Trib. Bari, sentenza 08/07/2024, n. 3248
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Testo completo
N. 5525/2023 R.G.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale di Bari, Sezione Specializzata in materia di Immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell'Unione Europea, riunito in camera di consiglio, nelle persone dei
Magistrati: dr. E D R Presidente relatore dr. G T Giudice dr. L M Giudice nel procedimento recante n. 5525/2023 R.G. degli affari da trattarsi in Camera di Consiglio, decidendo sul ricorso ex art. 281 undecies c.p.c., depositato in data 20.04.2023 da
nato a Fassane (Senegal) il 18.05.1984, (C.F. ), Parte_1 C.F._1
rappresentato e difeso dall'avv. M L M, giusta procura in atti;
-parte ricorrente-
contro
, in persona del Questore pro tempore, rappresentato e Controparte_1 difeso, ope legis, dall'Avvocatura distrettuale dello Stato di Bari;
-parte resistente- dato atto che il provvedimento viene reso in esito all'udienza collegiale del 12.06.2024, sostituita ex artt. 127, ultimo comma, e 127 ter c.p.c. dal deposito telematico di note di trattazione scritta, come precedentemente disposto con decreto regolarmente comunicato ai Difensori costituiti;lette le note di trattazione scritta e compiute le preliminari verifiche processuali;ha pronunciato la seguente
SENTENZA
I.1-Il ricorrente, cittadino senegalese, ha impugnato il decreto, emesso dal Questore di Foggia in data 21.02.2023, notificatogli il 06.04.2023, con il quale l'Amministrazione aveva rigettato la domanda di rilascio del permesso di soggiorno per protezione speciale, ed ha, per tale ragione, adito il Tribunale, insistendo per il riconoscimento del bene della vita, negato in sede amministrativa.
1
I.2-Con decreto del 26.04.2023, regolarmente notificato dal ricorrente all'Amministrazione, unitamente al ricorso introduttivo, è stata fissata, per la comparizione delle parti, l'udienza del
22.06.2023, sostituita ex artt. 127, ultimo comma, e 127 ter c.p.c. dal deposito telematico di note di trattazione scritta, come precedentemente disposto con decreto regolarmente comunicato ai Difensori costituiti, in relazione alla quale soltanto la parte ricorrente ha esercitato il diritto di difesa, depositando in data 13.06.2023, note di trattazione scritta con le quali ha insistito nell'accoglimento della domanda.
I.3-La si è costituita con comparsa di costituzione e risposta, depositata il Controparte_2
19.06.2023, insistendo nel rigetto della domanda di rilascio del permesso di soggiorno, con conferma dell'impugnato provvedimento di diniego.
II.1-Preliminarmente, occorre osservare che la valutazione dei profili di illegittimità formale del diniego opposto (quali, il difetto e/o apoditticità della motivazione, l'inadeguata istruttoria in sede amministrativa, ecc.) può dirsi assorbita nella prevalente esigenza di esaminare, nel merito, la sussistenza degli elementi costitutivi della domanda di rinnovo del permesso di soggiorno per motivi umanitari.
II.2-Nel merito la domanda, essendo fondata, deve essere accolta per le seguenti motivazioni.
II.3-Preliminarmente, deve osservarsi che, essendo stata la domanda amministrativa, come si evince dal provvedimento impugnato, presentata in data il 19.10.2022, ovverosia anteriormente all'entrata in vigore del D.L. 20/2023, convertito con modificazioni dalla L. 5 maggio 2023, n. 50, trovano applicazione, ex art. 7, comma 2, le previgenti disposizioni, introdotte attraverso il decreto- legge 21 ottobre 2020, n. 130, convertito con modificazioni nella Legge 18 dicembre n.173 del 2020
(“Disposizioni urgenti in materia di immigrazione, protezione internazionale e complementare, modifiche agli articoli 131-bis, 391-bis, 391-ter e 588 del codice penale, nonche' misure in materia di divieto di accesso agli esercizi pubblici ed ai locali di pubblico trattenimento, di contrasto all'utilizzo distorto del web e di disciplina del Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale”).
Il precedente statuto regolatore della protezione umanitaria risulta essere sostanzialmente riconfermato, nei suoi aspetti più significativi, dall'art. 1, co. I, lett. A) del d.l. 130/2020, il quale ha riscritto l'art. 5, co. 6, del d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286 inserendo l'inciso «fatto salvo il rispetto degli obblighi costituzionali o internazionali dello Stato italiano».
Con il successivo articolo 1, comma 1, lettera e) è stata, invece, approvata una modifica alla formulazione letterale dell'articolo 19, comma 1.1, decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, stabilendo che: «Non sono ammessi il respingimento o l'espulsione o l'estradizione di una persona verso uno Stato qualora esistano fondati motivi di ritenere che essa rischi di essere sottoposta a
2 tortura o a trattamenti inumani o degradanti. Nella valutazione di tali motivi si tiene conto anche dell'esistenza, in tale Stato, di violazioni sistematiche e gravi di diritti umani. Non sono altresì ammessi il respingimento o l'espulsione di una persona verso uno Stato qualora esistano fondati motivi di ritenere che l'allontanamento dal territorio nazionale comporti una violazione del diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, a meno che esso non sia necessario per ragioni di sicurezza nazionale ovvero di ordine e sicurezza pubblica. Ai fini della valutazione del rischio di violazione di cui al periodo precedente, si tiene conto della natura e della effettività dei vincoli familiari dell'interessato, del suo effettivo inserimento sociale in Italia, della durata del suo soggiorno nel territorio nazionale nonché dell'esistenza di legami familiari, culturali o sociali con il suo Paese d'origine».
In questi casi, in forza del comma 1.2 all'art. 19 del Testo Unico (anch'esso introdotto dal
D.L. n. 130/2020), allo straniero per il quale valga il divieto di espulsione – di cui ai commi 1 e 1.1 del medesimo articolo 19 – ed a cui non sia accordata la protezione internazionale o che abbia presentato domanda di permesso di soggiorno, sarà rilasciato un permesso di soggiorno per protezione speciale.
Il legislatore ha, in tal modo, conformato il diritto d'asilo ex articolo 10, comma 3, Cost. attraverso una regolamentazione di dettaglio rispettoso sia dei vincoli costituzionali, quali i doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale della comunità verso i cittadini nel caso stranieri (articolo 2, comma 2, Costituzione), e di quelli europei ed internazionali di cui all'art. 117, comma 1, Cost., sia degli articoli 19, paragrafo 2, della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, 3 e 8 Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali. Ha, inoltre, valorizzato i risultati raggiunti dalla più diffusa giurisprudenza prima della novella di cui all'articolo 1, comma 1, lettera b), numero 2), del decreto-legge 4 ottobre 2018, n. 113, convertito in legge 1° dicembre 2018, n. 132, e definita dalla Corte di cassazione come espressione del diritto di asilo sancito in Costituzione (tra le tante, Cass. civ., sez. I, 13 ottobre 2020, n. 22057).
Ed è, inoltre, in sostanziale linea di continuità con l'assetto così ripristinato, è stato ampliato
l'ambito oggettivo di applicazione del principio di non refoulement.
L'art. 19 del d.lgs. n. 286/1998 (“Divieti di espulsione e di respingimento. Disposizioni in materia di categorie vulnerabili”), infatti, ha dato attuazione nell'ordinamento nazionale al principio
- di diritto internazionale convenzionale - di non refoulement, sancito in modo espresso da numerose fonti sovranazionali (ad esempio, nell'art. 33 della Convenzione di Ginevra del 1951 sullo status dei rifugiati, nell'art. 3 della Convenzione di New York del 1984 contro la tortura e altri trattamenti o
3
punizioni crudeli, inumani o degradanti, nell'art. 19 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione
Europea e nell'art. 78 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea).
La Corte di Cassazione ha condiviso tale interpretazione, statuendo che l'art. 19, comma 1,
“individua la situazione che impone il divieto di espulsione e respingimento (e che pertanto legittima il diritto al soggiorno per un motivo che non può non definirsi di natura umanitaria)” in relazione a tutte le situazioni in cui sia in gioco la tutela dei diritti umani fondamentali (cfr. Cass., n. 3898/2011).
Tale pronuncia ha delineato l'ambito di applicazione del divieto di espulsione e respingimento, chiarendo in maniera puntuale che al suo interno vengono ricomprese anche situazioni diverse da quelle corrispondenti alle qualificazioni offerte dalla Convenzione di Ginevra nonché dall'ordinamento euro-unitario tramite la protezione sussidiaria, ribadendone, così, la natura di norma
“di cornice” con funzione residuale;tale funzione è stata altresì ribadita dalla Circolare del Gabinetto del Ministro dell'interno del 18.12.2018, secondo la quale la protezione speciale è “connessa all'impossibilità di sottoporre lo straniero a espulsione o respingimento (articolo 32 comma 3 del
d.lgs. n.25/2008 in materia di procedure per il riconoscimento e la revoca dello status di protezione internazionale), in attuazione del cosiddetto principio di non-refoulement (articolo 19, comma1 e 1.1
TUI)”.
In aggiunta, dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo si ricava il principio di diritto in base al quale l'obbligo di non refoulement è destinato ad accogliere nel suo ambito di applicazione ratione materiae quelle situazioni in cui lo straniero, in caso di rimpatrio, subirebbe una violazione grave dei suoi diritti fondamentali ed in particolare di quelli tutelati dall'art. 3 della CEDU
(rubricato “Divieto di tortura e di trattamenti inumani e degradanti”) ai sensi del quale “nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o a trattamenti inumani o degradanti” e ciò indipendentemente dalla circostanza che possa essergli riconosciuta qualsivoglia forma di protezione internazionale
(così, ex multis, D. c. Regno Unito, 30240/96, sentenza del 2.5.1997;c. Paesi Bassi, Parte_2
1948/08, sentenza dell'11.1.2007;c. Belgio e Grecia, 30696/09, sentenza della Grand CP_3
Chambre del 21.1.2011;c. Belgio, 41738/10, sentenza della Grand Chambre del CP_4
13.12.2016).
Tale chiave interpretativa è stata fatta propria anche dalla Corte di Giustizia dell'Unione
Europea, la quale ha in più occasioni affermato che in base al principio di non-refoulement “nessuno può essere allontanato verso uno Stato in cui esiste un rischio serio di essere sottoposto a trattamenti inumani e degradanti” (così CGUE, sentenza del 18.12.2014, causa C-542/13, M' Bodj, par. 38;in senso conforme v., tra gli altri, CGUE, sentenza del 18.12.2014, causa C-562/13, Abdida, par.46).
4
Tanto chiarito, con specifico riferimento alla disposizione novellata, il Collegio ritiene che sia ravvisabile una sostanziale continuità con la disciplina della protezione umanitaria di cui all'articolo
5, comma 6, d.lgs. n. 286/1998, (anche alla luce della lettura offertane dalla consolidata giurisprudenza), nella formulazione antecedente alla riforma introdotta con l'articolo 1, comma 1, lettera b), numero 2), del D.L. n. 113/2018, convertito in legge n. 132/2018, e definita dalla Corte di
Cassazione come espressione del diritto di asilo sancito in Costituzione (ex plurimis, Cass. Civ., Sez.
I, 13.10.2020, n. 22057).
Il rilascio del permesso di soggiorno, infatti, presuppone l'allegazione di un diritto assoluto meritevole di protezione e di circostanze dalle quali desumere che il ricorrente subirebbe certamente pregiudizio in Patria.
A tal proposito la Corte di Cassazione, dopo aver escluso che l'inserimento sociale, considerato isolatamente, potesse da solo rendere doveroso il rilascio del permesso umanitario, ha posto, come punto di partenza ineludibile per il riconoscimento del diritto, l'effettiva valutazione comparativa della situazione oggettiva del Paese d'origine e soggettiva del richiedente in quel contesto, alla luce della peculiarità della vicenda personale (cfr. Cass., Sez. VI-I, n. 420/2012;Sez.
VI-I, n. 359/2013;Sez. VI-I, n. 15756/2013). Muovendo da un'interpretazione estensiva del citato art. 5, comma 6, la Suprema Corte ha spostato la verifica dell'esistenza di serie ragioni umanitarie o derivanti da obblighi costituzionali o internazionali, dal piano strettamente individuale a quello più oggettivo della violazione di precetti normativi di rango costituzionale o internazionale: il che non equivale all'automatico riconoscimento della tutela umanitaria in ragione dell'accertata esistenza di detti obblighi ma, ove verificata la violazione dei diritti fondamentali ad essi sottesi, dà spazio, con comparazione da effettuarsi con giudizio prognostico, qui e nel Paese di origine, all'esame della condizione attuale del richiedente dovendosi valutare se “risulti un'effettiva ed incolmabile sproporzione tra i due contesti di vita nel godimento dei diritti fondamentali che costituiscono presupposto indispensabile di una vita dignitosa (art. 2 Cost.)”.
Se, cioè, il D.L. n. 113/2018 (eliminando la clausola inerente ai presupposti per il rilascio della protezione umanitaria: “salvo che ricorrano motivi, in particolare di carattere umanitario o risultanti da obblighi costituzionali o internazionali dello Stato italiano” e, ove presenti, le locuzioni
“umanitaria” o “protezione umanitaria”) aveva soppresso la protezione umanitaria come categoria generale, introducendo fattispecie tipiche di protezione per “casi speciali” (ossia: 1) necessità di cure mediche per condizioni di salute di particolare gravità;2) situazione di contingente ed eccezionale calamità naturale;3) vittime di grave sfruttamento lavorativo;4) vittime di tratta;5) vittime di violenza domestica;6) compimento di atti di particolare valore civile;ipotesi affiancate al principio
5
generale di non refoulement), la riforma dell'ottobre 2020 ha ribadito, di contro, la necessità di assicurare allo straniero il diritto alla protezione interna ogniqualvolta il respingimento (o
l'espulsione) comporti anche solo il rischio di violazione del diritto al rispetto della vita privata e familiare.
Gli elementi che costituiscono parametro di valutazione sono la natura e l'effettività dei vincoli familiari dell'interessato, l'effettivo inserimento sociale in Italia, la durata del suo soggiorno nel territorio nazionale, l'esistenza di legami familiari, culturali o sociali con il suo Paese d'origine.
Questi indici – da intendersi alternativi tra di loro - evocano proprio la precedente protezione umanitaria, il cui riconoscimento era subordinato all'esigenza di tutelare situazioni di vulnerabilità personale derivanti dal rischio del richiedente di essere immesso nuovamente, in conseguenza dell'eventuale rimpatrio in un contesto sociale, politico e ambientale idoneo a costituire una significativa ed effettiva compromissione dei diritti fondamentali e inviolabili (per tutte, Cass. civ., sez. I, 6 aprile 2020, n. 7733).
Il richiamo espresso alla tutela della vita privata e familiare, situazioni che trovano immediato addentellato nell'art. 8 CEDU, consente, nell'attuale sistema positivo, di valorizzare, nella necessaria ed imprescindibile base comparativa, situazioni di vulnerabilità personale quali la salute, l'instabilità politico-sociale nel Paese di origine, la povertà e, soprattutto, l'integrazione sociale (cfr. Cass., Sez.
I, n. 4455/2018). Non è sufficiente l'allegazione di un'esistenza migliore in Italia, sotto il profilo dell'integrazione sociale, personale o lavorativa, ma è necessaria una valutazione comparativa tra la vita privata e familiare del richiedente in Italia e quella che egli ha vissuto prima della partenza e alla quale si troverebbe esposto in conseguenza del rimpatrio (Cass., Sez. I, n. 7733/2020), al fine di accertare se lo straniero sia al punto sradicato dal paese di provenienza (sul piano socio-economico e su quello personale) che il solo rimpatrio costituisca motivo di pregiudizio di diritti fondamentali personali.
A fronte del descritto quadro normativo, al caso di specie non può che trovare applicazione, ratione temporis, il novellato art. 5, co. 6, del d.lgs. 286/1998, letto alla luce del principio di non refoulement come specificato all'art. 19, co.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale di Bari, Sezione Specializzata in materia di Immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell'Unione Europea, riunito in camera di consiglio, nelle persone dei
Magistrati: dr. E D R Presidente relatore dr. G T Giudice dr. L M Giudice nel procedimento recante n. 5525/2023 R.G. degli affari da trattarsi in Camera di Consiglio, decidendo sul ricorso ex art. 281 undecies c.p.c., depositato in data 20.04.2023 da
nato a Fassane (Senegal) il 18.05.1984, (C.F. ), Parte_1 C.F._1
rappresentato e difeso dall'avv. M L M, giusta procura in atti;
-parte ricorrente-
contro
, in persona del Questore pro tempore, rappresentato e Controparte_1 difeso, ope legis, dall'Avvocatura distrettuale dello Stato di Bari;
-parte resistente- dato atto che il provvedimento viene reso in esito all'udienza collegiale del 12.06.2024, sostituita ex artt. 127, ultimo comma, e 127 ter c.p.c. dal deposito telematico di note di trattazione scritta, come precedentemente disposto con decreto regolarmente comunicato ai Difensori costituiti;lette le note di trattazione scritta e compiute le preliminari verifiche processuali;ha pronunciato la seguente
SENTENZA
I.1-Il ricorrente, cittadino senegalese, ha impugnato il decreto, emesso dal Questore di Foggia in data 21.02.2023, notificatogli il 06.04.2023, con il quale l'Amministrazione aveva rigettato la domanda di rilascio del permesso di soggiorno per protezione speciale, ed ha, per tale ragione, adito il Tribunale, insistendo per il riconoscimento del bene della vita, negato in sede amministrativa.
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I.2-Con decreto del 26.04.2023, regolarmente notificato dal ricorrente all'Amministrazione, unitamente al ricorso introduttivo, è stata fissata, per la comparizione delle parti, l'udienza del
22.06.2023, sostituita ex artt. 127, ultimo comma, e 127 ter c.p.c. dal deposito telematico di note di trattazione scritta, come precedentemente disposto con decreto regolarmente comunicato ai Difensori costituiti, in relazione alla quale soltanto la parte ricorrente ha esercitato il diritto di difesa, depositando in data 13.06.2023, note di trattazione scritta con le quali ha insistito nell'accoglimento della domanda.
I.3-La si è costituita con comparsa di costituzione e risposta, depositata il Controparte_2
19.06.2023, insistendo nel rigetto della domanda di rilascio del permesso di soggiorno, con conferma dell'impugnato provvedimento di diniego.
II.1-Preliminarmente, occorre osservare che la valutazione dei profili di illegittimità formale del diniego opposto (quali, il difetto e/o apoditticità della motivazione, l'inadeguata istruttoria in sede amministrativa, ecc.) può dirsi assorbita nella prevalente esigenza di esaminare, nel merito, la sussistenza degli elementi costitutivi della domanda di rinnovo del permesso di soggiorno per motivi umanitari.
II.2-Nel merito la domanda, essendo fondata, deve essere accolta per le seguenti motivazioni.
II.3-Preliminarmente, deve osservarsi che, essendo stata la domanda amministrativa, come si evince dal provvedimento impugnato, presentata in data il 19.10.2022, ovverosia anteriormente all'entrata in vigore del D.L. 20/2023, convertito con modificazioni dalla L. 5 maggio 2023, n. 50, trovano applicazione, ex art. 7, comma 2, le previgenti disposizioni, introdotte attraverso il decreto- legge 21 ottobre 2020, n. 130, convertito con modificazioni nella Legge 18 dicembre n.173 del 2020
(“Disposizioni urgenti in materia di immigrazione, protezione internazionale e complementare, modifiche agli articoli 131-bis, 391-bis, 391-ter e 588 del codice penale, nonche' misure in materia di divieto di accesso agli esercizi pubblici ed ai locali di pubblico trattenimento, di contrasto all'utilizzo distorto del web e di disciplina del Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale”).
Il precedente statuto regolatore della protezione umanitaria risulta essere sostanzialmente riconfermato, nei suoi aspetti più significativi, dall'art. 1, co. I, lett. A) del d.l. 130/2020, il quale ha riscritto l'art. 5, co. 6, del d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286 inserendo l'inciso «fatto salvo il rispetto degli obblighi costituzionali o internazionali dello Stato italiano».
Con il successivo articolo 1, comma 1, lettera e) è stata, invece, approvata una modifica alla formulazione letterale dell'articolo 19, comma 1.1, decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, stabilendo che: «Non sono ammessi il respingimento o l'espulsione o l'estradizione di una persona verso uno Stato qualora esistano fondati motivi di ritenere che essa rischi di essere sottoposta a
2 tortura o a trattamenti inumani o degradanti. Nella valutazione di tali motivi si tiene conto anche dell'esistenza, in tale Stato, di violazioni sistematiche e gravi di diritti umani. Non sono altresì ammessi il respingimento o l'espulsione di una persona verso uno Stato qualora esistano fondati motivi di ritenere che l'allontanamento dal territorio nazionale comporti una violazione del diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, a meno che esso non sia necessario per ragioni di sicurezza nazionale ovvero di ordine e sicurezza pubblica. Ai fini della valutazione del rischio di violazione di cui al periodo precedente, si tiene conto della natura e della effettività dei vincoli familiari dell'interessato, del suo effettivo inserimento sociale in Italia, della durata del suo soggiorno nel territorio nazionale nonché dell'esistenza di legami familiari, culturali o sociali con il suo Paese d'origine».
In questi casi, in forza del comma 1.2 all'art. 19 del Testo Unico (anch'esso introdotto dal
D.L. n. 130/2020), allo straniero per il quale valga il divieto di espulsione – di cui ai commi 1 e 1.1 del medesimo articolo 19 – ed a cui non sia accordata la protezione internazionale o che abbia presentato domanda di permesso di soggiorno, sarà rilasciato un permesso di soggiorno per protezione speciale.
Il legislatore ha, in tal modo, conformato il diritto d'asilo ex articolo 10, comma 3, Cost. attraverso una regolamentazione di dettaglio rispettoso sia dei vincoli costituzionali, quali i doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale della comunità verso i cittadini nel caso stranieri (articolo 2, comma 2, Costituzione), e di quelli europei ed internazionali di cui all'art. 117, comma 1, Cost., sia degli articoli 19, paragrafo 2, della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, 3 e 8 Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali. Ha, inoltre, valorizzato i risultati raggiunti dalla più diffusa giurisprudenza prima della novella di cui all'articolo 1, comma 1, lettera b), numero 2), del decreto-legge 4 ottobre 2018, n. 113, convertito in legge 1° dicembre 2018, n. 132, e definita dalla Corte di cassazione come espressione del diritto di asilo sancito in Costituzione (tra le tante, Cass. civ., sez. I, 13 ottobre 2020, n. 22057).
Ed è, inoltre, in sostanziale linea di continuità con l'assetto così ripristinato, è stato ampliato
l'ambito oggettivo di applicazione del principio di non refoulement.
L'art. 19 del d.lgs. n. 286/1998 (“Divieti di espulsione e di respingimento. Disposizioni in materia di categorie vulnerabili”), infatti, ha dato attuazione nell'ordinamento nazionale al principio
- di diritto internazionale convenzionale - di non refoulement, sancito in modo espresso da numerose fonti sovranazionali (ad esempio, nell'art. 33 della Convenzione di Ginevra del 1951 sullo status dei rifugiati, nell'art. 3 della Convenzione di New York del 1984 contro la tortura e altri trattamenti o
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punizioni crudeli, inumani o degradanti, nell'art. 19 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione
Europea e nell'art. 78 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea).
La Corte di Cassazione ha condiviso tale interpretazione, statuendo che l'art. 19, comma 1,
“individua la situazione che impone il divieto di espulsione e respingimento (e che pertanto legittima il diritto al soggiorno per un motivo che non può non definirsi di natura umanitaria)” in relazione a tutte le situazioni in cui sia in gioco la tutela dei diritti umani fondamentali (cfr. Cass., n. 3898/2011).
Tale pronuncia ha delineato l'ambito di applicazione del divieto di espulsione e respingimento, chiarendo in maniera puntuale che al suo interno vengono ricomprese anche situazioni diverse da quelle corrispondenti alle qualificazioni offerte dalla Convenzione di Ginevra nonché dall'ordinamento euro-unitario tramite la protezione sussidiaria, ribadendone, così, la natura di norma
“di cornice” con funzione residuale;tale funzione è stata altresì ribadita dalla Circolare del Gabinetto del Ministro dell'interno del 18.12.2018, secondo la quale la protezione speciale è “connessa all'impossibilità di sottoporre lo straniero a espulsione o respingimento (articolo 32 comma 3 del
d.lgs. n.25/2008 in materia di procedure per il riconoscimento e la revoca dello status di protezione internazionale), in attuazione del cosiddetto principio di non-refoulement (articolo 19, comma1 e 1.1
TUI)”.
In aggiunta, dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo si ricava il principio di diritto in base al quale l'obbligo di non refoulement è destinato ad accogliere nel suo ambito di applicazione ratione materiae quelle situazioni in cui lo straniero, in caso di rimpatrio, subirebbe una violazione grave dei suoi diritti fondamentali ed in particolare di quelli tutelati dall'art. 3 della CEDU
(rubricato “Divieto di tortura e di trattamenti inumani e degradanti”) ai sensi del quale “nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o a trattamenti inumani o degradanti” e ciò indipendentemente dalla circostanza che possa essergli riconosciuta qualsivoglia forma di protezione internazionale
(così, ex multis, D. c. Regno Unito, 30240/96, sentenza del 2.5.1997;c. Paesi Bassi, Parte_2
1948/08, sentenza dell'11.1.2007;c. Belgio e Grecia, 30696/09, sentenza della Grand CP_3
Chambre del 21.1.2011;c. Belgio, 41738/10, sentenza della Grand Chambre del CP_4
13.12.2016).
Tale chiave interpretativa è stata fatta propria anche dalla Corte di Giustizia dell'Unione
Europea, la quale ha in più occasioni affermato che in base al principio di non-refoulement “nessuno può essere allontanato verso uno Stato in cui esiste un rischio serio di essere sottoposto a trattamenti inumani e degradanti” (così CGUE, sentenza del 18.12.2014, causa C-542/13, M' Bodj, par. 38;in senso conforme v., tra gli altri, CGUE, sentenza del 18.12.2014, causa C-562/13, Abdida, par.46).
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Tanto chiarito, con specifico riferimento alla disposizione novellata, il Collegio ritiene che sia ravvisabile una sostanziale continuità con la disciplina della protezione umanitaria di cui all'articolo
5, comma 6, d.lgs. n. 286/1998, (anche alla luce della lettura offertane dalla consolidata giurisprudenza), nella formulazione antecedente alla riforma introdotta con l'articolo 1, comma 1, lettera b), numero 2), del D.L. n. 113/2018, convertito in legge n. 132/2018, e definita dalla Corte di
Cassazione come espressione del diritto di asilo sancito in Costituzione (ex plurimis, Cass. Civ., Sez.
I, 13.10.2020, n. 22057).
Il rilascio del permesso di soggiorno, infatti, presuppone l'allegazione di un diritto assoluto meritevole di protezione e di circostanze dalle quali desumere che il ricorrente subirebbe certamente pregiudizio in Patria.
A tal proposito la Corte di Cassazione, dopo aver escluso che l'inserimento sociale, considerato isolatamente, potesse da solo rendere doveroso il rilascio del permesso umanitario, ha posto, come punto di partenza ineludibile per il riconoscimento del diritto, l'effettiva valutazione comparativa della situazione oggettiva del Paese d'origine e soggettiva del richiedente in quel contesto, alla luce della peculiarità della vicenda personale (cfr. Cass., Sez. VI-I, n. 420/2012;Sez.
VI-I, n. 359/2013;Sez. VI-I, n. 15756/2013). Muovendo da un'interpretazione estensiva del citato art. 5, comma 6, la Suprema Corte ha spostato la verifica dell'esistenza di serie ragioni umanitarie o derivanti da obblighi costituzionali o internazionali, dal piano strettamente individuale a quello più oggettivo della violazione di precetti normativi di rango costituzionale o internazionale: il che non equivale all'automatico riconoscimento della tutela umanitaria in ragione dell'accertata esistenza di detti obblighi ma, ove verificata la violazione dei diritti fondamentali ad essi sottesi, dà spazio, con comparazione da effettuarsi con giudizio prognostico, qui e nel Paese di origine, all'esame della condizione attuale del richiedente dovendosi valutare se “risulti un'effettiva ed incolmabile sproporzione tra i due contesti di vita nel godimento dei diritti fondamentali che costituiscono presupposto indispensabile di una vita dignitosa (art. 2 Cost.)”.
Se, cioè, il D.L. n. 113/2018 (eliminando la clausola inerente ai presupposti per il rilascio della protezione umanitaria: “salvo che ricorrano motivi, in particolare di carattere umanitario o risultanti da obblighi costituzionali o internazionali dello Stato italiano” e, ove presenti, le locuzioni
“umanitaria” o “protezione umanitaria”) aveva soppresso la protezione umanitaria come categoria generale, introducendo fattispecie tipiche di protezione per “casi speciali” (ossia: 1) necessità di cure mediche per condizioni di salute di particolare gravità;2) situazione di contingente ed eccezionale calamità naturale;3) vittime di grave sfruttamento lavorativo;4) vittime di tratta;5) vittime di violenza domestica;6) compimento di atti di particolare valore civile;ipotesi affiancate al principio
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generale di non refoulement), la riforma dell'ottobre 2020 ha ribadito, di contro, la necessità di assicurare allo straniero il diritto alla protezione interna ogniqualvolta il respingimento (o
l'espulsione) comporti anche solo il rischio di violazione del diritto al rispetto della vita privata e familiare.
Gli elementi che costituiscono parametro di valutazione sono la natura e l'effettività dei vincoli familiari dell'interessato, l'effettivo inserimento sociale in Italia, la durata del suo soggiorno nel territorio nazionale, l'esistenza di legami familiari, culturali o sociali con il suo Paese d'origine.
Questi indici – da intendersi alternativi tra di loro - evocano proprio la precedente protezione umanitaria, il cui riconoscimento era subordinato all'esigenza di tutelare situazioni di vulnerabilità personale derivanti dal rischio del richiedente di essere immesso nuovamente, in conseguenza dell'eventuale rimpatrio in un contesto sociale, politico e ambientale idoneo a costituire una significativa ed effettiva compromissione dei diritti fondamentali e inviolabili (per tutte, Cass. civ., sez. I, 6 aprile 2020, n. 7733).
Il richiamo espresso alla tutela della vita privata e familiare, situazioni che trovano immediato addentellato nell'art. 8 CEDU, consente, nell'attuale sistema positivo, di valorizzare, nella necessaria ed imprescindibile base comparativa, situazioni di vulnerabilità personale quali la salute, l'instabilità politico-sociale nel Paese di origine, la povertà e, soprattutto, l'integrazione sociale (cfr. Cass., Sez.
I, n. 4455/2018). Non è sufficiente l'allegazione di un'esistenza migliore in Italia, sotto il profilo dell'integrazione sociale, personale o lavorativa, ma è necessaria una valutazione comparativa tra la vita privata e familiare del richiedente in Italia e quella che egli ha vissuto prima della partenza e alla quale si troverebbe esposto in conseguenza del rimpatrio (Cass., Sez. I, n. 7733/2020), al fine di accertare se lo straniero sia al punto sradicato dal paese di provenienza (sul piano socio-economico e su quello personale) che il solo rimpatrio costituisca motivo di pregiudizio di diritti fondamentali personali.
A fronte del descritto quadro normativo, al caso di specie non può che trovare applicazione, ratione temporis, il novellato art. 5, co. 6, del d.lgs. 286/1998, letto alla luce del principio di non refoulement come specificato all'art. 19, co.
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