Trib. Bari, sentenza 29/11/2024, n. 4710

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Sul provvedimento

Citazione :
Trib. Bari, sentenza 29/11/2024, n. 4710
Giurisdizione : Trib. Bari
Numero : 4710
Data del deposito : 29 novembre 2024

Testo completo

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Tribunale di Bari
Sezione Lavoro
Il Tribunale, nella persona del giudice designato Dott.ssa A A
Alla udienza del 29/11/2024 ha pronunciato la seguente
SENTENZA nella causa lavoro di I grado iscritta al N. 1983/2023 R.G. promossa da:
rapp. e dif. dagli avv.ti FRANCESCO TEDESCHI e TAMARA Parte_1
NATILLA;

RICORRENTE contro
rapp. e dif. dagli Controparte_1 avv.ti ANGELO MAROZZI e GIOVANNI RONCONI;

RESISTENTE
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con ricorso depositato in data 16/02/2023, il ricorrente in epigrafe indicato agiva in giudizio per sentir: “A. Accertare e dichiarare, in applicazione dei principi richiamati in narrativa, il diritto del ricorrente all'inclusione nella retribuzione del periodo di ferie degli emolumenti richiamati in narrativa, per la parte e per i periodi in cui essi sono stati esclusi dall'Azienda dalla base di calcolo di detta retribuzione. Il tutto previo accertamento incidentale dell'inefficacia delle clausole di quegli accordi collettivi, nazionali ed aziendali, nella parte in cui essi abbiano previsto espressamente l'esclusione degli emolumenti da essi disciplinati dalla suddetta base di calcolo;
B.
Conseguentemente, condannare l'Azienda convenuta all'inclusione degli emolumenti illegittimamente omessi dalla base di calcolo della retribuzione feriale del ricorrente, così come istituiti e disciplinati dagli accordi aziendali richiamati in narrativa ed al ricorrente corrisposti in ragione del parametro e delle mansioni a lui assegnate


dall'Azienda. Il tutto oltre agli arretrati da lui maturati per i predetti titoli a titolo di differenze retributive, con interessi e rivalutazione monetaria, come per legge. Con condanna di parte convenuta al pagamento del CU e delle spese e dei compensi professionali del presente giudizio, rimborso forfettario spese generali 15%, C.P.A. e I.V.A.”, con distrazione.
Si costituiva in giudizio la società convenuta domandando il rigetto delle avverse pretese.
All'esito dell'odierna udienza, acquisita la documentazione in atti, la causa veniva decisa nei termini di cui in dispositivo.
La domanda è parzialmente fondata e il ricorso deve essere parzialmente per quanto di ragione.
Preliminarmente, è infondata l'eccezione di prescrizione, trattandosi di rapporto di natura privata per il quale il termine quinquennale di cui all'art. 2948 c.c. inizia a decorrere esclusivamente dalla cessazione dello stesso (sul punto si veda Cass., 06.09.2022, n. 26246). Come ribadito dalla giurisprudenza di merito sul punto, la prescrizione non decorre nel corso del rapporto di lavoro anche nel caso di applicazione dell'art. 18 Statuto dei Lavoratori, come modificato dalla c.d. legge Fornero. Il testo attualmente vigente, a differenza di quello originario, prevede la tutela reintegratoria solo per talune ipotesi di illegittimità del licenziamento
(primo, quarto e settimo comma), mentre per altre fattispecie prevede unicamente una tutela indennitaria (quinto e sesto comma). Ne consegue che, nel corso del rapporto, il prestatore di lavoro si trova in una condizione soggettiva di incertezza circa la tutela (reintegratoria o indennitaria) applicabile nell'ipotesi di licenziamento illegittimo, accertabile solo ex post nell'ipotesi di contestazione giudiziale del recesso datoriale. Le novità introdotte dalla L. n. 92/2012 e dal D.Lgs. n. 23/2015, infatti, hanno comportato per le ipotesi di licenziamento illegittimo il passaggio da un'automatica applicazione della tutela reintegratoria e risarcitoria ad un'applicazione selettiva delle tutele e delle sanzioni applicabili. La tutela reintegratoria, per effetto degli artt. 3 e 4 del D.Lgs. n. 23/2015, ha acquisito ormai un carattere recessivo e residuale tale da determinare, inevitabilmente, un timore del dipendente nei confronti del datore di
lavoro per la sorte del rapporto ove egli intenda far valere un proprio credito nel corso dello stesso. La Corte, a tal ragione, stabilisce pertanto che “il rapporto di lavoro a tempo indeterminato, così come modulato per effetto della L. n. 92/2012 e del D.Lgs. n. 23/2015, mancando dei presupposti di predeterminazione certa delle fattispecie di risoluzione
e di una loro tutela adeguata, non è assistito da un regime di stabilità.
Sicché, per tutti quei diritti che non siano prescritti al momento di entrata in vigore della l. n. 92 del 2012, cioè le differenze retributive successive al 20.7.2007. In buona sostanza, la possibilità di rivendicare le differenze retributive dal 20.7.2007 al 17.7.2012, superando il preliminare ostacolo dell'intervenuta prescrizione.
Dunque, il termine di prescrizione decorre, a norma del combinato disposto degli artt. 2948, n. 4, e 2935 c.c., dalla cessazione del rapporto di lavoro e non in costanza di esso anche per i lavoratori dipendenti da datori di lavoro a cui si applichi l'art. 18 Stat. Lav., come novellato dalla l. n. 92/2012 (cfr. Corte d'Appello di Milano, n. 719 del 2021;
n.
376 del 2019).
Ai sensi del combinato disposto dell'art. 36 Cost., art. 2109, comma 1 e
2, c.c. e art. 10, d.lgs. n. 66 del 2003 il prestatore di lavoro ha diritto al riposo settimanale e ad un periodo annuale di ferie retribuite, al quale non può rinunziare;
analogamente, l'art. 31, n. 2 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea prevede che ogni lavoratore abbia diritto ad una limitazione della durata massima del lavoro ed a periodi di riposo giornalieri e settimanali ed a ferie annuali retribuite, per le quali, ai sensi dell'art. 7 della direttiva n. 88/2003/CE, ogni Stato può attivarsi e assume le misure necessarie affinché possano corrispondere ad almeno quattro settimane all'anno (secondo le condizioni di ottenimento e di concessione previste dalle legislazioni e/o prassi nazionali).
Stante l'indicato contesto normativo, va evidenziato che la giurisprudenza della Corte di Giustizia dell'Unione Europea ha dapprima chiarito che
“l'espressione (di cui all'art. 7 della
Direttiva N. 88/2003/CE n.d.r.), che figura in tale disposizione, significa che, per la durata delle ferie annuali ai sensi della direttiva, la retribuzione va mantenuta. In altre parole, il lavoratore deve percepire la retribuzione ordinaria per tale periodo di riposo" (cfr.
Corte di Giustizia UE sez. i, 16.3.2006, n. 131, conf. Corte Giustizia UE
Grande Sezione, 20.1.2009, n. 350). La Corte di Giustizia (15.09.2011, C-
155/10, Williams c. BA) è nuovamente intervenuta in materia, rimarcando che il diritto alle ferie annuali retribuite deve essere considerato un principio particolarmente importante del diritto sociale comunitario. In tale contesto, come precisato dall'avvocato generale al par. 90 delle conclusioni, si deduce che la retribuzione delle ferie annuali deve essere calcolata, in linea di principio, in modo tale da coincidere con la retribuzione ordinaria del lavoratore;
un'indennità determinata a un livello appena sufficiente ad evitare un serio rischio che il lavoratore non prenda le sue ferie non soddisfa le prescrizioni del diritto dell'Unione. Infatti, tanto la direttiva 2003/88 quanto l'accordo europeo prevedono solamente una tutela minima del diritto alla retribuzione delle lavoratrici e dei lavoratori durante le ferie annuali. Nessuna disposizione del diritto dell'Unione osta a che gli Stati membri, oppure, se del caso, le parti sociali, si spingano oltre la tutela minima del lavoratore, garantita dalla normativa dell'Unione, e prevedano il mantenimento di tutti gli elementi della retribuzione complessiva che gli spettano durante il periodo di lavoro (cfr., sentenza Parviainen, cit., punto 63). O, quando la retribuzione percepita dal lavoratore è composta da diversi elementi (si pensi ad una retribuzione strutturata in un importo fisso annuo e in supplementi variabili correlati alla tipologia ed alla natura di mansioni svolte ed al tempo impiegato per il loro svolgimento), per determinare tale retribuzione ordinaria e, di conseguenza, l'importo cui ha diritto il lavoratore durante le ferie annuali, è necessario svolgere un'analisi specifica. Sebbene la struttura della retribuzione ordinaria di un lavoratore di per sé ricada nelle disposizioni e prassi disciplinate dal diritto degli Stati membri, essa non può incidere sul diritto del lavoratore di godere, nel corso del suo periodo di riposo e di distensione, di condizioni economiche paragonabili
a quelle relative all'esercizio del suo lavoro. Pertanto, qualsiasi incomodo intrinsecamente collegato all'esecuzione delle mansioni che il lavoratore è tenuto ad espletare in forza del suo contratto di lavoro, compensato tramite un importo pecuniario incluso nel calcolo della retribuzione complessiva, deve essere preso in considerazione ai fini dell'ammontare che spetta al lavoratore durante le sue ferie annuali.
Viceversa, gli elementi della retribuzione complessiva diretti esclusivamente a coprire spese occasionali o accessorie, che sopravvengano in occasione dell'espletamento delle mansioni che incombono al lavoratore
(come le spese connesse al tempo che un lavoratore è costretto a trascorrere fuori sede), non devono essere presi in considerazione nel calcolo dell'importo da versare durante le ferie annuali. A questo riguardo, è compito del giudice nazionale valutare il nesso intrinseco tra gli elementi che compongono la retribuzione complessiva e l'espletamento delle mansioni affidate al lavoratore in ossequio al suo contratto di lavoro. Questa valutazione deve essere svolta in funzione di una media su un periodo di riferimento giudicato rappresentativo.
Ciò precisato, occorre aggiungere che, oltre agli elementi precedentemente descritti, anche quelli correlati allo status personale e professionale del lavoratore devono essere mantenuti durante le ferie annuali retribuite
(il caso, sul quale si è pronunciata la Corte di Giustizia dell'Unione
Europea, era quello di una responsabile di cabina in una compagnia aerea assegnata temporaneamente, a causa della gravidanza, ad un posto a terra, alla quale è stato
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