Trib. Milano, sentenza 10/09/2024, n. 3878

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Sul provvedimento

Citazione :
Trib. Milano, sentenza 10/09/2024, n. 3878
Giurisdizione : Trib. Milano
Numero : 3878
Data del deposito : 10 settembre 2024

Testo completo

R.G. n. 7815/2024



REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE DI MILANO
Sezione del lavoro
Il Giudice del lavoro del Tribunale di Milano, L P, nella prosecuzione del verbale di udienza del 10.09.2024;

visto l'art. 429 c.p.c.;

pronunzia la seguente
SENTENZA nella controversia individuale di lavoro
tra
, , , , Parte_1 Parte_2 Parte_3 Parte_4
, , , Parte_5 Parte_6 Parte_7 [...]
, , Parte_8 Parte_9 Parte_10 [...]
, , , Parte_11 Parte_12 Parte_13 [...]
, rappresentati e difesi dagli Avv.ti F A, M. M B, A C, C. Parte_14
D M e G S;

e
“ ”, in persona del legale rappresentante pro-tempore, Controparte_1
rappresentata e difesa dagli Avv.ti R P, G S M e R
F

MOTIVI DELLA DECISIONE
Con ricorso depositato il 21.06.2024 gli istanti indicati in epigrafe hanno convenuto in giudizio la formulando le seguenti conclusioni: “ accertare e dichiarare che il CP_2
superminimo goduto dai ricorrenti e descritto in premessa deve essere qualificato come non assorbibile e, ove occorra, accertare e dichiarare che l'ERS 2017/2018 – Elemento
Retributivo Separato – non incide sulla base di calcolo del Trattamento di Fine Rapporto
e non è comparabile con il superminimo;
per l'effetto, condannare la Società convenuta, in persona del suo legale rappresentante, a pagare ai ricorrenti le somme illegittimamente detratte dal mese di febbraio 2018 sino al mese di maggio 2024, con riserva per i mesi successivi, sia a titolo di superminimo che a titolo di ERS 2017/2018 –
Elemento Retributivo Separato- negli importi di seguito indicati o nei maggiori o minori importi che saranno ritenuti di giustizia: 4.858,50, Controparte_3 [...]
4.858,50, 3.950,00, 4.858,50, Pt_2 Parte_3 Parte_4 [...]
4.858,50, 3.950,00, Parte_5 Parte_6 Parte_7
3.950,00, 5.447,05, 3.950,00, Parte_8 Parte_9
4.858,50, 3.950,00, Parte_10 Parte_11
3.950,00, 5.447,05 e Parte_12 Parte_13 [...]
3.950,00 , con determinazione del danno derivante dalla svalutazione Parte_14
monetaria ex art. 429 c.p.c., dal maturare dei crediti al soddisfo ed interessi sempre con decorrenza dal sorgere dei crediti, da calcolarsi sulle somme rivalutate. Con vittoria di compensi e spese di lite, ivi compreso il contributo unificato, oltre i.v.a. e c.p.a. e spese generali del 15%.
A fondamento della propria pretesa i ricorrenti deducono la non assorbibilità del superminimo individuale, a fronte del mancato esercizio del potere di disporre tale assorbimento da parte del datore di lavoro prima dell'Accordo sindacale del 2017;
la non assorbibilità del superminimo con l'elemento retributivo ERS introdotto con
l'accordo sindacale del 2017, in quanto aventi natura diversa;
la non computabilità dell'ERS da parte della società convenuta nella base di calcolo del TFR con diminuzione di quanto verrà corrisposto a titolo del suddetto istituto e delle altre voci retributive dirette e indirette.
La società resistente, costituendosi in giudizio , ha chiesto il rigetto delle domande.
Le domande sono fondate e meritano di essere accolte.
Questo Giudice condivide alcune delle argomentazioni della sentenza del Tribunale di
Milano n. 2498 del 28.10.2022 che si riportano: “ … Nella causa, infatti, non risulta contestato che i ricorrenti, nell'ambito dei propri accordi individuali con il datore di lavoro, beneficino di superminimi, qualificati negli stessi come “assorbibili”. Proprio per questo, in ragione di tale natura di compenso assorbibile derivante dall'accordo individuale, la convenuta ha argomentato di avere legittimamente provveduto al loro
assorbimento in rapporto agli aumenti contrattuali di cui all'accordo del 23 novembre del
2017. Sennonché, si deve ritenere che la tesi difensiva della resistente non sia accoglibile, dovendosi accertare un uso aziendale a favore dei lavoratori per il non assorbimento dei superminimi.
Per motivare, occorre rammentare che la Suprema Corte ha chiarito che “la reiterazione costante e generalizzata di un comportamento favorevole del datore di lavoro nei confronti dei propri dipendenti che si traduca in trattamento economico o normativo di maggior favore rispetto a quello previsto dai contratti (individuali e collettivi) integra, di per sé, gli estremi dell'uso aziendale, il quale, in ragione della sua appartenenza al novero delle cosiddette fonti sociali - tra le quali vanno considerati sia i contratti collettivi, sia il regolamento d'azienda e che sono definite tali perché, pur non costituendo espressione di funzione pubblica, neppure realizzano meri interessi individuali, in quanto dirette a conseguire un'uniforme disciplina dei rapporti con riferimento alla collettività impersonale dei lavoratori di un'azienda - agisce sul piano dei singoli rapporti individuali allo stesso modo e con la stessa efficacia di un contratto collettivo aziendale. Ne consegue che ove la modifica "in melius" del trattamento dovuto ai lavoratori trovi origine nell'uso aziendale, ad essa non si applica né l'art. 1340 cod. civ. - che postula la volontà, tacita, delle parti di inserire l'uso o di escluderlo- né, in generale, la disciplina civilistica sui contratti - con esclusione, quindi, di un'indagine sulla volontà del datore di lavoro e dei sindacati - né, comunque, l'art. 2077, comma secondo, cod. civ., con la conseguente legittimazione delle fonti collettive (nazionali e aziendali) di disporre una modifica "in peius" del trattamento in tal modo attribuito” (cfr.
Cass. Sentenza n. 8342 del 08/04/2010 Sentenza n. 17481 del 28/07/2009 U, Sentenza
n. 26107 del 13/12/2007 Sentenza n. 10591 del 03/06/2004). Non è contestato, nel caso, in causa che la convenuta non abbia mai provveduto all'assorbimento dei superminimi nell'occasione dei diversi rinnovi contrattuali collettivi e questo per almeno trent'anni. Ora, si deve ritenere che la resistente abbia posto in essere un comportamento oggettivamente e direzionalmente univoco, adottando un trattamento economico o normativo di maggior favore rispetto a quello previsto dai contratti individuali nell'occasione dei rinnovi di contratto collettivo che prevedessero aumenti economici, non provvedendo mai all'assorbimento del superminimo, per così tanto tempo (trenta anni) che, certamente, in tal modo, secondo i menzionati principi, all'interno del contesto della stessa, si è creata una prassi aziendale, fonte di diritti.
Infatti, è da ritenere che un comportamento protratto per così tanti anni abbia creato una prassi di favore per i dipendenti, fonte di diritti nel contesto aziendale per il non
assorbimento del superminimo, poiché una condotta così a lungo protratta (30 anni), senza l'aggiunta di comunicazioni con cui la società si riservasse comunque
l'assorbimento per gli anni successivi, non può non assumere un significato concludente e univoco.
Peraltro, si aggiunga, solo ad abundantiam, che non è solo il mero decorso di un lungo tempo che conferma l'instaurazione del suddetto uso aziendale, ma, per diversi anni
(dal 2008 al 2015), vi sono elementi derivanti dalla stessa condotta della convenuta, che ha rinunciato ad assorbire i superminimi all'epoca dei diversi rinnovi contrattuali, nonostante vi potessero essere situazioni di difficoltà economica. Non risulta, infatti, controverso che il 26 giugno 2008 è stata avviata una procedura di mobilità per 5.000 lavoratori;
il 26 maggio 2009 è stata adottata una procedura di mobilità per 470 lavoratori, tramutata poi in contratto di solidarietà per 1054 dipendenti;
il 4 agosto 2010
è stata attuata una procedura di mobilità per 3.900 lavoratori, tramutata poi in contratto di solidarietà siglato il 21 ottobre 2010 per 1.100 lavoratori, con durata sino al 07 novembre 2012;
il 27 marzo 2013 e stata avviata una procedura di mobilità per 500 lavoratori, tramutata in un contratto di solidarietà per 2.500 lavoratori con durata sino al
14 aprile 2015;
il 27 aprile 2015 viene avviata una procedura di mobilità per 330 lavoratori, tramutata in un contratto di solidarietà per 2.600 lavoratori con durata sino al
03 gennaio 2018 … Per la descrizione dei fenomeni appena riportati, infatti, appare possibile ritenere che la resistente abbia attraversato, dal 2008 al 2015, una situazione di difficoltà che ha comportato diverse procedure di mobilità e contratti di solidarietà, non provvedendo, comunque, in quegli anni, all'assorbimento del superminimo, ad esempio al momento della stipula del CCNL del 2013 … Dunque, il decorso del lungo tempo suddetto e, in aggiunta, il comportamento del datore di lavoro di non scegliere di assorbire i superminimi, nonostante le difficoltà economiche anche presenti, senza comunicare riserve per gli anni successivi, confermano la sussistenza di una condotta aziendale univoca e generalizzata e che si è tradotta in trattamento economico o normativo di maggior favore rispetto alla regola dei contratti individuali della assorbibilità del superminimo e che integra, di per sé, gli estremi dell'uso aziendale.
E' bene precisare che tale prassi aziendale, in ragione della sua appartenenza al novero delle cosiddette “fonti sociali” - tra le quali vanno considerati anche i contratti collettivi e che sono definite tali perché, pur non costituendo espressione di funzione pubblica, neppure realizzano meri interessi individuali, in quanto dirette a conseguire un'uniforme disciplina dei rapporti con riferimento alla collettività impersonale dei
lavoratori di un'azienda - agisce sul piano dei singoli rapporti individuali allo stesso modo e con la stessa efficacia di un contratto collettivo aziendale.
Ne consegue che ove la modifica "in melius" del trattamento dovuto ai lavoratori trovi origine nell'uso aziendale, non rientrandosi in un'ipotesi ex articolo 1340 cc, non viene modificata la pattuizione dell'accordo individuale, che resta intatta nelle sue previsioni, potendo tornare ad operare, laddove venga meno l'efficacia della fonte sociale menzionata. L'uso aziendale, infatti, viene ad operare come fonte intermedia e autonoma, tra il contratto individuale che prevede l'assorbimento del superminimo e
l'accordo collettivo che attribuisce gli aumenti sui minimi contrattuali, assicurando nel caso il diritto dei lavoratori al non assorbimento.
Non modificandosi il contratto individuale, la regola del non assorbimento vale ovviamente, quindi, finché abbia efficacia l'uso aziendale e, nella materia, ha chiarito la
Suprema Corte che “l'uso aziendale costituisce fonte di un obbligo unilaterale, di carattere collettivo, che agisce sul piano dei rapporti individuali con la stessa efficacia di un contratto collettivo, sicché, salvaguardati i diritti quesiti, esso può essere modificato da un successivo accordo anche in senso peggiorativo per i lavoratori (cfr. Cass.
Sentenza n. 3296 del 19/02/2016)”.
Ed allora, una volta qualificato quale uso aziendale la condotta della società, non è certamente sufficiente che la stessa decida di determinarsi in modo differente per vanificarne gli effetti ma, al contrario, risulta necessario un elemento di discontinuità. Di ciò non vi è traccia nel presente giudizio: infatti nell'accordo contrattuale del 2017 non vi
è alcun riferimento al superminimo in questione. Nel testo in questione si afferma solo “ che i trattamenti economici del personale dipendente … vengono adeguati come da tabelle che seguono”. Tali tabelle si riferiscono esclusivamente agli aumenti dei minimi contrattuali. Non vi è alcun elemento nell'accordo del 2017 teso a disciplinare diversamente l'uso aziendale in commento. Inoltre vi è la introduzione dell'elemento retributivo separato. Sul punto occorre sottolineare la non comparabilità tra elemento retributivo separato e superminimo, in particolar modo per non avere il primo a differenza del secondo alcuna incidenza sul trattamento di fine rapporto. Tali elementi portano ad escludere anche in via presuntiva che le parti sociali si siano seriamente poste nella condizione di valutare le conseguenze dell'assorbimento nel superminimo stesso della nuova voce retributiva.
Alcuna rilevanza, inoltre, nel caso in questione, assume l'eccezione della convenuta circa la ammissibilità di una disdetta unilaterale da parte del datore di lavoro, poiché tra
i documenti prodotti non risulta alcuna comunicazione alle organizzazioni sindacali volta ad un recesso da parte della società resistente dalla suddetta fonte sociale. La disdetta unilaterale, certamente ammissibile, dal momento che una fonte giuridica di tal tipo senza limiti temporali alla stessa stregua di un accordo aziendale, non può vincolare a tempo indeterminato le parti, non potrebbe che essere esplicita e diretta nei confronti delle organizzazioni sindacali, anche nell'ambito dei rapporti di buona fede con le stesse, specialmente dopo tanti anni di applicazione costante della regola del non assorbimento del superminimo, con la creazione di un affidamento per il mantenimento della stessa. La necessità che vi sia una manifestazione di recesso esplicita non significa, tuttavia, che la disdetta debba essere espressa con una nota scritta.
Sul punto occorre ricordare ( Cfr. sentenza n. 2600 del 02.02.2018;
Cassazione
3318/95) che in materia di contratti collettivi mancano norme che prevedano la forma scritta e in applicazione del principio generale della libertà della forma (in base al quale le norme che prescrivono forme peculiari per determinati contratti o atti unilaterali sono di stretta interpretazione, ossia insuscettibili di applicazione analogica), un accordo aziendale è valido anche se non stipulato per iscritto. E' stato evidenziato come dal principio della libertà delle forme derivante dall'art. 1325 n. 4 c.c. e da quello che le previsioni che determinati contratti o atti devono essere posti in essere con una forma particolare sono di stretta interpretazione, discende la considerazione che, una volta stabilita la libertà della forma dell'accordo o del contratto collettivo di lavoro, la medesima libertà deve essere ravvisata anche riguardo agli atti che ne siano risolutori, come il mutuo dissenso (art. 1372, comma 1, cod. civ.) o il recesso unilaterale (o disdetta) ex art. 1373, comma 2, cod. civ. Per tali ragioni la società che parla di disdetta unilaterale è onerata ex art. 2697, comma 2, cod. civ. della dimostrazione (in quanto ricopre il ruolo sostanziale di convenuto eccipiente) della esistenza di una effettiva disdetta. Ed allora se per la disdetta di un contratto aziendale non è necessaria la forma scritta allo stesso modo la forma scritta non è obbligatoria per la disdetta di un uso aziendale che è assimilabile giuridicamente ad un accordo collettivo aziendale. Tuttavia non si comprende dalla lettura della memoria di costituzione della convenuta quando sarebbe stata comunicata tale disdetta alle organizzazioni sindacali: peraltro la società resistente non allega né articola sul punto alcuna richiesta di prova orale.
Infine va osservato che, anche qualora si dovesse ragionare diversamente circa
l'esistenza di un uso aziendale, certamente non sarebbe da ritenersi assorbibile
l'emolumento denominato Elemento Retributivo Separato. Infatti, l'assorbimento opera rispetto ai minimi contrattuali e appare che i contraenti collettivi dell'accordo del 23 novembre 2017 abbiano voluto tenere distinta questa voce da questi ultimi, configurandola come una spettanza autonoma. Infatti, da un lato, la sua denominazione di “elemento retributivo separato” viene a chiarire come non possa essere considerato nella normale retribuzione contrattuale da confrontare con quella individuale contenente
i superminimi. Dall'altro, la nota a verbale dello stesso accordo del 23 novembre 2017 stabilisce, come già osservato, che tale importo è escluso dalla base di calcolo del trattamento di fine rapporto ed è stato quantificato considerando in esso anche i riflessi sugli istituti di retribuzione diretta ed indiretta, di origine legale e contrattuale. Pertanto, tale voce non risulta comparabile con quelle ordinarie che non contengono alcuna incidenza degli istituti diretti e indiretti.
Le domande, pertanto sono fondate e meritano di essere accolte così come precisato nel dispositivo.
Le spese di lite, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza della società resistente.
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