Trib. Roma, sentenza 02/07/2024, n. 7800

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Sul provvedimento

Citazione :
Trib. Roma, sentenza 02/07/2024, n. 7800
Giurisdizione : Trib. Roma
Numero : 7800
Data del deposito : 2 luglio 2024

Testo completo

REPUBBLICA ITALIANA TRIBUNALE DI ROMA SEZIONE II LAVORO IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Giudice, dott.ssa L C, lette le note di discussione scritta depositate ai sensi dell'articolo 127 ter C.p.c., ha pronunciato la seguente
sentenza

nella causa iscritta al n. 8035/2023 R.G. controversie lavoro promossa
da
, rappresentata e difesa dall'Avvocato A P, Parte_1 per procura allegata al ricorso,
RICORRENTE
contro
in persona del legale Controparte_1 rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'Avvocato G D S, per procura allegata alla memoria di costituzione,
e
in persona del legale rappresentante pro tempore, Controparte_2 rappresentata e difesa dall'Avvocato G D S, per procura allegata alla memoria di costituzione,
RESISTENTE
OGGETTO: lavoro subordinato, mansioni superiori, differenze retributive. CONCLUSIONI: per le parti, come nei rispettivi atti difensivi, nei verbali e nelle note scritte di udienza.

FATTO E MOTIVI DELLA DECISIONE
Con atto di ricorso depositato in forma telematica il 7/3/2023 la ricorrente in epigrafe conveniva in giudizio le società Controparte_1
e in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro Controparte_2 tempore, deducendo di avere lavorato alle dipendenze della prima nel periodo dall'1/12/2014 fino alle dimissioni rassegnate per giusta causa il 6/10/2020, per lo svolgimento delle mansioni di commessa, principalmente disimpegnate con orario a tempo pieno nel negozio di Piazza Enrico Fermi n. 44. Lamentava, la ricorrente, che il rapporto era stato regolarizzato solo con decorrenza dal 29/12/2015, con inferiore inquadramento nel VI livello del C.C.N.L. Commercio, per l'orario di lavoro part-time di 26 ore settimanali. Non avendo ricevuto, alla conclusione del rapporto, la corresponsione del
TFR e delle competenze di chiusura, rappresentava, inoltre, che in data 23/2/2022 la ormai in liquidazione, aveva ceduto Controparte_1
l'azienda alla neocostituita cui aveva lasciato la gestione Controparte_2 dei negozi e alle cui dipendenze era transitato il personale dipendente. Ritenendo di essere stata retribuita in misura inferiore in relazione alla qualità e quantità di lavoro prestato, nonché la responsabilità solidale delle parti ai sensi dell'articolo 2112 codice civile, la ricorrente concludeva domandando, in via principale, l'accoglimento delle seguenti, testuali, conclusioni: "

1. dichiarare la natura subordinata del rapporto di lavoro dal 1 dicembre 2014 al 6 ottobre 2020;

2. accertare e dichiarare l'inadempimento delle parti resistenti agli obblighi contrattuali e di legge derivanti dal rapporto di lavoro, specificati in premessa;

3. condannare le parti resistenti

[...]
, (…) e la (…) in solido tra Controparte_1 Controparte_2 loro al pagamento in favore della ricorrente della somma di 90.805,30 di cui 9.303,55 a titolo di TFR o della somma che vorrà liquidare", oltre accessori e spese, da distrarsi. Solo in via subordinata, la ricorrente domandava la condanna della sola parte datoriale al pagamento delle Controparte_1 spettanze, come rivendicate. Ritualmente instaurato il contraddittorio, si costituivano in giudizio entrambe le convenute, contestando la fondatezza del ricorso e concludendo per il suo rigetto. Fallito il tentativo di conciliazione, la controversia veniva istruita mediante l'acquisizione della documentazione versata in atti in allegato agli scritti difensivi, nonché con prova orale, per interpello e testimoni. All'esito, ritenutane la necessità, rilevata l'erroneità dei conteggi, comunque contestati, era disposta ed esperita c.t.u. contabile. Autorizzato il deposito di note conclusionali e disposta contestualmente la sostituzione dell'udienza di discussione con lo scambio di note scritte, ai sensi dell'articolo 127 ter C.p.c., la controversia veniva decisa.
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Così ricostruito l'iter procedimentale, il ricorso è solo in parte fondato, nei limiti di cui in prosieguo. 1. L'odierna ricorrente ha agito in giudizio domandando la condanna delle società convenute, in solido tra loro, alla corresponsione in suo favore di differenze retributive per l'importo complessivo di € 90.805,30, per i titoli meglio precisati nei conteggi allegati all'atto introduttivo. A sostegno della domanda, ha dedotto l'anticipato inizio del rapporto di lavoro sin dall'1/12/2014, nonostante la regolarizzazione solo in data 29/12/2015;
la continuativa osservanza di un orario di lavoro a tempo pieno, maggiore di quello part-time retribuito;
nonché la continuativa adibizione alle mansioni di commessa, con conseguente diritto al superiore inquadramento nel IV livello del C.C.N.L. applicato al rapporto, in luogo del VI livello riconosciutole.
È noto che, secondo il principio generale stabilito dall'articolo 2697 codice civile, gravava, pertanto, sulla lavoratrice ricorrente, che ha agito in giudizio, l'onere di provare i fatti posti a fondamento della sua domanda.

1.1 Sotto un primo profilo, la ricorrente ha dedotto che il rapporto di lavoro ha avuto inizio l'1/12/2014, nonostante la regolarizzazione avvenuta solo con decorrenza dal 29/12/2015. In assenza di documentazione idonea a dimostrare l'anticipato inizio del rapporto di lavoro, è stata ammessa la prova orale articolata. In sede di interrogatorio formale, i legali rappresentanti delle due società resistenti non hanno ammesso la circostanza, affermando entrambi che la ricorrente, prima dell'assunzione, "veniva solo saltuariamente qualche ora al giorno" o "veniva a lavorare solo saltuariamente perché Parte_2 era contemporaneamente impegnata con altri negozi" . Parte_3
La circostanza, d'altro canto, non è stata confermata neppure dai testimoni ascoltati. Le testimoni e entrambe Testimone_1 Testimone_2 collega della hanno, invero, iniziato a lavorare per la Pt_1 Controparte_1 solo successivamente, mentre la teste anch'essa collega,
[...] Tes_3 attualmente dipendente della ha confermato quanto Controparte_2 emerge dalla lettera di assunzione: "Dal 2016, mi sembra, è venuta assiduamente tutti i giorni lavorativi". D'altro canto, sono piuttosto generiche le dichiarazioni della testimone
baby-sitter per le figlie di la quale Testimone_4 Parte_3 non aveva un ricordo preciso della data di inizio del rapporto di lavoro tra le parti, ma ha ricostruito che, poiché " avrà avuto all'incirca 4 o 5 anni, Per_1 sicché essendo nata nel 2012 deve essersi trattato dell'anno 2016-2017, giù di lì". Infine, palesemente inattendibili sono le dichiarazioni della testimone
barista nel locale adiacente al negozio di Piazza Enrico Testimone_5
Fermi n. 44, la quale ha affermato con certezza "di averla vista lavorare sin
3 dall'anno 2012", in contrasto, finanche, con le deduzioni contenute nell'atto introduttivo. Tali essendo le risultanze dell'istruttoria, non può che rilevarsi che nessun elemento probatorio conduca a ritenere provato l'anticipato inizio del rapporto di lavoro, quantomeno con carattere di subordinazione, sin dalla data dedotta dell'1/12/2014. La domanda di pagamento delle differenze retributive a tale titolo azionate deve, pertanto, essere respinta, per mancata prova dei corrispondenti fatti costitutivi.
1.2 Sotto un secondo profilo la ricorrente, assunta con orario part-time di 26 ore settimanali, pari al 75% dell'orario normale, ha dedotto di avere continuativamente osservato un orario di lavoro maggiore, a tempo pieno, senza che si rinvenga in ricorso la rivendicazione della retribuzione maggiorata per lavoro straordinario. La circostanza, a ben vedere, è stata ammessa in sede di interrogatorio formale del legale rappresentante della società all'epoca datrice di lavoro della ricorrente, il quale ha ammesso "solo dal 2016 ha iniziato ad Parte_2 osservare l'orario regolare" e poi, anche, "l'orario era 9:30-13:00 e 16:00- 19:30 da lunedi al sabato. La ricorrente ha osservato quest'orario dal 2016 in poi". Trattandosi della dichiarazione della parte "della verità di fatti ad essa sfavorevoli e favorevoli all'altra parte" (articolo 2730 c.c.), resa in giudizio,
"essa forma piena prova contro colui che l'ha fatta" (articolo 2733 c.c.), non vertendo su fatti relativi a diritti non disponibili. Nei confronti dell'altra resistente la confessione Controparte_2 resa dal legale rappresentante di assume valore di Controparte_1 elemento indiziario di giudizio: "La confessione giudiziale, resa in un processo con pluralità di parti, produce effetti nei confronti della parte che la fa e di quella che la provoca, ma non acquisisce valore di prova legale nei confronti di persone diverse dal confitente, non avendo questi alcun potere di disposizione relativamente a situazioni facenti capo ad altri, distinti soggetti del rapporto processuale, nei confronti dei quali, tuttavia, può assumere, secondo il prudente apprezzamento del giudice, valore di elemento indiziario di giudizio” (cfr. Cassazione, Sezione Lavoro, n. 3118 del 02/02/2022). Tale elemento si aggiunge alle dichiarazioni rese dalle testimoni e le quali hanno affermato con certezza che la ricorrente Tes_1 Tes_2 fosse presente in negozio in tutto l'orario di apertura ("Io personalmente osservavo l'orario normale del negozio, la mattina 9:30/13:00 e poi il pomeriggio 15:30-19:30 oppure 16:00-20:00, a seconda della stagione. La ricorrente osservava il mio stesso orario di lavoro", teste e "la Tes_1 ricorrente lavorava dalle 9:00 alle 20:00, con pausa per un panino al volo", teste . Tes_2
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Di pari tenore le dichiarazioni della teste la quale, pur essendo in Tes_5 turno, nel bar adiacente, o la mattina o il pomeriggio, ha riferito che la ricorrente era solita consumare il pranzo nel bar, sicché evidentemente lavorava sia prima che dopo. Significativa conferma alla continuativa osservanza di un orario di lavoro a tempo pieno proviene, ulteriormente, dalle dichiarazioni della teste Tes_4 la quale, non presente in negozio la mattina, ha riferito che, quando lei arrivava con le bambine "a metà pomeriggio, la ricorrente era già presente e (…) restava fino alla chiusura, insieme alle altre commesse", andando via appena prima, in difformità da quanto sostenuto dal datore di lavoro, il quale ha dichiarato che il pomeriggio la terminasse la sua attività alle 19:00, mentre il negozio Pt_1 chiudeva più tardi, a seconda della stagione. D'altro canto, restano generiche le dichiarazioni della teste la quale, Tes_3 pur avendo affermato che la ricorrente non osservasse il suo stesso orario di lavoro, poiché "veniva più tardi e andava via prima", non ha saputo riferire quale fosse, in effetti, l'orario di lavoro della collega. Deve, pertanto, ritenersi dimostrato nei confronti di entrambe le convenute, sulla scorta dell'istruzione compiuta, che, sin dalla data di assunzione, il 29/12/2015, la ricorrente abbia continuativamente osservato un orario di lavoro a tempo pieno.
1.3 Residua da esaminare la domanda di accertamento del diritto della ricorrente al superiore inquadramento nel IV livello del C.C.N.L. Commercio, quale commessa, nonostante l'inquadramento nell'inferiore VI livello. A tal proposito, è noto che l'accertamento del diritto al superiore trattamento economico e normativo postula, in linea generale, che il lavoratore abbia svolto, nell'esecuzione della prestazione lavorativa, mansioni diverse e più complesse di quelle appartenenti al suo profilo di inquadramento, con diritto all'attribuzione della qualifica superiore ed al corrispondente trattamento economico. Invero, la giurisprudenza è ferma nel ritenere che, nel procedimento logico-giuridico diretto alla determinazione dell'inquadramento di un lavoratore subordinato, alla luce del disposto generale dell'art. 2103 c.c., non può prescindersi da tre fasi successive e, cioè, dall'accertamento in fatto delle attività lavorative in concreto svolte, dall'individuazione delle qualifiche e dei gradi previsti dal contratto collettivo di categoria e dal raffronto tra il risultato della prima indagine ed i testi della normativa contrattuale individuati nella seconda (cfr. Cassazione, Sezione Lavoro, n. 28284 del 31/12/2009, Cassazione, Sezione Lavoro, n. 26234 del 30/10/2008, Cassazione, Sezione Lavoro, n. 20272 del 27/9/2010). Sicché, il lavoratore che agisca in giudizio per ottenere l'inquadramento in una qualifica superiore ha l'onere di allegare e di provare gli elementi posti a base della domanda ed, in particolare, è tenuto ad indicare esplicitamente quali siano i profili caratterizzanti le mansioni di detta qualifica, raffrontandoli altresì
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espressamente con quelli concernenti le mansioni che egli deduce di avere concretamente svolto (cfr. Cassazione, Sezione Lavoro, n. 8025 del 21/5/2003). È, tuttavia, fondamentale sottolineare che, agli effetti della tutela apprestata dall'art. 2103 c.c. - che attribuisce al lavoratore, utilizzato per un certo periodo di tempo da parte del datore di lavoro in compiti diversi e maggiormente qualificanti rispetto a quelli propri della categoria di appartenenza, il diritto non solo al trattamento economico previsto per l'attività in concreto svolta ma anche all'assegnazione definitiva alla qualifica superiore - condizione essenziale è che l'assegnazione alle più elevate mansioni sia stata piena, nel senso che abbia comportato l'assunzione della responsabilità diretta e l'esercizio dell'autonomia e della iniziativa proprie della corrispondente qualifica rivendicata, coerentemente con le mansioni contrattualmente previste in via esemplificativa nelle declaratorie dei singoli inquadramenti, cui vanno poi raffrontate le funzioni in concreto espletate dal lavoratore interessato (cfr. Cassazione, Sezione Lavoro, n. 11125 del 14/8/2001 e Cassazione, Sezione Lavoro, n. 16200 del 10/7/2009). Nel caso in esame, già dalla lettera di assunzione del 29/12/2015 si evince l'assegnazione alle mansioni di "commessa", le quali, corrispondano all'invocato IV livello, cui appartengono "i lavoratori che eseguono compiti operativi anche di vendita e relative operazioni complementari, nonché i lavoratori adibiti ai lavori che richiedono specifiche conoscenze tecniche e particolari capacità tecnico pratiche comunque acquisite", tra i quali, a titolo esemplificativo, proprio il "commesso alla vendita al pubblico”. Di contro, appartengono al VI livello, riconosciuto alla ricorrente dal datore di lavoro "i lavoratori che compiono lavori che richiedono il possesso di semplici conoscenze pratiche", tra cui il "dimostratore (addetto alla propaganda e dimostrazione con mansioni prevalentemente manuali)”. A corroborare l'intenzione espressa nella lettera di assunzione, soccorrono le dichiarazioni rese dalle colleghe e "la ricorrente Tes_1 Tes_2 svolgeva compiti di commessa, serviva la clientela, emetteva uno scontrino, riceveva il pagamento" (teste e "posso dire con certezza che la Tes_1 ricorrente lavorasse come addetta alle vendite, questo perché noi ci sentivamo costantemente, già la mattina dopo l'apertura, poiché magari dovevamo verificare l'assortimento di un capo che un negozio poteva avere e nell'altro era mancante, o perché c'erano dei capi continuativi che servivano sempre e magari in uno dei negozi erano terminati e l'altro li aveva ancora. Ci sentivamo per questo sia la mattina che il pomeriggio, in maniera continua. Per questo posso dire che la ricorrente fosse addetta alle vendite e sicuramente facesse apertura e chiusura del negozio" (teste . Tes_2
D'altro canto, le dichiarazioni della teste sul punto, risultano Tes_3 scarsamente attendibili, non avendo chiarito di cosa, in effetti, dovesse occuparsi la ricorrente in negozio, se non di fare la commessa, visto che ha affermato che si limitava a fare da supporto alle altre commesse "porgendoci i capi che venivano suggeriti dalla titolare".
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Analoghe considerazioni debbono svolgersi per le dichiarazioni della teste
pur saltuariamente presente e non addetta al negozio, la quale si è Tes_4 limitata ad affermare che la ricorrente "non seguiva le clienti, poteva dare una mano se ad esempio bisognava andare a prendere un capo in magazzino", anche in tal caso non riferendo quali dovessero essere le sue mansioni principali, per l'intero orario di lavoro, da aggiungersi all'eventuale supporto in tesi prestato alle commesse. Di talché, sulla scorta delle superiori considerazioni, deve ritenersi confermato che la ricorrente, sin dal 29/12/2015, abbia svolto le mansioni di commessa per le quali era stata assunta, con orario di lavoro a tempo pieno.
1.4. È dedotto, in ricorso, che la ricorrente ha frequentemente reso l'attività lavorativa nelle giornate di domenica, in specie nel periodo delle festività natalizie, nelle giornate risultanti dalle buste paga elaborate dal datore di lavoro, rivendicando in giudizio la maggiore retribuzione, per effetto di trascinamento del superiore livello rivendicato, nell'importo di € 377,43. Accertato il diritto al superiore inquadramento, la domanda è fondata, salva la verifica della correttezza degli importi.
1.5 Quanto a ferie e permessi, la ricorrente ha dedotto di avere lavorato "senza fruire delle ferie ovvero che le ferie godute non sono state retribuite" domandando, nei conteggi, tanto la retribuzione per tutti i mesi estivi, tanto l'indennità sostitutiva delle ferie non godute, per ciascun anno.
Tuttavia, le sue colleghe di lavoro hanno concordemente riferito che, di contro, lei godesse delle ferie e dei permessi, come tutti, seppure non potessero riferire se nei periodi di assenza venisse regolarmente retribuita. La teste ha dichiarato: "Nulla so di ferie e permessi Tes_1 eventualmente goduti dalla ricorrente. Posso dire che il negozio chiudeva solo pochi giorni a ridosso di Ferragosto, ma che la proprietà organizzava le ferie del personale, sicché sicuramente in ferie andavamo. Se la ricorrente venisse pagata nei periodi di ferie godute non so dirlo". In senso conforme, la teste ha riferito: "Quanto alle ferie, posso Tes_2 dire che bene o male le abbiamo fatte tutti. Quanto ai permessi, posso dire che capitava che io chiamassi in negozio e lei non c'era. Però poi gli accordi effettivi non li potevo sapere, neanche tra di noi in negozio li sapevamo”. Di talché, accertato che la ricorrente godesse, nel corso dell'anno, di periodi di ferie, è certo che a lei spetti la normale retribuzione anche nei periodi di ferie goduti, mentre non v'è prova che la stessa abbia diritto, in aggiunta, all'indennità sostitutiva di eventuali giornate di ferie residue non godute, ulteriori rispetto a quelle residue risultanti dall'ultima busta paga di ottobre 2010.
2. Deve, a questo punto, esaminarsi la richiesta di parte ricorrente di corresponsione dell'indennità sostitutiva del preavviso non concesso, per essere state le dimissioni rassegnate il 6/10/2020 assistite da giusta causa.
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Indipendentemente dal periodo di Cassa Integrazione per la pandemia, è certo che l'irregolare formalizzazione del rapporto - con inquadramento in un livello inferiore a quello spettante per un orario di lavoro part-time, in luogo di quello a tempo pieno costantemente osservato - protratta per quasi cinque anni, con consuetudine di irregolare corresponsione della retribuzione in contanti, senza busta paga, frazionata in acconti ("nessuna di noi veniva pagata regolarmente con una somma intera a fine mese, con bonifico o altro mezzo di pagamento;
piuttosto, ricevevamo tutte quante piccoli acconti in contanti, che non sapevamo mai che somme fossero e a quanto corrispondessero. Era così per tutte, per cui anche per la ricorrente
" teste , integra Tes_2 indiscutibilmente il motivo di improseguibilità anche temporanea del rapporto. Sussiste, per tale ragione, la giusta causa di dimissioni, con la conseguenza che il datore di lavoro dovrà essere condannato a corrispondere alla propria dipendente l'indennità sostitutiva del preavviso non concesso.
3. Una volta accertata la sussistenza del rapporto e l'insorgenza di obbligazioni retributive, il datore di lavoro è tenuto a provare di avere corrisposto al proprio dipendente gli emolumenti retributivi richiesti, estinguendo così le relative obbligazioni, secondo il riparto dell'onere della prova in materia di lavoro codificato dalle previsioni generali di cui agli artt. 1218 e 2697 c.c.. Al riguardo, le Sezioni Unite della Suprema Corte hanno affermato il condivisibile principio di diritto secondo cui in materia contrattuale, sia che agisca per la risoluzione, che per l'esatto adempimento, che per il risarcimento del danno, l'attore si può limitare a provare la fonte dell'obbligazione ed allegare l'inadempimento, mentre grava sul convenuto dimostrare l'esatto adempimento, cioè il pagamento dell'importo dovuto, così estinguendo il diritto azionato, ovvero l'impossibilità sopravvenuta a sé non imputabile (cfr., sul riparto dell'onere probatorio, Cass., Sez. Un., 30/10/2001, n. 13533). Il principio enunciato dalle Sezioni Unite è divenuto pacifico nella successiva giurisprudenza di legittimità (Cfr. Cass., Sez. 3, n. 982 del 28/1/2002, Cass., Sez. 2, n. 13925 del 25/9/2002, Cass., Sez. 3, n. 18315 del 1/12/2003, Cass., Sez. 3, n. 6395 del 1/4/2004, Cass., Sez. 3, n. 8615 del 12/4/2006, Cass., Sez. 1, n. 13674 del 13/6/2006, Cass., Sez. 1, n. 1743 del 26/1/2007), con l'unica eccezione – non ricorrente nel presente giudizio – in cui la parte convenuta deduca a sua volta l'inadempimento della controparte, nello schema dell'eccezione disciplinata dall'art. 1460 c.c.. 3.1 nel caso in esame, non è stato possibile utilizzare i conteggi, pur analitici, allegati all'atto introduttivo, in quanto erroneamente elaborati sul III livello del C.C.N.L. Commercio, nonostante la lavoratrice abbia rivendicato - e dimostrato di avere diritto ad ottenere - il IV livello, quale commessa. Per tale ragione, è stata disposta ed esperita c.t.u. contabile, perché il perito volesse riferire se, in applicazione del livello retributivo IV del C.C.N.L.
Commercio, per tutto il periodo dal 29/12/2015 al 6/10/2020, la ricorrente abbia
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percepito dal datore di lavoro somme inferiori a quelle Controparte_1 dovute, in particolare a titolo di paga ordinaria, 13ª e 14ª mensilità, lavoro domenicale, indennità sostitutiva di ferie e permessi ROL non goduti risultanti dall'ultima busta paga, indennità sostitutiva del preavviso non concesso, nonché TFR, in particolare considerando l'orario di lavoro a tempo pieno dal lunedì al sabato, con eventuale prestazione di lavoro domenicale solo quando risultante dalle buste paga. Eseguite le operazioni peritali, il c.t.u., esaminata la documentazione di causa ed effettuati i conteggi, ha concluso la sua relazione affermando che, sulla scorta dei dati fattuali costruiti in giudizio, la ricorrente è rimasta creditrice dell'importo di € 67.972,39. In particolare, premessi cenni sugli istituti contrattuali del C.C.N.L. Commercio, il c.t.u. ha riferito: “sulla base della documentazione presente in atti, eseguite le opportune verifiche ed elaborazioni, è stato determinato l'importo spettante alla ricorrente Sig.ra per il rapporto di Parte_1 lavoro intercorso alle dipendenze della oggi in Controparte_1 liquidazione, dal 29/12/2015 al 06/10/2020, a titolo di differenze retributive su retribuzione ordinaria, accessoria e differita, trattamento di fine rapporto ed eventuale indennità sostitutiva del preavviso non concesso, come segue. (A) Totale differenze retributive ……. euro 58.208,87 (B) Differenza TFR ………………… euro 8.294,12 (C) Preavv. ………………. euro 1.469,40”, Parte_4 per un totale complessivo di € 67.972,39. Ricevuta la bozza di perizia, le parti non hanno tramesso al c.t.u. alcuna osservazione, nonostante il termine appositamente concesso, omettendo di evidenziare alcun errore o incongruenza nei conteggi.
4. A questo punto, residua da esaminare la domanda di condanna solidale delle due società resistenti, sul presupposto che sia intervenuta, tra di loro, una cessione di azienda in data 23/2/2022. La deduzione, in effetti, è stata oggetto di conferma da parte dei legali rappresentanti delle società resistenti, in sede di interrogatorio formale.
per la , ha Parte_2 Controparte_1 dichiarato: "Sul capitolo 23: è vero. La nuova società era Controparte_2
a conoscenza dei debiti della e in Controparte_1 particolare del fatto che la dipendente , che aveva cessato il suo Parte_1 rapporto di lavoro, non aveva percepito il TFR e le competenze di fine rapporto, ciò in quanto l'odierna ricorrente aveva ricevuto in precedenza un consistente prestito da mia figlia e questo compensava il TFR e le competenze di fine rapporto, sicché null'altro le era dovuto". Dal canto proprio, per la ha Parte_3 Controparte_2 dichiarato: "Sul capitolo 23: è vero. La nuova società era a Controparte_2 conoscenza dei debiti che la aveva ancora nei confronti CP_1 dell'odierna ricorrente per il TFR e le competenze di fine rapporto, in quanto
9 non eravamo in possesso di documentazione relativa alle somme che erano state anticipate alla lavoratrice nel corso del rapporto". Di tali asseriti prestiti e del loro ammontare, tuttavia, non è stata fornita prova alcuna in giudizio, di talché la pretesa compensazione operata dal datore di lavoro con i crediti della lavoratrice risulta per certo illegittima.
4.1 In punto di diritto, è noto che, a norma dell'articolo 2112, comma 1, c.c., "in caso di trasferimento d'azienda, il rapporto di lavoro continua con il cessionario ed il lavoratore conserva tutti i diritti che ne derivano", mentre il comma 2 stabilisce che "il cedente ed il cessionario sono obbligati, in solido, per tutti i crediti che il lavoratore aveva al tempo del trasferimento". È opportuno osservare che l'ambito di operatività dell'istituto della cessione di azienda, rilevante ai fini dell'estensione del regime di responsabilità patrimoniale, è stato ampliato dalla legge 2/2/2001, n. 18, in applicazione della direttiva CE n. 98/50, che nel riscrivere l'art. 2112 c.c. ha introdotto un quinto comma che così dispone: “Ai fini e per gli effetti di cui al presente articolo si intende per trasferimento d'azienda qualsiasi operazione che, in seguito a cessione contrattuale o fusione, comporti il mutamento nella titolarità di un'attività economica organizzata, con o senza scopo di lucro, preesistente al trasferimento e che conserva nel trasferimento la propria identità a prescindere dalla tipologia negoziale o dal provvedimento sulla base del quale il trasferimento è attuato ivi compresi l'usufrutto o l'affitto di azienda. Le disposizioni del presente articolo si applicano altresì al trasferimento di parte dell'azienda, intesa come articolazione funzionalmente autonoma di un'attività economica organizzata, identificata come tale dal cedente e dal cessionario al momento del suo trasferimento”. In giurisprudenza si è così consolidato il principio secondo cui, "ai fini del trasferimento di ramo d'azienda previsto dall'art. 2112 c.c., anche nel testo modificato dall'art. 32 del d.lgs. n. 276 del 2003, costituisce elemento costitutivo della cessione l'autonomia funzionale del ramo ceduto, ovvero la sua capacità, già al momento dello scorporo, di provvedere ad uno scopo produttivo con i propri mezzi funzionali ed organizzativi e quindi di svolgere - autonomamente dal cedente e senza integrazioni di rilievo da parte del cessionario - il servizio o la funzione cui risultava finalizzato nell'ambito dell'impresa cedente al momento della cessione. L'elemento costitutivo dell'autonomia funzionale va quindi letto in reciproca integrazione con il requisito della preesistenza, e ciò anche in armonia con la giurisprudenza della Corte di Giustizia secondo la quale l'impiego del termine "conservi" nell'art. 6, par. 1, commi 1 e 4 della direttiva 2001/23/CE, "implica che l'autonomia dell'entità ceduta deve, in ogni caso, preesistere al trasferimento" (Corte di Giustizia, 6 marzo 2014, C-458/12;
Corte di Giustizia, 13 giugno 2019, C-664/2017)"
(cfr. Cassazione, Sezione Lavoro, n. 22249 del 4/8/2021). Tale è per certo l'operazione compiuta dalla cedente Controparte_1 posta in scioglimento e liquidazione dal 5/1/2022, con atto iscritto il 14/2/2022,
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e la cessionaria iscritta nel registro delle imprese come Controparte_2
"trasferimento di azienda" per atto Notaio del 23/2/2022. Persona_2
Le parti non contestano, d'altro canto, che, a far data dal trasferimento, la sia subentrata negli esercizi commerciali già gestiti dalla Controparte_2
acquisendo il relativo personale, transitato alle proprie Controparte_1 dipendenze. Di talché, è indubbia l'operatività della norma di salvaguardia di cui all'articolo 2112 c.c., sicché, anche, che il cedente e il cessionario siano obbligati in solido tra loro per tutti i crediti che la lavoratrice ricorrente aveva al tempo del trasferimento. Tali sono, per certo, i crediti già maturati dalla dipendente Parte_1
a titolo di differenze retributive, per maggior orario e diritto al superiore inquadramento, nonché a titolo di competenze di chiusura del rapporto e TFR, che le parti resistenti hanno ammesso la cessionaria conoscesse. Ne consegue la responsabilità solidale delle parti resistenti per i crediti della lavoratrice ricorrente, nei limiti in cui accertati.
5. Le spese di lite, da porsi a carico delle parti resistenti, in solido, vanno liquidate come in dispositivo alla luce della regola generale sulla soccombenza, in ossequio ai parametri indicati nelle tabelle allegate al D.M. n. 147/2022, con riguardo allo scaglione di valore della causa e debbono essere distratte in favore del procuratore della ricorrente, dichiaratosi antistatario. Vanno poste a carico delle resistenti in solido, infine, le spese di c.t.u. contabile, liquidate con separato decreto.
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