Trib. Roma, sentenza 27/09/2024, n. 9470
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Testo completo
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE DI ROMA Sez. II^ lavoro
Il Giudice del lavoro, dr. Luca Redavid, ha pronunciato e pubblicato, previa lettura del dispositivo, all'udienza del 27/09/24 la seguente
SENTENZA
nella causa iscritta in materia di previdenza al n° 8316/24 RG e promossa da:
RO IO rappresentato e difeso dall'avv. A. Taglieri in virtù di procura allegata al ricorso introduttivo del giudizio ed elettivamente domiciliato presso lo studio del difensore;
RICORRENTE
Contro
INPS con sede in Roma, in persona del legale rappresentante pro tempore rappresentato e difeso dall'avv. P. Scarlato in virtù di procura generale alle liti per atto notarile ed elettivamente domiciliato presso l'avvocatura metropolitana dell'ente;
RESISTENTE
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso depositato in data 28/02/24, e ritualmente notificato, il ricorrente indicato in epigrafe ha adito il Tribunale di Roma in funzione di Giudice del lavoro ed ha concluso chiedendo:
“NEL MERITO Accertare e dichiarare per i motivi esposti l'illegittimità dell'avviso di addebito in premessa;
Ordinare all'Inps la cancellazione dell'avviso di addebito in premessa. Con condanna alle spese del giudizio Si è costituito in giudizio l'Istituto Nazionale della Previdenza Sociale (INPS) contestando quanto ex adverso dedotto e concludendo ha chiesto:
“ rigettare il ricorso in quanto infondato in fatto ed in diritto confermando l'avviso di addebito opposto con condanna dell'opponente al pagamento dell'importo ivi ingiunto oltre alle somme aggiuntive di legge maturate e maturande sino al saldo. Con vittoria di spese, competenze ed onorari di giudizio.” La causa è stata istruita con documenti ed è stata discussa e decisa all'udienza del 27/09/24 con la lettura del dispositivo e della motivazione in udienza.
MOTIVI DELLA DECISIONE
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Deve essere, innanzitutto, osservato che con l'avviso di addebito impugnato, notificato in data 20/01/24, l'INPS ha intimato il pagamento della somma di euro 29.958,66 a titolo di omesso pagamento dei contributi IVS e sanzioni civili da versare alla gestione commercianti di INPS relativamente al periodo per il periodo dal 01/2016 al 12/2022 (rate 1-2 anno 2022 - rate 2-3-4 anni 2016-2021) mentre con il precedente avviso di addebito n. 397 2022 00308022 49 000, oggetto del giudizio inter partes n. 8780/23 RG dinanzi a questo Tribunale ed indicato in ricorso, è stato richiesto il pagamento della contribuzione dovuta per periodi diverso (rata 1 anno 2021, nonché rata 1 anni 2016-2021);
poiché i crediti fatti valere da INPS riguardano periodi temporali diversi non sussiste alcuna identità dell'oggetto tra i due giudizi e non sussiste alcuna preclusione con riferimento al presente giudizio ( cfr. Cass. n. 660/91 : “La sentenza che ha escluso la sussistenza dell'obbligo contributivo del datore di lavoro con riferimento ad un determinato periodo (nella specie, sentenza affermativa della non assoggettabilità a contribuzione dell'indennità integrativa speciale corrisposta ai dipendenti per periodi anteriori al 1977) non costituisce giudicato preclusivo della pretesa contributiva avanzata dall'ente previdenziale in relazione ad un periodo successivo, essendo il rapporto contributivo cui si riferisce tale pretesa diverso da quello in discussione nel precedente giudizio e non potendo in detta sentenza configurarsi una statuizione esclusiva dell'obbligo contributivo anche per il futuro, ossia con riguardo a rapporti non ancora venuti ad esistenza.” Occorre premettere, inoltre, che con la domanda di accertamento negativo del credito contributivo accertato d'ufficio dall'INPS si instaura un giudizio volto a consentire al giudice un sindacato sulla pretesa sostanziale dell'ente previdenziale e non sulla legittimità dell'atto amministrativo, e quindi sull'idoneità dei fatti accertati al di fuori del processo a fornire la prova della pretesa contrapposti agli eventuali fatti impeditivi, modificativi ed estintivi allegati dall'opponente. Infatti l'obbligazione contributiva sorge in presenza dei presupposti previsti dalla legge ed il successivo atto di accertamento dell'ente ha valore dichiarativo di un obbligo preesistente;
il giudizio instaurato, quindi, ha ad oggetto l'accertamento del rapporto e dunque la sussistenza o meno dell'obbligo contributivo e non la legittimità dell'atto amministrativo. Ciò premesso nel merito, l'INPS ha dedotto, sulla base di accertamenti effettuati in sede amministrativa, che : “1. Il contribuente c.f. [...]è stato iscritto d'ufficio a seguito dell'operazione cd. Poseidone anno 2021 con recupero anni pregressi, inizio imposizione anno 2016, iscrizione avvenuta nei limiti della prescrizione. L'iscrizione d'ufficio è stata comunicata con raccomandata notificata in data 18/08/2021 (cfr. comunicazione d'iscrizione e ricevuta di ritorno in all.15-15 bis).
2. L'iscrizione è scaturita dallo svolgimento di attività lavorativa abituale e prevalente da parte del Carioli, in qualità di socio accomandatario della RO.MAU.TO. - DI IO & C. - SOCIETA IN ACCOMANDITA SEMPLICE c.f. 00524540580, come da visura allegata (All. 1).
3. Dalla visura la società risulta inattiva con inizio decorrenza 31.12.2014 e attiva nuovamente dal 01.05.2017. 4. L'Ente ha infatti verificato che la società sopra indicata ha barrato nel quadro RO della dichiarazione dei redditi societaria - per l'anno di imposta 2016 – la casella “occupazione prevalente” proprio in relazione all'attività svolta dal Carioli (all. 2). La casella occupazione prevalente è stata compilata anche per gli anni di imposta 2017, 2018, 2019, 2020, 2021, 2022 e non risulta essere stata mai rettificata. (da All. 3 a All. 8). Dunque, nelle dichiarazioni dei redditi della società relativi agli anni in oggetto, presentata dal ricorrente medesimo nella qualità di socio accomandatario, è stato indicato che egli ha svolto attività nell'impresa in misura prevalente. Ed infatti è stata barrata la casella 7 del quadro RO della dichiarazione dei redditi societaria con l'indicazione “occupazione prevalente” nella società sopra menzionata. Tale dichiarazione rappresenta una dichiarazione di scienza, ovvero una dichiarazione sulla verità di uno stato di fatto, al quale il diritto riconnette un preciso valore probatorio. Detto dato peraltro non risulta essere stato mai rettificato. Le predette dichiarazioni, effettuate dallo stesso ricorrente socio accomandatario nella compilazione dei Modelli Unico SP, ha la natura e l'efficacia probatoria della confessione stragiudiziale ex art. 2735 c.c., in quanto dichiarazione proveniente dalla parte, che configura in modo immediato e diretto la sussistenza dei requisiti previsti per la iscrizione alla gestione commercianti, dunque fatti sfavorevoli al dichiarante e
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favorevoli all'Inps (sul punto vedasi sent. n. 5296/16 della Corte d'Appello di Roma in all. 17). Essa, pertanto, oltre a provare le argomentazioni dell'Istituto, determina indubbiamente un'inversione dell'onere della prova.
5. Inoltre, anche dalle dichiarazioni dei redditi personali del contribuente anni di imposta dal 2016 al 2021 risulta compilato il quadro RH con indicazione di quota reddito/perdita da partecipazione in società (da All. 9 a All. 14).
6. Ed ancora, la società non risulta avere dipendenti, per come verificato sulle procedure gestionali in uso all'Ente inserendo il CF della società 00524540580:………………………………………………….. Appare pertanto evidente che l'attività d'impresa è stata svolta dal ricorrente, socio accomandatario di società senza dipendenti. Da quanto esposto discende inoltre che l'onere della prova non può chiaramente porsi in capo all'Ente previdenziale, come infondatamente preteso ex adverso e che, in ogni caso, lo stesso è stato assolto attraverso la produzione documentale allegata alla memoria.” Gli elementi evidenziati dall'INPS contrastano con il fatto documentato da parte ricorrente che al 31/12/2014 la società ha dichiarato alla CCIAA di aver cessato l'attività con consequenziale cancellazione della posizione del ricorrente dall'Inps ed insussistenza dell'obbligo contributivo per il periodo successivo. Giova osservare che, in ordine al giudizio di accertamento negativo, la giurisprudenza della Cassazione (n. 22862/2010) ha affermato il principio per il quale : “In tema di riparto dell'onere della prova ai sensi dell'art. 2697 cod. civ., l'onere di provare i fatti costitutivi del diritto grava sempre su colui che si afferma titolare del diritto stesso ed intende farlo valere, ancorché sia convenuto in giudizio di accertamento negativo, con la conseguenza che la sussistenza del credito contributivo dell'INPS, preteso sulla base di verbale ispettivo, deve essere comprovata dall'Istituto con riguardo ai fatti costitutivi rispetto ai quali il verbale non riveste efficacia probatoria”.
Ed in motivazione la sentenza citata ha specificato che : “ Invero è stato da ultimo affermato (Cass. n. 12108 del 18/5/2010) in conformità peraltro ad un indirizzo precedente (Cass. n. 19762 del 2008) che "In tema di riparto dell'onere della prova ai sensi dell'art. 2697 cod. civ., l'onere di provare i fatti costitutivi del diritto grava su colui che si afferma titolare del diritto stesso ed intende farlo valere, ancorché sia convenuto in giudizio di accertamento negativo. Ne consegue che nel giudizio promosso da una società per l'accertamento dell'insussistenza dell'obbligo contributivo preteso dall'INPS sulla base di verbale ispettivo, incombe sull'Istituto previdenziale la prova dei fatti costitutivi del credito preteso, rispetto ai quali il verbale non riveste efficacia probatoria". In quel caso, la S.C., in applicazione del principio di cui alla massima, ha escluso che incombesse sulla società promotrice del giudizio di accertamento negativo del credito contributivo dell'INPS l'onere di provare l'inesistenza. Con l'ultima delle sentenza citate si è affermato che, con riguardo al tema dell'onere della prova nelle azioni di accertamento negativo, di non potere dare continuità al principio secondo cui il criterio di riparto dell'onere della prova si determina in funzione della posizione di attore o di convenuto assunta in giudizio. Tale indirizzo giurisprudenziale non risulta conforme alla regola fondamentale sulla distribuzione dell'onere della prova di cui all'art. 2697 c.c.;
aggrava ingiustificatamente la posizione di soggetti indotti o praticamente costretti a promuovere un'azione di accertamento negativo dalle circostanze e specificamente da iniziative stragiudiziali o giudiziali mediante strumenti particolarmente efficaci della controparte;
non è effettivamente necessitato dalla finalità di prevenire azioni di accertamento non aventi oggetti va giustificazione. Quanto all'art. 2697 c.c., l'affermazione secondo cui la dizione, dallo stesso utilizzata - "chi vuoi far valere un diritto in giudizio" - implica che sia colui che prende l'iniziativa di introdurre il giudizio ad essere gravato dell'onere di "provare i fatti che ne costituiscono il fondamento", contrasta innanzitutto con la stessa lettera della disposizione, poiché l'attore in accertamento negativo non fa valere il diritto oggetto dell'accertamento giudiziale, ma, al contrario, ne postula l'inesistenza, ed è invece il convenuto che virtualmente o concretamente fa valere tale diritto, essendo la parte controinteressata rispetto all'azione di accertamento negativo. Una considerazione complessiva delle regole di distribuzione dell'onere della prova di cui ai due commi dell'art. 2967 c.c. (che, come osservato in dottrina, può essere considerato specificazione del più generale principio secondo cui l'onere della prova deve gravare sulla parte che invoca le conseguenze favorevoli previste dalla norma), conferma che
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esse sono fondate non già sulla posizione della parte nel processo, ma sul criterio di natura sostanziale relativo al tipo di efficacia, rispetto al diritto oggetto del giudizio e all'interesse delle parti, dei fatti incidenti sul medesimo. Dare rilievo all'iniziativa processuale vuoi dire, quindi, alterare in radice i criteri previsti dalla legge per la distribuzione dell'onere della prova, addossando al soggetto passivo del rapporto, in caso di accertamento negativo, l'onere della prova circa i fatti costitutivi del diritto e quindi imponendogli la prova di fatti negativi, astrattamente possibile ma spesso assai difficile”.
E tale orientamento è stato confermato da Cass. ord. n. 16917/2012 che ha affermato :
” Preliminarmente è appena il caso di sgomberare il campo dell'equivoco che la questione verta sull'astratta possibilità di provare fatti negativi (consentita mediante dimostrazione di fatti positivi contrari) anziché sul parametro interpretativo da adottare per identificare la parte gravata dell'onere probatorio. A tal fine, tra le due opzioni di fondo - l'una che vede come dirimente la posizione processuale delle parli, l'altra che invece ne valorizza la collocazione nel rapporto sostanziale negalo od affermato, a prescindere da chi prenda l'iniziativa della lite - non può trascurarsi (e non è obiezione di poco conto, considerato il carattere essenzialmente pragmatico più che dogmatico del diritto processuale civile) che la prima si rivela sostanzialmente inaccessibile (al di là di artifici dialettici) quando le posizioni processuali siano reciproche, come avviene quando alla domanda principale di accertamento negativo d'un dato diritto segua, in riconvenzionale, la richiesta di condannare l'attore ad eseguire la prestazione oggetto del rapporto da lui negato.
Analoga reciprocità si presenta quando due domande meramente dichiarative (una negativa, l'altra positiva) siano pressoché contestualmente esperite in via principale in separate sedi, con conseguente riunione dei giudizi o, se del caso,