Trib. Avellino, sentenza 12/01/2024, n. 22
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Testo completo
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE DI AVELLINO
Settore Lavoro e Previdenza
Il Giudice del lavoro, dott. D V, all'esito della discussione ex art. 127 ter
c.p.c., ha pronunciato la seguente
S E N T E N Z A nella controversia iscritta al R. G. n. 184/2020, avente ad oggetto: retribuzione;
introdotta
DA
(c.f.: ), rappresentata e difesa, in virtù Parte_1 C.F._1 di procura in atti, dall'avv. L L, presso cui è elettivamente domiciliata;
RICORRENTE
CONTRO
(c.f.: , rappresentata Controparte_1 P.IVA_1
e difesa, in virtù di procura in atti, dall'avv. A M, presso cui è elettivamente domiciliata.
RESISTENTE
CONCLUSIONI
PER PARTE RICORRENTE: condannare la resistente al pagamento della somma di €
35.477,02 a titolo di differenze retributive ed alla somma di € 7.588,30 a titolo di
T.F.R., oltre interessi legali e rivalutazione monetaria o alla diversa somma ritenuta di giustizia;
con vittoria delle spese di lite, con attribuzione;
PER PARTE RESISTENTE: rigettare il ricorso;
con vittoria di spese, con attribuzione.
SVOLGIMENTO del PROCESSO
Con ricorso depositato in data 20.1.2020, la sig.ra esponeva di Parte_1 essere stata assunta, in data 11.6.2010, alle dipendenze di Controparte_1
, con contratto di apprendistato professionalizzante a tempo pieno e con la
[...]
1
qualifica di apprendista commessa, dal 12.6.2010 all'11.6.2012.
Rappresentava che, in data 12.6.2012, il contratto di lavoro veniva trasformato in contratto a tempo indeterminato full time.
Riferiva che il rapporto di lavoro era cessato in data 16.11.2013 per dimissioni.
Esponeva di essere stata poi nuovamente assunta con contratto di lavoro apprendistato professionalizzante full time, dal 2.12.2013 al 2.12.2016.
Riferiva, altresì, che il secondo rapporto era proseguito sino al 30.4.2016, allorquando le veniva comunicata la cessazione dell'attività.
Lamentava di aver prestato la propria attività lavorativa oltre l'orario di lavoro concordato, senza ricevere alcuna retribuzione a titolo di lavoro straordinario.
Deduceva la mancata corresponsione della retribuzione dei mesi di dicembre 2015, gennaio, febbraio, marzo, aprile 2016, oltre che del T.F.R., di tredicesima e quattordicesima mensilità e del bonus D.L. 66/2014, ed altresì dell'indennità per permessi e festività e dell'indennità di maternità.
Quantificava il proprio credito in € 44.639,27, di cui € 7.588,30 a titolo di T.F.R. ed €
35.477,02 a titolo di differenze retributive.
Tanto premesso, conveniva in giudizio , innanzi Controparte_1 al Tribunale di Avellino, in funzione di giudice del lavoro, rassegnando le suesposte conclusioni.
Ritualmente instaurato il contraddittorio, la resistente si costituiva tempestivamente in giudizio, contestando la fondatezza del ricorso.
In specie, eccepiva l'intervenuta prescrizione dei pretesi crediti.
Nel merito, deduceva che la ricorrente aveva sempre lavorato per 40 ore settimanali per 5 giorni a settimana, osservando turni di 8 ore.
Contestava la formulazione dei conteggi ed instava per il rigetto del ricorso.
Acquisita la documentazione prodotta ed espletata la prova orale, all'esito della discussione ex art. 127 ter c.p.c., la causa veniva decisa come da sentenza.
MOTIVI della DECISIONE
1. Il ricorso è parzialmente fondato e va accolto nei limiti appresso segnati.
Anzitutto, deve essere disattesa l'eccezione di prescrizione sollevata da parte resistente.
Non può non registrarsi la recente tendenza giurisprudenziale diretta a denegare la decorrenza della prescrizione in corso di rapporto alla luce delle modificazioni legislative apportate al regime di tutela ex art. 18 L. 300/1970 (Stat. Lav.) con le riforme di cui alla L. 92/2012 (legge Fornero), ed ancor più nel contesto del contratto a tutele
2
crescenti delineato dai decreti attuativi del cd. Jobs Act, con specifico riferimento al D.
Lgs. 23/2015, e ciò anche in ragione della progressiva erosione del potere di valutazione giudiziale della proporzionalità della reazione espulsiva datoriale della sua incidenza sulla reintegrazione (Cassazione civile, sez. lav., 13/10/2022, n. 29981;
Cassazione civile, sez. lav., 06/09/2022, n. 26246: “In tema di crediti retributivi, posto che la mancanza dei presupposti di predeterminazione certa delle fattispecie di risoluzione e di una loro tutela adeguata esclude che il rapporto di lavoro a tempo indeterminato, così come modulato per effetto della l. n. 92 del 2012 e del d.lg. n. 23 del 2015, sia assistito da un regime di stabilità, il termine di prescrizione dei relativi diritti decorre dalla cessazione del rapporto di lavoro”).
In sostanza, secondo l'indirizzo giurisprudenziale attualmente adottato dalla Suprema
Corte, anche nell'ipotesi in cui il rapporto di lavoro sia assistito da una tutela reale, ma in forma attenuata, l'incertezza in ordine al beneficio della reintegrazione deve reputarsi idonea a giustificare il metus del lavoratore nell'avanzare richieste di pagamento al datore di lavoro e, di conseguenza, il differimento del dies a quo della prescrizione dei diritti retributivi alla data di cessazione del rapporto.
A fortiori, dunque, nell'ipotesi in cui le tutele ex art. 18 L. 300/1970 non siano applicabili in ragione delle dimensioni dell'impresa datrice di lavoro, sicché trovi, invece, applicazione la normativa di cui all'art. 8 L. 604/1966, che prevede una tutela sostanzialmente obbligatoria in caso di licenziamento illegittimo, ancor più si giustifica la sospensione della decorrenza del termine di prescrizione dei diritti economici del lavoratore nel corso del rapporto (Corte Costituzionale, 10/06/1966, n. 63: “Gli artt.
2948, n. 4, 2955, n. 2, e 2956, n. 1, c.c. sono costituzionalmente illegittimi limitatamente alla parte in cui consentono che la prescrizione del diritto alla retribuzione decorra durante il rapporto di lavoro.
In un rapporto non dotato di quella resistenza, che caratterizza invece il rapporto d'impiego pubblico, la prescrizione del diritto al salario non decorre durante il rapporto di lavoro”).
Ebbene, nella fattispecie in controversia, si ravvisa la sussistenza di due rapporti di lavoro con soluzione di continuità, entrambi disciplinati, quanto al recesso datoriale, dalla normativa ratione temporis applicabile, ossia il richiamato art. 8 L. 604/1966, in ragione delle dimensioni dell'impresa individuale datrice, evidentemente inferiori alla soglia di cui all'art. 18 co. 7 L. 300/1970.
L'assenza di tutela reintegratoria per i rapporti detti, impone di ritenere che il termine di prescrizione estintiva dei diritti retributivi della lavoratrice ricorrente decorra dalle date di cessazione dei rapporti stessi, ossia dal 16.11.2013 e dal 30.4.2016.
Parte ricorrente ha documentato l'intervento di atto di costituzione in mora, consegnato a mezzo lettera raccomandata a.r. addì 7.3.2017 al datore di lavoro, atto
3
che può essere ritenuto idoneo ad interrompere il decorso della prescrizione prima della maturazione del termine quinquennale applicabile ex art. 2948 n. 4 c.c., giacché contenente manifesta ed inequivoca dichiarazione di volontà diretta ad ottenere il pagamento dei medesimi crediti rivendicati con il ricorso introduttivo del giudizio.
Dunque, sino alla data di deposito del ricorso (20.1.2020), non risulta spirato il termine quinquennale di prescrizione per entrambi i rapporti.
2. Nel merito, deve rilevarsi che il complessivo esame del compendio probatorio raccolto impone di disattendere in parte le domande proposte dalla lavoratrice.
È indubbio che, ai sensi dell'art. 2697 c.c., sia il lavoratore a dover dimostrare di aver espletato un'attività lavorativa di consistenza superiore rispetto a quanto risultante dalla documentazione inerente al rapporto, ossia, nel caso di specie, di aver lavorato oltre l'orario ordinariamente stabilito (Cassazione civile, sez. lav., 04/06/2002, n.
8097: “Il lavoratore che deduce l'insufficienza della retribuzione corrispostagli dal datore di lavoro deve provarne solo l'entità, e non anche l'insufficienza, spettando al giudice di valutarne la conformità ai criteri indicati dall'art. 36 cost. Spetta, tuttavia, al lavoratore l'onere di dimostrare l'oggetto sul quale tale valutazione deve avvenire, e cioè le prestazioni lavorative in concreto effettuate, fermo restando il dovere del giudice di enunciare i criteri seguiti, allo scopo di consentire il controllo della congruità della motivazione della sua decisione”;
nello stesso senso: Cassazione civile, sez. lav., 19/03/2014, n. 6332;
Cassazione civile, sez. lav., 16/02/2009, n. 3714).
In altri termini, in forza del principio per cui onus probandi incumbit ei qui dicit, ricade sulla ricorrente l'onere di dimostrare di aver osservato un orario di lavoro esuberante quello stabilito, trattandosi di elemento costitutivo del diritto di credito.
Al fine di accertare quanto dedotto dal lavoratore, risultano dirimenti le risultanze dell'istruttoria espletata nel corso del giudizio.
Queste le dichiarazioni rese dai testimoni escussi:
- : “sulla circostanza distinta con la lett. a) contenuta nel ricorso introduttivo del Testimone_1 presente giudizio risponde “si è vero. Tanto posso precisare essendo la zia della ricorrente e cliente della di . Si è vero. … lett.c) “si è vero” mia nipote eseguiva anche CP_1 Controparte_1 la chiusura di cassa nonché apertura e chiusura del negozio mattina e sera;
… lett. d) risponde “si è vero”, tanto posso riferire avendolo costatato di persona. … lett. e) risponde “si è vero” tanto posso riferire in quanto fu spostata anche la sede. … la lett. f) risponde “si è vero” oltre alle vendite la ricorrente eseguiva il confezionamento di bomboniere con confetti;
… lett. g) risponde “si è vero” tanto posso riferire avendolo costatato. … lett. h) risponde “si è vero” questo era l'orario che svolgeva. … lett.
i) risponde “si è vero” solo formalmente giacché veniva nuovamente riassunta. … lett. j) risponde “si è vero”;
… lett. k) risponde “si è vero”;
… lett. L) risponde “si è vero”. Posso precisare di essere a conoscenza degli orari di
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE DI AVELLINO
Settore Lavoro e Previdenza
Il Giudice del lavoro, dott. D V, all'esito della discussione ex art. 127 ter
c.p.c., ha pronunciato la seguente
S E N T E N Z A nella controversia iscritta al R. G. n. 184/2020, avente ad oggetto: retribuzione;
introdotta
DA
(c.f.: ), rappresentata e difesa, in virtù Parte_1 C.F._1 di procura in atti, dall'avv. L L, presso cui è elettivamente domiciliata;
RICORRENTE
CONTRO
(c.f.: , rappresentata Controparte_1 P.IVA_1
e difesa, in virtù di procura in atti, dall'avv. A M, presso cui è elettivamente domiciliata.
RESISTENTE
CONCLUSIONI
PER PARTE RICORRENTE: condannare la resistente al pagamento della somma di €
35.477,02 a titolo di differenze retributive ed alla somma di € 7.588,30 a titolo di
T.F.R., oltre interessi legali e rivalutazione monetaria o alla diversa somma ritenuta di giustizia;
con vittoria delle spese di lite, con attribuzione;
PER PARTE RESISTENTE: rigettare il ricorso;
con vittoria di spese, con attribuzione.
SVOLGIMENTO del PROCESSO
Con ricorso depositato in data 20.1.2020, la sig.ra esponeva di Parte_1 essere stata assunta, in data 11.6.2010, alle dipendenze di Controparte_1
, con contratto di apprendistato professionalizzante a tempo pieno e con la
[...]
1
qualifica di apprendista commessa, dal 12.6.2010 all'11.6.2012.
Rappresentava che, in data 12.6.2012, il contratto di lavoro veniva trasformato in contratto a tempo indeterminato full time.
Riferiva che il rapporto di lavoro era cessato in data 16.11.2013 per dimissioni.
Esponeva di essere stata poi nuovamente assunta con contratto di lavoro apprendistato professionalizzante full time, dal 2.12.2013 al 2.12.2016.
Riferiva, altresì, che il secondo rapporto era proseguito sino al 30.4.2016, allorquando le veniva comunicata la cessazione dell'attività.
Lamentava di aver prestato la propria attività lavorativa oltre l'orario di lavoro concordato, senza ricevere alcuna retribuzione a titolo di lavoro straordinario.
Deduceva la mancata corresponsione della retribuzione dei mesi di dicembre 2015, gennaio, febbraio, marzo, aprile 2016, oltre che del T.F.R., di tredicesima e quattordicesima mensilità e del bonus D.L. 66/2014, ed altresì dell'indennità per permessi e festività e dell'indennità di maternità.
Quantificava il proprio credito in € 44.639,27, di cui € 7.588,30 a titolo di T.F.R. ed €
35.477,02 a titolo di differenze retributive.
Tanto premesso, conveniva in giudizio , innanzi Controparte_1 al Tribunale di Avellino, in funzione di giudice del lavoro, rassegnando le suesposte conclusioni.
Ritualmente instaurato il contraddittorio, la resistente si costituiva tempestivamente in giudizio, contestando la fondatezza del ricorso.
In specie, eccepiva l'intervenuta prescrizione dei pretesi crediti.
Nel merito, deduceva che la ricorrente aveva sempre lavorato per 40 ore settimanali per 5 giorni a settimana, osservando turni di 8 ore.
Contestava la formulazione dei conteggi ed instava per il rigetto del ricorso.
Acquisita la documentazione prodotta ed espletata la prova orale, all'esito della discussione ex art. 127 ter c.p.c., la causa veniva decisa come da sentenza.
MOTIVI della DECISIONE
1. Il ricorso è parzialmente fondato e va accolto nei limiti appresso segnati.
Anzitutto, deve essere disattesa l'eccezione di prescrizione sollevata da parte resistente.
Non può non registrarsi la recente tendenza giurisprudenziale diretta a denegare la decorrenza della prescrizione in corso di rapporto alla luce delle modificazioni legislative apportate al regime di tutela ex art. 18 L. 300/1970 (Stat. Lav.) con le riforme di cui alla L. 92/2012 (legge Fornero), ed ancor più nel contesto del contratto a tutele
2
crescenti delineato dai decreti attuativi del cd. Jobs Act, con specifico riferimento al D.
Lgs. 23/2015, e ciò anche in ragione della progressiva erosione del potere di valutazione giudiziale della proporzionalità della reazione espulsiva datoriale della sua incidenza sulla reintegrazione (Cassazione civile, sez. lav., 13/10/2022, n. 29981;
Cassazione civile, sez. lav., 06/09/2022, n. 26246: “In tema di crediti retributivi, posto che la mancanza dei presupposti di predeterminazione certa delle fattispecie di risoluzione e di una loro tutela adeguata esclude che il rapporto di lavoro a tempo indeterminato, così come modulato per effetto della l. n. 92 del 2012 e del d.lg. n. 23 del 2015, sia assistito da un regime di stabilità, il termine di prescrizione dei relativi diritti decorre dalla cessazione del rapporto di lavoro”).
In sostanza, secondo l'indirizzo giurisprudenziale attualmente adottato dalla Suprema
Corte, anche nell'ipotesi in cui il rapporto di lavoro sia assistito da una tutela reale, ma in forma attenuata, l'incertezza in ordine al beneficio della reintegrazione deve reputarsi idonea a giustificare il metus del lavoratore nell'avanzare richieste di pagamento al datore di lavoro e, di conseguenza, il differimento del dies a quo della prescrizione dei diritti retributivi alla data di cessazione del rapporto.
A fortiori, dunque, nell'ipotesi in cui le tutele ex art. 18 L. 300/1970 non siano applicabili in ragione delle dimensioni dell'impresa datrice di lavoro, sicché trovi, invece, applicazione la normativa di cui all'art. 8 L. 604/1966, che prevede una tutela sostanzialmente obbligatoria in caso di licenziamento illegittimo, ancor più si giustifica la sospensione della decorrenza del termine di prescrizione dei diritti economici del lavoratore nel corso del rapporto (Corte Costituzionale, 10/06/1966, n. 63: “Gli artt.
2948, n. 4, 2955, n. 2, e 2956, n. 1, c.c. sono costituzionalmente illegittimi limitatamente alla parte in cui consentono che la prescrizione del diritto alla retribuzione decorra durante il rapporto di lavoro.
In un rapporto non dotato di quella resistenza, che caratterizza invece il rapporto d'impiego pubblico, la prescrizione del diritto al salario non decorre durante il rapporto di lavoro”).
Ebbene, nella fattispecie in controversia, si ravvisa la sussistenza di due rapporti di lavoro con soluzione di continuità, entrambi disciplinati, quanto al recesso datoriale, dalla normativa ratione temporis applicabile, ossia il richiamato art. 8 L. 604/1966, in ragione delle dimensioni dell'impresa individuale datrice, evidentemente inferiori alla soglia di cui all'art. 18 co. 7 L. 300/1970.
L'assenza di tutela reintegratoria per i rapporti detti, impone di ritenere che il termine di prescrizione estintiva dei diritti retributivi della lavoratrice ricorrente decorra dalle date di cessazione dei rapporti stessi, ossia dal 16.11.2013 e dal 30.4.2016.
Parte ricorrente ha documentato l'intervento di atto di costituzione in mora, consegnato a mezzo lettera raccomandata a.r. addì 7.3.2017 al datore di lavoro, atto
3
che può essere ritenuto idoneo ad interrompere il decorso della prescrizione prima della maturazione del termine quinquennale applicabile ex art. 2948 n. 4 c.c., giacché contenente manifesta ed inequivoca dichiarazione di volontà diretta ad ottenere il pagamento dei medesimi crediti rivendicati con il ricorso introduttivo del giudizio.
Dunque, sino alla data di deposito del ricorso (20.1.2020), non risulta spirato il termine quinquennale di prescrizione per entrambi i rapporti.
2. Nel merito, deve rilevarsi che il complessivo esame del compendio probatorio raccolto impone di disattendere in parte le domande proposte dalla lavoratrice.
È indubbio che, ai sensi dell'art. 2697 c.c., sia il lavoratore a dover dimostrare di aver espletato un'attività lavorativa di consistenza superiore rispetto a quanto risultante dalla documentazione inerente al rapporto, ossia, nel caso di specie, di aver lavorato oltre l'orario ordinariamente stabilito (Cassazione civile, sez. lav., 04/06/2002, n.
8097: “Il lavoratore che deduce l'insufficienza della retribuzione corrispostagli dal datore di lavoro deve provarne solo l'entità, e non anche l'insufficienza, spettando al giudice di valutarne la conformità ai criteri indicati dall'art. 36 cost. Spetta, tuttavia, al lavoratore l'onere di dimostrare l'oggetto sul quale tale valutazione deve avvenire, e cioè le prestazioni lavorative in concreto effettuate, fermo restando il dovere del giudice di enunciare i criteri seguiti, allo scopo di consentire il controllo della congruità della motivazione della sua decisione”;
nello stesso senso: Cassazione civile, sez. lav., 19/03/2014, n. 6332;
Cassazione civile, sez. lav., 16/02/2009, n. 3714).
In altri termini, in forza del principio per cui onus probandi incumbit ei qui dicit, ricade sulla ricorrente l'onere di dimostrare di aver osservato un orario di lavoro esuberante quello stabilito, trattandosi di elemento costitutivo del diritto di credito.
Al fine di accertare quanto dedotto dal lavoratore, risultano dirimenti le risultanze dell'istruttoria espletata nel corso del giudizio.
Queste le dichiarazioni rese dai testimoni escussi:
- : “sulla circostanza distinta con la lett. a) contenuta nel ricorso introduttivo del Testimone_1 presente giudizio risponde “si è vero. Tanto posso precisare essendo la zia della ricorrente e cliente della di . Si è vero. … lett.c) “si è vero” mia nipote eseguiva anche CP_1 Controparte_1 la chiusura di cassa nonché apertura e chiusura del negozio mattina e sera;
… lett. d) risponde “si è vero”, tanto posso riferire avendolo costatato di persona. … lett. e) risponde “si è vero” tanto posso riferire in quanto fu spostata anche la sede. … la lett. f) risponde “si è vero” oltre alle vendite la ricorrente eseguiva il confezionamento di bomboniere con confetti;
… lett. g) risponde “si è vero” tanto posso riferire avendolo costatato. … lett. h) risponde “si è vero” questo era l'orario che svolgeva. … lett.
i) risponde “si è vero” solo formalmente giacché veniva nuovamente riassunta. … lett. j) risponde “si è vero”;
… lett. k) risponde “si è vero”;
… lett. L) risponde “si è vero”. Posso precisare di essere a conoscenza degli orari di
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