Trib. Ragusa, sentenza 07/03/2024, n. 279
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Testo completo
R E P U B B L IC A I T A L I A N A
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE DI RAGUSA
Giudice del Lavoro
SENTENZA
La dott.ssa C M A C, in funzione di Giudice monocratico del lavoro, esaminati gli atti inerenti alla causa di previdenza n. 3390/2018 R.G., promossa da
(rappr. e dif. dall'avv. O. D B) contro (rappr. e Parte_1 CP_1 dif. dall'avv. D. V), avente ad oggetto: differenze retributive;lette le note scritte depositate in sostituzione dell'udienza entro il perentorio termine del 22 febbraio 2024;osserva
espone: che dal gennaio 2011 ha lavorato alle dipendenze Parte_1 dell con contratto di lavoro a tempo Controparte_2 indeterminato part-time di tipo verticale nella misura del 50%, sempre con qualifica di Operatore Tecnico Autista (cat. B del CCNL di settore);che con delibera n. 364 del 17 febbraio 2015 l ha provveduto all'incremento di n.18 ore del contratto CP_2 di lavoro a far data dall'1 marzo 2015 e sino al 30 giugno 2017, successivamente prorogato fino al 28 febbraio 2018 (delibera n.1751 del 22.6.2017);che con delibera
n. 2288 del 21 settembre 2017 l ha disposto, su autorizzazione CP_1 dell'Assessorato regionale, la copertura dei posti vacanti in dotazione organica di operatore tecnico categoria B e, di conseguenza, ha sottoscritto nel mese di novembre
2017 un contratto di lavoro a tempo pieno con il ricorrente con decorrenza dall'1 dicembre 2017;di non avere ricevuto, per il periodo di maggiorazione oraria compreso tra l'1 marzo 2015 e il 30 novembre 2017, la liquidazione delle indennità contrattuali previste (tredicesima mensilità, ferie non godute, premio di risultato e di produttività) per l'effettivo orario di lavoro prestato pari a 36 ore settimanali, essendo state liquidate solo al 50%;chiede, quindi, condannarsi l al pagamento in suo CP_1 favore della somma complessiva di € 4.567,84, a titolo di differenze retributive su tredicesima mensilità, premio di risultato e di produttività e ferie non godute, oltre interessi e rivalutazione monetaria.
L di chiede disattendersi il ricorso, evidenziando di avere CP_1 CP_1 provveduto all'impiego extra-orario del personale già in servizio presso l'Azienda per sopravvenute esigenze di carico lavorativo, avuto riguardo all'impossibilità di effettuare nuove assunzioni;osserva poi che il personale in servizio è stato autorizzato a svolgere le suddette prestazioni in regime di lavoro straordinario, adeguatamente ed interamente retribuito nelle buste paga alla voce “compenso estensione oraria”, i cui importi non possono essere inseriti nella base di calcolo della tredicesima mensilità e del premio di produttività, né danno diritto a ferie aggiuntive, le quali, in ogni caso, non risultano monetizzabili.
Ciò posto, non costituisce oggetto di contestazione il fatto che, a far data dal gennaio 2011, il ricorrente sia stato assunto alle dipendenze dell in virtù di CP_1 contratto di lavoro a tempo indeterminato e parziale, inquadrato nel profilo professionale di Operatore Tecnico Autista, categoria “B”, con orario di lavoro pari a revedeva 18 ore settimanali, con articolazione di tipo verticale, corrispondente alla durata della prestazione lavorativa del 50% di quella a tempo pieno.
In forza di delibera n. 364 del 17 febbraio 2015 l ha dunque disposto CP_1
l'aumento dell'orario di lavoro osservato dal ricorrente “considerato che, non consentendo l'attuale pianta organica una disponibilità di posti vacanti tale da poter raccogliere le richieste di passaggio da parti time a full time né un consolidamento del monte ore lavorativo ai sensi dell'art. 35 CCNL 1998/2001 come sostituito dall'art. 35 CCNL integrativo 2001, appare sicuramente più rispondente alle esigenze aziendali anche di contenimento della spesa, destinare la somma già impegnata […]per il pagamento a decorrere dal 1 marzo 2015 di 18 ore in più a ciascun operatore tecnico autista part-time”.
Ai fini del thema decidendum, assume rilevanza fondamentale la qualificazione del descritto aumento orario di n.18 ore in relazione al periodo dal 1° marzo 2015 al 30 novembre 2017.
Sul punto, alcun rilievo è lecito anzitutto attribuire alla qualificazione operata unilateralmente dall come evincibile dalle comunicazioni indirizzate al CP_1 ricorrente. In particolare, con comunicazione n. del 23 febbraio 2015, Org_1
l ha chiarito che l'aumento dell'orario di lavoro svolto dall'1.3.2015 al CP_1
30.6.2017 “non costituisce trasformazione del rapporto di lavoro da tempo parziale a tempo pieno, ai sensi dell'art. 24 comma 5 del CCNL 1998/2001, non essendovi disponibilità del relativo posto in organico o della frazione di orario corrispondente al completamento del tempo pieno”, mentre con nota del 2 marzo 2015 la medesima azienda ha precisato che l'estensione oraria in questione sarebbe stata erogata quale compenso accessorio assoggettato alla sola contribuzione pensionistica, escludendo
un aumento della percentuale di tempo parziale o la trasformazione del tempo parziale in tempo pieno.
La prospettazione dell sulla qualificazione dell'aumento orario in parola CP_1 come lavoro straordinario va disattesa.
Ed invero, premesso che per lavoro straordinario si intende l'orario di lavoro superiore all'orario normale a tempo pieno (art. 1, co. 2, lett. c) e art. 3 d.lgs. 66/2003, art. 26 CCNL 1999 e art. 5 CCNL 2008), è da ritenere che - per potersi ritenere perfezionata un'ipotesi di lavoro straordinario - il ricorrente avrebbe dovuto superare il limite orario previsto per il contratto full-time (mentre nell'ipotesi considerata l'aumento orario di 18 ore ha comportato la modifica dell'orario lavorativo del ricorrente sino al raggiungimento delle 36 ore settimanali, entro il limite del full time).
L'aumento orario di cui sopra dev'essere allora qualificato come lavoro supplementare, tale essendo l'orario osservato oltre l'orario parziale originariamente concordato tra le parti (art. 6 co. 1 d.lgs. 81/2015), ma entro il limite dell'orario full time (superato il quale si l'attività extra va qualificata come lavoro straordinario: cfr. co. 3).
Più specificamente, trattasi di lavoro supplementare disposto in violazione delle limitazioni di cui all'art. 25 del CCNL sanità 1998-2001 (come modificato dall'art. 35 del CCNL integrativo del 2001), alla cui stregua il lavoratore a tempo parziale verticale (qual era il ricorrente) non può svolgere lavoro supplementare, ma solo lavoro straordinario (combinato disposto dei commi 2 e 4), da intendersi come quello prestato non già oltre il normale orario settimanale, quanto piuttosto oltre l'orario pattuito in relazione alle singole giornate nelle quali si esplica la prestazione a tempo parziale (come del resto espressamente previsto dall'art. 3 co. 5 d.lgs. 61/2000 - richiamato dal CCNL - nel testo vigente sino al 23.10.2003).
Nell'ipotesi in argomento, pertanto, assume rilevanza una particolare nozione di lavoro straordinario, riferita non all'orario settimanale ma all'orario giornaliero che, per la parte prestata entro l'orario normale settimanale, rientra nella nozione di lavoro supplementare ai sensi della citata normativa primaria.
Ai sensi dell'art. 25 co. 5 CCNL, le ore supplementari oltre le limitazioni, e dunque anche quelle prestate dai lavoratori part time verticali in giorni diversi da quelli contrattualmente pattuiti, “sono retribuite con un compenso pari alla retribuzione oraria maggiorata di una percentuale del 50%” (art. 25 co. 5 CCNL). Trattandosi di lavoro supplementare, è dunque evidente come non possano ritenersi integrati i presupposti per il suo c.d. consolidamento, il quale presuppone (tra l'altro) una specifica istanza del lavoratore (co. 6), nel caso esaminato del tutto carente.
Dalla disciplina sopra menzionata si ricava, oltre tutto, che può intendersi quale lavoro supplementare anche quello prestato in via ordinaria per lungo tempo (co. 6) al di fuori dei limiti di cui ai commi 3 e 4 (co. 5), senza tuttavia superare il limite dell'orario normale. Va esclusa, in breve, l'avvenuta instaurazione di un rapporto di lavoro a tempo pieno (e determinato), posto che, diversamente opinando, al datore di lavoro verrebbe offerta la possibilità di operare un sistematico ricorso al lavoro supplementare tramite una vantaggiosa violazione della disciplina contrattuale di cui al co. 2, e ciò al fine di ottenere un risparmio di spesa pari alle maggiorazioni dovute.
Tanto chiarito, quanto alla computabilità del lavoro supplementare svolto ai fini del calcolo della tredicesima mensilità, posta l'evidente rassomiglianza tra l'istituto del lavoro straordinario e quello del lavoro supplementare (entrambi caratterizzati dallo svolgimento di attività lavorativa eccedente l'orario originariamente previsto), è corretto applicare in via analogica il principio giurisprudenziale dettato con riferimento alla remunerazione del lavoro straordinario;principio a mente del quale il compenso per tale lavoro extra può venire in considerazione ai fini del calcolo della tredicesima mensilità soltanto ove ciò risulti espressamente previsto dalla contrattazione collettiva. Di conseguenza, ai fini della determinazione della base di calcolo degli istituti retributivi indiretti (tredicesima mensilità, ferie, festività, ex festività soppresse e permessi retribuiti), non vigendo nell'ordinamento un principio di onnicomprensività, il compenso per lavoro supplementare dev'essere computato, solo in presenza di apposita previsione di legge o contenuta nella disciplina collettiva
(C. 28937/2018 relativa al lavoro straordinario).
Relativamente alla vicenda oggetto di odierna disamina, nessuna disposizione impone di considerare il compenso per lavoro supplementare ai fini del calcolo della tredicesima, in quanto le uniche due disposizioni relative alla determinazione di tale mensilità aggiuntiva si rinvengono nell'art. 30 co. 4 del CCNL 1998/2001 (a tenore del quale “il trattamento economico iniziale e le successive fasce retributive sono erogati per 13 mensilità”) e nella nota all'allegato 5 (il quale prevede che si considera ai fini della tredicesima mensilità l'indennità di qualificazione professionale).
I principi sopra esposti giustificano il rigetto della pretesa attrice avente ad oggetto il pagamento di differenze eventualmente maturate in relazione alla tredicesima mensilità.
Va altresì disattesa la domanda riguardante le somme reclamate a titolo di indennità sostitutiva delle ferie non godute, non sussistendo elementi di giudizio idonei a far ritenere che il dedotto rapporto lavorativo sia stato risolto e che
l'interessato non sia stato in grado di fruire delle ferie maturate per circostanze allo
stesso non addebitabili (laddove la monetizzazione delle ferie presuppone la cessazione del rapporto, con conseguente impossibilità di fruizione futura per causa ascrivibile al datore di lavoro o ad eventi oggettivi non suscettibili di previsione e controllo: cfr. disciplina delineata dall'art. 5, comma 8, d.l. n. 95/2012 convertito in l.
n. 135/2012 nonchè Corte Costituzionale, sent. n. 95/2016).
Analogamente infondata si rivela la pretesa avente ad oggetto la corresponsione del premio di risultato e di produttività, atteso che se – da un lato - il riconoscimento di siffatti compensi presuppone una positiva valutazione del dipendente in relazione al raggiungimento di obiettivi ovvero alla qualità della prestazione resa, va osservato – dall'altro – che l'odierno ricorrente si è limitato ad allegare lo svolgimento diligente della propria attività lavorativa, nulla di specifico deducendo e provando riguardo agli obiettivi assegnati dalla parte datoriale, al raggiungimento degli stessi e alla valutazione positiva (comunque di natura squisitamente discrezionale) effettuata da quest'ultima (cfr., circa l'inesistenza di un vero e proprio diritto soggettivo del dipendente ad ottenere una determinata retribuzione di risultato a prescindere dalla positiva verifica relativa all'attuazione di predeterminati obiettivi, Cass. 12.05.2017,
n.11899;Cass. 21.04.2015, n.8084).
Le considerazioni che precedono giustificano l'integrale rigetto del ricorso.
Stimasi equo compensare le spese di lite, tenuto conto della novità di talune delle questioni esaminate, delle peculiarità della controversia e delle difficoltà interpretative riguardanti la normativa collettiva in rapporto alla disciplina legale.
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