenza preparatoria allo svolgimento dell'attività
lavorativa, e come tale il tempo necessario per il suo compimento non
dev'essere retribuito.
Se, invece, le modalità esecutive di detta operazione sono imposte dal datore di
lavoro, che ne disciplina il tempo ed il luogo di esecuzione, l'operazione stessa
rientra nel lavoro effettivo e di conseguenza il tempo ad essa necessario
9
dev'essere retribuito (così Cass. n. 13706 del 2014, Cass. Sez. U, n. 11828 del
2013, Cass. n. 9215 del 2012, Cass. n. 19358 del 2010 n. 19358, Cass. n.
19273 del 2006, Cass. n. 15734 del 2003).
La soluzione è coerente con la previsione contenuta nel D. Lgs. 8 aprile 2003,
n. 66, art. 1, comma 2 lett. a), (che recepisce le Direttive 93/104 e 00/34 CE,
concernenti taluni aspetti dell'organizzazione dell'orario di lavoro), secondo
la quale per orario di lavoro si intende "qualsiasi periodo in cui il lavoratore
sia al lavoro, a disposizione del datore di lavoro e nell'esercizio della sua
attività o delle sue funzioni", con definizione sovrapponibile a quella ripetuta
nella successiva Direttiva 2003/88/CE, art. 2 n. 1) che, per la sua genericità,
impone e consente le specificazioni che già erano state fornite già nel vigore
della regola fissata dal R.D.L. 5 marzo 1923, n. 692, art. 3.
I criteri sopra enucleati riecheggiano nella stessa giurisprudenza comunitaria.
Il fattore determinante che qualifica l'orario di lavoro è stato in genere
ritenuto dalla Corte UE il fatto che il lavoratore sia costretto ad essere
fisicamente presente nel luogo stabilito dal datore di lavoro e a tenersi a
disposizione del medesimo per poter immediatamente fornire le opportune
prestazioni in caso di bisogno (v., in tal senso, sentenza Dellas e a., C-14/04,
punto 48, nonchè ordinanze Vorel, C-437/05, punto 28, e Grigore, C-258/10,
punto 63).
Pertanto, affinchè un lavoratore possa essere considerato a disposizione del
proprio datore di lavoro, egli deve essere posto in una situazione nella quale è
obbligato giuridicamente ad eseguire le istruzioni del proprio datore di lavoro
e ad esercitare la propria attività per il medesimo.
Di recente la Corte UE ha sottoposto ad ulteriore verifica tali criteri nella
sentenza resa il 10 settembre 2015 nella causa C- 266/14,
[...]
(CC.OO.), occupandosi Organizzazione_6
10
del tempo impiegato dai tecnici dipendenti di una società spagnola che
effettuano l'installazione e la manutenzione degli impianti di sicurezza nelle
abitazioni e nei locali industriali e commerciali siti nella zona territoriale di
loro competenza, senza un luogo di lavoro fisso. Ha affermato che il tempo di
spostamento impiegato da tali lavoratori per raggiungere dal proprio
domicilio i luoghi in cui si trovano il primo e l'ultimo cliente indicati dal loro
datore di lavoro costituisce orario di lavoro ai sensi della Direttiva
2003/88/CE, in quanto sussistono nel caso i tre elementi costitutivi della
nozione di "orario di lavoro" enucleati dall'art. 2, punto 1, della Direttiva
2003/88. Quanto al primo, secondo il quale il lavoratore deve essere
nell'esercizio delle sue attività o delle sue funzioni, la Corte ha ritenuto che i
lavoratori che si trovano in tale situazione stiano esercitando le loro attività o
le loro funzioni durante l'intera durata di tali spostamenti, in quanto essi
costituiscono lo strumento necessario per l'esecuzione delle loro prestazioni
tecniche nel luogo in cui si trovano tali clienti. Quanto al secondo, secondo il
quale il lavoratore deve essere a disposizione del datore di lavoro durante tale
periodo, ha rilevato che i lavoratori durante i tragitti sono sottoposti alle
istruzioni del loro datore di lavoro, che può cambiare l'ordine dei clienti
oppure annullare o aggiungere un appuntamento, sicchè essi non hanno la
possibilità di disporre liberamente del loro tempo e di dedicarsi ai loro
interessi. Quanto al terzo, secondo il quale nel periodo preso in
considerazione il dipendente dev'essere al lavoro, ha rilevato che gli
spostamenti sono intrinseci alla qualità di lavoratore che non ha un luogo di
lavoro fisso od abituale.
La soluzione adottata dalla Corte UE conferma quindi l'impostazione assunta
da questa Corte anche in relazione alla fattispecie in esame, secondo la quale,
riassuntivamente, occorre distinguere nel rapporto di lavoro tra la fase finale,
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che è direttamente assoggettata al potere di conformazione del datore di
lavoro, che ne disciplina il tempo, il luogo e il modo e che rientra nell'orario di
lavoro, ed una fase preparatoria, relativa a prestazioni od attività accessorie e
strumentali, da eseguire nell'ambito della disciplina d'impresa (art. 2104 c.c.,
comma 2) ed autonomamente esigibili dal datore di lavoro, ma rimesse alla
determinazione del prestatore nell'ambito della libertà di disporre del proprio
tempo, che non costituisce orario di lavoro.
Tale impostazione richiede un'ulteriore precisazione, necessaria al fine di
valutare la fattispecie oggetto di causa.
L'eterodeterminazione del tempo e del luogo ove indossare la divisa o gli
indumenti necessari per la prestazione lavorativa, che fa rientrare il tempo
necessario per la vestizione e svestizione nell'ambito del tempo di lavoro, può
derivare dall'esplicita disciplina d'impresa, o risultare implicitamente dalla
natura degli indumenti da indossare o dalla specifica funzione che essi devono
assolvere nello svolgimento della prestazione. Possono quindi determinare un
obbligo di indossare la divisa sul luogo di lavoro ragioni d'igiene imposte
dalla prestazione da svolgere ed anche la qualità degli indumenti, quando essi
siano diversi da quelli utilizzati o utilizzabili nell'abbigliamento secondo un
criterio di normalità sociale, sicchè non si possa ragionevolmente ipotizzare
che siano indossati al di fuori del luogo di lavoro”.
Alla luce dei principi che precedono, si osserva, da un lato, che è
emerso pacificamente in causa l'obbligo di indossare la divisa
direttamente sul posto di lavoro e persino (con la sola esclusione della
necessità di lavarla periodicamente) di custodirla in loco, in apposito
stipo, diverso da quello ove collocare gli abiti personali.
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Sotto altro profilo, va osservato che, nel caso concreto, si verte di
componenti di abbigliamento che rappresentano una mera scelta
aziendale.
Le decisioni adottate in merito dal datore di lavoro rientrano
evidentemente nell'ambito del potere direttivo e quindi costituiscono
attività lavorativa da retribuirsi.
Deve infatti ritenersi pacifico che se un lavoratore svolgesse la sua
prestazione senza aver indossato la divisa da lavoro sarebbe esposto al
potere disciplinare della società.
Per altro verso, si rammenta che ai sensi dell'art. 47 del CCVL (“Diritti
e doveri del lavoratore”) è previsto: “Incorre nei provvedimenti di
ammonizione scritta, multa o sospensione il lavoratore che (..) - lettera i) in
altro modo trasgredisca l'osservanza del presente contratto o commetta
qualsiasi mancanza che porti pregiudizio alla disciplina, alla morale,
all'igiene e alla sicurezza dell'appalto”.
Tale disposizione, invero, presente in tutti i contratti collettivi,
ribadisce l'efficacia cogente delle prescrizioni comportamentali, che
non viene meno neanche se il datore di lavoro decide, nell'ipotesi, di
non esercitare l'azione disciplinare.
Quanto alla tempistica necessaria, i 10 minuti stimati in ricorso
appaiono di certo eccessivi con riferimenti ai primi 2 – 3 mesi di
rapporto, quando i dipendenti erano tenuti a indossare un solo camice
abbottonato sul davanti, reputandosi al riguardo sufficienti
complessivi 5 minuti al giorno;la stima di 10 minuti risulta invece
plausibile a seguito dell'introduzione della divisa completa.
Ne consegue che per i mesi di luglio, agosto e settembre 2016,
l'importo indicato nello specchietto riepilogativo a pag. 15 del ricorso,
13
dovrà essere dimezzato, potendo invece restare immutato per i
restanti periodi.
E quindi, ridotte del 50% le somme appostate per i mesi in questione
(euro 17,25:2 = 8,62 per i mesi di luglio e settembre;euro 26,66:2 = 13,33
per agosto), si determina la somma complessiva di euro 263,97
spettante a tale titolo alla ricorrente.
Venendo ora al profilo dell'orario di lavoro, è documentale che la
lettera di assunzione preveda n. 25,5 ore di lavoro settimanali, con
giorni e fasce di operatività da comunicare separatamente.
Si verte quindi di part time al 63,75%.
È pacifico in causa che la ricorrente non abbia sottoscritto clausole
elastiche o flessibili e che la comunicazione dell'orario lavorativo sia
avvenuta informalmente, a voce.
Le deposizioni testimoniali hanno tuttavia consentito di ricostruire
l'orario di lavoro della ricorrente, in questi termini:
teste “… La ricorrente lavorava dal lunedì al venerdì con orario Tes_4
7 – 12.30 il lunedì e 7 – 12 gli altri giorni…”.
Di analogo tenore anche quanto riferito al riguardo dalla teste . Tes_1
Si rammenta che la disciplina del lavoro a tempo parziale vigente alla
data di assunzione del ricorrente è contenuta nel D. Lgs. n. 61/2000
(abrogativo delle previsioni di cui all'art. 5 comma II L. n. 863/1984), e
nell'art. 5 e segg. D. Lgs. n. 81/2015.
Ai sensi di quanto statuito dall'art. 2, comma II del menzionato
decreto del 2000, il contratto di lavoro a tempo parziale deve
contenere indicazione scritta:
- della puntuale indicazione della durata della prestazione lavorativa;
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- della collocazione temporale dell'orario con riferimento al giorno,
alla settimana, al mese e all'anno;
con possibilità di indicazione di eventuali clausole difformi nei limiti
di cui all'art. 3, comma 7, D. Lgs. n. 61/2000 e ss.
Quest'ultima disposizione, nel regolamentare le clausole flessibili ed
elastiche che consentono al datore di lavoro di modificare la
collocazione temporale della prestazione lavorativa e di variarne la
durata, ne subordina l'ammissibilità a condizioni precise,
demandando alla contrattazione collettiva la facoltà di stabilire sia i
limiti all'autonomia delle parti in materia (art. 3, comma 7), sia le
misure e le forme delle specifiche compensazioni da riconoscersi al
prestatore di lavoro in relazione ad esse (art. 7, comma 8).
Successivamente, la materia del contratto a tempo parziale è stata
integrata dall'art. 46 del D. Lgs. n. 276/2003 (e successive modifiche ex
L. n. 247/07, che ha abrogato l'originaria formulazione dell'art. 8,
comma 2, D. Lgs. n. 276/03), intervenuto a rivisitare, parzialmente,
anche la materia delle clausole elastiche: sono state così definite quelle
relative alla variazione in aumento della prestazione lavorativa nel
part time verticale o misto ed affiancate alle clausole flessibili, relative
alla variazione della collocazione temporale. Anche nella vigenza della
suddetta norma era tuttavia ancora richiesto che la disponibilità del
lavoratore dovesse risultare da specifico patto scritto.
A seguito di tali interventi normativi, e così anche a fronte del nuovo e
successivo intervento di cui alla L. n. 183/2011 ripristinatorio della
situazione antecedente l'intervento della L. n. 247/2007, la giurisprudenza
ha continuato in ogni caso ad intendere restrittivamente la necessità della
predeterminazione contrattuale della distribuzione dell'orario, onde
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conciliare l'esigenza del datore di lavoro di sopperire ad una prestazione
limitata con quella del lavoratore alla migliore organizzazione e
programmazione del proprio tempo.
Questo Tribunale ha già avuto modo di affermare la nullità e/o illegittimità
di clausola contrattuale applicata nei contratti individuali con i dipendenti,
che disponeva una distribuzione settimanale dei turni su sei giorni
lavorativi, articolati su tre possibili fasce e comunicati con un preavviso
quindicinale (Trib. Milano 12/9/2008;Trib. Milano 26/10/2005;Trib Milano
27/9/2005;Trib. Milano 16/07/2002;Trib. Milano 13/10/2001).
Più recentemente, con sentenza n. 2801/2018 del Tribunale di Milano, est.
dott.ssa Colosimo è stato statuito: “(…) La mera indicazione di fasce orarie, non
accompagnata da un prestabilito e ab origine determinato programma di turni,
porrebbe il lavoratore alla mercé del potere datoriale di unilaterale determinazione
della collocazione oraria della prestazione lavorativa, in contrasto con le indicazione
fornite dalla Corte costituzionale nella citata pronuncia n. 210/1992, circa la
necessità di garantire una programmazione dei tempi di vita e di lavoro del part
time, quale contrappeso rispetto al ridotto introito economico derivante dal rapporto
di lavoro a tempo parziale (…)”.
L'attuale normativa non ha considerato sufficiente che il contratto specifichi
il numero di ore di lavoro alla settimana intendendo invece stabilire che, se
le parti si accordano per un orario inferiore a quello ordinario, di tale orario
deve essere indispensabilmente determinata anche la collocazione.
Nel caso concreto, l'orario di lavoro mai è stato determinato: nel contratto
vengono solamente indicate le ore di lavoro settimanali (25,5).
Null'altro.
16
Inoltre, non sono state sottoscritte clausole elastiche e/o flessibili che, in
ogni caso, non sarebbero state valide, posto che, ai fini della loro legittimità,
l'esistenza di tali clausole presuppone la predeterminazione dell'orario da
modificare.
È emerso in causa che la ricorrente, in concreto, ha osservato sempre il
medesimo orario di lavoro che, tuttavia, le veniva comunicato solo
verbalmente.
Risulta quindi pacifica la mancata comunicazione scritta dello stesso,
aspetto decisivo ai fini che qui rilevano per l'evidente violazione delle
disposizioni di cui al d. lgs. n. 81/2015.
Quanto alla ripetitività dell'orario, la circostanza non si palesa idonea ad
escludere un pregiudizio per la lavoratrice, comunque costretta a non
disporre liberamente del suo tempo residuo, vuoi per reperire altra attività
lavorativa vuoi per esigenze di vita personale.
Ne consegue che la lavoratrice era tenuta a rimanere a disposizione del
datore di lavoro per tutto il giorno, non sapendo prima quando avrebbe
lavorato.
Accertata l'illegittimità della previsione contrattuale, si rammenta che l'art.
10 comma 2 del D. Lgs. n. 81/2015, in continuità con quanto disponeva l'art.
8, comma 2, del D. Lgs. n. 61/2000 (come sostituito dall'art. 46 comma 1 lett.
r) D. Lgs. n. 276/2003), stabilisce che “Qualora l'omissione riguardi la sola
collocazione temporale dell'orario, il giudice determina le modalità temporali di
svolgimento della prestazione lavorativa a tempo parziale, tenendo conto delle
responsabilità familiari del lavoratore interessato e della sua necessità di
integrazione del reddito mediante lo svolgimento di altra attività lavorativa, nonché
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delle esigenze del datore di lavoro. Per il periodo antecedente alla pronuncia, il
lavoratore ha in entrambi i casi diritto, in aggiunta alla retribuzione dovuta per le
prestazioni effettivamente rese, a un'ulteriore somma a titolo di risarcimento del
danno”.
Giurisprudenza di legittimità e merito hanno avuto modo di affermare che
“ (…) il datore di lavoro che ometta di indicare l'orario lavorativo, non
unilateralmente variabile ai sensi degli artt. 3, comma 7, e 9 del d.lgs. 25 febbraio
2000, è tenuto a corrispondere al lavoratore un ulteriore emolumento, ex art. 8,
comma 2, del d.lgs. n. 61 cit., alla cui liquidazione il giudice può provvedere
equitativamente senza necessità della prova del danno procurato - che deriva
dall'obiettivo disagio subito dal lavoratore dall'unilaterale determinazione del
datore di lavoro delle modalità temporali di svolgimento della prestazione -
trattandosi di misura sanzionatoria” (in questi termini Cass. 4/5/2015 n. 8882,
richiamata da Trib. Milano n. 2064 10/10/2018, est. Dossi, ove in
motivazione si legge: “E' noto che l'applicazione di una sanzione, in ragione del
riscontrato accertamento di una fattispecie concreta corrispondente al modello
astratto, prescinda dalla mancata prova del danno procurato, a differenza di un
addebito a titolo risarcitorio”;cfr. ancora Trib. Torino, sez. lav., 24/8/2017 n. 1360,
est. Mancinelli).
E ancora questo Tribunale, con sent. n. 1192/2019, est. : “In proposito, Tes_6
è, quindi, da evidenziarsi come la norma in parola espliciti l'esistenza di un
“diritto” al risarcimento conseguente alla sola valutazione della illegittimità delle
clausole contrattuali di collocazione temporale della prestazione e alle circostanze
concrete di contesto” (nello stesso senso anche Trib. Milano n. 429/2020 est.
dott. . Org_1
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Concorde al riguardo anche la locale Corte d'Appello che, con recente
sentenza n. 403/2020 ha ribadito che “La tutela prevista dall'art. 8, 2° comma
del D.L. vo n 61/2000, (…) così come quella stabilità dall'art. 10 del D.L. vo
81/2015 (…) è di natura sanzionatoria e perciò prescinde dalla prova del danno
procurato, derivando dall'obiettivo disagio subito dal lavoratore per l'unilaterale
determinazione del datore di lavoro delle modalità temporali di svolgimento della
prestazione”.
In punto di quantum, è pacifico che il risarcimento è stato liquidato dalla
giurisprudenza prevalentemente di merito con riferimento ad una
percentuale variabile dal 10% al 30% della retribuzione erogata in forza
dell'orario contrattuale (Trib. Milano 4/1/2019, est. Colosimo;Trib. Milano
1/6/2018, est. ;Trib. Milano 10/10/2018 n. 2064, est. Dossi;Trib. Per_1
Milano 21/6/2017, est. S;Trib. Milano Trib. Milano 27/9/2005, Trib.
Milano 28/01/2004;Trib. Milano 13/10/2001), e da ultimo, (Trib. Milano
5/10/2021, est. Gigli).
Si concorda quindi con la proposta attorea di liquidare il pregiudizio patito
dalla lavoratrice in misura del 25%, come previso dall'art. 6 del D. Lgs. n.
81/2015, in sintonia con le motivazioni e i conteggi rinvenibili a pag. 28 del
ricorso, qui richiamate integralmente.
La ricorrente ha quindi diritto, a tale titolo, alla somma di euro 8.992,37.
Su tale importo, devono essere riconosciuti gli interessi nella misura legale e
la rivalutazione, con decorrenza dalla sentenza e fino al saldo effettivo.
Le spese di lite seguono la soccombenza e vengono liquidate come da
dispositivo.
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