Trib. Bari, sentenza 02/02/2024, n. 396

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Sul provvedimento

Citazione :
Trib. Bari, sentenza 02/02/2024, n. 396
Giurisdizione : Trib. Bari
Numero : 396
Data del deposito : 2 febbraio 2024

Testo completo


REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Tribunale di Bari Sezione Lavoro Il Tribunale, nella persona del giudice designato Dott.ssa A A Alla udienza in trattazione scritta del 02/02/2024 ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa lavoro di I grado iscritta al N. 5285/2022 R.G. promossa da:
rapp.to e difeso dagli avv.ti LUCA BATTISTA LARONCA E Parte_1 MARIA CARMELA LONGO;
RICORRENTE contro
rapp.ta e difesa dall'avv. ROSA ROMITO Controparte_1 RESISTENTE RAGIONI DELLA DECISIONE Con ricorso del 13/05/2022, il ricorrente agiva in giudizio per sentir:
Accertare e dichiarare il diritto del sig. a fruire, Parte_1 anche relativamente alle giornate di ferie, della retribuzione relativa alla indennità di presenza, ulteriore indennità di presenza, indennità fuori nastro, indennità di semaforizzazione, indennità di mansione personale viaggiante, indennità turni avvicendati, buoni pasto, diaria, oltre a qualsivoglia altra voce accessoria correlata alle mansioni ed allo status lavorativo del ricorrente che emerga in corso di giudizio;
b) Accertare e dichiarare altresì che il sig. a far data Parte_1 dal novembre 2014 e sino al mese di dicembre 2021, ha goduto di n. 216 giorni di ferie relativamente ai quali non sono state corrisposte indennità di presenza, ulteriore indennità di presenza, indennità fuori nastro, indennità di semaforizzazione, indennità di mansione personale viaggiante, indennità turni avvicinati, buoni pasto, diaria, oltre a qualsivoglia altra voce aggiuntiva che emerga in corso di giudizio;
c) Per l'effetto condannare la in persona del legale Controparte_1 rappresentante pro tempore, con sede in Bari al Corso Italia n. 8, P. IVA
, a corrispondere al sig. la somma di € P.IVA_1 Parte_1 2.605,18 lordi (duemilaseicentocinque,18) o quella somma maggiore e/o minore, che verrà ritenuta di giustizia, per le causali di cui ai punti precedenti, oltre somme ulteriori che dovessero maturare a seguito della reiterazione di tale condotta da parte del datore di lavoro, svalutazione monetaria e interessi sino alla data del soddisfo;
d) Con vittoria di spese, diritti ed onorari”, con distrazione. Si costituiva in giudizio la società resistente, chiedendo il rigetto delle avverse pretese.
All'esito della odierna udienza in trattazione scritta, il giudicante decideva la causa dando pubblica lettura del dispositivo e delle motivazioni della presente sentenza. Il ricorso è parzialmente fondato e va accolto per quanto di ragione.
Preliminarmente, è infondata l'eccezione di nullità del ricorso in quanto dallo stesso sono perfettamente desumibili il petitum e la causa petendi della domanda avanzata dal ricorrente. Sempre in via preliminare, è infondata l'eccezione di prescrizione, trattandosi di rapporto di natura privata per il quale il termine quinquennale di cui all'art. 2948 c.c. inizia a decorrere esclusivamente dalla cessazione dello stesso (sul punto si veda Cass., 06.09.2022, n. 26246). Come ribadito dalla giurisprudenza di merito sul punto, la prescrizione non decorre nel corso del rapporto di lavoro anche nel caso di applicazione dell'art. 18 Statuto dei Lavoratori, come modificato dalla c.d. legge Fornero. Il testo attualmente vigente, a differenza di quello originario, prevede la tutela reintegratoria solo per talune ipotesi di illegittimità del licenziamento (primo, quarto e settimo comma), mentre per altre fattispecie prevede unicamente una tutela indennitaria (quinto e sesto comma). Ne consegue che, nel corso del rapporto, il prestatore di lavoro si trova in una condizione soggettiva di incertezza circa la tutela (reintegratoria o indennitaria) applicabile nell'ipotesi di licenziamento illegittimo, accertabile solo ex post nell'ipotesi di contestazione giudiziale del recesso datoriale. Le novità introdotte dalla L. n. 92/2012 e dal D.Lgs. n. 23/2015, infatti, hanno comportato per le ipotesi di licenziamento illegittimo il passaggio da un'automatica applicazione della tutela reintegratoria e risarcitoria ad un'applicazione selettiva delle tutele e delle sanzioni applicabili. La tutela reintegratoria, per effetto degli artt. 3 e 4 del D.Lgs. n. 23/2015, ha acquisito ormai un carattere recessivo e residuale tale da determinare, inevitabilmente, un timore del dipendente nei confronti del datore di lavoro per la sorte del rapporto ove egli intenda far valere un proprio credito nel corso dello stesso. La Corte, a tal ragione, stabilisce pertanto che “il rapporto di lavoro a tempo indeterminato, così come modulato per effetto della L. n. 92/2012 e del D.Lgs. n. 23/2015, mancando dei presupposti di predeterminazione certa delle fattispecie di risoluzione e di una loro tutela adeguata, non è assistito da un regime di stabilità. Sicché, per tutti quei diritti che non siano prescritti al momento di entrata in vigore della L. n. 92/2012, il termine di prescrizione decorre, a norma del combinato disposto degli artt. 2948, n. 4 e 2935 c.c., dalla cessazione del rapporto di lavoro”.La prescrizione quinquennale di tali crediti, dunque, decorre dalla cessazione del rapporto e non in costanza di esso anche per i lavoratori dipendenti da datori di lavoro a cui si applichi l'art. 18 Stat. Lav., come novellato dalla l. n. 92/2012 (cfr. Corte d'Appello di Milano, n. 719 del 2021;
n. 376 del 2019). Ciò premesso, ai sensi del combinato disposto dell'art. 36 Cost., art. 2109, comma 1 e 2, c.c. e art. 10, d.lgs. n. 66 del 2003 il prestatore di lavoro ha diritto al riposo settimanale e ad un periodo annuale di ferie retribuite, al quale non può rinunziare;
analogamente, l'art. 31, n. 2 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea prevede che ogni lavoratore abbia diritto ad una limitazione della durata massima del lavoro ed a periodi di riposo giornalieri e settimanali ed a ferie annuali retribuite, per le quali, ai sensi dell'art. 7 della direttiva n. 88/2003/CE, ogni Stato può attivarsi e assume le misure necessarie affinché possano corrispondere ad almeno quattro settimane all'anno (secondo le condizioni di ottenimento e di concessione previste dalle legislazioni e/o prassi nazionali). Stante l'indicato contesto normativo, va evidenziato che la giurisprudenza della Corte di Giustizia dell'Unione Europea ha dapprima chiarito che
“l'espressione (di cui all'art. 7 della
Direttiva N. 88/2003/CE n.d.r.), che figura in tale disposizione, significa che, per la durata delle ferie annuali ai sensi della direttiva, la retribuzione va mantenuta. In altre parole, il lavoratore deve percepire la retribuzione ordinaria per tale periodo di riposo" (cfr. Corte di Giustizia UE sez. i, 16.3.2006, n. 131, conf. Corte Giustizia UE Grande Sezione, 20.1.2009, n. 350). La Corte di Giustizia (15.09.2011, C-155/10, c. BA) è nuovamente Per_1 intervenuta in materia, rimarcando che il diritto alle ferie annuali retribuite deve essere considerato un principio particolarmente importante del diritto sociale comunitario. In tale contesto, come precisato dall'avvocato generale al par. 90 delle conclusioni, si deduce che la retribuzione delle ferie annuali deve essere calcolata, in linea di principio, in modo tale da coincidere con la retribuzione ordinaria del lavoratore;
un'indennità determinata a un livello appena sufficiente ad evitare un serio rischio che il lavoratore non prenda le sue ferie non soddisfa le prescrizioni del diritto dell'Unione. Infatti, tanto la direttiva 2003/88 quanto l'accordo europeo prevedono solamente una tutela minima del diritto alla retribuzione delle lavoratrici e dei lavoratori durante le ferie annuali. Nessuna disposizione del diritto dell'Unione osta a che gli Stati membri, oppure, se del caso, le parti sociali, si spingano oltre la tutela minima del lavoratore, garantita dalla normativa dell'Unione, e prevedano il mantenimento di tutti gli elementi della retribuzione complessiva che gli spettano durante il periodo di lavoro (cfr., sentenza Parviainen, cit., punto 63). Orbene, quando la retribuzione percepita dal lavoratore è composta da diversi elementi (si pensi ad una retribuzione strutturata in un importo fisso annuo e in supplementi variabili correlati alla tipologia ed alla natura di mansioni svolte ed al tempo impiegato per il loro svolgimento), per determinare tale retribuzione ordinaria e, di conseguenza, l'importo cui ha diritto il lavoratore durante le ferie annuali, è necessario svolgere un'analisi specifica. Sebbene la struttura della retribuzione ordinaria di un lavoratore di per sé ricada nelle disposizioni e prassi disciplinate dal diritto degli Stati membri, essa non può incidere sul diritto del lavoratore di godere, nel corso del suo periodo di riposo e di distensione, di condizioni economiche paragonabili a quelle relative all'esercizio del suo lavoro. Pertanto, qualsiasi incomodo intrinsecamente collegato all'esecuzione delle mansioni che il lavoratore è tenuto ad espletare in forza del suo contratto di lavoro, compensato tramite un importo pecuniario incluso nel calcolo della retribuzione complessiva, deve essere preso in considerazione ai fini dell'ammontare che spetta al lavoratore durante le sue ferie annuali. Viceversa, gli elementi della retribuzione complessiva diretti esclusivamente a coprire spese occasionali o accessorie, che sopravvengano in occasione dell'espletamento delle mansioni che incombono al lavoratore (come le spese connesse al tempo che un lavoratore è costretto a trascorrere fuori sede), non devono essere presi in considerazione nel calcolo dell'importo da versare durante le ferie annuali. A questo riguardo, è compito del giudice nazionale valutare il nesso intrinseco tra gli elementi che compongono la retribuzione complessiva e l'espletamento delle mansioni affidate al lavoratore in ossequio al suo contratto di lavoro. Questa valutazione deve essere svolta in funzione di una media su un periodo di riferimento giudicato rappresentativo. Ciò precisato, occorre aggiungere che, oltre agli elementi precedentemente
descritti, anche quelli correlati allo status personale e professionale del lavoratore devono essere mantenuti durante le ferie annuali retribuite (il caso, sul quale si è pronunciata la Corte di Giustizia dell'Unione Europea, era quello di una responsabile di cabina in una compagnia aerea assegnata temporaneamente, a causa della gravidanza, ad un posto a terra, alla quale è stato riconosciuto nel corso dell'assegnazione il diritto al mantenimento di elementi della retribuzione o integrazioni collegati al suo status professionale;
pertanto, le integrazioni collegate a qualità di superiore gerarchico, anzianità e qualifiche professionali devono essere mantenute – cfr. sentenza 01.07.2010, causa C-471/08, . Per_2 Pertanto, come ribadito da CGUE, 22.05.2014, C-539/12 (accertato il diritto di un lavoratore a veder computato nella retribuzione “feriale” non solo lo stipendio base ma anche l'importo delle provvigioni fissate con riferimento ai contratti conclusi dal datore di lavoro che derivano da vendite realizzate da tale lavoratore), gli elementi retributivi correlati a status personale e professionale, qualità di superiore gerarchico, anzianità, qualifiche professionali vanno riconosciuti anche nel periodo feriale. La giurisprudenza europea riportata è stata recepita anche a livello nazionale da Cass. civ., sez. lav., 17.05.2019, n. 13425: costituisce compito del giudice di merito valutare, in primo luogo, il rapporto di funzionalità o nesso intrinseco (cfr. CGUE, 15 settembre 2011, e Per_1 a., C – 155/10, cit., punto 26) tra i vari elementi che compongono la retribuzione complessiva del lavoratore e le mansioni ad esso affidate in ossequio al suo contratto di lavoro e, dall'altro, interpretate ed applicate le norme pertinenti del diritto interno conformemente al diritto dell'Unione, verificare se la retribuzione corrisposta al lavoratore, durante il periodo minimo di ferie annuali, sia corrispondente a quella fissata, con carattere imperativo ed incondizionato, dall'art. 7 della direttiva 2003/88/CE. È altresì da tener presente che la giurisprudenza di legittimità è giunta a questa svolta europea dopo aver affermato, per lungo tempo, che, attesa l'inesistenza nell'ordinamento di un principio di onnicomprensività della retribuzione, la competenza a stabilire le componenti della retribuzione feriale, così come di ogni altra voce retributiva, spetta alla contrattazione collettiva (cfr. ex multis, Cass. civ., sez. lav., 12.11.2018, n. 28937;
Cass. civ., sez. lav., 30.10.2017, n. 25760;
Cass. civ., sez. lav., 21.05.2012, n. 7987;
Cass. civ., sez. lav., 17.10.2001, n. 12683). Tanto premesso, il punto fermo da cui partire non può che essere il principio di diritto (CGUE 15.09.2011) secondo il quale un lavoratore ha diritto, durante le sue ferie annuali, non solo al mantenimento dello stipendio di base ma anche, da un lato, agli elementi intrinsecamente connessi all'espletamento delle mansioni incombenti in forza del contratto di lavoro e compensati tramite un importo pecuniario incluso nel calcolo della sua retribuzione complessiva e, dall'altro, a tutti quelli collegati allo status personale e professionale del lavoratore. Tali principi devono essere interpretati, di conseguenza, non come impositivi di una meccanica parificazione tra la retribuzione feriale e quella degli altri periodi dell'anno, bensì come rivolti a tutelare l'esigenza che il lavoratore non abbia a patire, quando va in ferie, di una riduzione sproporzionata del proprio trattamento retributivo, tale da avere un effetto dissuasivo dell'effettiva fruizione del diritto. È evidente, che, qualora non si assicurasse la coincidenza della retribuzione delle ferie annuali con quella ordinaria, si ingenererebbe
una diminuzione del trattamento retributivo potenzialmente idonea a pregiudicare economicamente il lavoratore nell'esercizio del suo diritto alle ferie, in contrasto con le prescrizioni del diritto dell'Unione. Come precedentemente evidenziato, la Corte di Giustizia ha avuto occasione di precisare che l'espressione "ferie annuali retribuite", di cui all'art. 7, n. 1 della Direttiva n. 88 del 2003, intende significare che la retribuzione, per la durata delle ferie annuali, "deve essere mantenuta";
in altre parole, il lavoratore deve percepire la retribuzione ordinaria per tale periodo di riposo. L'interpretazione offerta dalla Corte di Giustizia ha efficacia ultra partes, sicché alle sentenze dalla stessa rese, sia pregiudiziali sia emesse in sede di verifica della validità di una disposizione UE, va attribuito “il valore di ulteriore fonte del diritto comunitario, non nel senso che esse creino ex novo norme comunitarie, bensì in quanto ne indicano il significato ed i limiti di applicazione, con efficacia erga omnes nell'ambito della Comunità. In modo conforme al diritto dell'Unione deve essere interpretata la normativa interna laddove riconosce il diritto del prestatore di lavoro a "ferie retribuite" nella misura minima di quattro settimane, senza, tuttavia, recare una specifica definizione di retribuzione” (cfr. Cass. n. 22401/20). Ciò posto, per poter essere inclusa nella base di calcolo della retribuzione feriale, una voce retributiva deve rispondere ai seguenti requisiti: a) deve essere intrinsecamente connessa alla natura delle mansioni svolte dall'interessato, ossia quando va a remunerare la specifica professionalità dell'interessato (al punto da divenire tutt'uno con la stessa e non semplicemente una particolare e cangiante modalità logistica, temporale o di altra natura della prestazione lavorativa);
b) deve compensare uno specifico “disagio” (“dare incomodo”) derivante dall'espletamento di dette mansioni;
c) deve essere correlata al peculiare status professionale o personale dell'interessato. Non è la prima volta, tra l'altro, che la giurisprudenza italiana si sofferma su questi concetti. Lo ha già fatto a proposito del principio di irriducibilità della retribuzione previsto dal vecchio art. 2103 c.c., tramite la precisazione che la retribuzione che aveva titolo ad essere conservata anche in caso di mutamento di mansioni era la “sola retribuzione compensativa delle qualità professionali intrinseche essenziali delle mansioni precedenti”, ma non anche “quelle componenti della retribuzione che siano erogate per compensare particolari modalità della prestazione lavorativa, e cioè caratteristiche estrinseche non correlate con le prospettate qualità professionali della stessa e, come tali, suscettibili di riduzione una volta venute meno, nelle nuove mansioni, quelle caratteristiche estrinseche che ne risultavano compensate” (cfr. Cass. civ., sez. lav., 27.10.2003, n. 16106;
in termini, Cass. civ., sez. lav., 10.11.1997, n. 11106). Lo stesso concetto è ritornato, questa volta normativamente, nel nuovo art. 2103, comma 6, c.c., che esclude dalla conservazione della retribuzione in caso di mutamento di mansioni “gli elementi retributivi collegati a particolari modalità di svolgimento della prestazione lavorativa”. Infine, come si trae in modo esplicito da CGUE 15.09.2011, la valutazione sulla computabilità di un'indennità – quindi, circa l'an, non il quantum - deve essere svolta in funzione di una media su un periodo di riferimento giudicato rappresentativo. Pertanto, occorre anche considerare il dato della frequenza temporale dell'erogazione retributiva nella busta paga di ciascun lavoratore, cioè deve trattarsi di voci retributive percepite in
modo continuativo, o quanto meno non occasionale, dal lavoratore. L'importo di tali voci deve essere congruo o comunque apprezzabile, così che il rinunciarvi potrebbe avere un effetto dissuasivo delle ferie (cfr. CGUE 22.05.2014). Pertanto, voci che rimborsino spese meramente occasionali e accessorie sostenute dal lavoratore in occasione dello svolgimento delle proprie mansioni non devono essere computate nella retribuzione spettante durante le ferie. Nel caso di specie, occorre quindi verificare, alla luce dei principi stabiliti dal Giudice europeo, se le voci analiticamente indicate dal ricorrente costituiscano elementi intrinsecamente connessi alla natura delle mansioni svolte, che compensino specifici disagi derivanti da esse oppure siano correlate allo status professionale o personale dell'interessato, sempre tenendo conto della continuità e non occasionalità della percezione. Per quanto concerne le indennità di presenza, ulteriore indennità di presenza, indennità di mansione personale viaggiante, indennità turni avvicendati, buoni pasto esse non devono essere incluse nella retribuzione complessiva e dunque percepita nel corso del periodo feriale. L' indennità di presenza e l'ulteriore indennità di presenza aggiuntiva, previste dall'Accordo Nazionale del 1981, non fanno parte della retribuzione normale e non sono utili agli effetti di alcun istituto o materia previsti dal contratto nazionale o da accordo o da contratto aziendali e neanche, quindi, ai fini dei trattamenti di buonuscita e di tredicesima e quattordicesima mensilità. L'indennità di mansione personale viaggiante viene riconosciuta solo per la presenza in servizio e, peraltro, non è utile ai fini del calcolo del TFR. Pertanto, tale indennità non è dovuta ai fini della retribuzione del periodo feriale. Anche L'Indennità turni avvicendati non “farà parte della retribuzione normale e, pertanto, non sarà considerata utile agli effetti di alcun istituto o materia previsti dal contratto nazionale o da accordo o da contratto aziendale”. Infine, il Buono pasto, disciplinato dall'art. 51 del T.U.I.R., costituisce una modalità con cui il datore di lavoro, per il tramite di esercizi convenzionati, può riconoscere servizi di ristoro ai propri dipendenti in sostituzione della mensa aziendale. Il buono pasto, dunque, è il documento di legittimazione, anche in forma elettronica, che attribuisce al titolare, ai sensi dell'art. 2002 c.c., il diritto ad ottenere il suddetto servizio sostitutivo per un importo pari al valore facciale del buono e, all'esercizio convenzionato, il mezzo per provare l'avvenuta prestazione nei confronti delle società di emissione. Come specificato dall'art. 4 del decreto interministeriale n. 122 del 2017, in attuazione dell'art. 144, comma 5, d.lgs. n. 50 del 2016, hanno diritto a ricevere i buoni pasto tutti i lavoratori subordinati, sia a tempo pieno che parziale, nonché i soggetti che hanno instaurato con il cliente un rapporto di collaborazione anche non subordinato, anche qualora l'orario di lavoro non preveda una pausa per il pasto. Rimangono tuttavia escluse le giornate non lavorative, come quelle di ferie e i weekend. Infatti, con riferimento alla retribuzione feriale, proprio perché i buoni pasto sono strettamente collegati alla necessità di un'alimentazione corretta mentre si lavora, un dipendente non ne ha diritto quando è in ferie. Ad avviso del Giudicante deve pervenirsi ad un giudizio positivo con riferimento alle restanti voci indicate in ricorso (indennità fuori nastro, indennità di trasferta e diaria (al 50%) e indennità di semaforizzazione). L'indennità di semaforizzazione disciplinata dall'accordo aziendale del 12.05.1965 viene erogata a seguito dell'istituzione dei nuovi sistemi di
segnalamento ferroviario in favore del personale di macchina e di scorta di treni (2% della retribuzione minima di tabella per il primo, 1% per il secondo). L'indennità fuori nastro prevista dall'accordo aziendale del 01.08.1997 viene corrisposta per l'eventuale supero dell'ordinario nastro lavorativo. L'indennità di trasferta e diaria è il trattamento riconosciuto agli autoferrotranvieri comandati a prestare servizio fuori della residenza di assegnazione, disciplinato dagli artt. 20 (per l'indennità di trasferta) e 21 (diaria ridotta) del CCNL 23.7.76 a seconda che si tratti di personale degli impianti fissi al quale si applica l'art. 20, ovvero di personale viaggiante al quale si applica l'art. 21. In merito al quantum relativo all'indennità di trasferta e diaria, si accoglie l'eccezione della resistente circa la natura mista di tale accessorio. Come è noto, “l'indagine volta ad accertare la natura dell'emolumento, ed a distinguerne le quote aventi l'uno o l'altro di detti caratteri, deve essere svolta caso per caso, attraverso la ricostruzione della volontà contrattuale, e, solo quando l'utilizzazione di tale mezzo sia rimasta infruttuosa, è al giudice del merito consentito di ricorrere al criterio (succedaneo) dell'equità e, in tale ambito, ai criteri dettati, in materia previdenziale, dal D.P.R. 30 maggio 1955, n. 797, art. 27 (che assoggettava a contribuzione il 40% della diaria), ovvero dalla L. 30 aprile 1969, n. 153, art. 12 (che esclude dalla retribuzione imponibile il 50% della stessa erogazione), ovvero, in materia fiscale e contributiva, dal D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 817, art. 48 (che, nel testo sostituito dal D.Lgs. 2 settembre 1997, n. 314, art. 3, comma 1, fissa la somma oltre la quale l'indennità non si considera rimborso delle spese)” (cfr. Cass. Civ., 6 giugno 1998, n. 5592;
19 marzo 1991, n. 2893;
13 gennaio 1989, n. 121). Orbene, ai fini di quanto rileva nella presente controversia, è bene premettere un breve riferimento alla disciplina contenuta nella contrattazione collettiva. L'art. 20 C.C.N.L. del 1976 stabilisce che “ogni agente che, per ordine ricevuto per ragioni di servizio debitamente riconosciute, deve recarsi fuori della residenza assegnatagli, ha diritto a una indennità di trasferta che si compone di diaria e di pernottazione”, per residenza intendendosi la località in cui ha sede l'ufficio, la stazione, il deposito, la rimessa, l'impianto, l'officina, la tratta, ecc., a cui l'agente appartiene. Nel settore ferroviario, l'indennità di diaria è corrisposta per intero quando l'assenza dalla residenza supera le 7 ore;
in misura parziale se l'assenza supera le 4 ore, ma non le 7. Ora, è proprio con riferimento a siffatte previsioni che è stato affermato che l'indennità abbia carattere misto (cfr. Cass. Civ., Sez. Lav., 30 dicembre 2009, n. 27826), in parte retributivo ed in parte risarcitorio (di rimborso spese), convalidandosi in sede di legittimità l'interpretazione del giudice di merito che era pervenuto a siffatta conclusione sulla scorta dell'attribuzione dell'indennità soltanto in correlazione ad una certa durata della trasferta (minimo quattro ore);
del superamento del limite minimo anche cumulando periodi inferiori di assenza dalla sede (e, quindi, prescindendo dalla necessità di sostenere spese);
del riconoscimento dell'indennità in una certa misura, anche nel caso di "pernottazione" in dormitorio posto a disposizione dall'azienda. In effetti, sviluppando siffatte argomentazioni, che vi sia una componente risarcitoria è dimostrato dalla circostanza che: a) la corresponsione avviene anche quando la distanza dalla residenza alla località della missione sia inferiore a tre chilometri, sempreché, tra questa e quella,
esistano mezzi di trasporto che permettano all'agente, “senza spese a suo carico”, di raggiungere la propria residenza;
b) non sono considerati in trasferta gli agenti delle aziende disastrate “sempreché la azienda provveda a trasportarli a proprie spese”. Parallelamente, il carattere retributivo discende da ciò che la somma dovuta dal lavoratore è calcolata in una percentuale sulla quota giornaliera della retribuzione normale, cosicché ben può inferirsi che ne condivida la natura. Ora, tali osservazioni non possono che riguardare anche il caso di specie, data la perfetta corrispondenza della fattispecie e l'assenza di profili che ne giustifichino una differenziazione. Per quel che concerne l'odierno ricorrente, infatti, se è vero che, dalle buste paga versate in atti e, in particolare, dalle percentuali annesse alle varie voci di “trasferta”, si evince come la corresponsione in favore del lavoratore abbia trovato, quale l'art. 21 del C.C.N.L. del 1976, è altrettanto vero che tale norma costituisce una mera esplicazione di quanto già previsto all'art. 20. Infatti, le medesime considerazioni relative all'indennità di trasferta, in generale, non possono che riflettersi anche sull'indennità di diaria in misura ridotta, per cui è causa. In base all'art. 21, infatti, “il personale di macchina e dei treni, nonché quello navigante, quando deve prestare servizio di turno fuori dalla propria residenza per un periodo non inferiore alle 6 ore continuative, ha diritto ad una indennità di diaria ridotta. Tale indennità è stabilita come segue sulla quota giornaliera della retribuzione normale:
- per periodi superiori alle 10 ore continuative: 24%;

- per periodi non inferiori alle 6 e non superiori alle 10 ore continuative: 9%. La diaria ridotta è dovuta al personale di macchina e dei treni, nonché a quello navigante, anche quando esso, prestando servizio di turno, debba rimanere assente dalla propria residenza in modo non continuativo per un periodo superiore alle 10 ore, ivi comprese le soste, purché in tale periodo non vi sia permanenza in residenza di durata uguale o superiore a 2 ore ininterrotte. Tale indennità è stabilita come segue sulla quota giornaliera della retribuzione normale: - per periodi di assenza non continuativa superiore alle 14 ore: 24%;

- per periodi di assenza non continuativa superiori alle 10 ore, ma non alle 14: 13%. Al personale di cui ai precedenti punti, quando pernotta per ragioni di servizio fuori della propria residenza dalle ore 22 alle 5, compete l'indennità di pernottazione nelle misure previste al punto 11 dell'art. 20”. È poi stabilito che “quando l'agente si assenta dalla propria residenza più volte in uno stesso periodo di 24 ore, le durate delle assenze si cumulano, computando il periodo di 24 ore dall'ora di partenza per la prima missione”. Orbene, dalla lettura delle predette disposizioni, si evincono con chiarezza i medesimi elementi già valorizzati dalla giurisprudenza a sostegno della tesi della natura mista. In primo luogo, anche per l'indennità di diaria ridotta la corresponsione opera solo al di sopra di un certo monte di ore. Anche agli effetti dell'art. 21 C.C.N.L., poi, si cumulano i periodi non continuativi, cosicché pare prescindersi alle spese, in favore della
compensazione del disagio patito dal lavoratore. Infine, anche nel caso del macchinista viaggiante, la pernottazione viene corrisposta in misura nettamente inferiore se c'è già disponibilità del dormitorio, poiché non vi sono spese rilevanti da dover affrontate per trascorrere le ore notturne. Le deduzioni difensive della resistente devono, in definitiva, condividersi e ben può, pertanto, pervenirsi all'affermazione della natura mista dell'indennità in discussione. Quanto, poi, alla determinazione delle quote di rispettiva incidenza, anche in questa sede deve prendersi atto che l'interazione delle due componenti è tanta e tale da non consentire un'esatta demarcazione sulla base delle mere clausole del contratto collettivo. Si è già detto, infatti, che la natura retributiva e quella risarcitoria appaiono andare di pari passo poiché gli indici sintomatici della ricorrenza dell'una e dell'altra rendono impossibile un'esatta definizione. Si giustifica, allora, il ricorso all'equità ammesso dalla giurisprudenza e, anche tenuto conto della sostanziale equivalenza delle due anime dell'indennità, il punto di riferimento maggiormente solido appare essere costituito dall'art. 12, legge 30 aprile 1969, n. 153, che, come detto, esclude dalla retribuzione imponibile il 50% della stessa erogazione. Dunque, dal calcolo finale operato in merito all'indennità̀ di trasferta e diaria, dovranno essere espunte le somme non dovute, pari al 50% dell'ammontare delle singole poste. Come è evidente, trattasi di indennità intrinsecamente collegate all'esecuzione delle mansioni assegnate al ricorrente, al suo stato e alla qualifica professionale rivestita e palesemente dirette a compensare uno specifico incomodo derivante dal loro espletamento. Ebbene, dalla documentazione in atti e in particolare dai dati riportati nelle buste paga allegate al ricorso, si evince che tali indennità siano normalmente ed intrinsecamente collegate all'esecuzione delle mansioni proprie della qualifica svolta dal ricorrente. Le indennità risultano corrisposte in maniera continuativa, sebbene in misura variabile nel corso dell'anno, né v'è stata contestazione specifica al riguardo, sì da assumere le caratteristiche di una componente non occasionale e predeterminata, che integra stabilmente la retribuzione. Pertanto, nel caso di specie, il ricorrente ha diritto a vedersi corrispondere le differenze retributive relative ai periodi di ferie usufruiti per le voci analiticamente sopra indicate (indennità di trasferta e diaria (al 50%), indennità fuori nastro, indennità di semaforizzazione). Orbene, la , non avendo fornito la prova Controparte_1 del pagamento delle suddette spettanze, va condannata alla corresponsione delle differenze retributive rinvenienti dai titoli indicati nell'atto introduttivo, ad eccezione di quelle non dovute per quanto suddetto, maturate con decorrenza da novembre 2014 e sino al mese di dicembre 2021. Con riguardo ai criteri di quantificazione per le suindicate indennità, si rammenta che il calcolo va effettuato secondo i parametri indicati dalla Corte di Giustizia dell'Unione Europea con le sentenze della CGE del 22.05.2014 e del 15.09.2011, le quali espressamente affermano che il computo deve essere operato “sulla base di una media su un periodo di riferimento giudicato rappresentativo”. Pertanto, appare corretto calcolare le suindicate voci sulla media dei compensi percepiti dal ricorrente, per tali titoli, nei dodici mesi precedenti ciascun periodo di ferie godute.
Per quanto concerne le spese di lite, tenuto conto dell'accoglimento parziale del ricorso, appare equo condannare la resistente soccombente al pagamento di una metà delle spese di lite, con conseguente compensazione della restante metà. Le considerazioni sinora svolte sono dirimenti e assorbono ulteriori questioni in fatto o in diritto eventualmente contestate tra le parti.
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