Trib. Messina, decreto 12/03/2025
TRIB Messina
Decreto
12 marzo 2025
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12 marzo 2025
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TRIB Messina
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12 marzo 2025
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12 marzo 2025
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Sul provvedimento
Testo completo
IL TRIBUNALE DI MESSINA SEZIONE SPECIALIZZATA IN MATERIA DI IMMIGRAZIONE
Composto dai sig.ri
Dott. Corrado Bonanzinga Presidente est.
Dott.ssa Simona Monforte Giudice
Dott. Mirko Intravaia Giudice
riunito in camera di consiglio;
esaminati gli atti del procedimento iscritto al N. 4017 del Registro Generale 2024
TRA
AR BA, nato Koulou, ES (Mali) il 18.06.2001, C.F.
[...](CUI 06RCVAE), residente in Messina, via Sacro Cuore di
Gesù c/o il centro “Casa Ahmed”, rappresentato e difeso dall'Avv. Tiziana Arcoraci, nel cui studio, sito in Messina, Via Caldara Polidoro 4, ha eletto domicilio;
RICORRENTE
E
MINISTERO DELL'INTERNO, in persona del Ministro p.t., C.F. 97149560589, domiciliato c/o la COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL
RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE DI
CATANIA, Via L. Sturzo 142, rappresentato e difeso direttamente, ai sensi dell'art. 19, comma 7, d. lgs. n. 150 del 2011, dal proprio funzionario, Viceprefetto Dott.ssa
Maria Salerno;
RESISTENTE
e con l'intervento del Pubblico Ministero
ha emesso il seguente
DECRETO
1
In data 14.03.2024, AR BA, nato a [...], ES (Mali) il
18.06.2001, formalizzava richiesta di asilo presentando l'apposito modulo C3.
In data 18.07.2024 la Commissione Territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale di Catania effettuava la sua audizione.
In particolare, in detta sede, il richiedente asilo dichiarava di essere cittadino maliano;
di essere nato e cresciuto a Koulou, nella regione di ES;
di appartenere all'etnia malinké; di professare la religione musulmana;
di aver frequentato la scuola coranica per tre anni;
di aver lavorato come contadino;
di avere una famiglia d'origine composta dai genitori, da quattro fratelli e da una sorella;
di aver mantenuto i contatti solo con la madre;
di non essere sposato e di non avere figli;
di appartenere all'etnia malinké; di professare la religione musulmana.
Il richiedente asilo, a sostegno della propria richiesta di protezione, esponeva che, un giorno, mentre faceva rientro da lavoro, veniva fermato e costretto a seguire un gruppo di peul, il quale voleva coinvolgerlo nelle proprie attività criminali. Il richiedente riusciva a fuggire, rifugiandosi a Kita per un anno, fino a quando la zona non veniva colpita da un attacco terroristico. Raggiungeva, dunque, Bamakò e, in seguito, l'Algeria e la Tunisia, giungendo, infine, in Italia il 12.09.2023.
In caso di rimpatrio, il richiedente asilo rappresentava il timore di poter essere ucciso.
Con provvedimento ID Vestanet ME0008689, reso nella seduta del 26.07.2024
e notificato il 14.09.2024, la Commissione Territoriale di Catania rigettava la richiesta di riconoscimento della protezione internazionale, ritenendo credibili le dichiarazioni del richiedente in merito alla nazionalità ed alla provenienza, ma non quelle relative ai motivi di espatrio.
L'Autorità amministrativa evidenziava come il ricorrente avesse descritto in maniera generica il modo in cui sarebbe stato reclutato dai peul, non comprendendo per quale motivo il suo villaggio non si fosse ribellato a tale situazione. Ravvisava inoltre che, dalle informazioni reperite sul Paese d'origine, non si evincesse una presenza capillare di peul nella regione di provenienza del richiedente, come da lui sostenuto.
2
La Commissione, pertanto, non riteneva sussistenti i presupposti né per il riconoscimento dello status di rifugiato né per il riconoscimento della protezione sussidiaria di cui all'art. 14, lettera a) e b), del Dlgs. 251/2007. Secondo l'Autorità amministrativa, altresì, dalle fonti consultate per reperire informazioni circa la situazione esistente nel paese di provenienza del ricorrente, non sussistevano le condizioni per riconoscere allo stesso la protezione sussidiaria, per il rischio di subire un danno grave così come definito dall' art. 14 lettera c) del D.lgs. 251/2007, stante la mancanza di elementi utili a ritenere effettivo tale danno. Al contrario, a parere della
Commissione, nel caso in esame, ricorrevano i presupposti di cui all'art. 19, comma
1.1, del Decreto legislativo n. 286/98 e s.m. per la trasmissione degli atti al Questore ai fini del rilascio di un permesso di soggiorno per protezione speciale, ai sensi dell'art. 32, comma 3, del Decreto legislativo 25/2008.
Con ricorso depositato l'08.10.2024, AR BA impugnava il suddetto provvedimento, chiedendo il riconoscimento della protezione sussidiaria e che fosse fissata l'udienza di comparizione delle parti ai sensi dell'art. 35 –bis, comma 11, D.Lgs.
28 gennaio 2008, n. 25.
Instaurato il contraddittorio, con memoria difensiva depositata il 07.01.2025, si costituiva il Ministero dell'Interno – Commissione Territoriale per il Riconoscimento della Protezione Internazionale di Catania, il quale si riportava alle motivazioni dell'atto impugnato e chiedeva il rigetto del ricorso.
Il Pubblico Ministero, cui venivano trasmessi gli atti, esprimeva parere negativo sul riconoscimento di una qualsivoglia forma di protezione.
All'udienza del 14.02.2025 il procuratore del ricorrente rinunciava all'audizione del suo assistito e chiedeva che la causa venisse rimessa al Collegio;
il Giudice designato per la trattazione rimetteva la causa al Collegio per la decisione.
Si deve premettere che, sebbene il ricorrente abbia chiesto il riconoscimento della protezione sussidiaria e non anche dello status di rifugiato e della protezione speciale, è opportuno procedere all'esame completo della normativa. Ciò in quanto la
Suprema Corte ha chiarito che “A prescindere dalla domanda della parte, il giudice è comunque tenuto ad esaminare la possibilità di riconoscere al richiedente asilo
3
ciascuna forma di protezione, ove ne ricorrano i presupposti, qualora i fatti storici addotti a fondamento della stessa risultino ad essa pertinenti, trattandosi di domanda autodeterminata avente ad oggetto diritti fondamentali” (Cassazione civile sez. III -
12/05/2020, n. 8819).
Il nostro ordinamento prevede un sistema pluralistico di misure di protezione internazionale. In particolare, il D.Lgs. n. 251 del 2007 disciplina, in attuazione della direttiva 2004/83/CE, il riconoscimento allo straniero 1) della qualifica di rifugiato, 2) del diritto alla protezione sussidiaria in base ai principi già contenuti nella Convenzione di Ginevra del 28 luglio 1951 (ratificata con legge 24 luglio 1954, n. 722, e modificata dal Protocollo di New York del 31 gennaio 1967, ratificato con legge 14 febbraio 1970,
n. 95), e 3) del diritto al conseguimento della cosiddetta “protezione complementare” ai sensi del D.L. n. 130 del 2020 convertito con la legge n. 173 del 18.12.2020, che ha sostituito la precedente “protezione umanitaria”, già prevista nell'art. 5 sesto comma e
19 primo comma d.lgs. n. 286 del 1998, e che oggi va riconosciuto in presenza di rischi di persecuzione per motivi di discriminazione (rinvio all'art. 19 commi 1 D. Lgs.
286/1998), nel caso in cui lo straniero rischi di essere sottoposto a tortura o a trattamenti inumani o degradanti o vi siano fondati motivi di ritenere che l'allontanamento dal territorio nazionale determini il mancato rispetto degli obblighi costituzionali o internazionali dello Stato italiano (rinvio all'art. 19 comma 1.1 prima parte D. Lgs.
286/1998) o vi siano fondati motivi di ritenere che l'allontanamento comporti una violazione del diritto al rispetto della vita privata e familiare, (rinvio all'art. 19 comma
1.1 seconda parte D. Lgs. 286/1998).
L'art. 2 del citato D.Lgs. 251/2007 definisce alla lettera e) "rifugiato" il "cittadino straniero il quale, per il timore fondato di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o opinione politica, si trova fuori dal territorio del Paese di cui ha la cittadinanza e non può o, a causa di tale timore, non vuole avvalersi della protezione di tale Paese, oppure apolide che si trova fuori dal territorio nel quale aveva precedentemente la dimora abituale per le stesse ragioni succitate e non può o, a causa di siffatto timore, non vuole farvi ritorno, ferme le cause di esclusione di cui all'articolo 10" (lett. e dell'art. 2). Quanto ai
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responsabili della persecuzione (ma ciò vale anche con riferimento al danno grave rilevante ai fini della protezione internazionale), l'art. 5 D. Lgs. 251/207 stabilisce che essi possono essere 1) lo Stato, 2) i partiti o le organizzazioni che controllano lo Stato
o una parte consistente del suo territorio, 3) soggetti non statuali se lo Stato o gli altri soggetti che controllano il territorio, comprese le organizzazioni internazionali, non possono o non vogliono fornire protezione effettiva e non temporanea. Ciò significa che quando l'agente della “persecuzione” sia un privato non è sufficiente che la vittima percepisca di trovarsi in una situazione di pericolo, ma occorre che l'istante dimostri che le autorità locali non possano o non vogliano fornire adeguata protezione.
Lo status di rifugiato si configura, pertanto, in presenza di due presupposti, quello della natura ideologica della persecuzione attuata o minacciata e quello della rottura del legame sociale tra lo Stato di origine ed il suo cittadino.
La peculiare natura della persecuzione si coglie, in particolare, attraverso il riferimento all'appartenenza ad un “particolare gruppo sociale”, fattispecie che in qualche modo racchiude in sé tutte le altre, poiché con tale espressione si vuole fare riferimento all'insieme dei soggetti che condividono una caratteristica innata, una storia comune che non può essere mutata, una caratteristica o una fede che è così fondamentale per l'identità o la coscienza che una persona non dovrebbe essere costretta a rinunciarvi. Secondo il consolidato orientamento giurisprudenziale, la generica gravità della situazione politico economica del paese di origine del richiedente così come la mancanza delle libertà democratiche non sono, invece, di per sé sufficienti a costituire presupposto per il riconoscimento dello status di rifugiato, essendo necessario
Composto dai sig.ri
Dott. Corrado Bonanzinga Presidente est.
Dott.ssa Simona Monforte Giudice
Dott. Mirko Intravaia Giudice
riunito in camera di consiglio;
esaminati gli atti del procedimento iscritto al N. 4017 del Registro Generale 2024
TRA
AR BA, nato Koulou, ES (Mali) il 18.06.2001, C.F.
[...](CUI 06RCVAE), residente in Messina, via Sacro Cuore di
Gesù c/o il centro “Casa Ahmed”, rappresentato e difeso dall'Avv. Tiziana Arcoraci, nel cui studio, sito in Messina, Via Caldara Polidoro 4, ha eletto domicilio;
RICORRENTE
E
MINISTERO DELL'INTERNO, in persona del Ministro p.t., C.F. 97149560589, domiciliato c/o la COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL
RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE DI
CATANIA, Via L. Sturzo 142, rappresentato e difeso direttamente, ai sensi dell'art. 19, comma 7, d. lgs. n. 150 del 2011, dal proprio funzionario, Viceprefetto Dott.ssa
Maria Salerno;
RESISTENTE
e con l'intervento del Pubblico Ministero
ha emesso il seguente
DECRETO
1
In data 14.03.2024, AR BA, nato a [...], ES (Mali) il
18.06.2001, formalizzava richiesta di asilo presentando l'apposito modulo C3.
In data 18.07.2024 la Commissione Territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale di Catania effettuava la sua audizione.
In particolare, in detta sede, il richiedente asilo dichiarava di essere cittadino maliano;
di essere nato e cresciuto a Koulou, nella regione di ES;
di appartenere all'etnia malinké; di professare la religione musulmana;
di aver frequentato la scuola coranica per tre anni;
di aver lavorato come contadino;
di avere una famiglia d'origine composta dai genitori, da quattro fratelli e da una sorella;
di aver mantenuto i contatti solo con la madre;
di non essere sposato e di non avere figli;
di appartenere all'etnia malinké; di professare la religione musulmana.
Il richiedente asilo, a sostegno della propria richiesta di protezione, esponeva che, un giorno, mentre faceva rientro da lavoro, veniva fermato e costretto a seguire un gruppo di peul, il quale voleva coinvolgerlo nelle proprie attività criminali. Il richiedente riusciva a fuggire, rifugiandosi a Kita per un anno, fino a quando la zona non veniva colpita da un attacco terroristico. Raggiungeva, dunque, Bamakò e, in seguito, l'Algeria e la Tunisia, giungendo, infine, in Italia il 12.09.2023.
In caso di rimpatrio, il richiedente asilo rappresentava il timore di poter essere ucciso.
Con provvedimento ID Vestanet ME0008689, reso nella seduta del 26.07.2024
e notificato il 14.09.2024, la Commissione Territoriale di Catania rigettava la richiesta di riconoscimento della protezione internazionale, ritenendo credibili le dichiarazioni del richiedente in merito alla nazionalità ed alla provenienza, ma non quelle relative ai motivi di espatrio.
L'Autorità amministrativa evidenziava come il ricorrente avesse descritto in maniera generica il modo in cui sarebbe stato reclutato dai peul, non comprendendo per quale motivo il suo villaggio non si fosse ribellato a tale situazione. Ravvisava inoltre che, dalle informazioni reperite sul Paese d'origine, non si evincesse una presenza capillare di peul nella regione di provenienza del richiedente, come da lui sostenuto.
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La Commissione, pertanto, non riteneva sussistenti i presupposti né per il riconoscimento dello status di rifugiato né per il riconoscimento della protezione sussidiaria di cui all'art. 14, lettera a) e b), del Dlgs. 251/2007. Secondo l'Autorità amministrativa, altresì, dalle fonti consultate per reperire informazioni circa la situazione esistente nel paese di provenienza del ricorrente, non sussistevano le condizioni per riconoscere allo stesso la protezione sussidiaria, per il rischio di subire un danno grave così come definito dall' art. 14 lettera c) del D.lgs. 251/2007, stante la mancanza di elementi utili a ritenere effettivo tale danno. Al contrario, a parere della
Commissione, nel caso in esame, ricorrevano i presupposti di cui all'art. 19, comma
1.1, del Decreto legislativo n. 286/98 e s.m. per la trasmissione degli atti al Questore ai fini del rilascio di un permesso di soggiorno per protezione speciale, ai sensi dell'art. 32, comma 3, del Decreto legislativo 25/2008.
Con ricorso depositato l'08.10.2024, AR BA impugnava il suddetto provvedimento, chiedendo il riconoscimento della protezione sussidiaria e che fosse fissata l'udienza di comparizione delle parti ai sensi dell'art. 35 –bis, comma 11, D.Lgs.
28 gennaio 2008, n. 25.
Instaurato il contraddittorio, con memoria difensiva depositata il 07.01.2025, si costituiva il Ministero dell'Interno – Commissione Territoriale per il Riconoscimento della Protezione Internazionale di Catania, il quale si riportava alle motivazioni dell'atto impugnato e chiedeva il rigetto del ricorso.
Il Pubblico Ministero, cui venivano trasmessi gli atti, esprimeva parere negativo sul riconoscimento di una qualsivoglia forma di protezione.
All'udienza del 14.02.2025 il procuratore del ricorrente rinunciava all'audizione del suo assistito e chiedeva che la causa venisse rimessa al Collegio;
il Giudice designato per la trattazione rimetteva la causa al Collegio per la decisione.
Si deve premettere che, sebbene il ricorrente abbia chiesto il riconoscimento della protezione sussidiaria e non anche dello status di rifugiato e della protezione speciale, è opportuno procedere all'esame completo della normativa. Ciò in quanto la
Suprema Corte ha chiarito che “A prescindere dalla domanda della parte, il giudice è comunque tenuto ad esaminare la possibilità di riconoscere al richiedente asilo
3
ciascuna forma di protezione, ove ne ricorrano i presupposti, qualora i fatti storici addotti a fondamento della stessa risultino ad essa pertinenti, trattandosi di domanda autodeterminata avente ad oggetto diritti fondamentali” (Cassazione civile sez. III -
12/05/2020, n. 8819).
Il nostro ordinamento prevede un sistema pluralistico di misure di protezione internazionale. In particolare, il D.Lgs. n. 251 del 2007 disciplina, in attuazione della direttiva 2004/83/CE, il riconoscimento allo straniero 1) della qualifica di rifugiato, 2) del diritto alla protezione sussidiaria in base ai principi già contenuti nella Convenzione di Ginevra del 28 luglio 1951 (ratificata con legge 24 luglio 1954, n. 722, e modificata dal Protocollo di New York del 31 gennaio 1967, ratificato con legge 14 febbraio 1970,
n. 95), e 3) del diritto al conseguimento della cosiddetta “protezione complementare” ai sensi del D.L. n. 130 del 2020 convertito con la legge n. 173 del 18.12.2020, che ha sostituito la precedente “protezione umanitaria”, già prevista nell'art. 5 sesto comma e
19 primo comma d.lgs. n. 286 del 1998, e che oggi va riconosciuto in presenza di rischi di persecuzione per motivi di discriminazione (rinvio all'art. 19 commi 1 D. Lgs.
286/1998), nel caso in cui lo straniero rischi di essere sottoposto a tortura o a trattamenti inumani o degradanti o vi siano fondati motivi di ritenere che l'allontanamento dal territorio nazionale determini il mancato rispetto degli obblighi costituzionali o internazionali dello Stato italiano (rinvio all'art. 19 comma 1.1 prima parte D. Lgs.
286/1998) o vi siano fondati motivi di ritenere che l'allontanamento comporti una violazione del diritto al rispetto della vita privata e familiare, (rinvio all'art. 19 comma
1.1 seconda parte D. Lgs. 286/1998).
L'art. 2 del citato D.Lgs. 251/2007 definisce alla lettera e) "rifugiato" il "cittadino straniero il quale, per il timore fondato di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o opinione politica, si trova fuori dal territorio del Paese di cui ha la cittadinanza e non può o, a causa di tale timore, non vuole avvalersi della protezione di tale Paese, oppure apolide che si trova fuori dal territorio nel quale aveva precedentemente la dimora abituale per le stesse ragioni succitate e non può o, a causa di siffatto timore, non vuole farvi ritorno, ferme le cause di esclusione di cui all'articolo 10" (lett. e dell'art. 2). Quanto ai
4
responsabili della persecuzione (ma ciò vale anche con riferimento al danno grave rilevante ai fini della protezione internazionale), l'art. 5 D. Lgs. 251/207 stabilisce che essi possono essere 1) lo Stato, 2) i partiti o le organizzazioni che controllano lo Stato
o una parte consistente del suo territorio, 3) soggetti non statuali se lo Stato o gli altri soggetti che controllano il territorio, comprese le organizzazioni internazionali, non possono o non vogliono fornire protezione effettiva e non temporanea. Ciò significa che quando l'agente della “persecuzione” sia un privato non è sufficiente che la vittima percepisca di trovarsi in una situazione di pericolo, ma occorre che l'istante dimostri che le autorità locali non possano o non vogliano fornire adeguata protezione.
Lo status di rifugiato si configura, pertanto, in presenza di due presupposti, quello della natura ideologica della persecuzione attuata o minacciata e quello della rottura del legame sociale tra lo Stato di origine ed il suo cittadino.
La peculiare natura della persecuzione si coglie, in particolare, attraverso il riferimento all'appartenenza ad un “particolare gruppo sociale”, fattispecie che in qualche modo racchiude in sé tutte le altre, poiché con tale espressione si vuole fare riferimento all'insieme dei soggetti che condividono una caratteristica innata, una storia comune che non può essere mutata, una caratteristica o una fede che è così fondamentale per l'identità o la coscienza che una persona non dovrebbe essere costretta a rinunciarvi. Secondo il consolidato orientamento giurisprudenziale, la generica gravità della situazione politico economica del paese di origine del richiedente così come la mancanza delle libertà democratiche non sono, invece, di per sé sufficienti a costituire presupposto per il riconoscimento dello status di rifugiato, essendo necessario
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