Trib. Roma, sentenza 01/02/2024, n. 1214
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Testo completo
N. R.G. 22809/2022
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE DI ROMA
III Sezione Lavoro
Il Giudice del Lavoro, dott. A S, ha pronunciato la seguente
SENTENZA
Nella causa di lavoro iscritta al Ruolo Generale degli Affari Contenziosi per l'anno 2022 al n. 22809, decisa all'udienza del 1°.2.2024 e vertente
TRA
rapp.to e difeso in virtù di procura in allegato al ricorso, dagli Parte_1
Avv.ti P C e L C, presso il cui studio, sito in Roma, Via Ciro
Menotti 24, è elett.te dom.to
RICORRENTE
pagina 1 di 12 E
, in persona del Ministro pro tempore, Controparte_1
rappresentato e difeso ex lege l'Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici in
Roma, Via dei Portoghesi 12, è domiciliato
RESISTENTE
Oggetto: adeguamento mercede per lavoro carcerario
Conclusioni: entrambe le parti nei termini di cui ai rispettivi atti introduttivi, che, per quella parte, qui devono intendersi integralmente richiamati.
FATTO E DIRITTO
Con ricorso depositato in data 12.7.2022, il ricorrente in epigrafe si è rivolto al
Tribunale di Roma in funzione di giudice del lavoro, esponendo: di essere recluso ininterrottamente dal marzo 2010 in vari istituti di pena tra i quali quello di Lecce,
Napoli e Augusta nel quale ultimo era stato ristretto con fine pena previsto per il
14.03.2029;di aver prestato la propria attività lavorativa ininterrottamente presso i predetti Istituti, in favore dell'amministrazione penitenziaria, sin dal mese di marzo
2010 a seguire, senza che che l'Amministrazione Penitenziaria avesse rispettato
l'obbligo di cui al D.Lgs. 152/1997;di aver, in particolare, svolto le seguenti mansioni lavorative: “Scopino, cat. C”;“Addetto alla distribuzione pasti, cat. C”;“Assistente alla persona, cat. B”, mansioni tutte rientranti tra gli addetti ai servizi vari regolati dal CCNL
“Turismo Pubblici Esercizi”.
Tanto premesso, ha poi lamentato che i livelli retributivi fossero rimasti fermi al 1993, in violazione dei precetti costituzionali e delle disposizioni di legge richiamate (art. 36
Cost., art. 20 della legge 354/1975, nonché circolare ministeriale, n. 2294/4748 del pagina 2 di 12
9.3.1976), evidenziando che, solo a far tempo dall'ottobre 2017, il Ministero aveva provveduto ad adeguare parzialmente le mercedi, rimando peraltro i livelli retributivi, sia pur in misura minimale, erronei e non adeguati rispetto agli aumenti successivi, in particolare in relazione all'indennità di ferie. Applicati quindi i livelli retributivi minimali ritenuti corretti al numero delle ore prestate mese per mese, ha quindi conteggiato un importo totale di €. 5.547,65, percepito in meno.
Tanto premesso, ha quindi concluso chiedendo di:
“condannare il , in persona del suo legale rappresentante pro- Controparte_1
tempore, al pagamento della somma di €. 5.547,65, a titolo di adeguamento retributivo
…, oltre alla maggiore somma tra gli interessi legali e la rivalutazione monetaria, decorrenti dalle singole annualità, sino al dì dell'effettivo soddisfo, o a quella maggiore
o minore ritenuta meglio vista ed equa.”
Si è costituito in giudizio il , eccependo in via preliminare la Controparte_2
parziale prescrizione del diritto vantato dal ricorrente. Nel merito, ha contestato la fondatezza del ricorso. Ha concluso, pertanto, chiedendo il rigetto del ricorso.
La causa, istruita su base documentale, è stata decisa all'odierna udienza, con la presente sentenza di accoglimento del ricorso, sulla base delle seguenti motivazioni.
*****
Il quadro normativo.
Giova preliminarmente osservare che il lavoro carcerario è disciplinato dagli artt. 20 e ss. della L. 354/1975, così come modificato dal d.lgs. 124/2018, secondo cui ciascun istituto penitenziario deve attivarsi per consentire ai detenuti lo svolgimento di attività lavorative remunerate.
In particolare, l'art. 20, commi 2-3, della Legge sull'Ordinamento Penitenziario stabilisce che “il lavoro penitenziario non ha carattere afflittivo ed è remunerato.
L'organizzazione e i metodi del lavoro penitenziario devono riflettere quelli del lavoro nella società libera al fine di far acquisire ai soggetti una preparazione professionale adeguata alle normali condizioni lavorative per agevolarne il reinserimento sociale”.
pagina 3 di 12
Come rilevato anche dalla Corte Costituzionale, lo scopo assolto dal lavoro penitenziario
è strettamente connesso con la finalità rieducativa assunta dal trattamento sanzionatorio ex art. 27 Cost.
Ed invero, “lo svolgimento di attività lavorative da parte dei detenuti contribuisce a rendere le modalità di espiazione della pena conformi al principio espresso nell'art. 27, terzo comma, Cost., che assegna alla pena stessa la finalità di rieducazione del condannato…il lavoro dei detenuti, lungi dal caratterizzarsi come fattore di aggravata afflizione, «si pone come uno dei mezzi di recupero della persona, valore centrale per il nostro sistema penitenziario non solo sotto il profilo della dignità individuale ma anche sotto quello della valorizzazione delle attitudini e delle specifiche capacità lavorative del singolo” (Corte Cost. 158/2001).
Il lavoro espletato a favore dell'Amministrazione penitenziaria, quindi, consente ai detenuti di acquisire una professionalità, spendibile all'esterno, una volta terminato il periodo detentivo.
Ne consegue che, vista la peculiarità del lavoro carcerario, “la configurazione sostanziale e la tutela giurisdizionale dei diritti nascenti dai rapporti di lavoro dei detenuti possono quindi non coincidere con quelle che contrassegnano il lavoro libero, se ciò risulta necessario per mantenere integre le modalità essenziali di esecuzione della pena, e per assicurare, con la previsione di specifiche modalità di svolgimento del processo, le corrispondenti esigenze organizzative dell'amministrazione penitenziaria.
In altre parole, i diritti dei detenuti devono trovare un ragionevole bilanciamento nel diritto della collettività alla corretta esecuzione delle sanzioni penali” (Corte Cost.
341/2006).
Nonostante la diversità del lavoro penitenziario, rispetto al lavoro libero, occorre in ogni caso osservare che, ai detenuti non può non essere riconosciuto il diritto ad un'equa retribuzione ai sensi dell'art. 36 Cost.
pagina 4 di 12
Diversamente opinando, infatti, un trattamento remunerativo notevolmente inferiore, rispetto ai parametri di riferimento dei CCNL di settore, si porrebbe in contrasto con la finalità rieducativa assolta dal lavoro penitenziario.
Ed invero, i detenuti avrebbero una percezione in termini di afflittività del lavoro svolto
e non sarebbero incentivati al conseguimento di una preparazione professionale, adeguata al reinserimento nella società.
Pertanto, si è imposta all'attenzione del legislatore la necessità di effettuare un delicato bilanciamento degli interessi contrapposti, da un lato il diritto dei detenuti ad un'equa retribuzione e dall'altro l'esigenza pubblicistica di contenere il costo del lavoro carcerario, che, come detto, assolve la funzione primaria di consentire il reinserimento sociale e professionale dei condannati.
Sicché, come rilevato anche dalla nota pronuncia della Corte Costituzionale n. 1087 del
1988, appare conforme al canone della ragionevolezza e della non arbitrarietà “la compressione del corrispettivo fino ai due terzi del trattamento economico previsto dai contratti collettivi di lavoro”.
Ai sensi dell'art. 22 della legge n. 354 del 1975 (ordinamento penitenziario), nel testo vigente anteriormente alle modifiche introdotte con D.Lgs. 2 ottobre 2018, n. 124 art. 2, comma 1, lettera f), “
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE DI ROMA
III Sezione Lavoro
Il Giudice del Lavoro, dott. A S, ha pronunciato la seguente
SENTENZA
Nella causa di lavoro iscritta al Ruolo Generale degli Affari Contenziosi per l'anno 2022 al n. 22809, decisa all'udienza del 1°.2.2024 e vertente
TRA
rapp.to e difeso in virtù di procura in allegato al ricorso, dagli Parte_1
Avv.ti P C e L C, presso il cui studio, sito in Roma, Via Ciro
Menotti 24, è elett.te dom.to
RICORRENTE
pagina 1 di 12 E
, in persona del Ministro pro tempore, Controparte_1
rappresentato e difeso ex lege l'Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici in
Roma, Via dei Portoghesi 12, è domiciliato
RESISTENTE
Oggetto: adeguamento mercede per lavoro carcerario
Conclusioni: entrambe le parti nei termini di cui ai rispettivi atti introduttivi, che, per quella parte, qui devono intendersi integralmente richiamati.
FATTO E DIRITTO
Con ricorso depositato in data 12.7.2022, il ricorrente in epigrafe si è rivolto al
Tribunale di Roma in funzione di giudice del lavoro, esponendo: di essere recluso ininterrottamente dal marzo 2010 in vari istituti di pena tra i quali quello di Lecce,
Napoli e Augusta nel quale ultimo era stato ristretto con fine pena previsto per il
14.03.2029;di aver prestato la propria attività lavorativa ininterrottamente presso i predetti Istituti, in favore dell'amministrazione penitenziaria, sin dal mese di marzo
2010 a seguire, senza che che l'Amministrazione Penitenziaria avesse rispettato
l'obbligo di cui al D.Lgs. 152/1997;di aver, in particolare, svolto le seguenti mansioni lavorative: “Scopino, cat. C”;“Addetto alla distribuzione pasti, cat. C”;“Assistente alla persona, cat. B”, mansioni tutte rientranti tra gli addetti ai servizi vari regolati dal CCNL
“Turismo Pubblici Esercizi”.
Tanto premesso, ha poi lamentato che i livelli retributivi fossero rimasti fermi al 1993, in violazione dei precetti costituzionali e delle disposizioni di legge richiamate (art. 36
Cost., art. 20 della legge 354/1975, nonché circolare ministeriale, n. 2294/4748 del pagina 2 di 12
9.3.1976), evidenziando che, solo a far tempo dall'ottobre 2017, il Ministero aveva provveduto ad adeguare parzialmente le mercedi, rimando peraltro i livelli retributivi, sia pur in misura minimale, erronei e non adeguati rispetto agli aumenti successivi, in particolare in relazione all'indennità di ferie. Applicati quindi i livelli retributivi minimali ritenuti corretti al numero delle ore prestate mese per mese, ha quindi conteggiato un importo totale di €. 5.547,65, percepito in meno.
Tanto premesso, ha quindi concluso chiedendo di:
“condannare il , in persona del suo legale rappresentante pro- Controparte_1
tempore, al pagamento della somma di €. 5.547,65, a titolo di adeguamento retributivo
…, oltre alla maggiore somma tra gli interessi legali e la rivalutazione monetaria, decorrenti dalle singole annualità, sino al dì dell'effettivo soddisfo, o a quella maggiore
o minore ritenuta meglio vista ed equa.”
Si è costituito in giudizio il , eccependo in via preliminare la Controparte_2
parziale prescrizione del diritto vantato dal ricorrente. Nel merito, ha contestato la fondatezza del ricorso. Ha concluso, pertanto, chiedendo il rigetto del ricorso.
La causa, istruita su base documentale, è stata decisa all'odierna udienza, con la presente sentenza di accoglimento del ricorso, sulla base delle seguenti motivazioni.
*****
Il quadro normativo.
Giova preliminarmente osservare che il lavoro carcerario è disciplinato dagli artt. 20 e ss. della L. 354/1975, così come modificato dal d.lgs. 124/2018, secondo cui ciascun istituto penitenziario deve attivarsi per consentire ai detenuti lo svolgimento di attività lavorative remunerate.
In particolare, l'art. 20, commi 2-3, della Legge sull'Ordinamento Penitenziario stabilisce che “il lavoro penitenziario non ha carattere afflittivo ed è remunerato.
L'organizzazione e i metodi del lavoro penitenziario devono riflettere quelli del lavoro nella società libera al fine di far acquisire ai soggetti una preparazione professionale adeguata alle normali condizioni lavorative per agevolarne il reinserimento sociale”.
pagina 3 di 12
Come rilevato anche dalla Corte Costituzionale, lo scopo assolto dal lavoro penitenziario
è strettamente connesso con la finalità rieducativa assunta dal trattamento sanzionatorio ex art. 27 Cost.
Ed invero, “lo svolgimento di attività lavorative da parte dei detenuti contribuisce a rendere le modalità di espiazione della pena conformi al principio espresso nell'art. 27, terzo comma, Cost., che assegna alla pena stessa la finalità di rieducazione del condannato…il lavoro dei detenuti, lungi dal caratterizzarsi come fattore di aggravata afflizione, «si pone come uno dei mezzi di recupero della persona, valore centrale per il nostro sistema penitenziario non solo sotto il profilo della dignità individuale ma anche sotto quello della valorizzazione delle attitudini e delle specifiche capacità lavorative del singolo” (Corte Cost. 158/2001).
Il lavoro espletato a favore dell'Amministrazione penitenziaria, quindi, consente ai detenuti di acquisire una professionalità, spendibile all'esterno, una volta terminato il periodo detentivo.
Ne consegue che, vista la peculiarità del lavoro carcerario, “la configurazione sostanziale e la tutela giurisdizionale dei diritti nascenti dai rapporti di lavoro dei detenuti possono quindi non coincidere con quelle che contrassegnano il lavoro libero, se ciò risulta necessario per mantenere integre le modalità essenziali di esecuzione della pena, e per assicurare, con la previsione di specifiche modalità di svolgimento del processo, le corrispondenti esigenze organizzative dell'amministrazione penitenziaria.
In altre parole, i diritti dei detenuti devono trovare un ragionevole bilanciamento nel diritto della collettività alla corretta esecuzione delle sanzioni penali” (Corte Cost.
341/2006).
Nonostante la diversità del lavoro penitenziario, rispetto al lavoro libero, occorre in ogni caso osservare che, ai detenuti non può non essere riconosciuto il diritto ad un'equa retribuzione ai sensi dell'art. 36 Cost.
pagina 4 di 12
Diversamente opinando, infatti, un trattamento remunerativo notevolmente inferiore, rispetto ai parametri di riferimento dei CCNL di settore, si porrebbe in contrasto con la finalità rieducativa assolta dal lavoro penitenziario.
Ed invero, i detenuti avrebbero una percezione in termini di afflittività del lavoro svolto
e non sarebbero incentivati al conseguimento di una preparazione professionale, adeguata al reinserimento nella società.
Pertanto, si è imposta all'attenzione del legislatore la necessità di effettuare un delicato bilanciamento degli interessi contrapposti, da un lato il diritto dei detenuti ad un'equa retribuzione e dall'altro l'esigenza pubblicistica di contenere il costo del lavoro carcerario, che, come detto, assolve la funzione primaria di consentire il reinserimento sociale e professionale dei condannati.
Sicché, come rilevato anche dalla nota pronuncia della Corte Costituzionale n. 1087 del
1988, appare conforme al canone della ragionevolezza e della non arbitrarietà “la compressione del corrispettivo fino ai due terzi del trattamento economico previsto dai contratti collettivi di lavoro”.
Ai sensi dell'art. 22 della legge n. 354 del 1975 (ordinamento penitenziario), nel testo vigente anteriormente alle modifiche introdotte con D.Lgs. 2 ottobre 2018, n. 124 art. 2, comma 1, lettera f), “
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