Trib. Roma, sentenza 07/10/2024, n. 9875

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Sul provvedimento

Citazione :
Trib. Roma, sentenza 07/10/2024, n. 9875
Giurisdizione : Trib. Roma
Numero : 9875
Data del deposito : 7 ottobre 2024

Testo completo

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Tribunale di Roma
SEZIONE LAVORO
Il Tribunale, nella persona della Giudice designata D B
All'udienza del 7 ottobre 2024 ha pronunciato la seguente
SENTENZA nella causa lavoro di I Grado iscritta al N. 84 + 85 + 86 + 216 + 217 + 606 + 693 + 694 + 695 + 2206 del 2024 R.G. promossa da:
, , , Parte_1 Parte_2 Parte_3 Parte_4
, , , ,
[...] Parte_5 Parte_6 Parte_7 [...]
, e parti ricorrenti Pt_8 Parte_9 Parte_10
con il patrocinio degli avv.ti P C e L C

contro

:
in persona del Ministro p.t., parte resistente con il patrocinio Controparte_1 dell'Avvocatura Generale dello Stato
OGGETTO: retribuzione detenuti
FATTO E DIRITTO
Con distinti ricorsi, gli istanti adivano il Tribunale di Roma in funzione di GL chiedendo di condannare il al pagamento in favore di ciascuno di loro delle somme come Controparte_1 precisate nei singoli atti introduttivi a titolo a titolo di differenze retributive per l'attività lavorativa prestata quali detenuti presso le Case Circondariali e Case Reclusione e nei periodi come precisati nei singoli ricorsi;
il tutto oltre rivalutazione monetaria e interessi legali dal dovuto al soddisfo e con il favore delle spese di lite, da distrarsi.
Deducevano di aver lavorato nei periodi come specificati in ricorso, svolgendo attività di scopino, portavitto, muratore e imbianchino;
di aver percepito una retribuzione inferiore a quella spettante ai sensi dell'art. 22 l. n. 354/1975;
di essere rimasti creditori della somme come specificate e dettagliate nei conteggi allegati ai singoli ricorsi, a titolo di differenze retributive, mensilità aggiuntive, ferie e tfr.
Svolte considerazioni in diritto, concludevano chiedendo al Gl l'accoglimento della domanda.
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Fissata l'udienza, si costituiva in giudizio il che chiedeva il rigetto della Controparte_1
domanda per intervenuta prescrizione quinquennale delle somme pretese. Altresì contestava i conteggi allegati ai ricorsi perché erronei. Eccepiva infine per alcuni ricorrenti la compensazione dei crediti fatti valere dagli istanti con il controcredito di cui era titolare il a titolo di spese di mantenimento CP_1
in carcere del detenuto.
All'udienza del 7 ottobre 2024 veniva disposta la riunione dei procedimenti stante la connessione oggettiva e parzialmente soggettiva;
indi, previo esame delle note autorizzate, la causa veniva discussa
e decisa con sentenza pronunciata ex art. 429 co. 1° cpc, dando lettura del dispositivo e delle ragioni di fatto e di diritto.
OSSERVA LA GIUDICE che deve essere respinta l'eccezione di prescrizione quinquennale.
In materia di prescrizione dei diritti di credito dei detenuti per il lavoro prestato durante la detenzione presso le carceri, i giudici di legittimità hanno affermato il principio di diritto per cui “il termine di prescrizione dei diritti del lavoratore non decorre durante lo svolgimento del rapporto di lavoro, in sé privo di stabilità, poiché, nei confronti del prestatore, è configurabile una situazione di metus , che, pur non identificandosi necessariamente in un timore di rappresaglie da parte del datore di lavoro, è riconducibile alla circostanza che la configurazione sostanziale e la tutela giurisdizionale dei diritti nascenti dall'attività lavorativa del detenuto possono non coincidere con quelli che contrassegnano il lavoro libero, attesa la necessità di preservare le modalità essenziali di esecuzione della pena e le corrispondenti esigenze organizzative dell'amministrazione penitenziaria. Ne consegue, peraltro, che la sospensione della prescrizione permane solo fino alla cessazione del rapporto di lavoro in quanto, in assenza di specifiche disposizioni, non può estendersi all'intero periodo di detenzione” (ex plurimis
Cass. n. 2696/2015, Cass. n. 27340/2019).
Con le recenti sentenze nn. 17484 e19007del 2024 la Corte di Cassazione ha altresì chiarito che ai fini della decorrenza della prescrizione dei crediti retributivi maturati in regime carcerario “rileva la speciale situazione dei lavoratori carcerari che si trovano in una situazione di attesa della “chiamata al lavoro” rispetto alla quale non hanno alcun potere di controllo o di scelta. Lo stato di soggezione quanto a tale “chiamata al lavoro” ed il connesso “metus” riverbera, poi, i suoi effetti sul percorso di rieducazione sul quale il proficuo svolgimento di attività lavorativa ha certamente una significativa valenza. 14. In questo quadro, non rilevano ai fini della prescrizione le cessazioni intermedie, che, a ben guardare, neppure sono realmente tali configurandosi piuttosto come sospensioni del rapporto di lavoro, se si considera che vi sono una chiamata e un prefissato periodo di lavoro secondo turni e per un tempo limitato, cui seguono altre chiamate in un unico contesto di detenzione. Certamente, una cessazione del rapporto di lavoro vi è con la fine dello stato di detenzione che non dipende dalla
pagina 2 di 8 volontà del recluso o internato il quale non può rifiutarla, al fine di mantenere il rapporto di lavoro
(come affermato da questa Corte nella già citata recente Cass. 5 gennaio 2024, n. 396 la cessazione per fine pena del rapporto di lavoro intramurario svolto alle dipendenze dell'amministrazione penitenziaria dà luogo ad uno stato di disoccupazione involontaria rilevante ai fini della tutela previdenziale della NASPI). Ma prima di questo momento, le peculiari caratteristiche dell'attività lavorativa e la sua funzione rieducativa e di reinserimento sociale che, per tali motivi, prevede la predisposizione di meri elenchi per l'ammissione al lavoro ed è soggetta a turni di rotazione ed avvicendamento, escludono la configurabilità di periodi di lavoro, come quelli dei contratti a termine, volontariamente concordati in un sistema legislativamente disciplinato quanto a causali, oggetto e durata. 15. In ogni caso, è onere dell'amministrazione individuare il momento nel quale il rapporto di lavoro sostanzialmente unico debba considerarsi concluso, qualora ciò sia avvenuto prima della fine dello stato di detenzione ed a tal fine, oltre alla cessazione della detenzione, possono rilevare altre circostanze (come ad es. l'età, lo stato di salute o di idoneità al lavoro etc.) che non possono qui essere esaminate in dettaglio, non venendo in evidenza nel caso di specie. 16. In conclusione, per quanto qui rileva, la decorrenza della prescrizione non va collegata alla data di cessazione dello stato di detenzione (ciò in conformità con i plurimi precedenti di questa Corte sopra ricordati), ma va piuttosto collegata al momento del venir meno del rapporto di lavoro (da ritenersi unico, non essendo configurabili cessazioni intermedie).
Nei casi in scrutinio il resistente nulla ha dedotto in ordine alla conclusione del rapporto di CP_1
lavoro (unico) in momenti precedenti la cessazione dello stato detentivo;
sicchè deve escludersi
l'eccepita intervenuta prescrizione quinquennale.
Quanto ai conteggi allegati al ricorso, il ha genericamente contestato la loro attendibilità per CP_1
essere gli stessi comprensivi di alcune voci non dovute, quali: la quattordicesima mensilità e gli scatti di anzianità, l'indennità per ferie/permessi non godute/i e l'indennità per lo svolgimento di lavoro festivo/straordinario, il compenso raddoppiato per il lavoro festivo.
Si deve a questo punto osservare che l'art. 20 della l. n. 354/1975 stabilisce che il lavoro penitenziario deve essere “remunerato”;
l'art. 22 dispone che a fronte della “quantità e qualità del lavoro effettivamente prestato” ai detenuti è corrisposta una “mercede”. Le mercedi devono essere stabilite oltre che nel rispetto della qualità e quantità del lavoro prestato, anche “in relazione alla organizzazione
e al tipo del lavoro del detenuto”. La norma stabilisce altresì che esse non possono essere stabilite “in misura inferiore ai due terzi del trattamento economico previsto dai contratti collettivi di lavoro”.
La Commissione istituita in forza della normativa richiamata ha determinato le mercedi da corrispondere a ciascuna categoria di lavoranti detenuti, con decorrenza dal 01.04.1076, prevedendo, in
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particolare, che la mercede è costituita da paga base, indennità di contingenza, ratei 13ma e ratei indennità anzianità, che la durata ordinaria del lavoro è fissata in 40 ore settimanali e che nelle giornate festive viene corrisposta una doppia mercede e, infine, che il lavoro straordinario viene remunerato con una maggiorazione oraria del 25% (v. circolare n. 2294/4748 del 09.03.1976 – doc. 12 fasc. ric.). Detta circolare stabiliva altresì che “La Commissione procederà semestralmente alla revisione dei livelli retributivi in relazione alla variazione delle tariffe sindacali…”. Risulta tuttavia pacifico che, successivamente, il non abbia adempiuto all'obbligo di procedere agli Controparte_1
aggiornamenti retributivi utilizzati ai fini del calcolo della mercede dal 1993 al 2017.
La Corte Costituzionale, con sentenza n. 1087 del 30 novembre 1988 ha affermato che anche al lavoro carcerario debbano applicarsi le garanzie di cui all'art. 36 Cost.
Pertanto deve ritenersi fondata la pretesa dei ricorrenti poiché le somme corrisposte per il lavoro svolto risultano inferiore al limite minimo legale.
Quanto al mancato godimento delle ferie, deve osservarsi che in ciascuna busta paga allegata, risulta indicato il numero di ferie maturato nel mese dal lavoratore e la diaria giornaliera. E' quindi sufficiente moltiplicare, come hanno fatto i ricorrenti nei propri conteggi, questi due dati per ottenere la somma spettante, pro rata mensile, detraendo esattamente quanto corrisposto nel mese dall'Amministrazione datoriale.
Dunque, esistendo la prova del fondamento di detti conteggi nelle buste paga, era onere dell'Amministrazione contestarli specificatamente, atteso che nel rito del lavoro il convenuto ha l'onere della specifica contestazione dei conteggi elaborati dall'attore ai sensi dell'art. 416 comma 3 cpc, e tale onere opera anche quando il convenuto contesti in radice la negazione del titolo degli emolumenti pretesi non implica necessariamente l'affermazione dell'erroneità della quantificazione, mentre la contestazione dell'esattezza del calcolo ha una sua funzione autonoma, sia pure subordinata, in relazione alle caratteristiche generali del rito del lavoro, fondato su un sistema di preclusioni diretto a consentire all'attore di conseguire rapidamente la pronuncia riguardo al bene della vita reclamato. Ne consegue che la generica contestazione deve ritenersi inammissibile.
Considerazioni analoghe devono farsi anche per il lavoro festivo e straordinario calcolato nei conteggi dei ricorrenti, atteso che le buste paga allegate indicano le ore lavorate, per ogni mensilità, distinguendole per ore ordinarie, straordinarie e festive.
Come già sopra evidenziato è la stessa circolare n. 2294/4748 del 09.03.1976 che prevede sia che “il lavoro prestato nelle giornate festive verrà corrisposta doppia mercede”, sia che “per ciascuna ora di lavoro effettuato oltre il normale orario verrà corrisposto la mercede oraria maggiorata del 25%”.
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Dunque correttamente i ricorrenti hanno calcolato il doppio della mercede per le giornate festive ricavate dalle buste paga, nonché la maggiorazione del 25% per le ore di lavoro straordinario indicate negli atti di provenienza datoriale. A fronte delle buste paga allegate, del disposto della citata circolare
e dell'assenza di specifiche contestazioni dell'Amministrazione, detti conteggi appaiono scevri da errori contabili.
Circa la 14°ma, la stessa appare dovuta perché prevista dal ccnl Turismo Pubblici Esercizi applicato dall'Amministrazione. Deve al riguardo considerarsi che il d.lgs n. 124 del 2 ottobre 2018 ha stabilito
l'attribuzione delle remunerazioni penitenziarie, collegata direttamente e automaticamente a quella prevista dai ccnl di riferimento, senza alcuna determina dell'apposita commissione, e quindi verosimilmente in via di diretta applicazione. Sicchè non si tratta di determinare una retribuzione secondo il minimo costituzionale di cui all'art. 36 cost., parametrandola ad un ccnl di settore, atteso che
è la parte datoriale che indica il ccnl applicato. In tal senso si era del resto anche espresso il Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali con la nota del 20.02.2005, diretta al DAP e contenente
l'elaborazione delle tabelle per l'aggiornamento delle mercedi da corrispondere ai detenuti lavoranti
(doc. 10 fasc. ric.).
Poiché si tratta di retribuzione di natura legale, il trattamento economico complessivamente da corrispondere al detenuto-lavoratore, non può che corrispondere ai due terzi di “tutto” quanto previsto dai ccnl, ossia comprendendo anche la 14ma. Mette conto richiamare quanto condivisibilmente affermato dalla Corte di Appello di Roma sez lavoro su casi analoghi: “nel lavoro carcerario – a differenza dei comuni rapporti di lavoro in cui il quantum di retribuzione stabilito dal contratto collettivo rappresenta un mero indice presuntivo di retribuzione sufficiente ex art. 36 Cost. – è lo stesso legislatore a prescrivere che la retribuzione fissata dai contratti collettivi debba fungere da minimo assoluto, parametro legale minimo sulla base del quale determinare la mercede da corrispondere a lavoratore detenuto e che, a conforto di tale interpretazione, il nuovo testo dell'art. 22 legge n.
354/1975 (modificato dall'art. 2 comma 1 lett f) d.lgs n. 124 del 2018), dispone che <
remunerazione per ciascuna categoria di detenuti e internati che lavorano alle dipendenze dell'amministrazione è stabilita, in relazione alla quantità e qualità del lavoro prestato, in misura pari ai due terzi del trattamento economico previsto dai contratti collettivi>>, prevedendo, quindi, quale minimo di retribuzione inderogabile stabilito dalla legge per la mercede carceraria, i due terzi del trattamento previsto dalla contrattazione collettiva di riferimento, senza, pertanto, che sia possibile escludere l'applicabilità di voci retributive espressamente previste dal contratto collettivo applicabile al caso concreto”. (cfr. Corte Appello Roma sez lavoro sentenze nn. 409/2021, 1214/2023 e 1783/2023).
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Siffatte considerazioni, unitamente alla assenza di validi conteggi alternativi prodotti dalla parte resistente, impongono di concludere per l'accoglimento integrale della domanda.
Deve infatti osservarsi che i conteggi del Ministero resistente (da ultimo elaborati nelle note autorizzate
e solo per alcune posizioni dei ricorrenti), appaiono scarsamente attendibili perché riportano dati non coerenti con quanto indicato dalle buste paga emesse dalla stessa parte datoriale.
Da ultimo, riguardo al credito vantato dal in compensazione, deve osservarsi come “l'art. CP_1
1243 c.c. stabilisce i presupposti sostanziali e oggettivi del credito opposto in compensazione, ossia la liquidità, inclusiva del requisito della certezza e l'esigibilità. Nella loro ricorrenza, il giudice dichiara
l'estinzione del credito principale per compensazione legale, a decorrere dalla sua coesistenza con il controcredito e, accogliendo la relativa eccezione, rigetta la domanda, mentre, se il credito opposto è certo ma non liquido, perché indeterminato nel suo ammontare, in tutto o in parte, egli può provvedere alla relativa liquidazione, se facile e pronta, e quindi può dichiarare estinto il credito principale per compensazione giudiziale sino alla concorrenza con la parte di controcredito liquido, oppure può sospendere cautelativamente la condanna del debitore fino alla liquidazione del contro credito eccepito in compensazione” (Cass. S.U. n. 23225 del 15.11.2016).
Come noto per altro, indipendentemente dalla questione se il contro credito dell'amministrazione maturato per il mantenimento del detenuto in carcere dia luogo a un caso di compensazione in senso tecnico, ovvero di c.d. compensazione impropria, traendo fonte entrambi i rispettivi crediti dalla detenzione, un credito è suscettibile di compensazione solo ove dotato, anzitutto, del carattere della certezza (cfr. Cass. n. 7474/2017).
Orbene, l'art. 188 c.p. statuisce che “Il condannato è obbligato a rimborsare all'erario dello Stato le spes per il suo mantenimento negli stabilimenti di pena, e risponde di tale obbligazione con tutti i suoi beni mobili e immobili, presenti e futuri, a norma delle leggi civili”. A sua volta l'art. 5 dpr n.
115/2002, T.U. sulle spese di giustizia, elenca tra le spese ripetibili anche quelle di mantenimento dei detenuti, mentre l'art. 227 ter dello stesso testo prevede che il recupero sia effettuato con riscossione mediante ruolo “entro un mese dalla data del passaggio in giudicato della sentenza o dalla data in cui è divenuto definitivo il provvedimento da cui sorge l'obbligo o, per le spese di mantenimento, cessata
l'espiazione in Istituto”. Infine l'art. 6 dello stesso T.U. prevede un'ipotesi di remissione del debito, che il detenuto può invocare se si trova in disagiate condizioni economiche e ha tenuto in istituto una regolare condotta: istanza, questa, che può essere proposta “fino a che non è conclusa la procedura per il recupero, che è sospesa se in corso”.
Dal combinato disposto di tali norme ha ritenuto il giudice di legittimità di dedurre che “fintanto che
l'amministrazione non abbia agito per il recupero e non si sia consumata la facoltà dell'interessato di
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chiedere la remissione, neppure può dirsi che il credito concernente le spese di mantenimento sia effettivamente sussistente” (Cass. n. 20528/2018), da qui l'impossibilità allo stato, di operare la richiesta di compensazione.
Ne consegue la condanna del resistente al versamento in favore dei ricorrenti delle differenze CP_1
retributive come specificate nei singoli atti introduttivi, oltre gli interessi legali.
Su tali somme sussiste infatti il divieto di cumulo di interessi e rivalutazione monetaria, come chiarito dal Giudice di legittimità che ha precisato come “in materia di lavoro dei detenuti, trattandosi di rapporto di lavoro con il , opera il divieto di cumulo tra rivalutazione Controparte_1
monetaria e interessi poiché non ricorre la medesima ratio di cui alla pronuncia di accoglimento della
Corte Costituzionale n. 459/2000 – che ha escluso il divieto per i crediti dei lavoratori privati – ma sussistono ragioni di contenimento della spesa pubblica, che giustificano la differenzziazione della disciplina” (Cass. n. 17869/2019).
In conclusione il resistente deve essere condannato a pagare ai singoli ricorrenti le CP_1
differenze retributive maturate al mese di ottobre 2017, come precisate in dispositivo, oltre rivalutazione monetaria e interessi legali dalla maturazione delle singole posizioni creditorie al saldo.
Ai sensi dell'art. 91 cpc, la resistente deve essere condannata a rifondere ai ricorrenti le spese di lite, liquidate come in dispositivo e quantificate con gli aumenti previsti dall'art. 4 comma 2 dm n. 55/2014 per il numero dei ricorrenti.
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