Trib. Catania, decreto 13/02/2025
Decreto
13 febbraio 2025
Decreto
13 febbraio 2025
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Sul provvedimento
Testo completo
N. R.G. 7313/2023
TRIBUNALE DI CATANIA
Sezione Immigrazione
Il Tribunale di Catania composto dai magistrati
Luca Perilli Presidente
Rosario Maria Annibale Cupri Giudice rel.-est.
Stefania Muratore Giudice riunito in camera di consiglio
OSSERVA
I. Con ricorso depositato il 16/06/2023 ai sensi dell'art. 35-bis D.Lgs. n. 25/2008, IL
NE nato a [...], Kairouan (SI) l'1.09.1997, ha impugnato il provvedimento della Commissione Territoriale di Siracusa per il Riconoscimento della
Protezione Internazionale, notificato in data 01/06/2023, chiedendo di accertare e dichiarare il proprio diritto al riconoscimento della protezione sussidiaria di cui agli artt.
14 e ss. del D.lgs. n. 251/2007; in subordine, di accertare la sussistenza dei presupposti di cui all'art. 19 c. 1 e 1.1 del d.lgs. n. 286/98 e, pertanto, dichiarare il proprio diritto ad ottenere un permesso di soggiorno per protezione speciale ai sensi dell'art. 32, comma 3 del decreto legislativo 25/2008.
La Commissione Territoriale ha depositato gli atti del procedimento.
La causa è stata trattenuta in riserva dal giudice designato per la trattazione al fine di riferire in camera di consiglio.
II. In sede di audizione innanzi alla Commissione Territoriale, il ricorrente ha dichiarato di essere un cittadino tunisino, di non appartenere a un gruppo etnico e di professare la religione musulmana.
Sul percorso migratorio, il ricorrente ha riferito di aver lasciato il Paese di origine per la prima volta nel 2019, ma di avervi fatto ritorno dopo aver trascorso un periodo in
Germania, ove la propria domanda di protezione internazionale era stata rigettata;
ha lasciato nuovamente il Paese di origine nel mese di gennaio 2023, giungendo in Italia nello stesso mese. Ha affermato di non ricordare con precisione le date.
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In ordine alle ragioni dell'espatrio, ha dichiarato di essere fuggito insieme alla propria fidanzata, in quanto la famiglia di lei non approvava – e, di conseguenza, ostacolava – la loro relazione, creando loro problemi e picchiandoli. In particolare, ha così riferito: “Ho avuto un rapporto con lei e ho avuto dei problemi con la sua famiglia, quindi ho deciso di partire. La prima volta sono scappato nel 2019; poi sono tornato in SI e ci siamo rimessi insieme e poi lei era incinta in quel momento, […] ma la sua famiglia ha creato problemi, le hanno fatto perdere il bambino. [...] Ci hanno sempre creato problemi, la picchiavano sempre, hanno picchiato anche me, suo padre con i suoi fratelli l'hanno anche denunciata, perché è scappata da casa, perché vive con me […]” (Cfr. verbale audizione pag. 6).
Rispondendo alle domande di approfondimento, il ricorrente ha riferito che la polizia ha più volte bloccato la fidanzata, invitandola a comparire in una causa;
tuttavia, in queste occasioni, egli, non essendo ricercato, veniva semplicemente esortato ad allontanarsi. Ha aggiunto che, dopo l'arrivo in Italia, la fidanzata ha sostenuto che anche lui è stato denunciato (“da quando siamo in Italia, la mia fidanzata mi ha detto che ora forse lo sono pure io. […] Forse perché l'ho presa con me e siamo scappati.” - verbale di audizione pag. 7). Inoltre, ha dichiarato di essere stato picchiato più volte dai parenti della fidanzata, i quali lo hanno filmato dopo averlo privato dei propri abiti e minacciato di diffondere tale video.
In merito al timore in caso di rimpatrio, ha dichiarato di aver paura di subire ritorsioni e minacce dalla famiglia della propria fidanzata e che il filmato che lo ritrae nudo possa essere diffuso.
La Commissione Territoriale ha rigettato la domanda di protezione internazionale ritenendo non credibili le dichiarazioni rese dal richiedente, in quanto non coerenti e non circostanziate;
ha, pertanto, rigettato la richiesta, ritenendo le circostanze esposte non idonee a supportare sufficientemente ed a giustificare un timore di persecuzione ai sensi dell'art. 1A della Convenzione di Ginevra del 1951; altresì, ha ritenuto non sussistenti circostanze tali da integrare le ipotesi di protezione sussidiaria di cui alle lett. a), b) e c) del D. Lgs. 251/2007; non ha, da ultimo, riscontrato nel caso di specie neppure i presupposti di cui all'art. 19 comma 1 ed 1.1. del d.lgs. n. 286/98 per la concessione della protezione speciale.
III.
1. Ciò premesso, si osserva preliminarmente che “In materia di protezione internazionale, il giudice del merito è tenuto ad esaminare la possibilità di riconoscere
2 una delle forme di protezione previste dalla legge, qualora i fatti storici allegati risultino pertinenti, a prescindere dalle istanze formulate dalla parte, trattandosi di giudizi relativi
a domanda autodeterminata, avente ad oggetto diritti fondamentali, in relazione alla quale non ha importanza l'indicazione precisa del “nomen iuris” del tipo di protezione invocata, ma esclusivamente la prospettazione di situazioni concrete che consentano di configurare lo “status” di rifugiato o la protezione sussidiaria. Non rileva, di conseguenza, l'espressa limitazione della domanda ad alcune soltanto delle modalità di protezione possibili, poiché tale limitazione non può assumere il significato di una rinuncia tacita alla protezione non richiesta, quando i fatti esposti nell'atto introduttivo siano rilevanti rispetto alla fattispecie non espressamente invocata” (Corte
Cass., Sez. 3, n. 8819 del 12/05/2020).
Nel caso di specie, pertanto, anche in assenza di domanda, dovrà essere esaminata d'ufficio la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato.
Inoltre, si osserva in diritto che l'art. 2, lett. e) del D.Lgs. n. 251/2007 definisce “rifugiato” il “cittadino straniero il quale, per il timore fondato di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o opinione politica, si trova fuori dal territorio del Paese di cui ha la cittadinanza e non può o, a causa di tale timore, non vuole avvalersi della protezione di tale Paese, oppure apolide che si trova fuori dal territorio nel quale aveva precedentemente la dimora abituale per le stesse ragioni succitate e non può o, a causa di siffatto timore, non vuole farvi ritorno, ferme le cause di esclusione di cui all'articolo 10”.
L'art. 7 specifica che gli “atti di persecuzione” devono essere sufficientemente gravi, per la loro natura o frequenza, da rappresentare una violazione grave dei diritti umani fondamentali e -possono, in via esemplificativa, essere costituiti da atti di violenza fisica e psichica (anche sessuale), provvedimenti legislativi, amministrativi, di polizia o giudiziali discriminatori per la loro natura o per le modalità di applicazione;
azioni giudiziarie o sanzioni penali sproporzionate o discriminatorie;
rifiuto dei mezzi di tutela giuridica;
azioni giudiziarie in conseguenza di rifiuto di prestare servizio militare in un conflitto quando questo possa comportare la commissione di crimini;
atti specificamente diretti contro un genere sessuale o contro l'infanzia.
A sua volta, l'art. 5 chiarisce che responsabili di tali atti possono essere tanto lo Stato che partiti o organizzazioni che controllano lo Stato o una parte consistente del suo territorio, oppure soggetti non statuali, se i primi o le organizzazioni internazionali non possono o
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non vogliono fornire protezione contro persecuzioni o danni gravi.
Alla luce della superiore normativa si ricava che requisito essenziale per il riconoscimento dello “status” di rifugiato è il fondato timore di persecuzione “personale e diretta” nel
Paese d'origine del richiedente, a causa della razza, della religione, della nazionalità, dell'appartenenza a un gruppo sociale ovvero per le opinioni politiche professate.
Nel caso in esame, non sussistono le caratteristiche poc'anzi delineate, poiché non emerge alcuna correlazione tra l'espatrio del ricorrente e persecuzioni personali legate ad alcuno dei cinque motivi sopra elencati.
III.
2. Relativamente alla richiesta di protezione sussidiaria, il dato normativo di riferimento prevede che “persona ammissibile alla protezione sussidiaria” è il “cittadino straniero che non possiede i requisiti per essere riconosciuto come rifugiato ma nei cui confronti sussistono fondati motivi di ritenere che, se ritornasse nel Paese di origine, o, nel caso di un apolide, se ritornasse nel Paese nel quale aveva precedentemente la dimora abituale, correrebbe un rischio effettivo di subire un grave danno come definito dal presente decreto e il quale non può o, a causa di tale rischio, non vuole avvalersi della protezione di detto Paese” (lett. g dell'art. 2, D.Lgs. n. 251/2007), sempre che non ricorra una delle ragioni di esclusione della protezione sussidiaria previste dall'art. 16.
A norma dell'art. 14 del medesimo decreto legislativo “Ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria, sono considerati danni gravi: a) la condanna a morte o all'esecuzione della pena di morte;
b) la tortura o altra forma di pena o trattamento inumano o degradante ai danni del richiedente nel suo Paese di origine;
c) la minaccia grave e individuale alla vita o alla persona di un civile derivante dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”.
In punto di onere della prova, il Collegio osserva che come chiarito dalla Suprema Corte, il racconto del richiedente asilo è, allo stesso tempo, allegazione dei fatti rilevanti e prova degli stessi (Cass., n. 29056/2019).
L'art. 3 comma 5 del D. Lgs. 251/2007, prevede che qualora taluni elementi o aspetti delle dichiarazioni del richiedente la protezione internazionale non siano suffragati da prove, essi sono considerati veritieri se l'autorità competente a decidere sulla domanda ritiene che: a) il richiedente ha compiuto ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda; b) tutti gli elementi pertinenti in suo possesso sono stati prodotti ed è stata fornita una idonea motivazione dell'eventuale mancanza di altri elementi significativi;
c) le dichiarazioni del richiedente sono ritenute