Trib. Messina, sentenza 17/07/2024, n. 1850
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Testo completo
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL TRIBUNALE DI MESSINA - I sezione civile
Il giudice della I sezione civile del Tribunale di Messina, dott. C
BINGA, in funzione di giudice monocratico, ha reso la seguente
SENTENZA nella causa iscritta al N. 4728 del Registro Generale Contenzioso 2022
TRA
, nata a Messina il 07 dicembre 1960, C.F.: Parte_1
, residente in Santa Teresa di Riva (ME), Via Porto C.F._1
S, n. 40/B ed ivi elettivamente domiciliata in Via Regina Margherita, n. 313, presso lo studio dell'Avv. LORENZO TRIMARCHI (C.F.:
) che la rappresenta e difende, congiuntamente e C.F._2 disgiuntamente all'Avv. FRANCESCO GENOVESE (C.F.:
), giusta procura in atti, i quali, ai sensi e per gli effetti C.F._3
di cui alla vigente normativa in materia, hanno dichiarato di voler ricevere le comunicazioni relative al presente procedimento anche mediante posta elettronica certificata, agli indirizzi e Email_1
PARTE ATTRICE Email_2
E nato a Villa San Giovanni (RC) il 20.7.1960, C.F.: Controparte_1
, residente in Santa Teresa di Riva (ME) nella via Porto C.F._4
S n. 40/B, rappresentato e difeso, giusta procura in atti, dal prof. avv. LUCA
PEDULLA', del foro di Catania, (C.F.: ), pec: C.F._5
ed elettivamente domiciliato presso Email_3
il suo studio sito in Catania, viale XX Settembre n. 76;PARTE CONVENUTA
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avente per oggetto: Regime Patrimoniale: della famiglia ex artt. 159 e ss. c.c..
IN FATTO ED IN DIRITTO
Con atto di citazione ritualmente notificato in data 10.10.2022 conveniva in giudizio davanti a questo Tribunale Parte_1
esponendo che in data 28.07.1986 le parti in causa avevano Controparte_1
contratto matrimonio scegliendo il regime patrimoniale della comunione legale dei beni;che con ricorso depositato il 23.07.2020 aveva Controparte_1
adito questo Tribunale chiedendo la separazione giudiziale dei coniugi;che i coniugi erano comparsi davanti al Presidente delegato per il tentativo di conciliazione all'udienza del 22.11.2021;che con ordinanza del 02/03.12.2021 il
Presidente delegato aveva autorizzato i coniugi a vivere separati, disponendo la comunicazione del provvedimento all'Ufficiale dello Stato Civile ai sensi e per gli effetti dell'art. 191 c.c.;che, conseguentemente, dalla data della ordinanza presidenziale si era verificato lo scioglimento della comunione legale ed era sorta la comunione de residuo sui beni previsti dall'art. 177 comma 1 lett. b) e c)
c.c.;che nel corso del procedimento di separazione il GIUNTA aveva dichiarato che nel maggio 2019, avendo a disposizione una somma di circa € 100.000,00, aveva deciso di impiegare la somma di € 50.000,00 in una polizza a suo nome e la somma di € 25.000,00 mediante la sottoscrizione di un BTP a lui intestato;che le somme e gli investimenti sopra indicati non erano stati certamente consumati al momento dello scioglimento della comunione legale e, poiché erano frutto dei proventi dell'attività lavorativa del , erano caduti nella CP_1
comunione de residuo o, in subordine, nella comunione degli acquisti potendo qualificarsi tali beni nella categoria dei prodotti finanziari;che, viceversa, i proventi dell'attività lavorativa separata della deducente ammontavano a €
4.857,15, pari al saldo sul c/c intrattenuto presso Banca Monte dei Paschi di
Siena alla data del 03.12.2021. Rilevava, quindi, che ella aveva diritto alla somma di € 50.000,00 pari alla metà dei proventi dell'attività lavorativa del convenuto, dalla quale andava detratta la somma di € 2.428,57, pari alla metà
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dei proventi dell'attività lavorativa della deducente. Chiedeva, pertanto, che il convenuto fosse condannato al pagamento della somma risultante dalla suddetta compensazione oltre interessi e rivalutazione.
Con comparsa tempestivamente depositata il 05.02.2023, di costituiva
il quale contestava la fondatezza delle domande avversarie Controparte_1
e ne chiedeva il rigetto. In particolare, contestava quanto allegato dall'attrice con riferimento alla provenienza delle somme indicate come sussistenti sul conto corrente intestato al deducente e sottolineava che la presunzione di comunione delle somme presenti sul conto corrente ben poteva essere superata dalla prova contraria. In ogni caso, evidenziava che la somma investita nella “polizza vita” non poteva ricadere nella comunione de residuo in quanto a seguito di tale investimento detta somma non era più nella sua disponibilità, bensì nella disponibilità esclusiva della banca, sicché si versava nella ipotesi in cui i proventi dell'attività separata svolta da ciascun coniuge erano stati già consumati, anche in considerazione del fatto che la polizza aveva come beneficiario un terzo soggetto ed ai sensi dell'art. 1920 c.c., per effetto della designazione, il terzo aveva acquistato un diritto proprio ai vantaggi dell'assicurazione. Quanto agli altri prodotti finanziari, quali i BFP, osservava che essi non costituivano “frutti” ai sensi dell'art. 177 lett. b) o “proventi” percepiti e non consumati ai sensi dell'art. 177 lett. c) e non potevano, pertanto, rientrare nella comunione de residuo. Rilevava, poi, che il BFP menzionato nell'atto di citazione era stato acquistato con denaro personale e non poteva, pertanto, rientrare neppure in seno alla comunione legale. Evidenziava, infine, che l'attrice avrebbe dovuto non solamente conferire nella comunione de residuo la somma di € 4.857,15, ma anche corrispondere una indennità per
l'occupazione della casa coniugale, in quanto, sin dal mese di settembre 2020, ella aveva goduto illegittimamente per intero del suddetto immobile, senza che vi fosse alcun provvedimento di assegnazione, benché egli ne fosse usufruttuario per la quota del 50 %. Rilevava, in proposito, che i coniugi erano titolari
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dell'usufrutto vitalizio sul suddetto immobile, la cui nuda proprietà spettava alla figlia , e sebbene l'art. 1102 c.c. consentisse a tutti i partecipanti Persona_1
alla comunione di utilizzare la cosa comune, occorreva che fosse rispettato il limite contemplato dalla norma, di non impedire l'esercizio delle pari facoltà di godimento agli altri contitolari, mentre in tal caso egli non aveva avuto alcuna possibilità di godimento del bene. Chiedeva, pertanto, il rigetto delle domande avversarie e, in via riconvenzionale, che l'attrice fosse condannata al pagamento della somma di € 900,00 mensili, corrispondente al valore locativo della casa coniugale, dal 17.09.2020 al mese di gennaio 2023, oltre interessi e rivalutazione.
Con memoria ex art. 183/6 n. 1 c.p.c. depositata il 06.03.2023 contestava tutte le argomentazioni e domande Parte_1
avversarie, rilevando l'inconducenza del riferimento effettuato da controparte ai principi elaborati dalla giurisprudenza in tema di conto cointestato, fattispecie totalmente estranea all'oggetto del giudizio. Rilevava che la polizza vita con premio unico di € 50.000,00 non era mai fuoriuscita dal patrimonio del
, tanto che lo stesso poteva esercitare il riscatto sia totale che parziale CP_1
della prestazione maturata ed il terzo avrebbe acquisito il diritto alla riscossione solo se al momento del decesso del la polizza non fosse stata in CP_1
precedenza riscattata. Negava, poi, che il BFP di € 25.000,00 oggetto di causa fosse stato acquistato dal GIUNTA con denaro personale, avendo lo stesso ammesso nel giudizio di separazione, per il tramite del suo difensore, che il denaro impiegato era il frutto della liquidazione del TFR. Quanto, infine, alla domanda riconvenzionale proposta dal , eccepiva che essa era CP_1
inammissibile, in quanto non dipendente dal titolo dedotto in giudizio dall'attrice, mentre, nel merito, evidenziava che era stato il stesso a CP_1
decidere di abbandonare la casa coniugale ed a rinunciare alla fruizione di tale bene lasciandone il godimento alla moglie, tanto che in sede di separazione
l'assegno per il coniuge era stato quantificato anche tenendo conto del fatto che
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il aveva dichiarato di rinunciare al godimento della casa coniugale. CP_1
Osservava, inoltre, che ove fosse stato riconosciuto al convenuto un indennizzo per il mancato godimento del bene, il avrebbe lucrato un ingiustificato CP_1
arricchimento in ragione dell'importo più contenuto dell'assegno di mantenimento posto a suo carico nel giudizio di separazione.
Con memoria ex art. 183/6 n. 2 c.p.c. depositata il 05.04.2023
[...]
negava di essersi allontanato spontaneamente dalla casa coniugale e di CP_1
avere mai rinunciato al godimento del bene, mentre la circostanza che in sede di separazione il proprio difensore avesse offerto l'assegnazione della casa coniugale alla non poteva avere avuto alcuna conseguenza, dal Parte_1
momento che la casa coniugale non era stata mai assegnata a quest'ultima.
Acquisita documentazione ed espletata C.T.U. al fine di accertare il valore locativo della casa coniugale dalla data del 21.06.2022, all'udienza del
28.03.2024, celebrata con le modalità cartolari previste dall'art. 127 ter c.p.c., sulle conclusioni dei procuratori delle parti il Giudice assegnava la causa in decisione, ai sensi dell'art. 281 quater c.p.c., concedendo i termini di rito, ai sensi dell'art. 281 quinquies c.p.c. per il deposito di comparse conclusionali e di memorie di replica.
Per la decisione della causa si deve premettere che la disciplina normativa della comunione legale tra coniugi non è riconducibile a quella della comunione ordinaria e, in particolare, è pacifico che, diversamente dalla comunione per quote, la comunione tra coniugi, anche con riferimento ai singoli beni che la compongono, non si scioglie per richiesta di una delle parti, ma esclusivamente per una delle cause previste dalla legge. Orbene, ai sensi dell'art. 191 c.c. la comunione legale cessa a seguito della separazione personale dei coniugi e, a seguito della riforma introdotta con la legge 06.05.2015 n. 55, applicabile ratione temporis anche alla fattispecie in esame, il legislatore ha chiarito che ai fini della cessazione del regime legale di comunione è sufficiente che sia stata emessa l'ordinanza con la quale il Presidente del Tribunale autorizza i coniugi a
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vivere separati, non essendo, invece, necessaria, come si riteneva in passato, in base ad un consolidato indirizzo giurisprudenziale della Corte di legittimità
(Cass. 29.01.1990 n. 560), implicitamente recepito anche dalla Corte
Costituzionale (ordinanza n. 795 del 1988), la pronuncia definitiva sullo stato coniugale. Nella fattispecie in esame, pertanto, avendo il Presidente delegato emesso, in data 03.12.2021, nell'ambito del giudizio di separazione giudiziale tra le parti in causa, ordinanza con la quale ha autorizzato i coniugi a vivere separati, deve ritenersi che sia ormai cessato il regime patrimoniale della comunione legale.
E' utile, poi, evidenziare che, nell'ambito della famiglia, possono determinarsi diversi tipi di comunione dei beni. La più nota e diffusa è quella chiamata “comunione legale”, che riguarda gli acquisti fatti dai coniugi insieme
o separatamente in costanza di matrimonio ed opera con effetti immediati. Vi è poi la cosiddetta comunione de residuo, disciplinata dall'art. 177 comma 1 lett.
b) e c) c.c., che non opera immediatamente ma solo al momento dello scioglimento della comunione, nel senso che i beni oggetto della comunione de residuo rimangono «propri» del coniuge titolare sino al momento dello scioglimento, momento nel quale (a differenza dei beni “personali”) entreranno
a far parte di una situazione di contitolarità, che costituisce il presupposto della divisione in parti uguali. In particolare, la comunione de residuo ha ad oggetto “i frutti dei beni propri di ciascuno dei coniugi, percepiti e non consumati allo scioglimento della comunione” e “i proventi dell'attività separata di ciascuno dei coniugi se, allo scioglimento della comunione, non siano stati consumati”.
In particolare, si è ritenuto che il saldo attivo di un conto corrente bancario, anche se sia intestato - in regime di comunione legale dei beni - soltanto a uno dei coniugi e nel quale siano affluiti proventi dell'attività separata svolta dallo stesso, fa parte della comunione de residuo ed entra a far parte della comunione dei beni, ai sensi dell'art. 177 c.c., comma 1, lett. c), se ancora
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sussistente al momento dello scioglimento della stessa (Cass. civ., sez. trib.
23.02.2011 n. 4393).
In passato si riteneva che costituissero oggetto della comunione de residuo non solo i proventi esistenti al momento dello scioglimento della comunione, ma anche quelli per i quali l'utilizzatore non fosse riuscito a provare che erano stati consumati per il soddisfacimento delle esigenze della famiglia.
Solo i proventi per i quali fosse stata raggiunta questa prova restavano esclusi dalla caduta in comunione de residuo (Cass. civ. 17.11.2000. n. 14897).
Pertanto, seguendo tale tesi, una volta dimostrato che uno dei coniugi aveva prelevato del denaro dal conto corrente ove erano stati depositati i risparmi della famiglia, sarebbe stato suo onere dimostrare di avere utilizzato la somma prelevata per soddisfare bisogni della famiglia o per fare investimenti in beni caduti in comunione. Tuttavia, tale orientamento è stato successivamente superato con l'affermazione di un principio opposto, quello cioè per il quale devono essere esclusi dalla comunione legale fra i coniugi i proventi dell'attività separata svolta da ciascuno di essi e consumati, anche per fini esclusivamente personali, in epoca precedente allo scioglimento della comunione. La Suprema
Corte ha, invero, osservato, discostandosi dal precedente orientamento, che la tesi opposta attribuirebbe alla comunione legale un'onnicomprensività che va ben oltre il dettato normativo e contrasta con la lettera della legge, che non prevede vincoli di destinazione né impone limiti o controlli al diritto di ciascun coniuge di disporre dei propri redditi. Infatti, non esiste alcun diritto giuridicamente tutelato di ciascun coniuge sui proventi dell'altro e sul modo in cui questi li amministra. Di conseguenza, il coniuge percettore ha, rispetto ai proventi dell'attività personale, un potere di godimento, amministrazione e disposizione pieno, ex art. 217 c.c., salvo il limite di contribuire ai bisogni della famiglia, che peraltro sussiste anche con riferimento ai beni personali (art. 185
c.c.) (Cass. civ. 12.09.2003 n. 13441;Cass. civ. 07.02.2006 n. 2597;Cass. civ.
21.10.2010 n. 21648) e grava sul coniuge che chiede la divisione l'onere della
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prova della non consumazione ovvero dell'esistenza nel patrimonio del percipiente, al momento dello scioglimento della comunione, dei proventi dell'attività separata dell'altro coniuge (Cass. civ. 18.10.2023 n. 28957).
E' irrilevante, infine, esaminare come siano stati formati questi risparmi, poiché il principio informatore della divisione dei beni della comunione è quello della perfetta parità dei coniugi, anche con riferimento ai beni facenti parte della cosiddetta comunione de residuo, restando escluso che uno di essi possa pretendere un'assegnazione superiore alla metà in base alla dimostrazione di avere contribuito in misura più rilevante alla costituzione del comune patrimonio. E' pacifico, infatti, che non è applicabile la disciplina della comunione ordinaria, nella quale l'eguaglianza delle quote dei partecipanti è oggetto di una presunzione semplice (art. 1101 c.c.), superabile mediante prova del contrario (Cass. civ. 24.07.2003 n. 11467). Il patrimonio comune “di conseguenza deve essere ripartito in parti uguali al momento della divisione dei beni sia che provenga dall'attività di uno solo dei coniugi, sia che provenga dalle singole attività dei due coniugi, ancorché in misura diversa per ciascuno di essi”
(Cass. civ. 22.02.1992 n. 2182). Inoltre l'utilizzo di dette somme da parte di uno dei due coniugi non dà luogo a rimborso ai sensi dell'art. 192 comma 3 c.c., essendo pacifico che tale norma si applica solamente ai beni personali di cui all'art. 179 c.c. (beni personali in senso stretto) con esclusione di quelli previsti dall'art. 177 c.c..
Nella fattispecie in esame, dalla documentazione acquisita emerge che, in data 03.12.2021, al momento dello scioglimento della comunione legale, sul conto corrente numero 01274473, intestato a vi era un saldo Controparte_1
di € 56.273,00, mentre sul conto corrente n. 1928 intrattenuto presso Banca
Monte dei Paschi di Siena da vi era un saldo di € Parte_1
4.857,15. Tenuto conto del fatto che, come si è detto sopra, non esiste alcun diritto giuridicamente tutelato di ciascun coniuge sui proventi dell'altro e sul modo in cui questi li amministra, appaiono del tutto irrilevanti le considerazioni
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svolte dal convenuto sulle modalità di amministrazione del denaro depositato sul conto intestato alla el mesi che hanno preceduto lo scioglimento Parte_1
della comunione legale ed infondata la richiesta di calcolare la corretta somma facente parte della comunione de residuo ricomprendendo il denaro dissipato dalla Si deve, poi, presumere che sui suddetti conti correnti siano Parte_1
affluiti i proventi dell'attività separata dei coniugi e, comunque, il non CP_1
ha dimostrato che le somme depositate sul conto corrente a lui intestato fossero in tutto o in parte provenienti da beni personali. sicché in tal caso vale la presunzione di comunione posta dall'art. 195 c.c.. Di conseguenza, la somma complessiva depositata sui due conti correnti, pari a € 61.130,15, facente parte della comunione de residuo, a seguito dello scioglimento della comunione legale, va divisa in parti eguali tra i coniugi e, in particolare, Controparte_1
va condannato a corrispondere a la somma Parte_1
complessiva di € (61.130,15 / 2, somma dalla quale va detratta quella già in possesso della pari a € 4.857,15) 25.707,92, oltre interessi legali Parte_1
dalla domanda sino al soddisfo.
Dalla documentazione acquisita risulta, poi, che il è titolare CP_1
anche di un BPF acquistato il 31.05.2019 dell'importo di € 25.000,00, per il quale era previsto che maturassero interessi solo al compimento del terzo anno di possesso e che, pertanto, alla data dello scioglimento della comunione legale, aveva il valore di € 25.000,00, dovendosi escludere che possano rientrare della comunione de residuo i frutti in corso di maturazione, come gli interessi sui buoni postali, non ancora maturati al tempo della separazione personale (Cass. civ. 19.01.2018 n. 1429).
Con riferimento ai titoli di credito che costituiscono un investimento, quali sono certamente i Buoni Postali Fruttiferi, la dottrina tendenzialmente ne riconosce la natura comune, salvo dividersi sulla questione se questi entrino in comunione immediatamente, ex art. 177, comma 1 let. a) c.c. o, piuttosto, allo scioglimento della comunione, ex art. 177, comma 1 lett. c) c.c.. La
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giurisprudenza di legittimità, muovendo dal rilievo che la comunione legale può avere ad oggetto, oltre ai diritti reali, anche i diritti di credito, nella misura in cui possano essere considerati come una forma di investimento e, come tali, dei beni ai sensi degli artt. 810, 812 e 813 c.c., poiché la ratio della disciplina trascende il carattere del bene della vita che venga acquisito e la natura reale o personale del diritto che ne forma oggetto, ha ritenuto che i titoli di credito aventi natura di investimento, sempre che non ricorra una delle eccezioni di cui all'art. 179 c.c., costituiscono, ai sensi dell'art. 177 comma 1 lett. a) c.c., dei veri e propri
“acquisti” e rientrano fra i beni in comunione legale, (vedi Cass. civ. sez. I,
09.10.2007, n. 21098, con riferimento ai titoli di stato e Cass. civ. 09.10.2007 n.
21098 con riferimento alle obbligazioni societarie). In ogni caso, sia che si ritenga che i BFP rientrino nella comunione immediata o in quella differita, è evidente che, con lo scioglimento della comunione legale, anche la comunione immediata si trasforma in comunione ordinaria e ciascuno dei comunisti ha diritto ad ottenerne lo scioglimento. Di conseguenza, il convenuto va condannato a corrispondere a in relazione al BFP Parte_1
sopra indicato, la somma di € 12.500,00 oltre interessi dalla domanda sino al soddisfo.
Infine, risulta che in data 31.05.2019 ha stipulato con Controparte_1
una polizza di assicurazione sulla vita con un premio unico Controparte_2
versato di € 50.000,00 e con capitale assicurato iniziale di € 49.375,00;in data
17.01.2021, lo stesso ha, poi, indicato come beneficiaria in caso di morte tale
. Il contratto prevedeva, in caso di decesso Persona_2
dell'assicurato, il pagamento, in favore del beneficiario designato dal contraente, di un capitale pari alla somma del controvalore delle quote di un Fondo Interno
Assicurativo e del capitale assicurato, rivalutato in base al risultato realizzato dalla Gestione Separata, mentre nel caso di riscatto, sia totale che parziale, della prestazione maturata, la liquidazione di un importo variabile, anche inferiore rispetto al premio versato, in relazione ai costi ed alla variabilità del valore delle
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quote del Fondo Interno Assicurativo. Si è, pertanto, al cospetto di un contratto che, come si legge nel prospetto illustrativo, è caratterizzato dalla combinazione di un prodotto assicurativo con partecipazione agli utili e di un prodotto finanziario assicurativo di tipo unit-linked, ma che riconosce, comunque, all'assicurato una somma apprezzabile non legata al rischio finanziario.
Il ha sostenuto che la suddetta polizza non potrebbe essere CP_1
ricondotta nell'alveo della comunione de residuo, poiché attraverso il pagamento del premio egli aveva utilizzato e, conseguentemente, “consumato” la relativa somma. Tale argomentazione è, però, ad avviso di questo Giudice, solo in parte condivisibile e, comunque, non infirma la fondatezza della domanda dell'attrice. Come si è detto prima, anche i diritti di credito aventi natura di investimento costituiscono, ai sensi dell'art. 177 comma 1 lett. a) c.c., dei veri e propri “acquisti” e rientrano fra i beni in comunione legale. Orbene, nella fattispecie in esame ricorre proprio tale ipotesi, poiché è difficilmente contestabile che attraverso la stipulazione della suddetta polizza sulla vita il
abbia inteso effettuare un “investimento” dei propri risparmi mediante CP_1
l'acquisto di un prodotto finanziario, mentre appare inconducente il rilievo effettuato dal convenuto che la somma oggetto del contendere è stata utilizzata per il pagamento del premio, poiché esso si attaglia esclusivamente alla figura della comunione de residuo ma non anche alla figura della comunione immediata.
Il convenuto ha, poi, sottolineato che, avendo egli designato quale beneficiario un terzo prima dello scioglimento della comunione legale, la somma in questione era definitivamente fuoriuscita dal suo patrimonio e non poteva ritenersi che facesse parte della comunione né legale né de residuo. Tale argomentazione appare, però, viziata da una premessa erronea, poiché la designazione del beneficiario è un negozio inter vivos con effetti post mortem e, pur determinando l'acquisto da parte del beneficiario designato, ai sensi dell'art.
1920, comma 3, c.c., di un diritto proprio che trova la sua fonte nel contratto e
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perviene al beneficiario direttamente, senza passare per il patrimonio del contraente, non integra un atto di disposizione del patrimonio, come si desume agevolmente dal fatto che il beneficio può essere revocato in ogni momento e che il potere di revoca è, comunque, connaturale alla stessa struttura giuridica dell'assicurazione sulla vita a favore di terzo, tanto da non essere precluso dall'eventuale accettazione del beneficio (art. 1921 c.c., in deroga all'art. 1411 comma 2 c.c.).
Anche con riferimento al capitale assicurato deve, allora, affermarsi che a seguito dello scioglimento della comunione legale, la comunione immediata si è trasformata in comunione ordinaria e ciascuno dei comunisti ha diritto ad ottenerne lo scioglimento. Di conseguenza, il convenuto va condannato a corrispondere a in relazione alla suddetta Parte_1
polizza, la somma di € 24.687,50 oltre interessi dalla domanda sino al soddisfo.
Alla luce di quanto sopra, il convenuto va, pertanto, condannato al pagamento in favore dell'attrice, per le causali sopra indicate, della complessiva somma di € 62.895,42 oltre interessi legali dalla domanda sino al soddisfo.
Il convenuto ha chiesto in via riconvenzionale il pagamento di una somma per il godimento esclusivo esercitato dall'attrice sulla casa coniugale della quale entrambi i coniugi erano usufruttuari.
L'attrice ha eccepito l'inammissibilità della suddetta domanda riconvenzionale, in quanto priva dei requisiti previsti nell'art. 36 c.p.c., ma tale rilievo è infondato, poiché è pacifico che i requisiti previsti nell'art. 36 c.p.c. sono funzionali allo spostamento della competenza per connessione, ma quando la domanda riconvenzionale non ecceda la competenza del giudice della causa principale, a fondamento di essa può porsi anche un titolo non dipendente da quello fatto valere dall'attore, purché sussista con questo un collegamento oggettivo che consigli il simultaneus processus secondo la valutazione discrezionale del giudice (Cass. civ. 15.01.2020 n. 533).
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Nel merito, la suddetta domanda riconvenzionale è solo parzialmente fondata.
Infatti, quando uno dei comproprietari utilizzi in via esclusiva un bene comune (ma le medesime considerazioni valgono anche quando più soggetti sono contitolari del diritto di usufrutto sul medesimo bene) non sempre vi è un obbligo di rendere il conto all'altro o agli altri comproprietari. Va, infatti, osservato che, ai sensi della normativa di cui all'art. 1102 c.c., l'uso diretto del bene comune da parte di un comproprietario, altro non è che l'attuazione del diritto dominicale, salvo l'obbligo di non alterare la destinazione economica del bene e di non impedire agli altri condividenti l'eguale e diretto uso ovvero di trarre dal bene i frutti civili. In particolare, Di conseguenza, il semplice godimento esclusivo del bene ad opera di uno dei comproprietari, in via di principio, ove mantenuto nei limiti di cui all'art. 1102 c.c., non assume l'idoneità
a produrre un qualche pregiudizio in danno degli altri comproprietari, che siano rimasti inerti o abbiano acconsentito ad esso in modo certo ed inequivoco, essendo l'occupante tenuto al pagamento della corrispondente quota di frutti civili ricavabili dal godimento indiretto della cosa solo in due casi 1) se gli altri partecipanti abbiano manifestato l'intenzione di utilizzare il bene in maniera diretta e non gli sia stato concesso, e sempre che risulti provato che il comproprietario, il quale abbia avuto l'uso esclusivo del bene, ne abbia tratto anche un vantaggio patrimoniale, ovvero 2) nel caso in cui l'occupante del bene abbia tratto dei frutti civili dal godimento indiretto dell'immobile (Cass. civ.
20.01.2022 n. 1738;Cass. civ. 08.06.2022 n. 18548;Cass. civ. 09.02.2015 n.
2423;Cass. civ. 03.12.2010 n. 24647;Cass. civ. 04.12.1991 n. 13036). Nel caso di specie non vi è dubbio che la convenuta abbia utilizzato in via esclusiva la casa coniugale dopo la separazione di fatto dei coniugi, continuando ad abitarvi, mentre non è stato neppure allegato che la stessa abbia tratto dei frutti civili dal godimento indiretto dell'immobile. Di conseguenza, il semplice godimento esclusivo del bene ad opera dell'attrice non assumere l'idoneità a produrre un
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qualche pregiudizio in danno del convenuto, che ha mostrato sostanziale acquiescenza all'altrui uso esclusivo e che, comunque, ha chiaramente manifestato di non volere più consentire a tale uso esclusivo solo a far data dal
21.06.2022, quando ha richiesto con pec la consegna delle chiavi dell'immobile.
Di conseguenza, si deve ritenere che la sia tenuta al pagamento Parte_1
dei frutti civili relativo al godimento del suddetto immobile solo per il periodo dal giugno 2022 sino al gennaio 2023 (data in cui è stata formulata la domanda riconvenzionale, come espressamente richiesto nella comparsa di costituzione).
I frutti civili del bene comune rimasto, senza un titolo giustificativo, nel godimento esclusivo di uno o più comproprietari si identificano, come è noto, nel corrispettivo del godimento dell'immobile che si sarebbe potuto concedere ad altri (Cassazione civile, sez. II, 21 febbraio 1985 n. 1528).
Il nominato C.T.U., arch. sulla base di una indagine Persona_3
accurata, compendiata nella relazione depositata il 09.01.2024, ha accertato che il valore locativo dell'immobile oggetto di causa, nel periodo in considerazione, era complessivamente pari a € 7.148,06. Le parti hanno contestato le conclusioni cui è giunto il C.T.U., la cui indagine risulta, nondimeno, compiuta in modo corretto e convincente, mentre le critiche sollevate non colgono nel segno, poiché è evidente che si limitano ad affermare in modo sostanzialmente apodittico una valutazione diversa da quella fornita dal C.T.U., che si deve ritenere assistita da una presunzione di imparzialità. D'altronde, la contestazione dell'esattezza delle conclusioni della espletata consulenza mediante la pura e semplice contrapposizione ad essa delle diverse valutazioni espresse dal consulente tecnico di parte non è sufficiente ad evidenziare alcun errore delle prime, ma solo la diversità dei giudizi formulati dagli esperti (Cass. civ.
28.03.2006 n. 7078).
Alla stregua delle superiori considerazioni, l'attrice va condanna al pagamento in favore del convenuto della quota pari a ½ di tale valore locativo
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(corrispondente alla quota del diritto spoetante al ) corrispondente ad € CP_1
3.574,03, oltre interessi legali da ciascuna scadenza mensile sino al soddisfo.
Va, infine, osservato che pur avendo l'attrice, con le note depositate il
24.01.2024 richiesto che fosse ordinata l'esibizione del saldo del libretto di risparmio presso BancoPosta, recante nr. 000049875441 alla data di scioglimento della comunione legale, la stessa, dopo il deposito della relativa documentazione da parte del , non ha formulato alcuna domanda con CP_1
riferimento alla somma depositata su detto libretto alla data dello scioglimento della comunione legale, sicché non occorre neppure soffermarsi sulle difese svolte dal , il quale ha affermato che per larghissima parte detta somma CP_1
proveniva dall'eredità del padre e rientrava, pertanto, tra i beni personali.
Le spese del giudizio seguono la soccombenza e vanno poste, pertanto, a carico del convenuto, non potendo dubitarsi che questi sia "maggiormente soccombente" confrontando il valore delle domande parzialmente accolte. Dette spese, tenuto conto della natura e del valore della causa e della complessità delle questioni trattate, possono liquidarsi in complessivi € 545,00 per spese non imponibili ed in complessivi € 7.616,00 per compensi di cui € 1.701,00 per fase studio, € 1.204,00 per fase introduttiva, € 1.806,00 per fase istruttoria ed €
2.905,00 per fase decisoria, oltre spese generali nella misura del 15 % dei compensi, I.V.A. e c.p.a.. Le spese di C.T.U. sostenute dal convenuto vanno, viceversa, poste a carico dell'attrice, in quanto funzionali alla decisione di una domanda sulla quale la rimasta soccombente. Parte_1