Trib. Busto arsizio, sentenza 16/09/2024, n. 602
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Testo completo
TRIBUNALE ORDINARIO di BUSTO ARSIZIO
SEZIONE LAVORO
Il Tribunale, nella persona del giudice designato dott.ssa Franca Molinari, ha pronunciato la seguente
SENTENZA CON MOTIVAZIONE CONTESTUALE
nella causa lavoro di I grado iscritta al N. 1439 /2023 R.G. promossa da:
NE ER , rappresentata e difesa dall'Avv. STARNA BARBARA
RICORRENTE
contro
:
INPS ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE , in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avv.PEREGO NADIA
RESISTENTE
CONCLUSIONI: come in atti
MOTIVI DELLA DECISIONE
La ricorrente conveniva in giudizio INPS per sostenere l'illegittimità dei conteggi effettuati e della conseguente liquidazione dell'indennità di maternità in violazione degli artt. 22 e 23 del D.Lgs. n.151/01. Concludeva chiedendo di accertarsi discriminatorietà del criterio adottato da INPS per la liquidazione dell'indennità di maternità e condannarsi l'ente convenuto ad erogare alla ricorrente l'indennità in parola in misura pari all'80% della retribuzione globale di fatto percepita nel mese precedente all'astensione e comunque in base alla retribuzione composta al 100%. Insisteva, inoltre, per la liquidazione del risarcimento del danno per condotta discriminatoria.
Ritualmente costituitasi in giudizio, INPS ha eccepito la decadenza, la prescrizione nonché l'assenza di discriminazione e ha richiesto il rigetto del ricorso.
Ritiene la scrivente che le eccezioni di decadenza ex art. 47 DPR 639/70 e di prescrizione ex art.6 della L. 138/1943 non siano fondate.
In relazione alla eccezione di prescrizione INPS ha allegato la recente sentenza della Corte Cassazione n. 25400 del 2021, che riconosce l'applicazione della norma di cui all'art. 6, ultimo comma, della L. 138/1943 alla fattispecie in esame.
Sul punto si condivide e si richiama quanto esaurientemente rilevato dalla difesa di parte ricorrente e in precedenza statuito nella sentenza di questo Tribunale (sentenza del 24.11.2021 est.La US) : “Quanto all'eccezione di decadenza, non trova applicazione, nel caso di specie, l'art. 47 del d.p.r. n. 639/1970, come
modificato dall'art. 38 del d.l. n. 98/2011 invocato dalla difesa dell'Inps, non essendo oggetto di controversia l'an del diritto o il suo parziale riconoscimento, avendo l'Inps già riconosciuto il diritto della ricorrente all'indennità di maternità per tutto il periodo di astensione con l'erogazione della relativa prestazione. Ciò di cui si controverte riguarda l'accertamento della natura discriminatoria di un determinato trattamento e, conseguentemente, la rimozione dei suoi effetti lesivi, in un'ottica restitutoria, compensativa, ma anche dissuasiva.
Il disposto di cui all'ultimo comma dell'art. 47 non è, dunque, applicabile alla controversia in esame, non controvertendosi sul parziale riconoscimento del diritto e della prestazione, non essendo l'azione giudiziaria subordinata alla condizione di procedibilità di cui all'art. 443 c.p.c. e, quindi, all'esperimento ed esaurimento della procedura amministrativa e neppure al rispetto dei relativi termini e decadenze previsti dai commi 2 e 3 cui
l'ultimo comma si riferisce.
Quanto all'eccezione di intervenuta prescrizione del diritto della ricorrente, si rileva che l'indennità di maternità non è compresa nell'elenco indicato dall'art. 6 della legge n. 138/1943.
In ogni caso, la ricorrente, nel presente giudizio, ha espressamente svolto un'azione discriminatoria, esercitabile anche in forma ordinaria, la cui causa petendi risiede nel comportamento discriminatorio e non nella sussistenza di un rapporto assicurativo ed il petitum nell'accertamento dell'avvenuta discriminazione con conseguente rimozione dei relativi effetti, attraverso l'erogazione, a titolo risarcitorio, di una somma di denaro quale integrazione economica e ristoro del danno per la discriminazione subita e non quale indennità previdenziale. A tale azione si ritengono estranee la decadenza e la prescrizione di cui alle norme speciali invocate dalla difesa dell'Inps che si riferiscono all'azione previdenziale nettamente diversa, in punto di causa petendi e petitum, dall'azione discriminatoria promossa.
In particolare, la tutela antidiscriminatoria attribuisce ai soggetti tutelati un diritto diverso e ulteriore rispetto ai diritti soggettivi di cui i soggetti siano già titolari, nel caso di specie il diritto soggettivo a non subire discriminazioni in ragione dello stato di maternità e dell'esercizio dei relativi diritti, diritto che trova fondamento nel diritto interno anche di rango costituzionale e nel diritto comunitario.
Sia la causa petendi che il petitum nei due diversi procedimenti, previdenziale e antidiscriminatorio, sono diversi, poiché il diritto azionabile, nel caso dell'ordinario procedimento previdenziale, riguarda l'errato pagamento della prestazione, mentre, nel caso dell'azione antidiscriminatoria oggetto di causa, riguarda l'accertamento della natura discriminatoria di un determinato trattamento e la conseguente rimozione dei suoi effetti lesivi, in un'ottica restitutoria, compensativa, ma anche dissuasiva.
La richiesta risarcitoria (sia essa di natura patrimoniale o non patrimoniale) è uno degli strumenti rimediali propri della funzione restitutoria a cui ambisce l'azione antidiscriminatoria, ma non coincide solamente con la richiesta del diritto originario, considerato che la richiesta del vantaggio precedentemente negato consiste in una quantificazione, in termini monetari, del risarcimento a cui la ricorrente ambisce utilizzando come parametro del danno proprio il diritto originario negato;
risarcimento che potrebbe anche essere quantificato in misura maggiore, in un'ottica dissuasiva. Il bene della vita rivendicato, quindi, si ritiene non è “esattamente coincidente con quello che la dipendente (recte: un dipendente qualsiasi) avrebbe potuto ottenere intraprendendo un'azione di adempimento dell'obbligazione previdenziale”, come indicato al punto 9 dalla sentenza della Corte di
Cassazione n. 25400/2021, non essendo la lavoratrice in maternità “un dipendente qualsiasi”, in quanto la tutela della maternità ha un rilievo costituzionale che pone la dipendente in una condizione che necessita di particolare tutela, il cui danno patito può essere anche superiore alla mera differenza tra quanto erogato e quanto dovuto in base al calcolo fondato sul Testo Unico Maternità, essendo stato il trattamento deteriore riservato dall'Inps alle lavoratrici del settore volo frutto di una scelta deliberata e non di un mero errore nel calcolo della prestazione.
Il regime prescrizionale di cui all'art. 6 della legge n. 138/1943 è stato fissato dall'ordinamento quale limite di diritto pubblico alla rivendicazione sine die di eventuali irregolarità nell'ordinaria erogazione della prestazione,
ma non si ritiene possa operare quando la minore erogazione di tale indennità sia conseguenza, invece, della violazione di norme di rango primario o secondario contro la discriminazione di genere.
Estendere un regime prescrizionale molto breve come quello di un anno previsto per gli ordinari crediti previdenziali di cui all'art. 6 della legge n. 138/1943, pensato per l'errata erogazione per errore di calcolo dell'Ente, decorrente da ogni singolo rateo (nonostante la maggiore durata del periodo indennizzato, che per le lavoratrici del settore volo è di 14 mesi), al caso in cui l'erogazione di tale indennità sia avvenuta in misura ridotta quale conseguenza di disposizioni contro la discriminazione, si ritiene confliggente in maniera netta con il principio di efficacia postulato dalla normativa eurounitaria che prevede che i rimedi contro le discriminazioni accertate debbano mirare a soddisfare i requisiti di efficacia, proporzionalità e dissuasività