Trib. Bari, sentenza 23/05/2024, n. 2448
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Testo completo
TRIBUNALE DI BARI
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale di Bari - Sezione I Civile - composto dai Sigg.
Magistrati:
1. DE SIMONE dott. S U - presidente rel.
2. NOCERA dott.ssa R - giudice
3. PINTO dott. E - giudice ha emesso la seguente
S E N T E N Z A nella causa civile in primo grado iscritta sul ruolo generale affari contenziosi al n. 10448/2023 R.G.
T R A
rappresentato e difeso dall'avv. A Parte_1
Portagnuolo in virtù di mandato in calce al ricorso
- RICORRENTE -
E
rappresentata e difesa dall'avv. A Controparte_1
F in virtù di procura in calce alla comparsa di costituzione
- RESISTENTE -
N O N C H E'
Il Pubblico Ministero presso il Tribunale di Bari
- INTERVENUTO -
OGGETTO: modifica delle condizioni di divorzio.
CONCLUSIONI: All'udienza del 6/5/2023 la causa veniva riservata per la decisione ex art. 473 bis.28 c.p.c. sulle conclusioni declinate dai procuratori delle parti, che avevano già depositato le proprie memorie conclusionali e di replica.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso iscritto a ruolo il 20/9/2023 Parte_1 premesso che:
- il Tribunale di Bari, con sentenza n. 994/2018 del 6/3/2018 emessa su ricorso congiunto, aveva dichiarato la cessazione degli effetti civili del matrimonio da lui contratto con
;Controparte_1
- con successivo ricorso congiunto del 6/9/2021, a parziale modifica delle condizioni originariamente concordate, veniva revocato il contributo paterno di € 400,00 in favore del figlio della coppia , divenuto nelle more Per_1 autosufficiente, e confermato l'obbligo in capo a lui di versare a sua moglie la somma di € 400,00 per il mantenimento di sua figlia R, con ripartizione delle spese straordinarie al 50%;tali accordi venivano recepiti con decreto revisionale del 5/10/2021;
- nelle more erano sopravvenuti fatti nuovi in quanto sua figlia R già da alcuni anni conviveva con il suo compagno in provincia di Rimini ed il 13/2/2023 era stata assunta con contratto a tempo indeterminato da un'azienda esercente l'attività di produzione di software avente sede in quella città;sua moglie, invece, lavorava “a nero” sia come segretaria presso un'agenzia di amministrazione di condomini avente sede in Cassano delle Murge sia come assistente domiciliare della figlia disabile di una coppia residente in
Acquaviva delle Fonti, dedicandosi anche alle quotidiane pulizie domestiche;
- inoltre, sua moglie non abitava più in Cassano delle Murge ma si spostava tra Acquaviva delle Fonti e Martina Franca, dove ormai conviveva con il suo nuovo compagno, agente di polizia penitenziaria, con il quale aveva intrapreso una stabile relazione affettiva;chiedeva la revoca dell'assegno divorzile e del contributo al mantenimento di sua figlia R a far data dal mese di ottobre
2022 e la restituzione delle somme da lui indebitamente versate da quella data;del pari chiedeva di revocare la sentenza divorzile sia nella parte in cui stabiliva che, cessato l'obbligo di mantenere i suoi figli, egli avrebbe dovuto versare a sua moglie
la somma mensile di € 600,00, di cui € 400,00 quale contributo per il godimento esclusivo della casa familiare in comproprietà tra loro ed € 200,00 a titolo di assegno divorzile, sia nella parte in cui stabiliva che il pagamento di tale somma sarebbe rimasto fermo ed impregiudicato fintantoché sua moglie non avesse fatto valere il suo diritto allo scioglimento della comunione sulla casa coniugale.
A sostegno delle sue domande depositava le dichiarazioni dei redditi degli ultimi anni ed una serie di relazioni investigative.
Fissata la comparizione personale delle parti, si costituiva ritualmente in giudizio e, mentre non si opponeva Controparte_1 alla revoca dell'assegno di mantenimento in favore di sua figlia, contestava la richiesta di retroattività dei suoi effetti dal mese di ottobre 2022;quanto all'assegno divorzile, invece, sosteneva che non erano sopravvenuti giustificati motivi tali da determinare quel sostanziale mutamento delle condizioni originarie delle parti la cui sussistenza era necessaria per accogliere l'avversa domanda di revoca.
Negava, inoltre, di avere intrapreso una relazione con un altro uomo e, conclusivamente, chiedeva che l'assegno divorzile fosse confermato nella misura di € 200,00, così come concordato in sede divorzile, anche alla luce del fatto che i redditi di suo marito erano cresciuti dagli € 34.302,00 dichiarati nell'anno 2017 fino agli € 45.900,00 dichiarati nel 2023 per i redditi 2022.
Chiedeva, infine, il rigetto dell'istanza di retroattività della pronuncia invocata ex adverso e sosteneva che le altre pattuizioni concordate in sede divorzile avessero natura di accordo patrimoniale ex art. 1372 C.C. e, come tali, che non fossero modificabili se non per mutuo consenso.
All'udienza di prima comparizione dell'8/1/2024 le parti rinunciavano all'attività istruttoria e chiedevano che la causa fosse decisa.
Rinviata per la decisione ex art. 473 bis. 28 c.p.c., all'udienza del 6/5/2024, la causa veniva riservata sulle conclusioni
declinate dai procuratori delle parti, che avevano già depositato le rispettive memorie conclusionali e di replica.
MOTIVI DELLA DECISIONE
La domanda è fondata e va accolta per quanto di ragione.
1.- E' risaputo che la possibilità di ottenere ex art. 473-bis.29
e 473 bis.47 e ss. c.p.c. la modifica dei provvedimenti economici adottati con la sentenza di divorzio o con i successivi decreti revisionali è subordinata alla condizione del sopravvenire di fatti nuovi rispetto alle circostanze valutate in quel giudizio: tale conclusione trova il suo fondamento giuridico nella norma suddetta che ricollega la revoca o la modifica dei provvedimenti adottati al sopravvenire di “giustificati motivi”.
La legge, infatti, non attribuisce al procedimento ex art. 473- bis.29 c.p.c. natura di revisio prioris istantiae, e quindi di rivisitazione (melius re perpensa) delle determinazioni già adottate nel giudizio divorzile, ma di novum iudicium, perché lo considera finalizzato ad adeguare la regolamentazione dei rapporti
(economici, per quello che qui interessa) tra i coniugi e rispetto alla prole al mutamento della situazione di fatto, laddove una siffatta modificazione concretamente incida sulle loro condizioni patrimoniali.
Se tale è l'oggetto della delibazione rimessa al giudice in sede di giudizio di revisione, ne consegue che lo scrutinio circa la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento dell'assegno divorzile o del contributo in favore della prole e/o dei criteri per la loro determinazione deve intervenire solo dopo che sia stato accertato il sopraggiungere delle nuove circostanze.
2.- Il ricorrente ha dedotto due circostanze nuove di rilievo determinante ai fini invocati, ovvero che sua figlia, trasferitasi da tempo in provincia di Rimini, nelle more era stata assunta con contratto di lavoro a tempo indeterminato e che sua moglie, oltre
a lavorare per conto di un'agenzia di amministrazione di condomini
e come assistente domiciliare presso una famiglia di Acquaviva delle Fonti, si era trasferita nelle more da Cassano delle Murge a
Martina Franca dove conviveva con il suo nuovo compagno, agente della polizia penitenziaria.
Entrambe le circostanze sono dimostrate in maniera tranquillizzante.
3.- Quanto alla condizione di piena autosufficienza economica della figlia della coppia, R, non vi è contestazione da parte della resistente, che ha soltanto richiesto che la pronuncia non fosse retroattiva ma decorresse dalla decisione o, in via subordinata, dalla domanda.
4.- Quanto, invece, alla nuova condizione lavorativa e di vita della resistente, dalle relazioni investigative in atti si evince in maniera sufficientemente tranquillizzante che la donna effettivamente lavori, seppure in forma non contrattualizzata, sia come collaboratrice presso una agenzia di amministrazione di condomini sia come collaboratrice familiare.
4.1.- In primo luogo va chiarito che le relazioni investigative acquisite in atti sono pienamente utilizzabili perché “In tanto il rapporto investigativo deve essere oggetto di conferma probatoria mediante escussione testimoniale dei testi di riferimento, in quanto sia stato specificamente contestato dalla controparte (art.
115 c.p.c,), assumendo, altrimenti, un valore pieno di prova documentale. Il principio di non contestazione, enucleato nell'art. 115 c.p.c., ha vocazione generale e si applica ad ogni fatto introdotto specificamente nel processo, anche laddove contenuto in una prova documentale” (Trib. Milano, Sez. IX,
01/07/2015, in “Famiglia e Diritto”, 2016, 7, 692 e Cass. Civ., n.
11516/2014).
In altri termini, quando la relazione investigativa sia stata prodotta in modo completo, come nel caso di specie, deve essere contestata specificamente perché altrimenti assume il valore di prova perché ai sensi dell'art. 115 c.p.c. la non contestazione specifica costituisce un comportamento univocamente rilevante, con effetti vincolanti per il giudice, il quale deve astenersi da qualsivoglia controllo probatorio del fatto non contestato in
quanto l'atteggiamento difensivo in concreto spiegato espunge il fatto stesso dall'ambito degli accertamenti richiesti.
4.2.- Tanto premesso, le foto depositate in allegato alle relazioni investigative (v., in particolare, quelle allegate al ricorso introduttivo sub lett. F relative all'attività investigativa svolta dall'11/10/2022 al 24/10/2022, quelle allegate in data 19/12/2023 alla prima memoria ex art. 473 bis.17
c.p.c. nel dossier “Nucca 2” relative al periodo 18/4-3/5/2023 e quelle relative al periodo 15-26/5/2023 allegate alla suddetta memoria nel dossier “Nucca 3”) lasciano pochi dubbi sulla prima circostanza, che può ritenersi sufficientemente provata dal fatto che nel periodo 11/10/2022-24/10/2022 l'odierna resistente viene ripetutamente ritratta mentre è intenta ad alzare la saracinesca di una agenzia di amministrazioni condominiali in Cassano dalle
Murge, presso la quale si trattiene per più ore anche dopo il sopraggiungere del titolare, e a svolgere varie commissioni presso istituti bancari ed altro, assai verosimilmente per contro di lui.
La tesi secondo cui la donna svolgerebbe tali attività soltanto per amicizia è poco credibile a fronte di un impegno quotidiano e sistematico reso per più ore senza ricevere alcun compenso.
Quanto invece all'attività di collaborazione domestica in
Acquaviva delle Fonti, la circostanza, pur essa resa evidente dalle foto che la ritraggono ripetutamente in via Veracroce n. 45 fino a tarda sera, ed in un caso con permanenza anche notturna, non risulta contestata specificamente mentre la tesi secondo cui le parti avrebbero tenuto conto dell'espletamento dell'attività di collaborazione domiciliare già al momento del deposito del ricorso congiunto per la cessazione degli effetti del matrimonio e di definizione delle condizioni patrimoniali, ivi compreso l'importo dell'assegno di divorzio, non risulta dimostrata perché nel ricorso congiunto la donna viene definita come “disoccupata” e non si fa alcun cenno a pregresse attività lavorative da parte sua.
In definitiva, ove anche si volesse prescindere dalle prove innanzi enucleate, risulta comunque comprovata la piena capacità lavorativa della donna, ancora giovane, in buona salute, non
affetta da malattie invalidanti e dotata di un titolo di studio spendibile nel mercato del lavoro.
5.- Del pari provato in maniera sufficiente è anche il rapporto di convivenza more uxorio della resistente.
La deduzione difensiva secondo cui ella vivrebbe in una casa in locazione a Martina Franca alla via Monte del Duca n. 47/B, come risulterebbe dal contratto depositato, non appare convincente per due ordini di ragioni.
In primo luogo, perché il compagno della donna risiede in una abitazione adiacente sita nella stessa strada al civico n. 47/A, sicché, come emerge dalle foto, si tratta nella sostanza del medesimo immobile.
In secondo luogo, perché la resistente non ha negato di avere intrapreso da tempo una stabile relazione affettiva con quest'uomo
e la circostanza che i due partner eventualmente non convivano nella medesima abitazione è irrilevante ai fini invocati, essendo notorio che nell'ambito di una visione più moderna delle dinamiche familiari relazioni di tal fatta possono essere coltivate anche tra persone che vivono in luoghi assai distanti tra loro, senza che si possa perciò solo negare che il loro rapporto integri
l'esistenza di una vera e propria famiglia di fatto (cfr. Cass.
Civ., 15/9-16/10/2020 n. 22604).
Tale pronuncia, peraltro, si inserisce nel solco tracciato dalla
Corte Europea di Strasburgo, la quale ha evidenziato che costituiscono famiglia anche le relazioni che si dipanano nell'ambito delle unioni non coniugali (cfr. Corte EDU, caso Per_2
e contro , 24 giugno 2010;Corte EDU, caso G.C. Per_3 Org_1
contro , 7 novembre 2013), e dalla Corte Persona_4 Org_2
Costituzionale, che declina al plurale la stessa nozione di famiglia (cfr. Corte Cost. 15/4/2010 n. 138).
La decisione di instaurare una nuova relazione affettiva con un altro partner costituisce un fatto elettivo che comporta un cambiamento di vita, che l'ex coniuge ha accettato perché evidentemente lo ha ritenuto più consono al suo modo di essere,
con la conseguenza di recidere il rapporto, anche economico, con il suo ex coniuge.
Sul punto i Supremi Giudici hanno affermato la regola iuris secondo cui “L'instaurazione da parte del coniuge divorziato di una nuova famiglia, ancorché di fatto, rescindendo ogni connessione con il tenore ed il modello di vita caratterizzanti la pregressa fase di convivenza matrimoniale, fa venire definitivamente meno ogni presupposto per la riconoscibilità dell'assegno divorzile a carico dell'altro coniuge, sicché il relativo diritto non entra in stato di quiescenza, ma resta definitivamente escluso. Infatti, la formazione di una famiglia di fatto - costituzionalmente tutelata ai sensi dell'art. 2 Cost. come formazione sociale stabile e duratura in cui si svolge la personalità dell'individuo - è espressione di una scelta esistenziale, libera e consapevole, che si caratterizza per
l'assunzione piena del rischio di una cessazione del rapporto e, quindi, esclude ogni residua solidarietà post matrimoniale con
l'altro coniuge, il quale non può che confidare nell'esonero definitivo da ogni obbligo” (cfr. Cass. Civ., Sez. 1, Sentenza n.
6855 del 03/04/2015 (Rv. 634861).
5.1.- Né una tale conclusione può essere inficiata dalla più recente giurisprudenza della Suprema Corte (cfr. Cass. Civ.
SS.UU., 06/07/2021 n. 32198) che, escludendo che la convivenza more uxorio faccia venir meno automaticamente il diritto al mantenimento, ha rimarcato che gli effetti di tale nuova situazione di fatto estinguono il contenuto assistenziale dell'assegno divorzile ma non anche quello compensativo collegato alla solidarietà post coniugale.
Con tale pronuncia, infatti, la S.C. ha ribadito che l'assegno può essere riconosciuto, relativamente a tale ultima componente, solo laddove l'avente diritto fornisca la prova dell'effettivo contributo reso alla comunione familiare, dell'eventuale rinuncia concordata ad occasioni lavorative e di crescita professionale in costanza di matrimonio e dell'apporto alla realizzazione del patrimonio familiare e personale dell'ex coniuge.
E nel caso di specie, esclusa la componente assistenziale per la piena capacità lavorativa della resistente, già da lei messa utilmente a frutto, difetta anche quella compensativo/perequativa: la donna, infatti, non ha fornito alcuna dimostrazione di essersi dedicata esclusivamente alla cura della sua famiglia e, a causa di tale impegno domestico, di aver trascurato opportunità di lavoro, peraltro nemmeno indicate.
Si tratta di una prova che difettava al momento dell'introduzione del giudizio e che la donna non ha fornito neppure in corso di causa, avendo rinunciato all'attività istruttoria.
6.- La revoca sia del contributo paterno in favore di sua figlia
R che dell'assegno divorzile di € 200,00 decorrerà dalla domanda: tanto in ossequio al pacifico principio di diritto secondo cui la decisione giurisdizionale di revisione non può avere decorrenza dal momento dell'accadimento innovativo anteriore nel tempo rispetto alla data della domanda di modificazione (cfr.
Cass. Civ. n. 10974/2023) e per cui, come affermato anche dalle
SS.UU. (cfr. sentenza n. 32914/2022), la retroattività può valere soltanto nel caso in cui sia accertata l'insussistenza ab origine in capo all'avente diritto dei presupposti per il versamento del contributo filiale o dell'assegno: circostanza, questa, non ravvisabile nella fattispecie de qua in cui, invece, la prova del venir meno dei presupposti per il riconoscimento di entrambi gli assegni è emersa nel corso del giudizio.
7.- Va invece confermato l'obbligo del ricorrente di continuare a versare in favore di sua moglie la somma mensile di € 400,00 quale corrispettivo per l'utilizzo esclusivo della casa coniugale in comproprietà fra i coniugi, nella quale egli è rimasto a vivere.
L'eccezione difensiva da lui sollevata, secondo cui le pattuizioni prese dalle parti in ordine al regime economico del divorzio sarebbero nulle, è infondata e va rigettata.
In disparte l'inconferenza del riferimento alla sentenza Cass.
Civ. 30/1/2017 n. 2224, che, mercé il richiamo all'art. 160 C.C., si riferisce con ogni evidenza, sanzionandoli di nullità, agli accordi conclusi in sede di separazione in vista del futuro
divorzio, sta di fatto che il nel ricorso congiunto per la Pt_1 cessazione degli effetti civili del matrimonio si obbligò a corrispondere a sua moglie l'importo complessivo di € 600,00, di cui € 200,00 a titolo di assegno divorzile ed € 400,00 per frutti civili connessi all'utilizzo esclusivo da parte sua dell'immobile casa familiare.
Tale pattuizione, proprio con riferimento a quest'ultimo aspetto, ha natura giuridica di un vero e proprio contratto sinallagmatico ex art. 1321 C.C., caratterizzato dalla reciprocità delle prestazioni e del beneficio, rappresentato per il ricorrente dalla possibilità di continuare ad utilizzare la casa coniugale in comproprietà con la sua moglie e per la resistente dal percepimento di una somma di denaro quale corrispettivo.
Tale contratto è stato stipulato in occasione degli accordi presi in sede divorzile dai coniugi nell'esplicazione della loro piena autonomia contrattuale e, in quanto tale, non solo è perfettamente valido ed efficace ex art. 1372 C.C. e non può essere sciolto se non per mutuo consenso o per le cause espressamente previste dalla legge ma, fuoruscendo dallo stretto ambito del contenuto essenziale della causa divorzile, è anche immodificabile con il procedimento revisionale.
Una tale conclusione trova conferma anche nella giurisprudenza della Suprema Corte che ha rimarcato la differenza tra il contenuto essenziale della causa separativa o divorzile, che attiene al consenso reciproco a vivere separati, all'affidamento della prole ed alle connesse statuizioni economiche, all'assegno di mantenimento in presenza dei presupposti, e quello meramente eventuale, che trova soltanto l'occasione nella causa separativa o divorzile, rappresentato dagli accordi patrimoniali autonomi che i coniugi concludono in relazione all'instaurazione di un regime di vita separata;“ne consegue che questi ultimi non sono suscettibili di modifica (o conferma) in sede di ricorso ex art.
710 c.p.c. o anche in sede di divorzio, la quale può riguardare unicamente le clausole aventi causa nella separazione personale, ma non i patti autonomi, che restano a regolare i rapporti reciproci ai sensi dell'art. 1372 C.C.” (cfr. Cass. Civ., Sez. I^,
n. 16909 del 19/8/2015).
8.- Le spese processuali possono essere compensate in ragione della reciproca soccombenza.
Infatti, mentre la resistente ha prestato acquiescenza all'accoglimento della domanda avversa relativa alla revoca del contributo paterno in favore di sua figlia, la perde sulla CP_1 debenza dell'assegno divorzile ed il ricorrente sulla conferma dell'obbligo di corrispondere alla sua ex moglie la somma di €
400,00 per l'utilizzo della casa coniugale.
9.- La presente sentenza è provvisoriamente esecutiva per legge.