Trib. Lucca, sentenza 07/05/2024, n. 189
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Testo completo
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE ORDINARIO di LUCCA
Sezione Lavoro
Il Tribunale in funzione di Giudice del Lavoro e della Previdenza e Assistenza obbligatorie, nella persona del Giudice dott. A M, ha pronunciato all'esito della trattazione scritta prevista dall'art.
127-ter cpc la presente
SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 3/2023 promossa da:
(c.f. ), con il patrocinio dell'avv. A B ed Parte_1 CodiceFiscale_1 elettivamente domiciliato presso il difensore nello studio in Lucca, Via Pisana, 69, come da delega in calce/allegata al ricorso introduttivo ricorrente
e
e Controparte_1 Controparte_2
Convenuti contumaci
Concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione
La ricorrente ha convenuto in giudizio i convenuti sigg.ri e Controparte_1 Controparte_2
“quali coeredi della sig.ra chiedendone la condanna al pagamento di differenze retributive a suo Parte_2 dire a lei spettanti in conseguenza di un rapporto di lavoro svolto in favore della sig.a e alle Parte_2 formali dipendenze delle sig.re (zia per parte materna dei convenuti) e Persona_1 Parte_2
(nonna per parte materna dei convenuti) nel periodo dal 21/01/2013 al 31/03/2019.
La presente causa era stata preceduta da altra (R.G. 583/19), instaurata contro le formali datrici di lavoro, causa che si era interrotta per la morte della sig.a e che era stata riassunta Parte_2 impersonalmente nei confronti di tutti gli eredi. Gli odierni convenuti sono figli di a sua Persona_2 volta figlia di e premorta rispetto a quest'ultima. Parte_2
Dopo la riassunzione nella causa RG 583/2019 si erano costituite solo le due figlie ancora in vita della sig.a
e la causa si era conclusa con un accordo conciliativo del 26.7.2021 intercorso tra l'odierna Parte_2
1
ricorrente e le zie degli odierni convenuti, accordo in forza del quale la ricorrente -riservatosi il diritto di agire per la quota di un terzo della somma originariamente richiesta- aveva ricevuto la somma di € 11.000,
(5.500,00 da ciascuna delle figlie della sig.a . Parte_2
Ella in questa sede chiede ai convenuti il pagamento del terzo dell'originaria somma (di circa 37mila euro) di cui al proc. RG 583/2019, assumendone la qualità di eredi, essendo loro figli della sig.a
[...] figlia premorta della sig.a Per_2 Parte_2
***
Il ricorso non può essere accolto: manca la prova che i convenuti rivestano la qualità di eredi.
Come noto l'istituto della rappresentazione fa sì che i discendenti legittimi o naturali (rappresentanti) subentrino al loro ascendente nel diritto di accettare un lascito qualora il chiamato (rappresentato) non possa (ad esempio per premorienza) o non voglia (ad esempio per rinuncia) accettare l'eredità o il legato
(art. 468 c.c.).
La rappresentazione può aver luogo soltanto quando il chiamato che non può o non vuole accettare sia o figlio (essendo indifferente che sia figlio legittimo, naturale o adottivo), oppure un fratello o una sorella del defunto: la rappresentazione è esclusa ove il chiamato sia, rispetto al de cuius, un estraneo o anche solo un parente diverso da figlio/a o fratello/sorella.
Nel caso di specie i convenuti, per effetto della morte della loro nonna e in forza dell'istituto della rappresentazione, sono divenuti meri chiamati/delati all'eredità atteso che la qualità di erede non si acquista se non con l'accettazione dell'eredità: l'art. 459 c.c. rubricato “Acquisto dell'eredità” recita che “L'eredità si acquista con l'accettazione [470 c.c.].. L'effetto dell'accettazione risale al momento nel quale si è aperta la successione”.
Per l'acquisto della qualità di erede non è dunque sufficiente la delazione, ossia il ricorrere delle condizioni (attuali) tutte poiché il soggetto possa, volendolo, diventare erede, ma è necessario che l'erede accetti l'eredità, poiché nessuno può essere erede contro la sua volontà e in assenza di accettazione il chiamato/delato non diventa erede
Andando ora a valutare l'accettazione dell'eredità essa, se pura e semplice (ossia senza il beneficio dell'inventario, può essere espressa (art 475 c.c.), quando il delato dichiara di voler accettare l'eredità del de cuius, o tacita (o anche per facta concludentia) che si determina nei casi in cui il delato all'eredità pone in essere
“atti che presuppongono necessariamente la sua volontà di accettare e che non avrebbe diritto di fare se non nella sua qualità di erede” (art 476 c.c),
Ebbene, nel caso in esame i convenuti sono rimasti contumaci, nulla viene detto dalla parte di ricorrente riguardo a una loro accettazione e nessun documento prodotto consente di ritenere che questa accettazione ci sia stata.
Chiara è la normativa in materia e chiara la giurisprudenza anche di legittimità. In materia si richiama, condividendolo, l'insegnamento della Corte Suprema di Cassazione che con la sentenza
2
21436/2018 si è così autorevolmente espressa: “Questa Corte ha già chiarito che “In tema di successioni “mortis causa”, la delazione che segue l'apertura della successione, pur rappresentandone un presupposto, non è di per sé sola sufficiente all'acquisto della qualità di erede, essendo a tale effetto necessaria anche, da parte del chiamato, l'accettazione, mediante
“aditio” oppure per effetto di “pro herede gestio” oppure per la ricorrenza delle condizioni di cui all'art. 485 c.c.. Ne consegue che, in ipotesi di giudizio instaurato nei confronti del preteso erede per debiti del “de cuius”, incombe su chi agisce, in applicazione del principio generale di cui all'art. 2697 c.c., l'onere di provare l'assunzione da parte del convenuto della qualità di erede, la quale non può desumersi dalla mera chiamata all'eredità, non essendo prevista alcuna presunzione in tal senso, ma consegue solo all'accettazione dell'eredità, espressa o tacita, la cui ricorrenza rappresenta, quindi, un elemento costitutivo del diritto azionato nei confronti del soggetto evocato in giudizio nella predetta qualità” (Cass. n. 10525/2010).
Il principio espresso impone dunque a chi agisce in giudizio l'onere di provare la qualità di erede del soggetto chiamato in causa.”
Si osservi, ancora, che nella vicenda giudiziaria conclusasi con la pronuncia sopra indicata la Corte Org territoriale aveva ritenuto che “l'onere in questione fosse stato assolto con la mancata risposta all'invito dell di pagare il debito ovvero di allegare la rinuncia all'eredità”, in quanto “il disinteresse dimostrato dalla ricorrente all'invito Org dell' la mancata allegazione di una effettiva rinuncia all'eredità, e la mancanza di fatti idonei ad escludere la accettazione dell'eredità, costituiscono, a parere della Corte di merito, indicatori della accettazione tacita della eredità.”.
La Corte di Cassazione con la pronuncia 21436/2018, ha correttamente e puntualmente sottolineato che “la accettazione tacita si configura come un “comportamento concludente del chiamato all'eredità” (Cass.
n. 21902/2011) e che ai fini della tacita accettazione “possono essere significative attività di concreta gestione dei beni del de cuius che esplicitino il chiaro interesse dell'erede a subentrare nell'asse ereditario, mentre attesta un contrario atteggiamento il disinteresse manifestato dal chiamato all'eredità rispetto ad azioni di terzi dirette a rivendicare il pagamento di debiti del de cuius.”, osservando ancora che: “In tale ultima ipotesi deve anche considerarsi, in ragione della esigenza di garantire la stabilità e certezza dei rapporti giuridici tra le parti, la necessità di realizzare una equilibrata coesistenza tra il diritto dell'erede a scegliere se subentrare o meno nel patrimonio del de cuius (nel termine della prescrizione decennale a lui assegnato dall'art. 480 c.c.), e la necessità di chiarezza per i creditori. In proposito e con la precisa finalità di stabilizzare i rapporti giuridici, l'art. 481 c.c., stabilisce che chiunque abbia interessa, possa richiedere all'autorità giudiziaria la fissazione di un termine entro il quale il chiamato all'eredità dichiari se accetta o rifiuti la stessa.
Il quadro di interessi e diritti contrapposti viene così a ricomporsi nella possibilità di garantire all'erede la facoltà di scegliere se subentrare al de cuius nel termine di prescrizione decennale, con il solo limite rappresentato dalla possibilità concessa a chi abbia interesse, di ridurre, con specifica domanda giudiziaria, il detto lasso temporale.”
Nel caso di specie difetta la prova che i convenuti contumaci siano eredi: la domanda non può dunque essere accolta, non essendo provato un elemento costitutivo del diritto azionato.
Spese di lite: nulla si dispone, stante la contumacia dei convenuti.
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE ORDINARIO di LUCCA
Sezione Lavoro
Il Tribunale in funzione di Giudice del Lavoro e della Previdenza e Assistenza obbligatorie, nella persona del Giudice dott. A M, ha pronunciato all'esito della trattazione scritta prevista dall'art.
127-ter cpc la presente
SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 3/2023 promossa da:
(c.f. ), con il patrocinio dell'avv. A B ed Parte_1 CodiceFiscale_1 elettivamente domiciliato presso il difensore nello studio in Lucca, Via Pisana, 69, come da delega in calce/allegata al ricorso introduttivo ricorrente
e
e Controparte_1 Controparte_2
Convenuti contumaci
Concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione
La ricorrente ha convenuto in giudizio i convenuti sigg.ri e Controparte_1 Controparte_2
“quali coeredi della sig.ra chiedendone la condanna al pagamento di differenze retributive a suo Parte_2 dire a lei spettanti in conseguenza di un rapporto di lavoro svolto in favore della sig.a e alle Parte_2 formali dipendenze delle sig.re (zia per parte materna dei convenuti) e Persona_1 Parte_2
(nonna per parte materna dei convenuti) nel periodo dal 21/01/2013 al 31/03/2019.
La presente causa era stata preceduta da altra (R.G. 583/19), instaurata contro le formali datrici di lavoro, causa che si era interrotta per la morte della sig.a e che era stata riassunta Parte_2 impersonalmente nei confronti di tutti gli eredi. Gli odierni convenuti sono figli di a sua Persona_2 volta figlia di e premorta rispetto a quest'ultima. Parte_2
Dopo la riassunzione nella causa RG 583/2019 si erano costituite solo le due figlie ancora in vita della sig.a
e la causa si era conclusa con un accordo conciliativo del 26.7.2021 intercorso tra l'odierna Parte_2
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ricorrente e le zie degli odierni convenuti, accordo in forza del quale la ricorrente -riservatosi il diritto di agire per la quota di un terzo della somma originariamente richiesta- aveva ricevuto la somma di € 11.000,
(5.500,00 da ciascuna delle figlie della sig.a . Parte_2
Ella in questa sede chiede ai convenuti il pagamento del terzo dell'originaria somma (di circa 37mila euro) di cui al proc. RG 583/2019, assumendone la qualità di eredi, essendo loro figli della sig.a
[...] figlia premorta della sig.a Per_2 Parte_2
***
Il ricorso non può essere accolto: manca la prova che i convenuti rivestano la qualità di eredi.
Come noto l'istituto della rappresentazione fa sì che i discendenti legittimi o naturali (rappresentanti) subentrino al loro ascendente nel diritto di accettare un lascito qualora il chiamato (rappresentato) non possa (ad esempio per premorienza) o non voglia (ad esempio per rinuncia) accettare l'eredità o il legato
(art. 468 c.c.).
La rappresentazione può aver luogo soltanto quando il chiamato che non può o non vuole accettare sia o figlio (essendo indifferente che sia figlio legittimo, naturale o adottivo), oppure un fratello o una sorella del defunto: la rappresentazione è esclusa ove il chiamato sia, rispetto al de cuius, un estraneo o anche solo un parente diverso da figlio/a o fratello/sorella.
Nel caso di specie i convenuti, per effetto della morte della loro nonna e in forza dell'istituto della rappresentazione, sono divenuti meri chiamati/delati all'eredità atteso che la qualità di erede non si acquista se non con l'accettazione dell'eredità: l'art. 459 c.c. rubricato “Acquisto dell'eredità” recita che “L'eredità si acquista con l'accettazione [470 c.c.].. L'effetto dell'accettazione risale al momento nel quale si è aperta la successione”.
Per l'acquisto della qualità di erede non è dunque sufficiente la delazione, ossia il ricorrere delle condizioni (attuali) tutte poiché il soggetto possa, volendolo, diventare erede, ma è necessario che l'erede accetti l'eredità, poiché nessuno può essere erede contro la sua volontà e in assenza di accettazione il chiamato/delato non diventa erede
Andando ora a valutare l'accettazione dell'eredità essa, se pura e semplice (ossia senza il beneficio dell'inventario, può essere espressa (art 475 c.c.), quando il delato dichiara di voler accettare l'eredità del de cuius, o tacita (o anche per facta concludentia) che si determina nei casi in cui il delato all'eredità pone in essere
“atti che presuppongono necessariamente la sua volontà di accettare e che non avrebbe diritto di fare se non nella sua qualità di erede” (art 476 c.c),
Ebbene, nel caso in esame i convenuti sono rimasti contumaci, nulla viene detto dalla parte di ricorrente riguardo a una loro accettazione e nessun documento prodotto consente di ritenere che questa accettazione ci sia stata.
Chiara è la normativa in materia e chiara la giurisprudenza anche di legittimità. In materia si richiama, condividendolo, l'insegnamento della Corte Suprema di Cassazione che con la sentenza
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21436/2018 si è così autorevolmente espressa: “Questa Corte ha già chiarito che “In tema di successioni “mortis causa”, la delazione che segue l'apertura della successione, pur rappresentandone un presupposto, non è di per sé sola sufficiente all'acquisto della qualità di erede, essendo a tale effetto necessaria anche, da parte del chiamato, l'accettazione, mediante
“aditio” oppure per effetto di “pro herede gestio” oppure per la ricorrenza delle condizioni di cui all'art. 485 c.c.. Ne consegue che, in ipotesi di giudizio instaurato nei confronti del preteso erede per debiti del “de cuius”, incombe su chi agisce, in applicazione del principio generale di cui all'art. 2697 c.c., l'onere di provare l'assunzione da parte del convenuto della qualità di erede, la quale non può desumersi dalla mera chiamata all'eredità, non essendo prevista alcuna presunzione in tal senso, ma consegue solo all'accettazione dell'eredità, espressa o tacita, la cui ricorrenza rappresenta, quindi, un elemento costitutivo del diritto azionato nei confronti del soggetto evocato in giudizio nella predetta qualità” (Cass. n. 10525/2010).
Il principio espresso impone dunque a chi agisce in giudizio l'onere di provare la qualità di erede del soggetto chiamato in causa.”
Si osservi, ancora, che nella vicenda giudiziaria conclusasi con la pronuncia sopra indicata la Corte Org territoriale aveva ritenuto che “l'onere in questione fosse stato assolto con la mancata risposta all'invito dell di pagare il debito ovvero di allegare la rinuncia all'eredità”, in quanto “il disinteresse dimostrato dalla ricorrente all'invito Org dell' la mancata allegazione di una effettiva rinuncia all'eredità, e la mancanza di fatti idonei ad escludere la accettazione dell'eredità, costituiscono, a parere della Corte di merito, indicatori della accettazione tacita della eredità.”.
La Corte di Cassazione con la pronuncia 21436/2018, ha correttamente e puntualmente sottolineato che “la accettazione tacita si configura come un “comportamento concludente del chiamato all'eredità” (Cass.
n. 21902/2011) e che ai fini della tacita accettazione “possono essere significative attività di concreta gestione dei beni del de cuius che esplicitino il chiaro interesse dell'erede a subentrare nell'asse ereditario, mentre attesta un contrario atteggiamento il disinteresse manifestato dal chiamato all'eredità rispetto ad azioni di terzi dirette a rivendicare il pagamento di debiti del de cuius.”, osservando ancora che: “In tale ultima ipotesi deve anche considerarsi, in ragione della esigenza di garantire la stabilità e certezza dei rapporti giuridici tra le parti, la necessità di realizzare una equilibrata coesistenza tra il diritto dell'erede a scegliere se subentrare o meno nel patrimonio del de cuius (nel termine della prescrizione decennale a lui assegnato dall'art. 480 c.c.), e la necessità di chiarezza per i creditori. In proposito e con la precisa finalità di stabilizzare i rapporti giuridici, l'art. 481 c.c., stabilisce che chiunque abbia interessa, possa richiedere all'autorità giudiziaria la fissazione di un termine entro il quale il chiamato all'eredità dichiari se accetta o rifiuti la stessa.
Il quadro di interessi e diritti contrapposti viene così a ricomporsi nella possibilità di garantire all'erede la facoltà di scegliere se subentrare al de cuius nel termine di prescrizione decennale, con il solo limite rappresentato dalla possibilità concessa a chi abbia interesse, di ridurre, con specifica domanda giudiziaria, il detto lasso temporale.”
Nel caso di specie difetta la prova che i convenuti contumaci siano eredi: la domanda non può dunque essere accolta, non essendo provato un elemento costitutivo del diritto azionato.
Spese di lite: nulla si dispone, stante la contumacia dei convenuti.
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