Trib. Roma, sentenza 17/10/2024, n. 10313
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Testo completo
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Tribunale di Roma
SEZIONE LAVORO
Il Tribunale, nella persona del giudice designato Dott. ALFONSINA BELLINI
Alla udienza del 17/10/2024 ha pronunciato la seguente
SENTENZA nella causa lavoro di I grado iscritta al N. 20334 R.G.2023 promossa da:
IC LI L6 con il patrocinio dell'avv. CIRCI
ANDREA e dell' av. LAURA CIRCI _ con elezione di domicilio in Viale
Angelico 38 00195 ROMA ITALIA;
contro
:
INPS, con il patrocinio dell'avv.TETI MARIA PIA TERESA , con elezione di domicilio in VIA CESARE BECCARIA 29 ROMA
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso n. RG 20334/2023, LI IC conveniva in giudizio l' INPS chiedendo al giudice adito di accogliere le seguenti conclusioni: a) accertare e dichiarare, per i motivi di cui sopra, il diritto della sig.ra EL LI al riconoscimento dell'anzianità contributiva di n. 52 settimane per tutte le annualità dal 2007 in poi, così come indicate nel ricorso, nelle quali ha prestato attività lavorativa a tempo indeterminato in regime di part-time misto;
b) per l'effetto dichiarare l'INPS, anche in relazione alla sopravvenuta normativa in materia, tenuto all'adozione dei conseguenti adempimenti nonché condannarlo alla ricostruzione in favore della ricorrente dell'esatta posizione contributiva e dunque a calcolare la sua anzianità contributiva tenendo conto anche di tutti i periodi di
“sospensione” lavorativa (in conseguenza del part-time misto ciclico) ai fini della maturazione del diritto a pensione.
Con vittoria delle spese di lite.
Esponeva la ricorrente di aver lavorato alle dipendenze della Roma Multiservizi spa a far data dal 10 gennaio 2025;
che il rapporto era stato formalizzato con un contratto a tempo indeterminato con inquadramento al II livello CCNL Multiservizi, con mansioni di supporto alle attività scolastiche ed una prestazione lavorativa in regime di part time misto di 15 ore settimanali, con sospensione della prestazione per i mesi di luglio ed agosto di ciascun anno;
che dal 1 gennaio 2008, l'orario era aumentato a 25 ore settimanali;
che per il periodo dal 10 gennaio 2005, la ricorrente aveva visto accreditare le seguenti settimane contributive, utili al diritto a pensione con la seguente retribuzione :
Anno 2007: 45 settimane per una retribuzione annuale di € 10.741,00
Anno 2010: 46 settimane per una retribuzione annuale di € 11.994,41
Anno 2013: 45 settimane per una retribuzione annuale di € 10.726,00
Anno 2014: 45 settimane per una retribuzione annuale di € 10.640,00
Anno 2015: 46 settimane per una retribuzione annuale di € 10.905,00
Anno 2017: 45 settimane per una retribuzione annuale di € 10.459,00
Anno 2018: 45 settimane per una retribuzione annuale di € 10.654,00;
che all' esito di un controllo, la ricorrente rilevava una errata quantificazione della anzianità contributiva, poiché non risultavano computate 52 settimane;
che in data 12.12.2019, tramite il proprio difensore, inoltrava all' INPS una segnalazione richiedendo l' aggiornamento del conto assicurativo;
che l' INPS rigettava la richiesta precisando che :” “…il criterio della duplice valutazione e, ai fini del diritto a pensione, il requisito contributivo deve essere accertato secondo i principi generali dell'assicurazione obbligatoria IVS e, nel rispetto dei criteri fissati dall'ar. 7, commi da 1 a 5, della legge n. 389/1989…”;
che in data 29 luglio 2020, la ricorrente faceva ricorso al Comitato Provinciale dell' INPS ;
che l' Istituto non si pronunciava;
che per gli anni 2019, 2020, 2021 e 2022, erano state accreditate le seguenti settimane:
Anno 2019: 45 settimane per una retribuzione annuale di € 10.290,00
Anno 2020: 46 settimane per una retribuzione annuale di € 10.512,60
Anno 2021: 45 settimane per una retribuzione annuale di € 12.324,00
Anno 2022: 44 settimane per una retribuzione annuale di € 10.971,00. Tanto premesso in fatto, la ricorrente invocava il principio di non discriminazione di cui al D.lgs. nn. 61 del 2000, recante attuazione della direttiva 97/81/CE relativa all'accordo quadro sul lavoro a tempo parziale concluso dall'UNICE, dal CEEP e dalla CES il quale (art. 9, comma 4) il quale comporta che il lavoratore in regime di part-time non deve ricevere un trattamento meno favorevole rispetto al lavoratore a tempo pieno comparabile, individuato esclusivamente in quello inquadrato nello stesso livello in forza dei criteri di classificazione stabiliti dai contratti collettivi di cui all'art.
1. comma 3, dello stesso Decreto. Richiamava la Corte di Giustizia CE, che con sentenza della sezione seconda del
10.6.2010 n. 395 – su domanda di pronuncia pregiudiziale presentata dalla Corte di Appello di Roma - ha statuito che la clausola sub 4 dell'accordo quadro sul lavoro a tempo parziale allegato alla direttiva del Consiglio 12.12.1997, 97/81/CE, relativa
all'accordo quadro sul lavoro a tempo parziale concluso dall'UNICE, dal CEEP e dalla CES, deve essere interpretata, con riferimento alle pensioni, nel senso che osta ad una normativa nazionale la quale, per i lavoratori a tempo parziale di tipo verticale ciclico, escluda i periodi non lavorati dal calcolo dell'anzianità necessaria per acquisire il diritto alla pensione, salvo che una tale differenza di trattamento sia giustificata da ragioni obiettive. Richiamava, altresì, la sentenza della Corte di Appello di Roma n. 529/2013 nonché la giurisprudenza della Suprema Corte ( v. sent. N. 10526/2018. Sulla base di tali principi insisteva nell' accoglimento della domanda. Si costituiva in giudizio l' INPS eccependo a prescrizione quinquennale (ex art. 3, commi 9 e 10 della Legge n. 335/1995), in subordine quella ordinaria decennale, del diritto azionato.
Faceva rilevare che la ricorrente agiva in giudizio per ottenere una rivalutazione di periodi contributivi risalenti addirittura al 2007 e quindi irrimediabilmente prescritti. Richiamava l'art. 1, comma 350, della legge 30 dicembre 2020, n. 78 il quale dispone che: “Il periodo di durata del contratto di lavoro a tempo parziale che prevede che la prestazione lavorativa sia concentrata in determinati periodi è riconosciuto per intero utile ai fini del raggiungimento dei requisiti di anzianità lavorativa per l'accesso al diritto alla pensione. A tal fine, il numero delle settimane da assumere ai fini pensionistici si determina rapportando il totale della contribuzione annuale al minimale contributivo settimanale determinato ai sensi dell'articolo 7, comma 1, del decreto-legge 12 settembre 1983, n. 463, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 novembre 1983, n. 638. Con riferimento ai contratti di lavoro a tempo parziale esauriti prima della data di entrata in vigore della presente legge, il riconoscimento dei periodi non interamente lavorati è subordinato alla presentazione di apposita domanda dell'interessato corredata da idonea documentazione. I trattamenti pensionistici liquidati in applicazione della presente disposizione non possono avere decorrenza anteriore alla data di entrata in vigore della stessa”. Tanto premesso, sulla base delle istruzioni fornite anche dalla circolare n. 74 del 2021 , deduceva che l'anzianità contributiva dei periodi di attività svolta in part-time, ai fini della misura della prestazione pensionistica, andava imputata nel rispetto dei parametri in vigore, proporzionalmente all'orario di lavoro svolto, e determinata dal rapporto fra le ore retribuite in ciascun anno solare e il numero delle ore settimanali previste dal contratto per i lavoratori a tempo pieno. Con riferimento al caso in esame, precisava che , poiché la retribuzione di riferimento per gli anni in cui la lavoratrice era occupata in regime di part-time ciclico (dal 2014) era costantemente inferiore al minimale retributivo, non era dato valorizzare a fini contributivi i periodi di sosta dall'attività lavorativa. Faceva rilevare che in caso di rapporto di lavoro a tempo parziale verticale, tutte le settimane nell'ambito della durata dello stesso possono essere valutate per intero, ai fini dell'anzianità di diritto, a condizione che la retribuzione accreditata nel periodo annuale di riferimento sia almeno pari all'importo minimale di retribuzione previsto per l'anno considerato;
che , in difetto, verrà riconosciuto un numero di contributi
pari al rapporto fra l'imponibile retributivo annuo e il minimale settimanale pensionistico vigente nello stesso anno, ai sensi e per gli effetti dell'articolo 7, comma 2, del citato decreto-legge n. 463/1983. Tanto premesso, chiedeva il rigetto del ricorso con vittoria di spese. Il giudice, alla odierna udienza, all' esito del deposito di note autorizzate, decideva con sentenza contestuale.
MOTIVI DELLA DECISIONE Va innanzitutto respinta l' eccezione di prescrizione sollevata dall' INPS atteso che la ricorrente non ha chiesto il versamento dei contributi ,la cui prescrizione è quinquennale ex L 335/95, ma ha chiesto che ,in relazione al lavoro ed alla retribuzione corrisposta, vengano calcolati correttamente i contributi ai fini della maturazione del diritto a pensione. Pertanto , l' azione di accertamento della pensione volta a ottenere una corretta anzianità contributiva , essendo finalizzata alla maturazione del diritto a pensione deve essere ritenuta imprescrittibile , tale essendo il diritto a pensione sia sotto il profilo dell' an che del quantum posto che l' art. 2943 , II comma , c.c. prevede che :” non sono soggetti a prescrizione i diritti indisponibili e gli altri diritti indicati dalla legge “ (v. sul punto sent. Trib. Roma n. 1576/2024 ). Passando all' esame del merito, va innanzitutto fatto rilevare che i fatti su cui si basa la domanda non sono contestati.
Tanto premesso, il ricorso è fondato e merita accoglimento sulla base dei principi di seguito esposti , come già espressi nella sentenza Tribunale di Roma n. 1476/2024, intervenuta in fattispecie identica e qui richiamata anche ai sensi dell' art. 118 Disp. Att. C.p.c. Ricorda il giudice che il 30.12.2020 è stata approvata la Legge di bilancio per l' anno finanziario