Trib. Firenze, sentenza 17/06/2024, n. 629
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Testo completo
N. R.G. 114/2022
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE ORDINARIO di FIRENZE
Sezione Lavoro
Il Tribunale, nella persona del Giudice Dott.ssa S F, ha pronunciato la seguente
SENTENZA nella causa di I Grado iscritta al n. r.g. 114/2022 promossa da:
Parte_1
(C.F. ), con il patrocinio dell'avv. BUZZELLI DARIO, con elezione di
[...] P.IVA_1 domicilio in VIA FULCIERI P. DE' CALBOLI 5 00195 ROMA, presso il difensore avv. BUZZELLI
DARIO
PARTE RICORRENTE contro
(C.F. ), con il patrocinio dell'avv. ALIBERTI Controparte_1 C.F._1
A, elettivamente domiciliata in NAPOLI CORSO SECONDIGLIANO N. 230, presso il difensore avv. ALIBERTI A
PARTE RESISTENTE
Concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione
Con ricorso depositato in data 21.01.2022, ha esposto: Pt_1
a) di avere corrisposto al proprio dipendente, avv. B P D R, professionista legale di secondo livello assegnato alla Direzione Regionale Toscana di Firenze, in quiescenza dal
30.11.2011, il trattamento economico di fine servizio (TFS), in tre rate (il 13.01.2012,
27.11.2012 e 3.12.2013), evidenziando come la quota del TFS corrispondente alle voci onorari legali e competenze professionali sia stata corrisposta con riserva di ripetizione (v. doc. n. 1-3 del fascicolo di parte);
b) di avere comunicato, con nota del 6.10.2019, agli eredi dell'avv. (deceduto il CP_1
22.12.2017), di avere riliquidato l'importo del TFS, espungendo dalla base di calcolo le voci retributive onorari legali e competenze professionali, con conseguente esistenza di un indebito, quantificato, dapprima, in euro 405.950,61, del quale chiedeva la restituzione (v. doc. n. 4 del fascicolo di parte);
1
c) che, con nota del 23.10.2019, la coniuge dell'avv. Elisa Tirabossi, comunicava ad CP_1
di avere rinunciato all'eredità del marito, con atto notarile del 15.03.2018 (v. doc. n. 5 Pt_1
del fascicolo di parte);
d) di avere, pertanto, inoltrato, in data 6.11.2019, all'erede sorella del de Controparte_1 cuius, la comunicazione dell'indebito (v. doc. n. 5-6 del fascicolo di parte);
e) che, con raccomandata del 17.06.2021, l'importo richiesto veniva rideterminato nella minore somma di euro 249.137,01, al netto delle ritenute di legge (v. doc. n. 6 ter del fascicolo di parte).
Pertanto, deducendo la ripetibilità, ex art. 2033 c.c., delle somme richieste, ai sensi dell'art. 13 L.
70/1975, come interpretato dalla consolidata giurisprudenza di legittimità (v. Cass. S.U. sent. n.
7154/2010 e n. 7158/2010), non potendo le voci retributive onorari legali e competenze professionali essere comprese nella base di calcolo del TFS (nella quale devono, invece, essere comprese le voci stipendio tabellare e scatti di anzianità o componenti retributive similari), ha chiesto all'intestato Pt_1
Tribunale di: “accertata per le ragioni indicate in narrativa la legittimità della riliquidazione del trattamento di fine servizio operata dall' condannare la resistente alla restituzione dell'importo Pt_1
di euro 249.137,01 oltre interessi con la decorrenza e nella misura di legge. Con vittoria di spese, diritti e onorari di lite.”.
Si è costituita in giudizio in qualità di erede con beneficio di inventario del Controparte_1 defunto avv. B P D R, eccependo preliminarmente l'incompetenza per territorio del
Tribunale adito, a favore del Tribunale di Napoli, ex art. 18 c.p.c., e, nel merito, contestando la domanda e chiedendone la reiezione, in quanto infondata;con vittoria di spese.
La causa è stata istruita con la documentazione versata in atti dalle parti ed è stata decisa ai sensi dell'art. 127 ter c.p.c., previa concessione alle parti di un termine per note sino all'8.04.2024 e di un termine per repliche comunque contenenti istanze e conclusioni sostitutive dell'udienza di discussione ex art. 429 c.p.c. fino al 28.05.2024 (come da decreto del 22.11.2023).
Tanto premesso, osserva il Tribunale quanto segue.
Preliminarmente, è infondata l'eccezione di incompetenza per territorio dell'intestato Tribunale a favore del Tribunale di Napoli (ove la resistente ha la propria residenza, ai sensi dell'art. 18 c.p.c.), sollevata da parte resistente in memoria di costituzione, sulla base del consolidato orientamento giurisprudenziale secondo il quale la competenza territoriale in ordine alle controversie di lavoro e previdenziali è inderogabile, non rilevando in senso contrario l'adesione dell'attore all'eccezione sollevata dal convenuto o la (inammissibile) rinuncia di quest'ultimo all'eccezione già ritualmente proposta (v. Cass. Sez. 6 - 3, Ordinanza n. 1381 del 19/01/2017 (Rv. 642734 - 01), resa in un
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procedimento promosso dagli eredi di un lavoratore deceduto a seguito di un infortunio mortale sul lavoro, per ottenere il risarcimento del danno).
Nel caso in esame, trattandosi di un rapporto di lavoro alle dipendenze della P.A., la competenza territoriale è stata correttamente individuata nel luogo in cui ha sede l'ufficio al quale il dipendente era addetto al momento della cessazione del rapporto (essendo l'avv. B P D R, dipendente dell' , assegnato, al momento della collocazione in quiescenza, alla Direzione Regionale Toscana Pt_1 di Firenze), ai sensi dell'art. 413, comma V, c.p.c.
Venendo al merito, l'art. 13 L. 70/1975 (indennità di anzianità) prevede che: “All'atto della cessazione dal servizio spetta al personale un'indennità di anzianità, a totale carico dell'ente, pari a tanti dodicesimi dello stipendio annuo complessivo in godimento, qualunque sia il numero di mensilità in cui esso è ripartito, quanti sono gli anni di servizio prestato”.
La Corte di Cassazione, a Sez. U, con la sentenza n. 7158 del 25/03/2010, ha affermato che, in tema di base di calcolo del trattamento di quiescenza o di fine rapporto spettante ai dipendenti degli enti pubblici del c.d. parastato, l'art. 13 della legge 20 marzo 1975, n. 70, di riordinamento di tali enti e del rapporto di lavoro del relativo personale, detta una disciplina del trattamento di quiescenza o di fine rapporto (rimasta in vigore, pur dopo la contrattualizzazione dei rapporti di pubblico impiego, per i dipendenti in servizio alla data del 31 dicembre 1995 che non abbiano optato per il trattamento di fine rapporto di cui all'art. 2120 cod. civ.), non derogabile neanche in senso più favorevole ai dipendenti, costituita dalla previsione di un'indennità di anzianità pari a tanti dodicesimi dello stipendio annuo in godimento quanti sono gli anni di servizio prestato, lasciando all'autonomia regolamentare dei singoli enti solo l'eventuale disciplina della facoltà per il dipendente di riscattare, a totale suo carico, periodi diversi da quelli di effettivo servizio. Il riferimento quale base di calcolo allo stipendio complessivo annuo ha valenza tecnico-giuridica, sicché deve ritenersi esclusa la computabilità di voci retributive diverse dallo stipendio tabellare e dalla sua integrazione mediante scatti di anzianità o componenti retributive similari (quali l'indennità di funzione ex art. 15, comma secondo, della legge n. 88 del 1989
e il compenso incentivante erogati ai dipendenti dell' ) e devono ritenersi abrogate o illegittime, e Pt_1
comunque non applicabili, le disposizioni di regolamenti, come quello dell' , prevedenti, ai fini Pt_1
del trattamento di fine rapporto o di quiescenza comunque denominato, il computo in genere delle competenze a carattere fisso e continuativo (analogamente, con riferimento ad , v. Cass. S.U. sent. CP_2
n. 7154/2010).
Tale principio di diritto è stato ribadito dalla successiva giurisprudenza di legittimità (v. Cass.
4749/2011, n. 3775/2012, n. 21826/2014, n. 10459/2015, n. 24454/2017, n. 3619/2018;nonché i precedenti di legittimità indicati in ricorso, compresa, da ultimo, Cass. ord. 5892/2020).
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Recentemente, la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 73/2024, ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 13 L. 70/1975, sollevate con riferimento agli artt. 3 e 36
Cost. dal Tribunale di Roma.
Pertanto, sulla scorta della previsione normativa e dell'orientamento di legittimità soprarichiamati, deve affermarsi che, nella base di calcolo del TFS, non devono essere comprese le voci retributive onorari legali e competenze professionali (si veda, sul punto, Corte d'Appello di Bari, sent. n. 233/2024 dell'11.03.2024, emessa in una fattispecie analoga alla presente), con conseguente sussistenza, nel caso in esame, dell'indebito (non essendo in contestazione ed essendo, comunque, documentale che il TFS del de cuius sia stato liquidato tenendo conto delle predette voci retributive), nella misura quantificata da di euro 249.137,01, al netto delle ritenute di legge, somma non oggetto di specifica Pt_1
contestazione nel quantum da parte della resistente.
Ciò posto, è infondata l'eccezione di decadenza annuale, ex art. 30 DPR n. 1032/1973, sollevata da parte resistente in memoria di costituzione, dovendo le norme in materia di decadenza essere interpretate restrittivamente.
A tal proposito, si richiama quanto condivisibilmente affermato dalla Corte d'Appello di Firenze con la sentenza n. 392/2023, emessa in una fattispecie analoga alla presente (relativa ad una dipendente dell' ): “Premesso che, secondo i principi, ogni norma in materia di decadenza va interpretata CP_2
restrittivamente, è decisivo considerare che il suo ambito di operatività era espressamente circoscritto dalla legge: # dal punto di vista soggettivo, con riferimento esclusivo ai dipendenti civili e militari dello Stato, e non anche i dipendenti di Enti pubblici non economici quali l' # dal punto di vista CP_2
oggettivo, il termine decadenziale di un anno per la revoca, modifica, rettifica dei provvedimenti adottati dal Fondo di previdenza, nelle materie ivi previste, si applica nei soli casi in cui vi sia stato errore di fatto;si sia omesso di tener conto di elementi risultanti dagli atti;vi sia stato errore nel computo dei servizi o nel calcolo del contributo di riscatto o nel calcolo dell'indennità di buonuscita o dell'assegno vitalizio. (…) A maggior ragione, la contraddizione risultava dall'ulteriore rilievo, pacifico, che al caso in esame si applicava piuttosto l'art. 13 L. 70/1975 (…) che, per i dipendenti degli enti pubblici non economici, regola lo Stato giuridico nonché i trattamenti economici nel corso del rapporto e dopo la sua conclusione, senza alcun riferimento a decadenze di sorta quanto alla ripetizione di eventuali indebiti” (v. conformemente, Corte d'Appello di Firenze, sent. del 30.05.2023, allegata alle note del 5.04.2024 di parte ricorrente).
Parimenti infondata è l'eccezione di prescrizione sollevata da parte resistente in memoria di costituzione, applicandosi all'azione di ripetizione di indebito l'ordinario termine di prescrizione decennale, ai sensi dell'art. 2946 c.c., considerato che il rapporto di servizio di cui si tratta è cessato il
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30.11.2011, che il TFS è stato corrisposto in 3 rate (il 13.01.2012, 27.11.2012 e 3.12.2013;v. doc. n. 3 bis del fascicolo di parte ricorrente), che sono stati prodotti tempestivi atti interruttivi della prescrizione decennale (v. doc. n. 4, 5, 6 del fascicolo di parte ricorrente;in particolare, emerge dalla documentazione prodotta da che la resistente ha ricevuto la richiesta di ripetizione di indebito in Pt_1
data 12.11.2019;v. doc. n. 6 del fascicolo di parte resistente) e che il presente giudizio è stato introdotto in data 21.01.2022.
Ancora, è documentale e, comunque, incontestata la qualità di erede del de cuius della resistente, la quale è, dunque, subentrata, in qualità di successore a titolo universale, in tutti i rapporti giuridici attivi
e passivi di cui era titolare in vita il de cuius (compreso il debito restitutorio oggetto di causa), rispondendo, tuttavia, la stessa dei debiti ereditari nei limiti di quanto ricevuto (intra vires), ovvero con il solo patrimonio del de cuius, non essendosi verificata alcuna confusione tra il patrimonio del de cuius
e quello dell'erede, avendo la stessa accettato l'eredità con beneficio di inventario, ai sensi dell'art. 484
c.c. (v. doc. n. 3 del fascicolo di parte resistente).
In particolare, l'art. 490, comma 1, n. 2, c.c. prevede che l'erede non è tenuto al pagamento dei debiti ereditari oltre il valore dei beni a lui pervenuti. A tal proposito, a pag. n. 2 delle note di trattazione scritta dell'8.04.2024 (e, parimenti, a pag. n. 2 delle note di trattazione scritta del 27.05.2024), parte resistente ha quantificato il valore del patrimonio immobiliare caduto in successione in complessivi euro 1.400.000,00 (come rimarcato da parte ricorrente nelle proprie note di trattazione scritta).
Non è parimenti contestato (e, comunque, è documentale;v. doc. n. 3 del fascicolo di parte resistente) che la coniuge del de cuius non abbia acquisito la qualità di erede, avendo rinunciato all'eredità con atto pubblico, non rilevando che la stessa percepisca la pensione di reversibilità del marito.
Né è pertinente la giurisprudenza di legittimità richiamata da parte resistente in memoria di costituzione
(Cass. ord. n. 17705/2016, afferente ad una fattispecie diversa da quella in esame, in cui l'indebito era stato pagato a persona defunta, ma erroneamente ritenuta vivente dal solvens), né il richiamo alle previsioni dell'art. 52 L. 88/1989 e 13 L. 412/1991, relative, invece, all'indebito previdenziale.
Per quanto attiene al sintetico richiamo alla giurisprudenza CEDU, effettuato a pag. n. 13 della memoria di costituzione, si riporta quanto condivisibilmente affermato dalla Corte d'Appello di Firenze con la sentenza n. 392/2023: “La Corte Cost. aveva respinto la questione con la sentenza n. 8/2023, così motivando: # la giurisprudenza CEDU in tema di ripetizione dell'indebito retributivo e previdenziale pagato da soggetti pubblici ha interpretato l'art. 1 Protocollo addizionale CEDU, secondo il quale ogni soggetto ha diritto al rispetto dei suoi beni, ed ha precisato i requisiti di un affidamento legittimo di chi ha percepito tali pagamenti, individuando le condizioni per le quali la ripetizione dell'indebito rappresenterebbe un'interferenza sproporzionata # in particolare,
5 l'affidamento legittimo del privato richiede che la prestazione sia stata pagata a seguito di una domanda proposta in buona fede, oppure in modo spontaneo dal soggetto pubblico;che la prestazione provenga da un soggetto pubblico, sulla base di una decisione conclusiva di procedimenti fondati su norme di legge, regolamento o contratto, percepiti dal beneficiario come fonte del proprio diritto;che la prestazione non sia la conseguenza manifesta di mancanza di titolo o di semplici errori materiali;che la prestazione sia collegata ad un'attività lavorativa svolta in via ordinaria e non occasionale, per un periodo congruo, tale da far nascere la ragionevole convinzione che la prestazione abbia carattere stabile e definitivo;che la prestazione non sia stata pagata con riserva di ripetizione # tuttavia, anche qualora in base agli indici ora richiamati si riconosca un affidamento legittimo del privato, non per questo la prestazione sarebbe “intangibile”, ovvero sottratta ad ogni possibile ripetizione da parte del soggetto pubblico # infatti, la CEDU ha riconosciuto l'interesse generale alla ripetizione dell'indebito, ed in senso più ampio la legalità di tale intervento, concentrandosi piuttosto sul rischio di sproporzione dell'interferenza dello stesso recupero nella sfera del privato, alla ricerca di un bilanciamento di interessi fra le esigenze pubbliche di recupero e quelle private di tutela dell'affidamento incolpevole # per evitare che sui privati gravi un onere eccessivo, secondo la CEDU la sproporzione dell'interferenza pubblica emerge fondamentalmente dalle modalità di restituzione
(eventualmente gravate da accessori decorrenti dal pagamento nonostante la buona fede del percettore, oppure senza possibilità di congruo rateizzo), a maggior ragione qualora siano trascurate condizioni di fragilità economico, sociale o di salute del privato # ciò premesso, secondo la Corte
Cost. l'ordinamento italiano presenta un quadro di tutele che impongono di superare il contrasto ipotizzato fra l'art. 2033 cc ed i parametri costituzionali che richiamano i principi euro unitari (art.
117 comma 1 Cost.) # per le prestazioni di tipo previdenziale e assicurativo, la legge stabilisce infatti che gli indebiti non sono ripetibili salvo il caso del dolo del privato percettore, mentre per le prestazioni retributive l'art. 2126 cc ritiene comunque dovuto quanto pagato per una prestazione di lavoro, seppur resa in esecuzione di un contratto nullo # al di fuori da tali previsioni espresse, vige invece la regola contraria, ovvero la ripetibilità dell'indebito di cui all'art 2033, secondo la quale qualora il percettore sia in buona fede gli accessori decorrono solo dalla domanda di ripetizione e non dal precedente pagamento (profilo che di per sé nel caso in esame allontana una delle possibili ragioni di sproporzione già evidenziate dalla CEDU) # tuttavia, nell'ordinamento italiano vi è la clausola generale della buona fede oggettiva, in relazione alla quale il diritto vivente ha estrapolato un possibile modello generale di tutela dell'affidamento legittimo, espresso da un lato nell'art. 1175 cc quanto all'attuazione del rapporto obbligatorio, che condiziona l'obbligo di restituzione fondato sull'art 2033 cc, e dall'altro lato nell'art. 1337 cc fonte di risarcimento del danno da illecito
6 precontrattuale # ribadito che l'affidamento legittimo si qualifica come tale nell'ambito di una relazione qualificata fra il soggetto pubblico che paga, e quello privato che riceve, per evitare che il recupero dell'indebito si traduca in un'ingerenza sproporzionata, la clausola generale della buona fede oggettiva impone di valorizzare le circostanze di vita del privato soggetto al recupero # in sostanza, il primo accorgimento imposto al soggetto pubblico autore del recupero è quello di rateizzare la somma ripetuta, a maggior ragione considerando la complessiva condizione economico e patrimoniale del privato obbligato alla restituzione, la quale tendenzialmente non sarebbe esigibile se pretesa in modo inaspettato e per l'intero dell'indebito, eventualmente ingente # in tal senso, si possono ipotizzare anche forme ulteriori di inesigibilità, temporanea e/o parziale, che attuano la rigidità dell'obbligo restitutorio immediato ed integrale (al quale, trattandosi di obbligo pecuniario, non si applicherebbe la causa estintiva dell'impossibilità della prestazione) # nel caso del recupero sproporzionato, l'inesigibilità non riguarderebbe la fonte dell'obbligo restitutorio (che rimane l'art.
2033 cc, in sé legittimo), bensì diverrebbe una causa esimente per il debitore quando il recupero, entrando in conflitto con un interesse preminente di tutela del privato, si tradurrebbe in un abuso del diritto # in sostanza, l'inesigibilità del recupero non estingue comunque lo stesso obbligo di restituire, bensì consente di valorizzare rimedi in termini di inesigibilità temporanea e/o parziale dell'indebito, a tutela dell'affidamento di chi deve restituire # in conclusione, va superato il dubbio che i rimedi offerti dall'ordinamento nazionale non siano idonei ad impedire la sproporzione dell'interferenza pubblica rispetto all'affidamento privato (da ultimo anche perché, una volta ricostruito in concreto
l'affidamento, leso dall'interferenza sproporzionata, il privato avrebbe sempre la tutela del risarcimento del danno da responsabilità precontrattuale). Così riassunto il criterio di giudizio, che si ricava dal complesso dialogo fra le corti nazionali ed euro unitarie, secondo il Collegio, il caso in esame presenta profili dubbi quanto all'esistenza di un affidamento tutelabile della dr. XXX. Invece è certo che, a fronte dell'interesse pubblico al recupero dell'ingente somma, pagata in modo indebito, non siano state rappresentate circostanze di sorta, tali da precludere tale ripetizione. Quindi, il recupero in esame non rappresenta un'interferenza eccessiva ed ingiustificata nella sfera personale e patrimoniale di colei che ha percepito la prestazione. In primo luogo, valorizzando il profilo della
“relazione fra soggetto pubblico e privato” evidenziato dalla CEDU e richiamato dalla Corte Cost., emergono alcuni dubbi sull'esistenza di un affidamento tutelabile della dr. XXX che possa interferire con la facoltà di recupero dell' Come già detto accogliendo l'appello in tema di indebito, CP_2
nell'anno 2013 l'indennità di buonuscita era stata liquidata e pagata in eccesso per oltre €. 51 mila, poiché era stato applicato un principio omnicomprensivo quanto alle voci retributive da includere nella base di calcolo, ormai definitivamente superato dalla giurisprudenza di legittimità con le Sez.
7 Un. del 2010, sempre confermate dalla giurisprudenza successiva. E' evidente, quindi, che la significativa quota indebita fosse stata la conseguenza di un errore di diritto dell che aveva CP_2
applicato al calcolo di tale prestazione un principio di diritto (omnicomprensività), ormai superato da anni, mentre avrebbe dovuto applicare il principio opposto (tipicità), invece consolidato da anni. E, se
è vero che il principio di omnicomprensività era stato recepito da un risalente orientamento di legittimità, quando la quota indebita era stata liquidata (anno 2013) era ormai invalso l'orientamento contrario, peraltro sulla base di autorevole pronuncia della Corte di Cassazione del 2010, sempre confermata in seguito. Le Sez. Un. avevano chiarito in particolare che liquidare le indennità finali dei rapporti dei dipendenti pubblici in base al principio di omnicomprensività contrastava sia con la lettera che con la ratio della disciplina legale di riferimento. Di conseguenza, il fatto che tale liquidazione fosse stata effettuata in modo unilaterale dall non escludeva che tale pagamento CP_2
potesse ingenerare dubbi sulla legittimità del criterio in base al quale era stato calcolato il suo importo. Infine, nel caso in esame si trattava di un'indennità in un'unica soluzione, successiva alla fine del rapporto, a differenza della vicenda retributiva oggetto della sentenza CEDU, caratterizzata fondamentalmente da pagamenti di una voce retributiva ripetuti in modo costante per anni. In secondo luogo, valorizzando l'ulteriore profilo della “condizione concreta del privato”, pure evidenziato dalla
CEDU e richiamato dalla Corte Cost., risulta in modo decisivo la legittimità della ripetizione attuata nel caso in esame. (…) Inoltre, per quanto riguarda la situazione economica, sociale e sanitaria della percettrice, che potrebbe fondare le conseguenze in termini di inesigibilità temporanea e/o parziale, era onere della stessa parte allegare e provare le circostanze del caso concreto. Per contro, negli atti di primo e secondo grado della dr. XXX nulla era dedotto in proposito. Quindi, si ignora se l'ingente importo della indennità di buonuscita (€. 197 mila) fosse l'unica fonte di sostentamento, oppure una componente del complessivo quadro patrimoniale e reddituale della stessa pensionata - come potrebbe ipotizzarsi all'esito di una lunga carriera di medico dipendente di ente pubblico, dal 2013 titolare di pensione pari quantomeno ad €. 7.500 (1.500 x 5). (…) E' infine decisivo che la parte nulla abbia dedotto su necessità personali e/o familiari, attuali al momento in cui è iniziato il recupero nel 2018, ed eventualmente persistenti fino ad oggi, tali da rendere indispensabile percepire anche il prelievo mensile di 1/5 della pensione, e tradursi quindi in un motivo di inesigibilità temporanea e/o parziale del recupero. In conclusione, secondo il Collegio, se anche nella parte privata si riconoscesse un affidamento tutelabile, mancherebbero comunque motivi per ritenere sproporzionate le modalità del relativo recupero. Quindi, nel bilanciamento di interessi, sotteso alla sentenza CEDU come a quella della Corte Cost., deve senz'altro darsi prevalenza all'interesse generale al ripristino della legalità in tema di spesa pubblica”.
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Nel caso in esame, è documentale che il pagamento delle tre rate del TFS sia stato effettuato da Pt_1
con riserva di ripetizione in relazione alla quota corrispondente alle voci onorari legali e compensi professionali (v. doc. n. 3 bis del fascicolo di parte ricorrente), di tal chè, può dubitarsi della sussistenza di un legittimo affidamento del percettore;in ogni caso, non sono state allegate nel presente giudizio circostanze dalle quali evincere il rischio di sproporzione dell'interferenza del recupero nella sfera del privato.
Le circostanze che precedono comportano l'accoglimento del ricorso, con condanna della resistente, nella sua qualità di erede con beneficio di inventario del defunto avv. B P D R, alla ripetizione, a favore di , della somma complessiva di euro 249.137,01, al netto delle ritenute di Pt_1
legge, oltre interessi dal giorno della domanda, essendo l'erede tenuta al pagamento del suddetto debito ereditario nei limiti del valore dei beni a lei pervenuti a titolo successorio, avendo accettato l'eredità con beneficio di inventario, ai sensi degli artt. 484 e ss. c.c.
Ogni altra questione di rito, di merito o istruttoria risulta assorbita.
Spese
Considerata la particolare complessità delle questioni giuridiche oggetto di causa, le spese processuali sono integralmente compensate tra le parti.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE ORDINARIO di FIRENZE
Sezione Lavoro
Il Tribunale, nella persona del Giudice Dott.ssa S F, ha pronunciato la seguente
SENTENZA nella causa di I Grado iscritta al n. r.g. 114/2022 promossa da:
Parte_1
(C.F. ), con il patrocinio dell'avv. BUZZELLI DARIO, con elezione di
[...] P.IVA_1 domicilio in VIA FULCIERI P. DE' CALBOLI 5 00195 ROMA, presso il difensore avv. BUZZELLI
DARIO
PARTE RICORRENTE contro
(C.F. ), con il patrocinio dell'avv. ALIBERTI Controparte_1 C.F._1
A, elettivamente domiciliata in NAPOLI CORSO SECONDIGLIANO N. 230, presso il difensore avv. ALIBERTI A
PARTE RESISTENTE
Concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione
Con ricorso depositato in data 21.01.2022, ha esposto: Pt_1
a) di avere corrisposto al proprio dipendente, avv. B P D R, professionista legale di secondo livello assegnato alla Direzione Regionale Toscana di Firenze, in quiescenza dal
30.11.2011, il trattamento economico di fine servizio (TFS), in tre rate (il 13.01.2012,
27.11.2012 e 3.12.2013), evidenziando come la quota del TFS corrispondente alle voci onorari legali e competenze professionali sia stata corrisposta con riserva di ripetizione (v. doc. n. 1-3 del fascicolo di parte);
b) di avere comunicato, con nota del 6.10.2019, agli eredi dell'avv. (deceduto il CP_1
22.12.2017), di avere riliquidato l'importo del TFS, espungendo dalla base di calcolo le voci retributive onorari legali e competenze professionali, con conseguente esistenza di un indebito, quantificato, dapprima, in euro 405.950,61, del quale chiedeva la restituzione (v. doc. n. 4 del fascicolo di parte);
1
c) che, con nota del 23.10.2019, la coniuge dell'avv. Elisa Tirabossi, comunicava ad CP_1
di avere rinunciato all'eredità del marito, con atto notarile del 15.03.2018 (v. doc. n. 5 Pt_1
del fascicolo di parte);
d) di avere, pertanto, inoltrato, in data 6.11.2019, all'erede sorella del de Controparte_1 cuius, la comunicazione dell'indebito (v. doc. n. 5-6 del fascicolo di parte);
e) che, con raccomandata del 17.06.2021, l'importo richiesto veniva rideterminato nella minore somma di euro 249.137,01, al netto delle ritenute di legge (v. doc. n. 6 ter del fascicolo di parte).
Pertanto, deducendo la ripetibilità, ex art. 2033 c.c., delle somme richieste, ai sensi dell'art. 13 L.
70/1975, come interpretato dalla consolidata giurisprudenza di legittimità (v. Cass. S.U. sent. n.
7154/2010 e n. 7158/2010), non potendo le voci retributive onorari legali e competenze professionali essere comprese nella base di calcolo del TFS (nella quale devono, invece, essere comprese le voci stipendio tabellare e scatti di anzianità o componenti retributive similari), ha chiesto all'intestato Pt_1
Tribunale di: “accertata per le ragioni indicate in narrativa la legittimità della riliquidazione del trattamento di fine servizio operata dall' condannare la resistente alla restituzione dell'importo Pt_1
di euro 249.137,01 oltre interessi con la decorrenza e nella misura di legge. Con vittoria di spese, diritti e onorari di lite.”.
Si è costituita in giudizio in qualità di erede con beneficio di inventario del Controparte_1 defunto avv. B P D R, eccependo preliminarmente l'incompetenza per territorio del
Tribunale adito, a favore del Tribunale di Napoli, ex art. 18 c.p.c., e, nel merito, contestando la domanda e chiedendone la reiezione, in quanto infondata;con vittoria di spese.
La causa è stata istruita con la documentazione versata in atti dalle parti ed è stata decisa ai sensi dell'art. 127 ter c.p.c., previa concessione alle parti di un termine per note sino all'8.04.2024 e di un termine per repliche comunque contenenti istanze e conclusioni sostitutive dell'udienza di discussione ex art. 429 c.p.c. fino al 28.05.2024 (come da decreto del 22.11.2023).
Tanto premesso, osserva il Tribunale quanto segue.
Preliminarmente, è infondata l'eccezione di incompetenza per territorio dell'intestato Tribunale a favore del Tribunale di Napoli (ove la resistente ha la propria residenza, ai sensi dell'art. 18 c.p.c.), sollevata da parte resistente in memoria di costituzione, sulla base del consolidato orientamento giurisprudenziale secondo il quale la competenza territoriale in ordine alle controversie di lavoro e previdenziali è inderogabile, non rilevando in senso contrario l'adesione dell'attore all'eccezione sollevata dal convenuto o la (inammissibile) rinuncia di quest'ultimo all'eccezione già ritualmente proposta (v. Cass. Sez. 6 - 3, Ordinanza n. 1381 del 19/01/2017 (Rv. 642734 - 01), resa in un
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procedimento promosso dagli eredi di un lavoratore deceduto a seguito di un infortunio mortale sul lavoro, per ottenere il risarcimento del danno).
Nel caso in esame, trattandosi di un rapporto di lavoro alle dipendenze della P.A., la competenza territoriale è stata correttamente individuata nel luogo in cui ha sede l'ufficio al quale il dipendente era addetto al momento della cessazione del rapporto (essendo l'avv. B P D R, dipendente dell' , assegnato, al momento della collocazione in quiescenza, alla Direzione Regionale Toscana Pt_1 di Firenze), ai sensi dell'art. 413, comma V, c.p.c.
Venendo al merito, l'art. 13 L. 70/1975 (indennità di anzianità) prevede che: “All'atto della cessazione dal servizio spetta al personale un'indennità di anzianità, a totale carico dell'ente, pari a tanti dodicesimi dello stipendio annuo complessivo in godimento, qualunque sia il numero di mensilità in cui esso è ripartito, quanti sono gli anni di servizio prestato”.
La Corte di Cassazione, a Sez. U, con la sentenza n. 7158 del 25/03/2010, ha affermato che, in tema di base di calcolo del trattamento di quiescenza o di fine rapporto spettante ai dipendenti degli enti pubblici del c.d. parastato, l'art. 13 della legge 20 marzo 1975, n. 70, di riordinamento di tali enti e del rapporto di lavoro del relativo personale, detta una disciplina del trattamento di quiescenza o di fine rapporto (rimasta in vigore, pur dopo la contrattualizzazione dei rapporti di pubblico impiego, per i dipendenti in servizio alla data del 31 dicembre 1995 che non abbiano optato per il trattamento di fine rapporto di cui all'art. 2120 cod. civ.), non derogabile neanche in senso più favorevole ai dipendenti, costituita dalla previsione di un'indennità di anzianità pari a tanti dodicesimi dello stipendio annuo in godimento quanti sono gli anni di servizio prestato, lasciando all'autonomia regolamentare dei singoli enti solo l'eventuale disciplina della facoltà per il dipendente di riscattare, a totale suo carico, periodi diversi da quelli di effettivo servizio. Il riferimento quale base di calcolo allo stipendio complessivo annuo ha valenza tecnico-giuridica, sicché deve ritenersi esclusa la computabilità di voci retributive diverse dallo stipendio tabellare e dalla sua integrazione mediante scatti di anzianità o componenti retributive similari (quali l'indennità di funzione ex art. 15, comma secondo, della legge n. 88 del 1989
e il compenso incentivante erogati ai dipendenti dell' ) e devono ritenersi abrogate o illegittime, e Pt_1
comunque non applicabili, le disposizioni di regolamenti, come quello dell' , prevedenti, ai fini Pt_1
del trattamento di fine rapporto o di quiescenza comunque denominato, il computo in genere delle competenze a carattere fisso e continuativo (analogamente, con riferimento ad , v. Cass. S.U. sent. CP_2
n. 7154/2010).
Tale principio di diritto è stato ribadito dalla successiva giurisprudenza di legittimità (v. Cass.
4749/2011, n. 3775/2012, n. 21826/2014, n. 10459/2015, n. 24454/2017, n. 3619/2018;nonché i precedenti di legittimità indicati in ricorso, compresa, da ultimo, Cass. ord. 5892/2020).
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Recentemente, la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 73/2024, ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 13 L. 70/1975, sollevate con riferimento agli artt. 3 e 36
Cost. dal Tribunale di Roma.
Pertanto, sulla scorta della previsione normativa e dell'orientamento di legittimità soprarichiamati, deve affermarsi che, nella base di calcolo del TFS, non devono essere comprese le voci retributive onorari legali e competenze professionali (si veda, sul punto, Corte d'Appello di Bari, sent. n. 233/2024 dell'11.03.2024, emessa in una fattispecie analoga alla presente), con conseguente sussistenza, nel caso in esame, dell'indebito (non essendo in contestazione ed essendo, comunque, documentale che il TFS del de cuius sia stato liquidato tenendo conto delle predette voci retributive), nella misura quantificata da di euro 249.137,01, al netto delle ritenute di legge, somma non oggetto di specifica Pt_1
contestazione nel quantum da parte della resistente.
Ciò posto, è infondata l'eccezione di decadenza annuale, ex art. 30 DPR n. 1032/1973, sollevata da parte resistente in memoria di costituzione, dovendo le norme in materia di decadenza essere interpretate restrittivamente.
A tal proposito, si richiama quanto condivisibilmente affermato dalla Corte d'Appello di Firenze con la sentenza n. 392/2023, emessa in una fattispecie analoga alla presente (relativa ad una dipendente dell' ): “Premesso che, secondo i principi, ogni norma in materia di decadenza va interpretata CP_2
restrittivamente, è decisivo considerare che il suo ambito di operatività era espressamente circoscritto dalla legge: # dal punto di vista soggettivo, con riferimento esclusivo ai dipendenti civili e militari dello Stato, e non anche i dipendenti di Enti pubblici non economici quali l' # dal punto di vista CP_2
oggettivo, il termine decadenziale di un anno per la revoca, modifica, rettifica dei provvedimenti adottati dal Fondo di previdenza, nelle materie ivi previste, si applica nei soli casi in cui vi sia stato errore di fatto;si sia omesso di tener conto di elementi risultanti dagli atti;vi sia stato errore nel computo dei servizi o nel calcolo del contributo di riscatto o nel calcolo dell'indennità di buonuscita o dell'assegno vitalizio. (…) A maggior ragione, la contraddizione risultava dall'ulteriore rilievo, pacifico, che al caso in esame si applicava piuttosto l'art. 13 L. 70/1975 (…) che, per i dipendenti degli enti pubblici non economici, regola lo Stato giuridico nonché i trattamenti economici nel corso del rapporto e dopo la sua conclusione, senza alcun riferimento a decadenze di sorta quanto alla ripetizione di eventuali indebiti” (v. conformemente, Corte d'Appello di Firenze, sent. del 30.05.2023, allegata alle note del 5.04.2024 di parte ricorrente).
Parimenti infondata è l'eccezione di prescrizione sollevata da parte resistente in memoria di costituzione, applicandosi all'azione di ripetizione di indebito l'ordinario termine di prescrizione decennale, ai sensi dell'art. 2946 c.c., considerato che il rapporto di servizio di cui si tratta è cessato il
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30.11.2011, che il TFS è stato corrisposto in 3 rate (il 13.01.2012, 27.11.2012 e 3.12.2013;v. doc. n. 3 bis del fascicolo di parte ricorrente), che sono stati prodotti tempestivi atti interruttivi della prescrizione decennale (v. doc. n. 4, 5, 6 del fascicolo di parte ricorrente;in particolare, emerge dalla documentazione prodotta da che la resistente ha ricevuto la richiesta di ripetizione di indebito in Pt_1
data 12.11.2019;v. doc. n. 6 del fascicolo di parte resistente) e che il presente giudizio è stato introdotto in data 21.01.2022.
Ancora, è documentale e, comunque, incontestata la qualità di erede del de cuius della resistente, la quale è, dunque, subentrata, in qualità di successore a titolo universale, in tutti i rapporti giuridici attivi
e passivi di cui era titolare in vita il de cuius (compreso il debito restitutorio oggetto di causa), rispondendo, tuttavia, la stessa dei debiti ereditari nei limiti di quanto ricevuto (intra vires), ovvero con il solo patrimonio del de cuius, non essendosi verificata alcuna confusione tra il patrimonio del de cuius
e quello dell'erede, avendo la stessa accettato l'eredità con beneficio di inventario, ai sensi dell'art. 484
c.c. (v. doc. n. 3 del fascicolo di parte resistente).
In particolare, l'art. 490, comma 1, n. 2, c.c. prevede che l'erede non è tenuto al pagamento dei debiti ereditari oltre il valore dei beni a lui pervenuti. A tal proposito, a pag. n. 2 delle note di trattazione scritta dell'8.04.2024 (e, parimenti, a pag. n. 2 delle note di trattazione scritta del 27.05.2024), parte resistente ha quantificato il valore del patrimonio immobiliare caduto in successione in complessivi euro 1.400.000,00 (come rimarcato da parte ricorrente nelle proprie note di trattazione scritta).
Non è parimenti contestato (e, comunque, è documentale;v. doc. n. 3 del fascicolo di parte resistente) che la coniuge del de cuius non abbia acquisito la qualità di erede, avendo rinunciato all'eredità con atto pubblico, non rilevando che la stessa percepisca la pensione di reversibilità del marito.
Né è pertinente la giurisprudenza di legittimità richiamata da parte resistente in memoria di costituzione
(Cass. ord. n. 17705/2016, afferente ad una fattispecie diversa da quella in esame, in cui l'indebito era stato pagato a persona defunta, ma erroneamente ritenuta vivente dal solvens), né il richiamo alle previsioni dell'art. 52 L. 88/1989 e 13 L. 412/1991, relative, invece, all'indebito previdenziale.
Per quanto attiene al sintetico richiamo alla giurisprudenza CEDU, effettuato a pag. n. 13 della memoria di costituzione, si riporta quanto condivisibilmente affermato dalla Corte d'Appello di Firenze con la sentenza n. 392/2023: “La Corte Cost. aveva respinto la questione con la sentenza n. 8/2023, così motivando: # la giurisprudenza CEDU in tema di ripetizione dell'indebito retributivo e previdenziale pagato da soggetti pubblici ha interpretato l'art. 1 Protocollo addizionale CEDU, secondo il quale ogni soggetto ha diritto al rispetto dei suoi beni, ed ha precisato i requisiti di un affidamento legittimo di chi ha percepito tali pagamenti, individuando le condizioni per le quali la ripetizione dell'indebito rappresenterebbe un'interferenza sproporzionata # in particolare,
5 l'affidamento legittimo del privato richiede che la prestazione sia stata pagata a seguito di una domanda proposta in buona fede, oppure in modo spontaneo dal soggetto pubblico;che la prestazione provenga da un soggetto pubblico, sulla base di una decisione conclusiva di procedimenti fondati su norme di legge, regolamento o contratto, percepiti dal beneficiario come fonte del proprio diritto;che la prestazione non sia la conseguenza manifesta di mancanza di titolo o di semplici errori materiali;che la prestazione sia collegata ad un'attività lavorativa svolta in via ordinaria e non occasionale, per un periodo congruo, tale da far nascere la ragionevole convinzione che la prestazione abbia carattere stabile e definitivo;che la prestazione non sia stata pagata con riserva di ripetizione # tuttavia, anche qualora in base agli indici ora richiamati si riconosca un affidamento legittimo del privato, non per questo la prestazione sarebbe “intangibile”, ovvero sottratta ad ogni possibile ripetizione da parte del soggetto pubblico # infatti, la CEDU ha riconosciuto l'interesse generale alla ripetizione dell'indebito, ed in senso più ampio la legalità di tale intervento, concentrandosi piuttosto sul rischio di sproporzione dell'interferenza dello stesso recupero nella sfera del privato, alla ricerca di un bilanciamento di interessi fra le esigenze pubbliche di recupero e quelle private di tutela dell'affidamento incolpevole # per evitare che sui privati gravi un onere eccessivo, secondo la CEDU la sproporzione dell'interferenza pubblica emerge fondamentalmente dalle modalità di restituzione
(eventualmente gravate da accessori decorrenti dal pagamento nonostante la buona fede del percettore, oppure senza possibilità di congruo rateizzo), a maggior ragione qualora siano trascurate condizioni di fragilità economico, sociale o di salute del privato # ciò premesso, secondo la Corte
Cost. l'ordinamento italiano presenta un quadro di tutele che impongono di superare il contrasto ipotizzato fra l'art. 2033 cc ed i parametri costituzionali che richiamano i principi euro unitari (art.
117 comma 1 Cost.) # per le prestazioni di tipo previdenziale e assicurativo, la legge stabilisce infatti che gli indebiti non sono ripetibili salvo il caso del dolo del privato percettore, mentre per le prestazioni retributive l'art. 2126 cc ritiene comunque dovuto quanto pagato per una prestazione di lavoro, seppur resa in esecuzione di un contratto nullo # al di fuori da tali previsioni espresse, vige invece la regola contraria, ovvero la ripetibilità dell'indebito di cui all'art 2033, secondo la quale qualora il percettore sia in buona fede gli accessori decorrono solo dalla domanda di ripetizione e non dal precedente pagamento (profilo che di per sé nel caso in esame allontana una delle possibili ragioni di sproporzione già evidenziate dalla CEDU) # tuttavia, nell'ordinamento italiano vi è la clausola generale della buona fede oggettiva, in relazione alla quale il diritto vivente ha estrapolato un possibile modello generale di tutela dell'affidamento legittimo, espresso da un lato nell'art. 1175 cc quanto all'attuazione del rapporto obbligatorio, che condiziona l'obbligo di restituzione fondato sull'art 2033 cc, e dall'altro lato nell'art. 1337 cc fonte di risarcimento del danno da illecito
6 precontrattuale # ribadito che l'affidamento legittimo si qualifica come tale nell'ambito di una relazione qualificata fra il soggetto pubblico che paga, e quello privato che riceve, per evitare che il recupero dell'indebito si traduca in un'ingerenza sproporzionata, la clausola generale della buona fede oggettiva impone di valorizzare le circostanze di vita del privato soggetto al recupero # in sostanza, il primo accorgimento imposto al soggetto pubblico autore del recupero è quello di rateizzare la somma ripetuta, a maggior ragione considerando la complessiva condizione economico e patrimoniale del privato obbligato alla restituzione, la quale tendenzialmente non sarebbe esigibile se pretesa in modo inaspettato e per l'intero dell'indebito, eventualmente ingente # in tal senso, si possono ipotizzare anche forme ulteriori di inesigibilità, temporanea e/o parziale, che attuano la rigidità dell'obbligo restitutorio immediato ed integrale (al quale, trattandosi di obbligo pecuniario, non si applicherebbe la causa estintiva dell'impossibilità della prestazione) # nel caso del recupero sproporzionato, l'inesigibilità non riguarderebbe la fonte dell'obbligo restitutorio (che rimane l'art.
2033 cc, in sé legittimo), bensì diverrebbe una causa esimente per il debitore quando il recupero, entrando in conflitto con un interesse preminente di tutela del privato, si tradurrebbe in un abuso del diritto # in sostanza, l'inesigibilità del recupero non estingue comunque lo stesso obbligo di restituire, bensì consente di valorizzare rimedi in termini di inesigibilità temporanea e/o parziale dell'indebito, a tutela dell'affidamento di chi deve restituire # in conclusione, va superato il dubbio che i rimedi offerti dall'ordinamento nazionale non siano idonei ad impedire la sproporzione dell'interferenza pubblica rispetto all'affidamento privato (da ultimo anche perché, una volta ricostruito in concreto
l'affidamento, leso dall'interferenza sproporzionata, il privato avrebbe sempre la tutela del risarcimento del danno da responsabilità precontrattuale). Così riassunto il criterio di giudizio, che si ricava dal complesso dialogo fra le corti nazionali ed euro unitarie, secondo il Collegio, il caso in esame presenta profili dubbi quanto all'esistenza di un affidamento tutelabile della dr. XXX. Invece è certo che, a fronte dell'interesse pubblico al recupero dell'ingente somma, pagata in modo indebito, non siano state rappresentate circostanze di sorta, tali da precludere tale ripetizione. Quindi, il recupero in esame non rappresenta un'interferenza eccessiva ed ingiustificata nella sfera personale e patrimoniale di colei che ha percepito la prestazione. In primo luogo, valorizzando il profilo della
“relazione fra soggetto pubblico e privato” evidenziato dalla CEDU e richiamato dalla Corte Cost., emergono alcuni dubbi sull'esistenza di un affidamento tutelabile della dr. XXX che possa interferire con la facoltà di recupero dell' Come già detto accogliendo l'appello in tema di indebito, CP_2
nell'anno 2013 l'indennità di buonuscita era stata liquidata e pagata in eccesso per oltre €. 51 mila, poiché era stato applicato un principio omnicomprensivo quanto alle voci retributive da includere nella base di calcolo, ormai definitivamente superato dalla giurisprudenza di legittimità con le Sez.
7 Un. del 2010, sempre confermate dalla giurisprudenza successiva. E' evidente, quindi, che la significativa quota indebita fosse stata la conseguenza di un errore di diritto dell che aveva CP_2
applicato al calcolo di tale prestazione un principio di diritto (omnicomprensività), ormai superato da anni, mentre avrebbe dovuto applicare il principio opposto (tipicità), invece consolidato da anni. E, se
è vero che il principio di omnicomprensività era stato recepito da un risalente orientamento di legittimità, quando la quota indebita era stata liquidata (anno 2013) era ormai invalso l'orientamento contrario, peraltro sulla base di autorevole pronuncia della Corte di Cassazione del 2010, sempre confermata in seguito. Le Sez. Un. avevano chiarito in particolare che liquidare le indennità finali dei rapporti dei dipendenti pubblici in base al principio di omnicomprensività contrastava sia con la lettera che con la ratio della disciplina legale di riferimento. Di conseguenza, il fatto che tale liquidazione fosse stata effettuata in modo unilaterale dall non escludeva che tale pagamento CP_2
potesse ingenerare dubbi sulla legittimità del criterio in base al quale era stato calcolato il suo importo. Infine, nel caso in esame si trattava di un'indennità in un'unica soluzione, successiva alla fine del rapporto, a differenza della vicenda retributiva oggetto della sentenza CEDU, caratterizzata fondamentalmente da pagamenti di una voce retributiva ripetuti in modo costante per anni. In secondo luogo, valorizzando l'ulteriore profilo della “condizione concreta del privato”, pure evidenziato dalla
CEDU e richiamato dalla Corte Cost., risulta in modo decisivo la legittimità della ripetizione attuata nel caso in esame. (…) Inoltre, per quanto riguarda la situazione economica, sociale e sanitaria della percettrice, che potrebbe fondare le conseguenze in termini di inesigibilità temporanea e/o parziale, era onere della stessa parte allegare e provare le circostanze del caso concreto. Per contro, negli atti di primo e secondo grado della dr. XXX nulla era dedotto in proposito. Quindi, si ignora se l'ingente importo della indennità di buonuscita (€. 197 mila) fosse l'unica fonte di sostentamento, oppure una componente del complessivo quadro patrimoniale e reddituale della stessa pensionata - come potrebbe ipotizzarsi all'esito di una lunga carriera di medico dipendente di ente pubblico, dal 2013 titolare di pensione pari quantomeno ad €. 7.500 (1.500 x 5). (…) E' infine decisivo che la parte nulla abbia dedotto su necessità personali e/o familiari, attuali al momento in cui è iniziato il recupero nel 2018, ed eventualmente persistenti fino ad oggi, tali da rendere indispensabile percepire anche il prelievo mensile di 1/5 della pensione, e tradursi quindi in un motivo di inesigibilità temporanea e/o parziale del recupero. In conclusione, secondo il Collegio, se anche nella parte privata si riconoscesse un affidamento tutelabile, mancherebbero comunque motivi per ritenere sproporzionate le modalità del relativo recupero. Quindi, nel bilanciamento di interessi, sotteso alla sentenza CEDU come a quella della Corte Cost., deve senz'altro darsi prevalenza all'interesse generale al ripristino della legalità in tema di spesa pubblica”.
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Nel caso in esame, è documentale che il pagamento delle tre rate del TFS sia stato effettuato da Pt_1
con riserva di ripetizione in relazione alla quota corrispondente alle voci onorari legali e compensi professionali (v. doc. n. 3 bis del fascicolo di parte ricorrente), di tal chè, può dubitarsi della sussistenza di un legittimo affidamento del percettore;in ogni caso, non sono state allegate nel presente giudizio circostanze dalle quali evincere il rischio di sproporzione dell'interferenza del recupero nella sfera del privato.
Le circostanze che precedono comportano l'accoglimento del ricorso, con condanna della resistente, nella sua qualità di erede con beneficio di inventario del defunto avv. B P D R, alla ripetizione, a favore di , della somma complessiva di euro 249.137,01, al netto delle ritenute di Pt_1
legge, oltre interessi dal giorno della domanda, essendo l'erede tenuta al pagamento del suddetto debito ereditario nei limiti del valore dei beni a lei pervenuti a titolo successorio, avendo accettato l'eredità con beneficio di inventario, ai sensi degli artt. 484 e ss. c.c.
Ogni altra questione di rito, di merito o istruttoria risulta assorbita.
Spese
Considerata la particolare complessità delle questioni giuridiche oggetto di causa, le spese processuali sono integralmente compensate tra le parti.
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