Trib. Trani, sentenza 09/07/2024, n. 1470
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Testo completo
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale di Trani, Sezione Lavoro, nella persona del Giudice del Lavoro dott.ssa Floriana
Dibenedetto, all'odierna udienza ha pronunciato, a seguito di discussione orale ex art. 429 e c.p.c., la seguente
SENTENZA nella causa iscritta nel registro generale della Sezione Lavoro sotto il numero d'ordine 5007 dell'anno 2023
TRA
RI TA D'AN, nata a [...] il [...], rappresentata e difesa dal prof. avv. Domenico Garofalo, giusta procura in calce al ricorso introduttivo;
- Ricorrente –
CONTRO
POSTE ITALIANE S.p.a., in persona del procuratore generale dott. Giuseppe Lasco, rappresentata e difesa dall'avv. AN Porpora, giusta procura speciale allegata alla memoria di costituzione e risposta;
- Resistente -
All'udienza dell'8 luglio 2024 la causa viene decisa mediante lettura del dispositivo, a seguito di discussione orale come da verbale d'udienza, al quale si rinvia.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con ricorso depositato in data 29.06.2023, IA NI D'LE domandava che fosse accertata e dichiarata l'illegittimità del licenziamento irrogatole da Poste Italiane S.p.a. con missiva del 07.02.2023, per insussistenza del fatto contestato sulla scorta dei motivi di cui ai numeri 1)-11) del ricorso, con conseguente condanna della società resistente alla reintegrazione nel proprio posto di lavoro ed al pagamento di un'indennità risarcitoria pari all'ultima retribuzione globale di fatto dal momento del licenziamento a quello della reintegra ex art. 18 co. 4 L. 300/1970.
In subordine, domandava che fosse accertata e dichiarata l'illegittimità del recesso del datore per le motivazioni di cui ai numeri 11) e 12) e, per l'effetto, che il rapporto fosse dichiarato risolto dalla data del licenziamento con condanna di Poste Italiane S.p.a. al pagamento di un'indennità risarcitoria onnicomprensiva pari a 24 mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto ai sensi dell'art. 18 co. 5 L. 300/1970.
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Chiedeva, inoltre, la condanna di parte convenuta al risarcimento del danno all' immagine e alla reputazione da liquidarsi in misura pari ad un'annualità della retribuzione tabellare o in altra diversa ritenuta di giustizia.
Il tutto con vittoria di spese di causa.
A tal fine, la ricorrente deduceva di aver lavorato per Poste Italiane S.p.a. dal 19.04.1990, dapprima presso l'Ufficio Postale di Canosa Centro con la qualifica di Operatore Specializzato di esercizio, poi dal novembre 1997 presso l'Ufficio Postale LE 2. A gennaio 2004 veniva successivamente inquadrata come Operatore Senior, conservando tale qualifica sino al licenziamento avvenuto il
10.02.2023, senza incorrere in alcun procedimento disciplinare.
Deduceva, poi, che con missiva del 03.01.2023, ricevuta il 09.01.2023, la società datrice le contestava di aver consentito, tra ottobre 2019 e giugno 2022, al cliente AN RA di effettuare plurimi e frazionati versamenti di denaro contante sul conto corrente Banco Posta al medesimo intestato per un ammontare complessivo di euro 363.030,00, nonché molteplici bonifici verso
l'Italia e l'estero per un importo di euro 360.656,14, sulla scorta di quanto emerso dalle indagini svolte presso gli uffici postali siti in LE (tra cui il proprio) ed in Trani dalla Funzione di Fraud
Management e Security Intelligence su segnalazione dell'ufficio di Gestione Operativa.
Per tali ragioni, alla D'LE veniva addebitato di aver violato le norme in materia di antiriciclaggio, avendo impedito alla società di effettuare i controlli di cui al Manuale di Adeguata
Verifica ed esposto la stessa a sanzioni da parte degli Organismi di Controllo, nonché quelle dettate dal Manuale Conto Banco Posta e dal Manuale Registrazione AUI, per aver impedito la registrazione dei versamenti sopra menzionati sull'Archivio Unico Informatico, benché complessivamente considerati fossero superiori in totale ad euro 5.000 (soglia minima fissata da
Poste Italiane) e 15.000 (limite individuato dalla legge).
La ricorrente rendeva le proprie giustificazioni con lettera del 12.01.2023 eccependo la tardività, la genericità e l'infondatezza della contestazione. Tuttavia, con lettera del 07.02.2023, ricevuta il
10.02.2023, la società datrice irrogava il licenziamento per giusta causa non ritenendo fondate le giustificazioni rassegnate.
Ancora, la ricorrente rilevava che la contestazione disciplinare suesposta veniva notificata a 43 dipendenti (anch'essi Operatori di Sportello), operanti presso gli uffici postali di LE e della
BAT, ma dei predetti solo a 9 veniva irrogata la sanzione del licenziamento, mentre ai restanti 35 veniva comminata una sanzione conservativa.
In diritto, invece, la D'LE eccepiva: la violazione dell'art. 7 L. 300/1970 per essere stata interrogata da poste circa i fatti di cui sopra senza che le fosse reso noto l'imminente avvio di un procedimento disciplinare a suo carico ed al solo fine di r accogliere elementi istruttori da utilizzare in suo danno;
la genericità e la tardività della contestazione;
la mancata formazione dei dipendenti
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da parte di Poste Italiane in materia di antiriciclaggio, nonché in ordine ai Manuali “di Adeguata
Verifica” e “Conto Banco Posta”;
la mancata violazione delle norme in materia di antiriciclaggio in quanto, in forza dell'art. 17 d.lgs. 231/2007, non vi era obbligo di effettuare l'adeguata verifica del cliente AN RA, trattandosi di operazioni effettuate nell'ambito di un rapporto continuativo rispetto al quale la norma predetta disponeva che l'adeguata verifica fosse svolta all'atto del conferimento dell'incarico o per l'esecuzione di una prestazione professionale e non di operazioni occasionali di importo pari o superiore ad euro 15.000 ovvero ad euro 5.000, come stabilito dal
Manuale predisposto da Poste.
Si costituiva in giudizio Poste Italiane s.p.a. contestando le deduzioni di parte avversa e domandando il rigetto delle pretese formulate o, in subordine, in caso di ritenuta insussistenza della giusta causa di licenziamento, l'accertamento e la declaratoria della sussistenza del giustificato motivo soggettivo, con contestuale risoluzione del rapporto.
In ulteriore subordine chiedeva che fosse escluso il diritto della ricorrente al risarcimento per non avere la stessa offerto le proprie prestazioni ovvero di essere condannata al pagamento dell'indennità di cui all'art. 18 co.6 L. 300/1970 nella misura minima di sei mesi della retribuzione globale di fatto o nell'altra misura ritenuta di giustizia, con esclusione del ripristino del rapporto.
In estremo subordine, chiedeva la derubricazione del licenziamento nella massima sanzione conservativa prevista dal CCNL di categoria. Tuttavia, nelle more del giudizio, all'udienza del
14.09.2023, rinunciava a tale richiesta.
A tal fine, la società resistente contestava la ricostruzione fattuale operata dalla ricorrente ribadendo la rilevanza disciplinare delle condotte addebitatele, per avere la stessa violato le disposizioni di cui all'art. 52 del CCNL vigente per il personale non dirigente di Poste Italiane, le norme di legge in materia di antiriciclaggio, nonché quelle dettate dalla società al medesimo scopo, impedendo:
l'attivazione dei controlli previsti dal Manuale di Adeguata Verifica, nonché di quelli rafforzati concernenti le operazioni sospette, la registrazione e conservazione delle operazioni sul Manuale
Registrazione AUI, la conoscenza delle operatività sospette da parte del direttore dell'ufficio, non avendo effettuato alcuna segnalazione.
In diritto, Poste argomentava la legittimità del licenziamento, sia sul piano formale che su quello sostanziale, evidenziando, in riferimento al secondo aspetto, la sussistenza di giusta causa avendo la ricorrente violato, con la propria condotta, la normativa legale ed aziendale in materia di riciclaggio,
i doveri generali di correttezza e buona fede ex artt. 1175 e 1375 c.c., quelli di diligenza e fedeltà di cui agli artt. 2104 c.c. e 2105 c.c., nonché le disposizioni della contrattazione collettiva di riferimento. Sosteneva che le predette violazioni configurassero una irrimediabile lesione del necessario vincolo fiduciario, tale da determinare il licenziamento della lavoratrice.
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Evidenziava, inoltre, la mancata offerta da parte della D'LE della propria prestazione lavorativa in sede di impugnazione del licenziamento, nonché la mancata prova del pregiudizio patito a causa del danno di immagine lamentato, argomentando che in assenza di prova delle conseguenze subite, non si configura diritto al risarcimento del danno.
Con ordinanza del 26.10.2023, emessa a scioglimento della riserva assunta in prima udienza,
l'odierno Giudice, ammessi i capitoli ritenuti rilevanti, formulava la presente proposta conciliativa:
“definizione della controversia mediante conversione della sanzione disciplinare del licenziamento in sanzione disciplinare conservativa della sospensione dal servizio e dalla retribuzione per la durata di mesi sei”.
Tuttavia, all'udienza del 14.12.2023, essa veniva accettata solo da parte della D'LE, mentre
Poste la rifiutava, argomentando di non poter accettare la conversione del licenziamento nella sanzione conservativa proposta atteso il numero dei dipendenti coinvolti e l'entità delle condotte tenute. Si dichiarava disposta, all'opposto, ad aderire ad una proposta avente ad oggetto la corresponsione di un'indennità di natura economica.
Di conseguenza, si procedeva con l'istruzione orale della causa.
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Il ricorso è fondato e deve essere accolto per le motivazioni di seguito precisate.
Le odierne parti in causa controvertono in ordine alla legittimità del licenziamento per giusta causa intimato alla D'LE da Poste Italiane s.p.a. per aver consentito al cliente RA AN di effettuare plurimi e frazionati versamenti di denaro contante e successivi bonifici, in violazione della normativa antiriciclaggio sia nazionale che interna alla società.
Rispetto a tali contestazioni, la D'LE nega di aver violato le predette disposizioni, rilevando che gli importi versati erano inferiori alle soglie di
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