Trib. Milano, sentenza 22/05/2024, n. 2604

Sintesi tramite sistema IA Doctrine

L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.

Segnala un errore nella sintesi

Sul provvedimento

Citazione :
Trib. Milano, sentenza 22/05/2024, n. 2604
Giurisdizione : Trib. Milano
Numero : 2604
Data del deposito : 22 maggio 2024

Testo completo

R.G. n. 4798/2023

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE DI MILANO
Sezione del lavoro

Il Giudice del lavoro del Tribunale di Milano, Luigi Pazienza, nella prosecuzione del verbale di udienza del 22.05.2024;

visto l'art. 429 c.p.c.;

pronunzia la seguente
SENTENZA nella controversia individuale di lavoro
tra
rappresentato e difeso dagli Avv.ti R. Sparpaglione Parte_1
e S. Sparpaglione;

e
“ , in persona del legale rappresentante Controparte_1
pro-tempore, rappresentata e difesa dall'Avv. V. Filosti;

e
“ , in persona del legale rappresentante Controparte_2
pro-tempore, contumace;

e
“ ”, in persona del legale rappresentante, contumace Controparte_3
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con ricorso depositato il 17.05.2023, l'istante ha convenuto in giudizio innanzi al Giudice del Lavoro di Milano le società resistenti indicate in epigrafe formulando le seguenti conclusioni: “ accertare e dichiarare che il tempo impiegato giornalmente dal ricorrente per indossare e dismettere gli indumenti di lavoro è qualificabile come orario di lavoro effettivo e come tale da retribuirsi sotto specie di lavoro straordinario. Per l'effetto, condannare ed in via solidale Controparte_1 CP_3
e a corrispondere al Ricorrente la
[...] Controparte_2
somma di €. 5.891,20 a tale titolo o la maggiore o minor somma che sarà ritenuta all'esito dell'istruttoria. In via subordinata, qualora non fosse riconosciuto quale orario straordinario, accertare e dichiarare che il tempo impiegato giornalmente dal Ricorrente per indossare e dismettere gli indumenti di lavoro è qualificabile come orario di lavoro effettivo ordinario e come tale retribuibile. Per l'effetto, condannare Controparte_1
ed in via solidale e
[...] Controparte_3 Controparte_2
a corrispondere al Ricorrente la somma di €. 4.531,69 a titolo di differenze retributive o la maggiore o minore somma ritenuta di giustizia, da determinarsi anche in via equitativa ex articolo 432 cpc. Con vittoria di spese del giudizio”.
Si costituiva in giudizio la chiedendo il rigetto Controparte_1
delle domande.
Nonostante la ritualità della notificazione del ricorso nessuno si costituiva in giudizio per le altre resistenti e, pertanto, ne veniva dichiarata la contumacia.
Le domande di accertamento e di condanna spiegate nel ricorso nei confronti delle resistenti sono fondate nei limiti delle argomentazioni che seguono.

1.La questione inerente al riconoscimento del diritto alla retribuzione del cosiddetto “tempo divisa”, ossia del tempo impiegato dal lavoratore per indossare gli indumenti di lavoro, necessita di una adeguata ricostruzione preliminare.
A tal proposito va ricordato che l'art. 1 D. Lgs 66/2003 definisce come orario di lavoro “qualsiasi periodo in cui il lavoratore sia al lavoro, a disposizione del datore di lavoro e nell'esercizio della sua attività o delle sue funzioni”.
La Direttiva 93/104/CE, art. 2, precisa che deve intendersi per orario di lavoro il periodo temporale “in cui il lavoratore sia al lavoro, a disposizione del datore di lavoro e nell'esercizio della sua attività o delle sue funzioni, conformemente alle legislazioni e/o prassi nazionali”. Il periodo di riposo è identificato con quel periodo “che non rientra nell'orario di lavoro” (Direttiva
93/104/CE, art. 2, pt. 2).
La Corte di Giustizia, ha ritenuto che “…la possibilità per i lavoratori di gestire il loro tempo in modo libero e di dedicarsi ai loro interessi è un elemento che denota che il periodo di tempo in questione non costituisce orario di lavoro ai sensi della direttiva 2003/88 (v., in tal senso, sentenza
Simap, C-303/98, EU:C:2000:528, punto 50).” (CGUE, Sez. III, 10 settembre 2015, C-266/14, Federación de Servicios Privados del sindicato
Comisiones obreras (CC.OO.) contro , Controparte_4 [...]
, pt. 25 e 37). Controparte_5
In tale quadro normativo e giurisprudenziale si inserisce anche
l'interpretazione offerta dalla Corte di Cassazione, secondo la quale si considera “orario di lavoro”, in quanto tempo messo a disposizione del datore, non soltanto quello impiegato nell'esecuzione di attività complesse
o assorbenti confacenti alle mansioni contrattualmente richieste, bensì anche quel tempo in cui il lavoratore è, comunque, genericamente a
“disposizione” della parte datoriale, nell'esclusivo interesse della stessa.
Con specifico riferimento alla questione che ci occupa la Cassazione ha ritenuto che, “ai fini di valutare se il tempo occorrente per indossare la divisa aziendale debba essere retribuito o meno, occorre far riferimento alla disciplina contrattuale specifica: in particolare, ove sia data facoltà al lavoratore di scegliere il tempo e il luogo ove indossare la divisa stessa
(anche presso la propria abitazione, prima di recarsi al lavoro) la relativa attività fa parte degli atti di diligenza preparatoria allo svolgimento dell'attività lavorativa, e come tale non deve essere retribuita, mentre se tale operazione è diretta dal datore di lavoro, che ne disciplina il tempo ed il luogo di esecuzione, rientra nel lavoro effettivo e di conseguenza il tempo ad essa necessario deve essere retribuito” (Cass. Civ., Sez. Lav., 21 ottobre 2003, n. 15734;
cfr. anche Cass. Civ., Sez. Lav., 8 settembre 2006,
n. 19273).
Si può ben affermare, dunque, che “nel rapporto di lavoro subordinato …. il tempo necessario ad indossare la divisa aziendale rientra nell'orario di lavoro se è assoggettato al potere di conformazione del datore di lavoro;

l'eterodirezione può derivare dall'esplicita disciplina d'impresa o risultare implicitamente dalla natura degli indumenti, o dalla specifica funzione che devono assolvere, quando gli stessi siano diversi da quelli utilizzati o utilizzabili secondo un criterio di normalità sociale dell'abbigliamento”
(Cass. Civ., Sez. Lav., 26 gennaio 2016, n. 1352).
Anche la Corte d'Appello di Milano ha ribadito che “nel rapporto di lavoro subordinato il tempo necessario ad indossare la divisa aziendale rientra nell'orario di lavoro se è assoggettato al potere di conformazione del datore di lavoro;
pertanto sussiste un diritto alla retribuzione del tempo impiegato per indossare e dismettere la divisa” (C.d.A. Milano, Sezione Lavoro, 26 febbraio 2019, n. 24).
Dunque, elemento essenziale ai fini del riconoscimento della sussistenza del potere di etero-organizzazione datoriale è che vi sia una stretta correlazione tra l'espletamento della prestazione lavorativa e la necessità di indossare uno specifico indumento da lavoro.
Affinchè possa ricorrere la messa a disposizione delle energie lavorative, pertanto, non è dirimente che il datore abbia imposto espressamente una determinata divisa da lavoro, ma è sufficiente che la stessa sia richiesta dalla tipologia e dalla natura delle mansioni di assegnazione e che il lavoratore sia, conseguentemente, tenuto a indossare sul lavoro un abbigliamento particolare e/o diverso da quello che, altrimenti, potrebbe impiegare per le esigenze quotidiane di vita.
Il rilievo risulta decisivo ove gli indumenti necessari allo svolgimento delle mansioni spieghino, altresì, funzione di dispositivo di protezione individuale: in tal caso, la vestizione e svestizione degli indumenti da lavoro risulta strettamente correlata all'esigenza di salvaguardare la salute dei dipendenti, obbligo sancito dall'art. 2087 c.c.: “il tempo di vestizione- svestizione dà diritto alla retribuzione, al di là del rapporto sinallagmatico, trattandosi di obbligo imposto dalle superiori esigenze di sicurezza ed igiene, riguardanti sia alla gestione del servizio pubblico sia la stessa incolumità del personale addetto” (Cass. Civ., Sez. Lav., 24 maggio 2018,
n. 12935 - ordinanza
).
A tal proposito l'art. 74 D. Lgs. n. 81/2008 qualifica come dispositivo di protezione individuale “qualsiasi attrezzatura” che il lavoratore deve indossare per proteggersi contro uno o più rischi suscettibili di minacciarne la sicurezza o la salute durante il lavoro, ivi compreso ogni complemento o accessorio destinato a tale scopo.
Secondo il condivisibile orientamento della Corte di Cassazione, alla suddetta definizione deve essere data un'interpretazione estensiva proprio in quanto finalizzata alla salvaguardia del bene primario della salute. Lo stesso elenco dei dispositivi di protezione individuale di cui all'VIII Allegato
del D. Lgs. 81/2008, d'altronde, è meramente “indicativo e non esauriente delle attrezzature di protezione individuale”, a conferma del contenuto aperto della categoria in questione.
In questa prospettiva, il Supremo Collegio non ha ritenuto rilevante “…la circostanza della previsione o meno degli specifici D.P.I. nell'ambito del documento di valutazione dei rischi, atteso che l'obbligo posto dall'art. 4, comma 5 del D.L.gs. n. 626 del 1994 di fornire ai lavoratori i necessari e idonei dispositivi di protezione individuale, costituisce un precetto al quale il datore di lavoro è tenuto a conformarsi a prescindere dal fatto che il loro utilizzo sia specificamente contemplato nel documento di valutazione dei rischi, confezionato dal medesimo datore di lavoro (in tal senso, con riferimento alla omologa previsione di cui all'art. 18, lett. d), D.Lgs. n. 81 del
2008
, cfr. Cass. pen., n. 13096 del 2017). La categoria dei dispositivi di protezione deve essere quindi definita in ragione della concreta finalizzazione delle attrezzature, degli indumenti e dei complementi o accessori alla protezione del lavoratore dai rischi per la salute e la sicurezza esistenti nelle lavorazioni svolte, a prescindere dalla espressa qualificazione in tal senso da parte del documento di valutazione dei rischi
e dagli obblighi di fornitura e manutenzione contemplati nel contratto collettivo” (Cass. Civ., Sez. Lav., 21 giugno 2019, n. 16749 - ordinanza).
Recentemente la Corte di Cassazione ha chiarito che “la nozione legale di
Dispositivi di Protezione Individuale (D.P.I.) va riferita a qualsiasi attrezzatura, complemento o accessorio che possa in concreto costituire una barriera protettiva rispetto a qualsiasi rischio
Iscriviti per avere accesso a tutti i nostri contenuti, è gratuito!
Hai già un account ? Accedi