Trib. Chieti, sentenza 25/07/2024, n. 310
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Testo completo
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE DI CHIETI
Il Tribunale di Chieti, in funzione di Giudice del Lavoro, in persona della dott.ssa
I P, all'udienza del 25/07/2024 ha pronunziato la seguente
SENTENZA
a seguito di deposito di note scritte, ai sensi dell'art. 127 ter c.p.c., nella causa iscritta al n. 689/2023;
TRA
e , rappresentate e difese, per procura Parte_1 Parte_2 in calce al ricorso, dall'avv. C C;
RICORRENTE
E in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e Controparte_1
difesa, per procura in calce alla memoria difensiva di costituzione, dall'avv.
M D P;
RESISTENTE
RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE
Con 1. Con ricorso depositato in data 20/07/2023 le ricorrenti, già dipendenti della con mansioni di addette alle vendite presso il negozio ad insegna CP_1
“Tezenis”, sito presso il Centro Commerciale “Megalò” di Chieti, rivendicavano
l'applicazione al rapporto di lavoro intercorso con la società resistente dei minimi retributivi previsti dal CCNL Commercio siglato tra Confcommercio, , CP_2
CISL e UIL, in luogo di quelli del CCNL Commercio fino a 14 dipendenti,
1
concluso tra le organizzazioni e applicati dalla datrice di CP_3 CP_4
lavoro.
Le ricorrenti, in particolare, deducevano di aver diritto, in ragione delle mansioni di fatto svolte, di percepire la retribuzione stabilita per il 4° livello dal contratto collettivo Commercio-Confcommercio, da ritenersi quale parametro per
l'individuazione dell'equa retribuzione nel settore ai sensi dell'art. 36 Cost. Tale contratto, secondo gli assunti delle ricorrenti, sarebbe concluso dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative e prevederebbe una retribuzione mensile pari a 1.616,68 euro lordi, maggiore del 30% rispetto a quella riconosciuta in applicazione del CCNL Secondo la tesi CP_5
delle ricorrenti, vi sarebbe un parametro – necessariamente unico – per stabilire la misura della retribuzione proporzionale e sufficiente ex art. 36 Cost. e tale parametro sarebbe costituito dal contratto collettivo firmato dalle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative, “e ciò in quanto si presume che le organizzazioni, sia datoriali che sindacali, maggiormente rappresentative siano quelle più efficamente in grado di individuare, avendo riguardo alla maggiore conoscenza del settore e del tessuto economico di riferimento, la retribuzione adeguata per ogni singola mansione svolta”.
Le ricorrenti evidenziavano, inoltre, di aver sempre lavorato, fin dal momento dell'assunzione, a tempo pieno e di avere pertanto svolto numerose ore di lavoro supplementare e straordinario mai retribuite dalla resistente.
Tanto esposto, le ricorrenti formulavano le seguenti conclusioni:
“1. Accertare e dichiarare il diritto delle Sig.re e Parte_1 [...]
già lavoratrici dipendenti della sino all'autunno Parte_2 Controparte_1
2021 e impiegate quali addette alle vendite presso il negozio gestito dalla resistente ad insegna “Tezenis” presso il Centro Commerciale “Megalò” di
Chieti, a ricevere ai sensi dell'art. 36 Cost. una retribuzione paramentrata sul 4° livello di cui al CCNL Commercio-Confcommercio (doc. 1), e ciò anche per
l'orario supplementare e straordinario effettivamente svolto e risultante dai turni allegati (docc. 35-42), secondo quanto esposto nel presente ricorso.
2 2. Per l'effetto, dichiarare tenuta e condannare in persona del Controparte_1
legale rappresentante pro tempore, a corrispondere alle lavoratrici ricorrenti le differenze retributive maturate in ragione dell'illegittima applicazione a loro danno dei minimi retributivi di cui al CCNL Commercio fino a 14 dipendenti siglato da e quantificate, come risulta dai conteggi allegati CP_3 CP_4
(docc. 45 e 46) in 43.410,41 euro a favore della Sig.ra e in Parte_1
46.049,75 euro a favore della Sig.ra oltre che alla Parte_2
regolarizzazione della posizione previdenziale di ciascuna.
Con vittoria di spese, diritti, competenze ed onorari, oltre ad accessori di legge”.
1.2. La società resistente, costituitasi in giudizio, deduceva l'infondatezza del ricorso chiedendone il rigetto.
1.3. Disposta la sostituzione dell'udienza di discussione con il deposito di note scritte ex art. 127 ter c.p.c., la causa veniva decisa con pronuncia fuori udienza della sentenza.
***
2. Il ricorso è infondato e va rigettato per le ragioni di seguito esposte.
2.1. Le ricorrenti hanno agito in giudizio per ottenere l'adeguamento della retribuzione percepita e ritenuta non conforme ai parametri dell'art. 36 della
Costituzione. Le ricorrenti rivendicano, in particolare, l'applicazione del CCNL
Commercio siglato tra Confcommercio, , CISL e UIL, che garantirebbe una CP_2
retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del lavoro svolto e sufficiente ad assicurare un'esistenza libera e dignitosa, proporzionalità e sufficienza che non sarebbero garantite, invece, dal CCNL Commercio fino a 14 dipendenti, sottoscritto da e di fatto applicato al rapporto di lavoro. CP_3 CP_4
2.2. Secondo il costante orientamento della giurisprudenza di legittimità “I contratti collettivi non aventi efficacia “erga omnes” costituiscono atti aventi natura negoziale e privatistica, applicabili esclusivamente ai rapporti individuali intercorrenti tra soggetti iscritti alle associazioni stipulanti o che, in mancanza di tale condizione, abbiano espressamente aderito ai patti collettivi o li abbiano implicitamente recepiti, attraverso un comportamento concludente desumibile da una costante e prolungata applicazione, senza contestazione alcuna, delle relative
3 clausole al singolo rapporto. Ne consegue che, ove una delle parti faccia riferimento, per la decisione della causa, ad una clausola di un determinato contratto collettivo di lavoro, il giudice del merito ha il compito di valutare in concreto il comportamento posto in essere dal datore di lavoro e dal lavoratore, allo scopo di accertare, pur in difetto della iscrizione alle associazioni sindacali stipulanti, se dagli atti siano desumibili elementi tali da indurre a ritenere ugualmente sussistente la vincolatività della contrattazione collettiva invocata”
(tra le tante, Cass. n. 24336/2013).
2.3. Il principio è stato ribadito, anche di recente, con ordinanza n. 7203 del
18/03/2024, affermandosi che “sulla scorta di questo risalente e consolidato orientamento giurisprudenziale, nel vigente ordinamento del rapporto di lavoro subordinato, regolato da contratti collettivi di diritto comune - nella carenza di una specifica disciplina normativa e della perdurante inattuazione dell'art. 39 della Cost. - l'individuazione della contrattazione collettiva va fatta unicamente sulla base delle regole dei contratti in generale ed attraverso l'indagine della volontà delle parti, risultante, oltre che da espressa pattuizione, anche implicitamente dalla protratta e non contestata applicazione di fatto di un determinato contratto collettivo.
12.1. E' stato invero puntualizzato da questa Corte di cassazione che l'obbligo del rispetto del CCNL sorga in prima battuta per i rapporti individuali intercorrenti fra soggetti che siano entrambi iscritti alle associazioni stipulanti
(Cass. 13 ottobre 2021, n. 27923, Cass. n. 5596/01, Cass. n. 42001/2021).
12.2. Inoltre, in modo assolutamente costante, la giurisprudenza di legittimità ha affermato che, in mancanza dell'iscrizione di entrambe le parti del rapporto alle associazioni stipulanti ovvero in alternativa al vincolo per associazione, sono altresì obbligate all'applicazione di un determinato contratto collettivo le parti che «abbiano espressamente aderito ai patti collettivi oppure li abbiano implicitamente recepiti attraverso un comportamento concludente desumibile da una costante e prolungata applicazione, senza contestazione alcuna, delle relative clausole» (così, Cass. 31 dicembre 2021, n. 42097, Cass. 13 ottobre 2021, n.
27923 cit.). L'eventuale adesione ad un'organizzazione sindacale di categoria
4 non rappresenterebbe altro, quindi, che una delle declinazioni possibili dei c.d.
“atti di volontà”, capaci, giuridicamente, di manifestare la comune intenzione di accettare che il rapporto di lavoro sia sottoposto a una specifica disciplina collettiva (in questi termini, Cass. 2 maggio 2019, n. 11537). Le stesse Sezioni
Unite 26 marzo 1997, n. 2665 citate avevano specificato «che dopo la soppressione dell'ordinamento corporativo i contratti collettivi […] possono avere efficacia soltanto in volentes, ossia, ancora, che la loro efficacia, non estesa alla generalità, è limitata a quanti, con l'iscrizione alle associazioni sindacali, hanno a queste conferito la rappresentanza dei propri interessi nella stipulazione dei contratti collettivi», dunque, con una adesione espressiva di una
“caratteristica” rappresentanza (art. 1387 e s.s. c.c.).
13.- Dalla ricostruzione giurisprudenziale compiuta risulta che il contratto collettivo di diritto comune è efficace ex art. 1372 c.c., dal punto di vista soggettivo, nei confronti delle parti stipulanti (e, cioè, da un lato, le organizzazioni sindacali dei lavoratori e, dall'altro, le associazioni sindacali dei datori di lavoro o direttamente il datore di lavoro), nonché ex art. 1387 e ss. c.c. nei confronti dei lavoratori e dei datori di lavoro che alle parti stipulanti hanno conferito mandato, in base alle regole sulla rappresentanza. Inoltre, in conformità alla propria natura, il contratto collettivo è aperto all'adesione da parte dei datori di lavoro e dei lavoratori non iscritti ai sindacati stipulanti. Come si è visto, la giurisprudenza ha ritenuto che la volontà del datore di lavoro di obbligarsi ad applicare il contratto collettivo possa essere desunta non solo dall'iscrizione all'associazione stipulante o da un esplicito atto di adesione al recepimento del contratto collettivo, ma anche attraverso fatti o comportamenti concludenti, che sia pure implicitamente esprimono la volontà del datore di lavoro di applicare la disciplina collettiva. Di conseguenza, il contratto collettivo
è efficace anche nei confronti delle parti del rapporto di lavoro che, pur non essendo iscritte ai sindacati stipulanti, abbiano volontariamente aderito alla disciplina del contratto collettivo, o l'abbiano comunque recepita. 14.- Nella prassi, tale recepimento viene solitamente effettuato mediante una esplicita clausola inserita nei contratti individuali di lavoro, con la quale si fa rinvio alla
5 disciplina o al trattamento economico e normativo previsto dal contratto collettivo nazionale del lavoro (adesione esplicita);oppure quando il datore ne fa applicazione in via di fatto, seppur in assenza di adesioni espresse o il lavoratore ne chieda l'applicazione in via giudiziale (adesione implicita)”.
2.4. Nel caso di specie, la società resistente, pur non essendo iscritta all'organizzazione che ha stipulato il CCNL Commercio fino a 14 dipendenti
, ha di fatto applicato il suddetto contratto, richiamandolo CP_5
espressamente nei contratti di lavoro sottoscritti con le ricorrenti (doc. 4 e 14 ric.), mentre non risulta che abbia mai aderito alle organizzazioni stipulanti il CCNL
Commercio Confcommercio o che abbia di fatto applicato tale ultimo contratto collettivo. La scelta della società resistente deve ritenersi pienamente legittima in quanto dall'art. 39 Cost. discende in capo ai datori di lavoro la libertà di aderire ad una o ad altra organizzazione, ma anche quella di non aderire ad alcuna organizzazione, restando il datore di lavoro libero, in quest'ultimo caso, di applicare un qualsiasi contratto collettivo, in omaggio al principio di autonomia negoziale.
2.5. Unico limite alla libertà del datore di lavoro di individuazione del contratto collettivo applicabile è costituito dal rispetto dell'art. 36 Cost.
Ebbene, la giurisprudenza, sia di merito che di legittimità, ritiene che la retribuzione equa ai sensi dell'art. 36 Cost. debba essere determinata dal giudice utilizzando i criteri che ritiene motivatamente idonei. Principalmente utilizzato è il contratto collettivo di categoria, il quale gode ormai, anche a parere della scrivente, di una presunzione relativa di equità, contro la quale può essere data la prova contraria. Nella determinazione della retribuzione, il giudice può andare al di sopra o al di sotto dei minimi contrattuali ove li ritenga, per un verso o per un altro, non equi o sufficienti alla quantità e alla qualità del lavoro prestato, purché motivi adeguatamente.
“Dalla giurisprudenza che si è via via pronunciata nella materia si desume inoltre che in sede di applicazione dell'art. 36 Cost. il giudice di merito gode, ai sensi dell'art. 2099 c.c., di una ampia discrezionalità nella determinazione della giusta retribuzione potendo discostarsi (in diminuzione ma anche in aumento) dai
6 minimi retributivi della contrattazione collettiva e potendo servirsi di altri criteri di giudizio e parametri differenti da quelli collettivi (sia in concorso, sia in sostituzione), con l'unico obbligo di darne puntuale ed adeguata motivazione rispettosa dell'art.36 Cost.
21.- Pertanto l'apprezzamento dell'adeguatezza della retribuzione in concreto resta riservato al giudice del merito (v. fra le altre Cass. n. 20216/2021, Cass. n.
19467/2007;Cass. n. 16866/2008 Cass. 14/6/1985 n. 3586, Cass. 24/6/1983 n.
4326, Cass. 12/3/1981 n. 1428, Cass. 3/4/1979 n. 1926) e la sua determinazione, se effettuata nel rispetto dei criteri imposti dall'art. 36 Cost., e con adeguata motivazione, in ordine agli elementi utilizzati, non è censurabile neppure sotto il profilo del mancato ricorso ai parametri rinvenibili nella contrattazione collettiva
(v. Cass. nn. 19467/2007, n. 2791/1987, Cass. n. 2193/1985)….
Per ciò che riguarda, in particolare, l'opera compiuta in materia dalla giurisprudenza è noto che secondo una elaborazione che dura oramai da oltre 70 anni (Cass. 12.5.1951 n. 1184;Cass. 21.2.1952, n. 461;27.2.1958 n.663, 15 febbraio 1962 n. 308) questa Corte di legittimità ha affermato che il giudice chiamato ad adeguare – in base all'art. 2099, 2° comma c.c. - il trattamento retributivo all'art. 36 della Cost. può fare riferimento – come parametri esterni per la determinazione del giusto corrispettivo - alla retribuzione stabilita dai contratti collettivi nazionali di categoria, i quali fissando standard minimi inderogabili validi su tutto il territorio nazionale, finiscono così per acquisire, per questa via giudiziale, una efficacia generale, sia pure limitata alle tabelle salariali in essi contenute….
Pertanto, pur di fronte alla situazione di crisi in parte nuova che si è venuta determinando, ad avviso di questa Corte, non cambia, e non può cambiare considerata l'inderogabilità dell'art. 36 Cost., la sperimentata regola della presunzione iuris tantum, salvo prova contraria, di conformità del trattamento salariale stabilito dalla contrattazione collettiva alla norma costituzionale, dovendosi solo chiarire che essa opera non solo “in mancanza di una specifica contrattazione di categoria”, come talvolta si è affermato nella giurisprudenza di merito (richiamando erroneamente la sentenza n. 7528/2010 di questa Corte), ma
7 anche “nonostante” una specifica contrattazione di categoria” (Cass. civ. sez. lavoro, sent. n. 27711/2023 in motivazione).
2.6. Si è, inoltre, affermato che “fatte salve contrarie disposizioni normative (per es. ai fini del c.d. minimale contributivo), il giudice è libero di selezionare il contratto collettivo parametro a prescindere dal requisito di rappresentatività riferito ai sindacati stipulanti” (così Cass. n. 27711/2023 in motivazione e Cass. nn. 19284/2017, Cass.2758/2006, Cass.18761/2005, Cass. n.14129/2004 ivi richiamate).
Del tutto irrilevante è, quindi, la circostanza che il CCNL Commercio
Confcommercio/ CGIL/CISL e UIL , la cui applicazione viene richiesta in questa sede, sia sottoscritto da organizzazione sindacali comparativamente più rappresentative, in quanto tutti i contratti collettivi, a prescindere dal grado di rappresentatività delle organizzazioni sindacali stipulanti, godono di una presunzione relativa di conformità ai parametri dell'art. 36 Cost.
2.7. Deve, altresì, precisarsi, che l'insufficienza della retribuzione non può essere in re ipsa, ma deve essere accertata alla luce delle deduzioni della parte, la quale deve articolare le circostanze di fatto utili al giudice per compiere l'accertamento.
Non è sufficiente, pertanto, un generico riferimento all'art. 36 Cost. o alla previsione da parte di un determinato contratto collettivo di una retribuzione più elevata, ma occorre dedurre specifiche circostanze sulla base delle quali poter affermare che la retribuzione prevista dal ccnl applicato dal datore di lavoro non sia proporzionata alla quantità e qualità del lavoro prestato e sufficiente a garantire un'esistenza libera e dignitosa. “Anche quando chiede la disapplicazione di un trattamento retributivo collettivo per ritenuta inosservanza dei minimi costituzionali, il lavoratore è tenuto a fornire utili elementi di giudizio indicando i parametri di raffronto, dovendo in mancanza presumersi adeguata e sufficiente la retribuzione corrisposta nella misura prevista in relazione alle mansioni esercitate dal contratto collettivo del settore (Cass. nn. 11881/1990, 163/1986,
4096/1986, 7563/1987). Inoltre, la violazione dell'art. 36 Cost. è denunciabile anche se la retribuzione in fatto corrisposta è conforme a quella stabilita dal contratto collettivo potendo anche accadere che la prestazione del lavoratore
8 possa presentare caratteristiche peculiari per qualità e quantità che la differenziano da quelle contemplate nella regolamentazione collettiva, sicché non si può assolutamente escludere che sia insufficiente la stessa retribuzione fissata dal contratto collettivo (in questo senso Cass. n. 27711/2023 in motivazione).
2.8. Costituisce, poi, affermazione costante in giurisprudenza quella secondo la quale la sufficienza della retribuzione, ai sensi dell'art. 36 Cost., debba essere valutata in relazione al complessivo trattamento previsto dai contratti collettivi, e non già alla semplice comparazione delle retribuzioni, e che debbono essere espunte tutte le voci che hanno derivazione strettamente contrattuale, quali 14^ mensilità, E.D.R., permessi R.O.L., scatti di anzianità, indennità speciali, maggiorazioni per lavoro straordinario o festivo (tra le tante, Cass. civ. ord. n.
944/2021;cass. civ., sent. n. 15148/2008;cass. civ., sent. n. 5139/2005).
Si è, infine, di recente affermato che “Il livello Istat di povertà pur non costituendo un parametro diretto di determinazione della retribuzione sufficiente, può tuttavia aiutare ad individuare, sotto questo profilo, una soglia minima invalicabile. Esso non è di per sé indicativo del raggiungimento del livello del salario minimo costituzionale che, come già rilevato, deve essere proiettato ad una vita libera e dignitosa e non solo non povera, dovendo altresì rispettare
l'altro profilo della proporzionalità” (Cass. n. 27711/2023).
La Corte di Cassazione, nella citata sentenza, ha affermato che nell'opera di verifica della retribuzione minima adeguata ex art. 36 Cost. il giudice, nell'ambito dei propri poteri ex art. 2099, 2° comma c.c., può fare altresì riferimento, all'occorrenza, ad indicatori economici e statistici, anche secondo quanto suggerito dalla Direttiva UE 2022/2041 del 19 ottobre 2022. In particolare, la recente Direttiva UE 2022/2041 del 19 ottobre 2022, relativa a salari minimi adeguati nell'Unione Europea, convalida in più di una disposizione il riferimento in questa materia agli indicatori Istat, sia sul costo della vita sia sulla soglia di povertà, oltre che ad altri strumenti di computo e ad indicatori nazionali ed internazionali. Nel considerando n. 28 si prevede espressamente che, nella individuazione di parametri utili per determinare l'adeguatezza del salario, “la valutazione potrebbe inoltre basarsi su valori di riferimento associati a indicatori
9 utilizzati a livello nazionale, come il confronto tra il salario minimo netto e la soglia di povertà e il potere d'acquisto dei salari minimi”.
2.9. Nel caso di specie, come dedotto dalle stesse ricorrenti nell'atto introduttivo del giudizio, la società resistente ha applicato il CCNL Commercio fino a 14 dipendenti per il quale vige la presunzione relativa di CP_5
sufficienza e proporzionalità della retribuzione. Diviene allora necessaria una specifica articolazione delle circostanze di fatto in base alle quali possa affermarsi che il contratto, la cui applicazione viene invocata dalle ricorrenti, preveda una retribuzione più equa. Nella fattispecie concreta oggetto del presente giudizio, le ricorrenti si sono limitate a dedurre che il CCNL Commercio
e UIL è sottoscritto da organizzazioni sindacali Controparte_6
comparativamente più rappresentative e che esso prevede una retribuzione più elevata rispetto a quella stabilita dal CCNL Commercio fino a 14 dipendenti, elementi questi non idonei a far ritenere fondata la presa di adeguamento della retribuzione ai parametri dell'art. 36 Cost.
Dal raffronto tra gli importi percepiti mensilmente ed indicati in busta paga risulta, inoltre, che la retribuzione netta percepita dalle ricorrenti sia stata sempre superiore alla soglia di povertà ISTAT, come determinata dal ctu. In giudizio non risultano ritualmente acquisiti o dedotti elementi ulteriori sulla base dei quali poter affermare che la retribuzione effettivamente percepita dalle ricorrenti non fosse proporzionata alla quantità e qualità del lavoro svolto e sufficiente a garantire un'esistenza dignitosa, ciò tanto più in considerazione del fatto che le ricorrenti hanno beneficiato, oltre che della retribuzione fissata dal contratto collettivo Commercio fino a 14 dipendenti, anche di premi incentivanti ed indennità aggiuntive che hanno di fatto incrementato le entrate economiche e le disponibilità mensili delle lavoratrici.
2.10. Le considerazioni che precedono portano al rigetto della domanda di condanna al pagamento delle differenze retributive, fondata sul presupposto dell'applicabilità al rapporto di lavoro del CCNL Commercio
Confcommercio/CGIL/CISL e UIL.
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10 3. Parimenti priva di fondamento è la domanda di condanna al pagamento di differenze retributive per lavoro straordinario e supplementare.
3.1. Secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, la prova dello svolgimento di lavoro straordinario e della sua effettiva entità, grava sul lavoratore che agisca per ottenere il relativo compenso e deve essere data in maniera rigorosa, senza possibilità che tale onere della prova venga sostituito da una valutazione equitativa del giudice, utilizzabile solo in riferimento alla liquidazione del quantum debeatur, sul presupposto che risulti già provato l'an.
Si è, in particolare, affermato che “sul lavoratore che chieda in via giudiziale il compenso per lavoro straordinario grava un onere probatorio rigoroso, che esige il preliminare adempimento dell'onere di una specifica allegazione del fatto costitutivo, senza che al mancato assolvimento di entrambi possa supplire la valutazione equitativa del giudice” (cfr. ex plurimis, Cass. civ., sez. lav., sent. n.
16150/2018;Cass. civ., sez. lavoro, sent. n. 4076/2018;Cass. civ., sez. lav., sent.
n. 1389/2003;Cass. civ., sez. lavoro, sent. n. 8006/1998).
Nella specie i fatti allegati dalle ricorrenti a fondamento dei diritti fatti valere nel presente giudizio, non sono stati provati con il rigore che si richiede ai fini dell'accoglimento della domanda.
3.2. Sul punto occorre in primo luogo rilevare che le ricorrenti si sono limitate ad allegare di aver lavorato a tempo pieno, senza specificare gli orari e i giorni di lavoro effettivamente osservati per tutta la durata del rapporto di lavoro, specificazione necessaria anche in considerazione del fatto che l'orario di lavoro è stato più volte modificato, sia in aumento che in diminuzione, alcune volte anche solo di poche ore mensili (doc.