Trib. Benevento, sentenza 14/11/2024, n. 1154
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Testo completo
R E P U B B L I C A I T A L I A N A IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Tribunale Ordinario di Benevento
Il Giudice designato, dottoressa M C nella causa iscritta al n. 4858/2021R. G. Aff. Cont. Lavoro
TRA
, elettivamente domiciliata in VIA BAGNI 82030 SAN Parte_1
SALVATORE TELESINO, presso lo studio dell'avv. F S, che la rappresenta e difende in virtù di procura a margine del ricorso;
- parte ricorrente -
C O N T R O elettivamente domiciliato presso via Matti Angelo Forgione 12 CP_1
81100 Caserta, rappresentato e difeso dall'avv. T S, dall'avv.
F D M e dall'avv. D G, giusta delega in atti;
- parte resistente - all'esito della trattazione scritta del 14/11/2024 la causa veniva decisa, ai sensi dell'art. 127 ter c.p.c., introdotto dall'art. 3, comma 10, d.lgs. n. 149 del 10 ottobre 2022, mediante pubblicazione della sentenza completa delle ragioni di fatto e di diritto della decisione.
FATTO E DIRITTO
Con ricorso depositato in data 30.11.21 e ritualmente notificato, il ricorrente in epigrafe ha esposto:
- Di essere stato dipendente della oggi cessata, p. Iva CP_2
con sede a Mariglianella (NA) in via Palermo n°1, dallo P.IVA_1
01/01/2010 al 30/09/2016;
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- Che successivamente è stato dipendente della dal giorno CP_1
1/10/2016 al 21/12/2018;
- Che la in seguito a fusione per incorporazione è confluita CP_2
nella che ne ha assorbito, con continuità, le attività (v. Visura CP_1
camerale);
- Che è stato contrattualizzato con la qualifica di commesso specializzato, livello B3 CCNL Terziario-Confcommercio;
- che la prestazione lavorativa, inizialmente iniziata presso il punto vendita
“Eurospin” di Alife (CE), si è svolta successivamente presso il punto vendita di
San Salvatore Telesino (BN) con la medesima insegna;
- che per quanto riguarda il periodo alle dipendenze di dalla CP_2
buste paga consegnate al lavoratore, risultano lavorate sempre 168 ore mensili;
- che anche per quanto riguarda il periodo alle dipendenze di le CP_1
ore lavorate ufficialmente risultano sempre 168 mensili;
- che in realtà ha sempre lavorato dalle 06.00 del mattino alle 20,30 della sera con brevissime pause pranzo dal lunedì al sabato;
- che la domenica ha sempre lavorato dalle 06,00 alle 13,00;
sempre senza giorno di riposo;
inoltre capitava almeno una volta al mese che si svolgessero le operazioni di inventario del' intera merce presente nel punto vendita. In tali occasioni l'attività lavorativa pomeridiana non veniva espletata ma l'orario era dalle ore 20.00 sino alle 4/ 5 del mattino;
- che le ore in più lavorate (straordinario), anche quelle domenicali (lavoro festivo), rispetto a quelle indicate in busta paga, non gli sono mai state retribuite così come il relativo TFR.
Tanto premesso ha chiesto di “Accertare e dichiarare fondato in fatto ed in diritto il presente ricorso per le ragioni di cui in narrativa ed istruttoria. 2)
Condannare la convenuta p. Iva in p.l.r.p.t., al CP_1 P.IVA_2
pagamento, in favore dell'istante e per le causali espresse in Parte_1
2 ricorso, della somma di € 118.451,05 a titolo di retribuzione e TFR non versato, oltre rivalutazione, interessi e contributi dovuti per legge, ovvero della diversa somma che riterrà dovuta;
3) Determinare, inoltre, a norma dell'art. 429, terzo comma c.p.c., su tutte le somme che risulteranno dovute all'istante, oltre gli interessi nella misura legale, il maggior danno subito dallo stesso per la diminuzione di valore del suo credito condannando la società convenuta al pagamento in suo favore delle relative somme. 1) Con vittoria di spese, compensi ed accessori di legge da attribuirsi al sottoscritto Avvocato anticipatario”.
Parte resistente si è costituita tempestivamente in giudizio eccependo
l'inammissibilità del ricorso avversario, per carenza degli elementi di fatto e diritto, assumendo che tra le parti era intervenuta una conciliazione come da verbale prodotto, producendo buste paga e ricevute contabili sottoscritte dal ricorrente, assumendo l'erroneità dei calcoli dei conteggi allegati al ricorso poichè non corretti nella quantificazione del dovuto ed elaborati senza tener conto che il contratto collettivo applicato era diverso ed in via preliminare la nullità del ricorso per mancata allegazione dei conteggi.
Preliminarmente deve essere valutata l'eccezione di nullità del ricorso introduttivo.
Sul punto è noto quanto all'eccezione di nullità del ricorso per violazione dell'art.414 n.4 c.p.c, che per la validità del ricorso è necessario e sufficiente che dall'esame complessivo dello stesso emergano gli elementi di fatto e di diritto su cui si fonda la domanda e ciò indipendentemente dall'indicazione di tali elementi in modo formale. Difatti nel rito del lavoro per aversi la nullita' del ricorso introduttivo del giudizio e' necessario che siano del tutto omessi, oppure risultino assolutamente incerti, sulla base dell'esame complessivo dell'atto, il
"petitum" sotto il profilo sostanziale e procedurale (bene della vita richiesto e provvedimento giudiziale) nonche' le ragioni poste a fondamento della domanda.
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La suddetta nullita' deve essere pertanto esclusa, nell'ipotesi in cui la domanda abbia per oggetto spettanze retributive, allorche' l'attore abbia indicato il periodo di attivita' lavorativa, l'orario di lavoro, l'inquadramento ricevuto, ed abbia altresi' specificato la somma complessivamente pretesa ed i titoli in base ai quali vengono richieste le varie spettanze (rimanendo irrilevante la mancata notifica dei conteggi analitici), atteso che in tali ipotesi il convenuto
e' posto in condizione di formulare immediatamente ed esaurientemente le proprie difese.
In ogni caso nella fattispecie in esame i conteggi sono inseriti nel corpo del ricorso.
Da ciò consegue il rigetto della relativa eccezione.
La società resistente ha preliminarmente eccepito altresì l'inammissibilità del ricorso per intervenuta rinuncia a seguito di verbale di conciliazione stipulato in sede sindacale in data 6.10.2015 presso la sede della società convenuta.
Pertanto, in ordine logico e cronologico va vagliata la fondatezza di tale eccezione.
E' opportuno premettere che il primo comma dell'art. 2113 c.c. (nel testo introdotto dall'art. 6 legge n. 533/1973) sancisce la invalidità delle rinunzie e delle transazioni aventi ad oggetto diritti del lavoratore derivanti da disposizioni inderogabili di legge e dei contratti collettivi;
il secondo comma onera il lavoratore della impugnativa (con qualsiasi atto scritto, anche stragiudiziale, ai sensi del successivo comma terzo) delle predette rinunzie e transazioni, stabilendo un termine decadenziale di sei mesi dalla data di cessazione del rapporto o dalla data della rinunzia o transazione se successiva alla cessazione stessa.
La mancata impugnazione della rinunzia o transazione, entro il termine stabilito a pena di decadenza, ne determina la inoppugnabilità, con la conseguenza che
l'ordinamento consente una forma indiretta di disposizione dei propri diritti da
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parte del lavoratore (ritenuta costituzionalmente legittima da Corte Cost. n. 77 del 1974);
viene pertanto in rilievo un regime di indisponibilità relativa dei diritti del lavoratore derivanti da disposizioni inderogabili di legge e dei contratti collettivi, attesa l'acquisizione di definitiva validità dell'atto di rinunzia o della transazione conseguente alla mancata impugnativa nel termine decadenziale.
La previsione di un onere di impugnativa nel termine decadenziale, inoltre, induce a qualificare in termini di annullabilità ex artt. 1425 e ss c.c. (e non di nullità ex artt. 1418 e ss. c.c.) la invalidità sancita dalla norma in esame, con conseguente irrilevabilità ex officio, prescrizione estintiva quinquennale della relativa azione (una volta impedita la decadenza) e natura costitutiva della sentenza.
A tale peculiare regime sono espressamente sottratte le conciliazioni raggiunte in sede giudiziale, sindacale ed amministrativa che il legislatore esclude dalla comminatoria di invalidità (art. 2113 u.c. c.c.).
L'articolo 2113, comma 4, cod. civ., riconosce infatti piena validità alle conciliazioni delle controversie in materia di lavoro (solamente però) se intervenute ai sensi delle seguenti disposizioni di legge:
- articolo 185 c.p.c. (anche se sarebbe stato più corretto citare l'articolo 420
c.p.c.): cioè in sede giudiziale. Nel corso della prima udienza, infatti, il giudice del lavoro esplica il tentativo di conciliazione della lite, ferma restando in ogni caso la facoltà delle parti di conciliare la controversia davanti al predetto giudice in qualsiasi momento del processo. Laddove venga raggiunto l'accordo, viene formato il relativo verbale che ha efficacia di titolo esecutivo.
- articolo 410 c.p.c.: in sede amministrativa. Più specificatamente nell'ambito della procedura incardinata presso le Direzioni territoriali del lavoro (oggi
), che negli anni passati hanno assolto a una copiosa attività CP_3
conciliativa (a dire il vero il più delle volte attraverso un accordo redatto dalle
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parti al di fuori della commissione e portato in sede conciliativa al solo fine di ratificarlo), che, dopo le modifiche apportate dalla L. 183/2010 (Collegato lavoro), ricalca in parte le regole del processo, atteso che si prevede: una memoria costitutiva con esposizione dei fatti, una memoria difensiva, eventuali domande riconvenzionali, etc.
- articolo 411 c.p.c.: in sede sindacale;
- articoli 412-ter e 412-quater c.p.c., che prevedono ulteriori ipotesi di conciliazione (oltre che di arbitrato). In particolare l'articolo 412-ter, nel disporre
“La conciliazione e l'arbitrato, nelle materie di cui all'articolo 409, possono essere svolti altresì presso le sedi e con le modalità previste dai contratti collettivi sottoscritti dalle associazioni sindacali maggiormente rappresentative”, esprime un chiaro rinvio alle OO.SS. leader (ancorché si chieda la maggiore rappresentatività tout court e non quella a livello comparato).
Dalla disamina delle sedi pacificamente preposte alla sottoscrizione dei verbali di conciliazione, possiamo