Trib. Lecce, sentenza 09/07/2024, n. 2286
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Testo completo
R E P U B B L I C A I T A L I A N A
In nome del Popolo Italiano
Tribunale di Lecce sezione lavoro
Il giudice, dott. G D P, ha pronunziato, ai sensi dell'art. 127 ter c.p.c., la seguente
SENTENZA nella causa di lavoro tra:
rappresentato e difeso dall'avvocato I B, ricorrente;Parte_1
e in persona del legale rappresentante in carica, rappresentato e difeso Controparte_1 dall'avvocato A P, resistente oggetto: retribuzione
Fatto e diritto
Con atto depositato in data 10.11.2021, il ricorrente di cui in epigrafe, deducendo di aver lavorato alle dipendenze della società convenuta dal 22.7.2019 al 5.8.2019 con mansioni di cameriere, dal lunedì alla domenica con orario 18.00-24.30, percependo unicamente la somma di euro 92,08, nonché “contestando l'illegittimo allontanamento dal posto di lavoro, subito … in data
5.8.2019” e, al contempo, rilevando come il mancato superamento del periodo di prova sia stata utilizzato dalla convenuta come un mero pretesto per la interruzione del rapporto di lavoro;ha chiesto al giudice del lavoro adito di “a) accertare e dichiarare che il signor Parte_1
ha lavorato con la mansione di cameriere, per la società e che, il
[...] Controparte_1
predetto rapporto si è svolto ininterrottamente dal 22 Luglio al 5 Agosto 2019;b) accertare che il ricorrente ha diritto a ricevere, per i motivi sopra esposti, nonché i virtù dei conteggi analitici allegati, il pagamento della retribuzione mancante, pari ad €. 721,38, del trattamento di fine rapporto maturato, pari ad €. 130,00, e dei contributi previdenziali ed assistenziali;c) accertare e dichiarare che il ricorrente ha diritto all'indennità per licenziamento senza giustificato motivo per illegittima interruzione del rapporto di lavoro, pari ad €. 4.000,00;e per l'effetto: d) condannare la società in persona del legale rappresentante pro tempore, al pagamento in CP_1 Controparte_1
favore del signor della somma complessiva di €. 4.851,38, di cui 721,38 Parte_1 per retribuzione mancante, €. 130,00 per tfr, ed €. 4.000,00 a titolo di indennità per licenziamento illegittimo, oltre al danno per la mancata regolarizzazione della situazione previdenziale ed assistenziale, ovvero di quelle minori o maggiori somme che saranno ritenute eque nel corso del giudizio, anche ai sensi dell'art. 36 Cost., e dell'art. 2103 c.c., con il riconoscimento degli interessi legali dalla domanda al soddisfo”.
La società convenuta, costituitasi, ha eccepito la nullità del ricorso per indeterminatezza e ha contestato la fondatezza delle deduzioni avversarie, concludendo per il rigetto della domanda.
Istruita per il tramite della documentazione prodotta e con l'espletamento della prova orale, previa sostituzione dell'udienza di discussione con il deposito di note ai sensi dell'art. 127 ter
c.p.c., la controversia è stata decisa in data odierna a mezzo della presente sentenza.
Preliminarmente, è da disattendere l'eccezione di nullità del ricorso per indeterminatezza sollevata dalla parte resistente, laddove l'atto introduttivo contiene una precipua ed esauriente indicazione, anche sul piano temporale, delle prestazioni lavorative cui si correlano le pretese creditorie azionate (peraltro, dettagliatamente e partitamente specificate in apposito prospetto riepilogativo accluso al medesimo ricorso) e dovendosi, in ogni caso, considerare che, in base al condivisibile orientamento ripetutamente espresso dalla Suprema Corte, per aversi, nel rito del lavoro, la nullità del ricorso introduttivo del giudizio di primo grado per mancata determinazione dell'oggetto della domanda o per mancata esposizione degli elementi di fatto e delle ragioni di diritto che ne costituiscono il fondamento, non è sufficiente che taluno di tali elementi non venga formalmente indicato, ma è necessario che attraverso l'esame complessivo dell'atto - che compete al giudice del merito ed è censurabile in sede di legittimità solo per vizi di motivazione - sia impossibile l'individuazione esatta della pretesa dell'attore e il convenuto non possa apprestare una compiuta difesa (Cass. 9 maggio 2012, n. 7097;Cass. 8 febbraio 2011, n. 3126).
Tanto premesso, come in termini condivisibili ripetutamente affermato dalla Suprema Corte, la cessazione unilaterale del rapporto per mancato superamento della prova rientra nell'eccezionale fattispecie del recesso “ad nutum” di cui all'art. 2096 c.c., sottratto all'ordinaria disciplina di controllo delle ragioni del licenziamento (Sez. L, Sentenza n. 16214 del 3.8.2016): il licenziamento intimato nel corso o al termine del periodo di prova, avendo natura discrezionale, non deve essere motivato, neppure in caso di contestazione in ordine alla valutazione della capacità
e del comportamento professionale del lavoratore stesso;incombe, pertanto, sul lavoratore licenziato, che deduca in sede giurisdizionale la nullità di tale recesso, l'onere di provare, secondo la regola generale di cui all'art. 2697 c.c., sia il positivo superamento del periodo di prova, sia che il recesso è stato determinato da motivo illecito e quindi, estraneo alla funzione del patto di prova (Sez. Lav., Sentenza n. 1180 del 18.1.2017).
Ciò posto, nella fattispecie in esame il ricorrente si è limitato, sul punto, a contestare
“l'illegittimo allontanamento dal posto di lavoro, subito da parte del sig. , in Parte_2 data 5.8.2019, allorché quest'ultimo, con un'accetta taglia-carne, ha anche provocato un'escoriazione al ricorrente”;senza, tuttavia, al contempo allegare o chiedere di provare di aver validamente superato il periodo di prova, né, ancora più monte, che l'interruzione del rapporto di lavoro fosse da ricondurre ad una condotta espulsiva del datore di lavoro (e non ad un atto di dimissioni, come, al contrario, parrebbe risultare dal tenore della denuncia querela presentata dallo stesso il 13.9.2019, in atti: “… sino al 5 agosto 2019, giorno in cui sono andato via Parte_1 dal locale in quanto vittima di aggressione da parte di uno dei due titolari”).
In ragione di quanto dappresso evidenziata, la domanda specificatamente volta a conseguire
“l'indennità per licenziamento senza giustificato motivo per illegittima interruzione del rapporto di lavoro, pari ad €. 4.000,00”, non può, per ciò solo, che risultare priva di sbocco.
Come anticipato in premessa, la parte ricorrente pone a fondamento delle proprie rivendicazioni economiche il presupposto di aver lavorato alle dipendenze della convenuta per
l'intero arco temporale 22.7.2019-5.8.2019, dal lunedì alla domenica, con orario 18.00-24.30, laddove la diversamente, sostiene che il prestò l'attività Controparte_1 Parte_1
lavorativa che viene in rilievo soltanto per quattro giornate (segnatamente, dal 2 al 5 agosto 2019) secondo l'orario contrattuale di tre ore giornaliere.
A fronte di quanto precede, giova rammentare che, in tema di inadempimento di obbligazioni
e relativa ripartizione dell'onere della prova ai sensi dell'art. 2697 c.c., è principio consolidato quello secondo cui, nel caso in cui sia dedotto l'inadempimento, ovvero l'inesatto adempimento dell'obbligazione, al creditore/lavoratore è sufficiente dimostrare l'esistenza dell'obbligazione e, dunque, il titolo su cui si basa la sua pretesa, gravando invece sul datore di lavoro, in applicazione del principio di vicinanza o di riferibilità della prova, l'onere di dimostrare il fatto estintivo del diritto azionato, ovvero l'avvenuto esatto adempimento, ovvero ancora l'impossibilità sopravvenuta della prestazione per causa a lui non imputabile (Cass., S.U., 30/10/2001, n. 13533).
In applicazione del suddetto principio, ove l'oggetto della controversia riguardi
l'accertamento del diritto alla corresponsione di differenze retributive e/o ulteriori voci di retribuzione, il lavoratore non può, dunque, che essere chiamato a fornire la prova dell'esistenza del rapporto di lavoro, della sua natura e durata, della sua articolazione oraria, delle mansioni svolte, ossia dei fatti da cui origina il diritto alla corresponsione di ogni singola voce richiesta, con
l'ulteriore conseguenza che, ove permangano dubbi circa l'esistenza della relativa fattispecie, addivenirsi al rigetto della domanda, non essendo stato assolto l'onere di provare i fatti costitutivi
della pretesa azionata in giudizio (vds. con riferimento alle specifiche questioni dedotte in lite,
Cass. civ. Sez. lavoro, 7.11.2000, n. 14468;conforme Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 8.2.2013, n.
3046: “Nel rapporto di lavoro subordinato, l'onere di provare la durata della prestazione, nonché, al suo interno, la misura dell'effettivo impegno lavorativo in termini di giorni e ore, grava sul lavoratore che agisca per il riconoscimento del diritto al pagamento delle retribuzioni o di differenze di retribuzione, salvo che, in presenza di una misura predeterminata e normale delle prestazioni, sia il datore di lavoro ad eccepire il mancato adempimento dei corrispondenti obblighi”).
Correlativamente, non può che spettare al lavoratore, il quale chieda il riconoscimento del compenso per lavoro straordinario o supplementare, fornire la prova positiva dell'esecuzione della prestazione lavorativa oltre i limiti, legalmente o contrattualmente, previsti;tale statuizione costituisce proiezione del principio guida di cui all'articolo 2697 c.c., configurandosi lo svolgimento di lavoro “in eccedenza” rispetto all'orario normale quale fatto costitutivo della pretesa azionata.
Tanto premesso in termini generali, ritiene questo giudice che le risultanze dell'istruttoria espletata valgano soltanto in parte ad asseverare le allegazioni attoree.
Se, per un verso, alcuna valenza ricostruttiva può ascriversi al contributo di conoscenza offerto da Polo Serena (unico testimone escusso) in relazione alla protrazione dell'attività lavorativa per cui è causa oltre il 5 agosto (avendo detta Polo genericamente fatto riferimento alla presenza del al lavoro “per pochi giorni … se non sbaglio, ad agosto;ciò Parte_1 sicuramente per un periodo inferiore a due settimane”, senza, quindi, fornire elementi da cui poter evincere che il rapporto di lavoro dedotto in lite abbia avuto una durata maggiore rispetto a quella risultante dalla documentazione in atti);per altro verso, dalla testimonianza in parola possono trarsi decisive indicazioni in ordine all'orario di lavoro quotidianamente osservato dallo stesso
Parte_1
In particolare, a fronte della puntualizzazione promanante dalla Polo: “io lavoravo dalle ore
18.00/19.00 e andavo via intorno alle ore 22.00;il ricorrente arrivava al lavoro più o meno al mio stesso orario;non so dire se, dopo le 22.00, lo stesso vi si trattenesse ancora e fino a che ora” e del riferimento presente nel contratto di lavoro in atti all'orario giornaliero 20.00-23.00, può, dunque, ritenersi provato che il abbia lavorato, in ciascuna delle quattro giornate che vengono in Parte_1
rilievo, con orario 18.00-23.00, con il corollario che il relativo trattamento retributivo è, dunque, da rimodulare in rapporto a tale articolazione oraria.
Dovendosi ritenere provati i fatti costitutivi dell'obbligazione datoriale nei termini sopra riassunti, sulla scorta dei parametri retributivi indicati a pag. 2 del ricorso (certamente affidabili, in
quanto speculari a quelli utilizzati nel cedolino paga in atti), al ricorrente competono differenze retributive per l'importo di euro 76,82 (pari alla differenza tra l'importo di euro 168,90 complessivamente spettante per le quattro giornate in questione e l'importo di euro 92,08 già corrisposto al , oltre al trattamento di fine rapporto in misura di euro 12,50;somme al Parte_1
cui pagamento la convenuta, è, in conclusione da condannare, con la maggiorazione degli interessi legali e rivalutazione monetaria dalla maturazione di ciascun diritto sino al soddisfo.
È infine priva di sbocco la domanda volta a “ricevere” dal datore di lavoro i “contributi previdenziali ed assistenziali”, avendone il ricorrente dovuto richiederne il versamento in favore dell'Inps, così come la domanda di risarcimento del “danno per la mancata regolarizzazione della situazione previdenziale e assistenziale”, non essendo ancora maturata la prescrizione del relativo credito in capo all'Inps.
La soccombenza reciproca giustifica l'integrale compensazione delle spese di lite.
In nome del Popolo Italiano
Tribunale di Lecce sezione lavoro
Il giudice, dott. G D P, ha pronunziato, ai sensi dell'art. 127 ter c.p.c., la seguente
SENTENZA nella causa di lavoro tra:
rappresentato e difeso dall'avvocato I B, ricorrente;Parte_1
e in persona del legale rappresentante in carica, rappresentato e difeso Controparte_1 dall'avvocato A P, resistente oggetto: retribuzione
Fatto e diritto
Con atto depositato in data 10.11.2021, il ricorrente di cui in epigrafe, deducendo di aver lavorato alle dipendenze della società convenuta dal 22.7.2019 al 5.8.2019 con mansioni di cameriere, dal lunedì alla domenica con orario 18.00-24.30, percependo unicamente la somma di euro 92,08, nonché “contestando l'illegittimo allontanamento dal posto di lavoro, subito … in data
5.8.2019” e, al contempo, rilevando come il mancato superamento del periodo di prova sia stata utilizzato dalla convenuta come un mero pretesto per la interruzione del rapporto di lavoro;ha chiesto al giudice del lavoro adito di “a) accertare e dichiarare che il signor Parte_1
ha lavorato con la mansione di cameriere, per la società e che, il
[...] Controparte_1
predetto rapporto si è svolto ininterrottamente dal 22 Luglio al 5 Agosto 2019;b) accertare che il ricorrente ha diritto a ricevere, per i motivi sopra esposti, nonché i virtù dei conteggi analitici allegati, il pagamento della retribuzione mancante, pari ad €. 721,38, del trattamento di fine rapporto maturato, pari ad €. 130,00, e dei contributi previdenziali ed assistenziali;c) accertare e dichiarare che il ricorrente ha diritto all'indennità per licenziamento senza giustificato motivo per illegittima interruzione del rapporto di lavoro, pari ad €. 4.000,00;e per l'effetto: d) condannare la società in persona del legale rappresentante pro tempore, al pagamento in CP_1 Controparte_1
favore del signor della somma complessiva di €. 4.851,38, di cui 721,38 Parte_1 per retribuzione mancante, €. 130,00 per tfr, ed €. 4.000,00 a titolo di indennità per licenziamento illegittimo, oltre al danno per la mancata regolarizzazione della situazione previdenziale ed assistenziale, ovvero di quelle minori o maggiori somme che saranno ritenute eque nel corso del giudizio, anche ai sensi dell'art. 36 Cost., e dell'art. 2103 c.c., con il riconoscimento degli interessi legali dalla domanda al soddisfo”.
La società convenuta, costituitasi, ha eccepito la nullità del ricorso per indeterminatezza e ha contestato la fondatezza delle deduzioni avversarie, concludendo per il rigetto della domanda.
Istruita per il tramite della documentazione prodotta e con l'espletamento della prova orale, previa sostituzione dell'udienza di discussione con il deposito di note ai sensi dell'art. 127 ter
c.p.c., la controversia è stata decisa in data odierna a mezzo della presente sentenza.
Preliminarmente, è da disattendere l'eccezione di nullità del ricorso per indeterminatezza sollevata dalla parte resistente, laddove l'atto introduttivo contiene una precipua ed esauriente indicazione, anche sul piano temporale, delle prestazioni lavorative cui si correlano le pretese creditorie azionate (peraltro, dettagliatamente e partitamente specificate in apposito prospetto riepilogativo accluso al medesimo ricorso) e dovendosi, in ogni caso, considerare che, in base al condivisibile orientamento ripetutamente espresso dalla Suprema Corte, per aversi, nel rito del lavoro, la nullità del ricorso introduttivo del giudizio di primo grado per mancata determinazione dell'oggetto della domanda o per mancata esposizione degli elementi di fatto e delle ragioni di diritto che ne costituiscono il fondamento, non è sufficiente che taluno di tali elementi non venga formalmente indicato, ma è necessario che attraverso l'esame complessivo dell'atto - che compete al giudice del merito ed è censurabile in sede di legittimità solo per vizi di motivazione - sia impossibile l'individuazione esatta della pretesa dell'attore e il convenuto non possa apprestare una compiuta difesa (Cass. 9 maggio 2012, n. 7097;Cass. 8 febbraio 2011, n. 3126).
Tanto premesso, come in termini condivisibili ripetutamente affermato dalla Suprema Corte, la cessazione unilaterale del rapporto per mancato superamento della prova rientra nell'eccezionale fattispecie del recesso “ad nutum” di cui all'art. 2096 c.c., sottratto all'ordinaria disciplina di controllo delle ragioni del licenziamento (Sez. L, Sentenza n. 16214 del 3.8.2016): il licenziamento intimato nel corso o al termine del periodo di prova, avendo natura discrezionale, non deve essere motivato, neppure in caso di contestazione in ordine alla valutazione della capacità
e del comportamento professionale del lavoratore stesso;incombe, pertanto, sul lavoratore licenziato, che deduca in sede giurisdizionale la nullità di tale recesso, l'onere di provare, secondo la regola generale di cui all'art. 2697 c.c., sia il positivo superamento del periodo di prova, sia che il recesso è stato determinato da motivo illecito e quindi, estraneo alla funzione del patto di prova (Sez. Lav., Sentenza n. 1180 del 18.1.2017).
Ciò posto, nella fattispecie in esame il ricorrente si è limitato, sul punto, a contestare
“l'illegittimo allontanamento dal posto di lavoro, subito da parte del sig. , in Parte_2 data 5.8.2019, allorché quest'ultimo, con un'accetta taglia-carne, ha anche provocato un'escoriazione al ricorrente”;senza, tuttavia, al contempo allegare o chiedere di provare di aver validamente superato il periodo di prova, né, ancora più monte, che l'interruzione del rapporto di lavoro fosse da ricondurre ad una condotta espulsiva del datore di lavoro (e non ad un atto di dimissioni, come, al contrario, parrebbe risultare dal tenore della denuncia querela presentata dallo stesso il 13.9.2019, in atti: “… sino al 5 agosto 2019, giorno in cui sono andato via Parte_1 dal locale in quanto vittima di aggressione da parte di uno dei due titolari”).
In ragione di quanto dappresso evidenziata, la domanda specificatamente volta a conseguire
“l'indennità per licenziamento senza giustificato motivo per illegittima interruzione del rapporto di lavoro, pari ad €. 4.000,00”, non può, per ciò solo, che risultare priva di sbocco.
Come anticipato in premessa, la parte ricorrente pone a fondamento delle proprie rivendicazioni economiche il presupposto di aver lavorato alle dipendenze della convenuta per
l'intero arco temporale 22.7.2019-5.8.2019, dal lunedì alla domenica, con orario 18.00-24.30, laddove la diversamente, sostiene che il prestò l'attività Controparte_1 Parte_1
lavorativa che viene in rilievo soltanto per quattro giornate (segnatamente, dal 2 al 5 agosto 2019) secondo l'orario contrattuale di tre ore giornaliere.
A fronte di quanto precede, giova rammentare che, in tema di inadempimento di obbligazioni
e relativa ripartizione dell'onere della prova ai sensi dell'art. 2697 c.c., è principio consolidato quello secondo cui, nel caso in cui sia dedotto l'inadempimento, ovvero l'inesatto adempimento dell'obbligazione, al creditore/lavoratore è sufficiente dimostrare l'esistenza dell'obbligazione e, dunque, il titolo su cui si basa la sua pretesa, gravando invece sul datore di lavoro, in applicazione del principio di vicinanza o di riferibilità della prova, l'onere di dimostrare il fatto estintivo del diritto azionato, ovvero l'avvenuto esatto adempimento, ovvero ancora l'impossibilità sopravvenuta della prestazione per causa a lui non imputabile (Cass., S.U., 30/10/2001, n. 13533).
In applicazione del suddetto principio, ove l'oggetto della controversia riguardi
l'accertamento del diritto alla corresponsione di differenze retributive e/o ulteriori voci di retribuzione, il lavoratore non può, dunque, che essere chiamato a fornire la prova dell'esistenza del rapporto di lavoro, della sua natura e durata, della sua articolazione oraria, delle mansioni svolte, ossia dei fatti da cui origina il diritto alla corresponsione di ogni singola voce richiesta, con
l'ulteriore conseguenza che, ove permangano dubbi circa l'esistenza della relativa fattispecie, addivenirsi al rigetto della domanda, non essendo stato assolto l'onere di provare i fatti costitutivi
della pretesa azionata in giudizio (vds. con riferimento alle specifiche questioni dedotte in lite,
Cass. civ. Sez. lavoro, 7.11.2000, n. 14468;conforme Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 8.2.2013, n.
3046: “Nel rapporto di lavoro subordinato, l'onere di provare la durata della prestazione, nonché, al suo interno, la misura dell'effettivo impegno lavorativo in termini di giorni e ore, grava sul lavoratore che agisca per il riconoscimento del diritto al pagamento delle retribuzioni o di differenze di retribuzione, salvo che, in presenza di una misura predeterminata e normale delle prestazioni, sia il datore di lavoro ad eccepire il mancato adempimento dei corrispondenti obblighi”).
Correlativamente, non può che spettare al lavoratore, il quale chieda il riconoscimento del compenso per lavoro straordinario o supplementare, fornire la prova positiva dell'esecuzione della prestazione lavorativa oltre i limiti, legalmente o contrattualmente, previsti;tale statuizione costituisce proiezione del principio guida di cui all'articolo 2697 c.c., configurandosi lo svolgimento di lavoro “in eccedenza” rispetto all'orario normale quale fatto costitutivo della pretesa azionata.
Tanto premesso in termini generali, ritiene questo giudice che le risultanze dell'istruttoria espletata valgano soltanto in parte ad asseverare le allegazioni attoree.
Se, per un verso, alcuna valenza ricostruttiva può ascriversi al contributo di conoscenza offerto da Polo Serena (unico testimone escusso) in relazione alla protrazione dell'attività lavorativa per cui è causa oltre il 5 agosto (avendo detta Polo genericamente fatto riferimento alla presenza del al lavoro “per pochi giorni … se non sbaglio, ad agosto;ciò Parte_1 sicuramente per un periodo inferiore a due settimane”, senza, quindi, fornire elementi da cui poter evincere che il rapporto di lavoro dedotto in lite abbia avuto una durata maggiore rispetto a quella risultante dalla documentazione in atti);per altro verso, dalla testimonianza in parola possono trarsi decisive indicazioni in ordine all'orario di lavoro quotidianamente osservato dallo stesso
Parte_1
In particolare, a fronte della puntualizzazione promanante dalla Polo: “io lavoravo dalle ore
18.00/19.00 e andavo via intorno alle ore 22.00;il ricorrente arrivava al lavoro più o meno al mio stesso orario;non so dire se, dopo le 22.00, lo stesso vi si trattenesse ancora e fino a che ora” e del riferimento presente nel contratto di lavoro in atti all'orario giornaliero 20.00-23.00, può, dunque, ritenersi provato che il abbia lavorato, in ciascuna delle quattro giornate che vengono in Parte_1
rilievo, con orario 18.00-23.00, con il corollario che il relativo trattamento retributivo è, dunque, da rimodulare in rapporto a tale articolazione oraria.
Dovendosi ritenere provati i fatti costitutivi dell'obbligazione datoriale nei termini sopra riassunti, sulla scorta dei parametri retributivi indicati a pag. 2 del ricorso (certamente affidabili, in
quanto speculari a quelli utilizzati nel cedolino paga in atti), al ricorrente competono differenze retributive per l'importo di euro 76,82 (pari alla differenza tra l'importo di euro 168,90 complessivamente spettante per le quattro giornate in questione e l'importo di euro 92,08 già corrisposto al , oltre al trattamento di fine rapporto in misura di euro 12,50;somme al Parte_1
cui pagamento la convenuta, è, in conclusione da condannare, con la maggiorazione degli interessi legali e rivalutazione monetaria dalla maturazione di ciascun diritto sino al soddisfo.
È infine priva di sbocco la domanda volta a “ricevere” dal datore di lavoro i “contributi previdenziali ed assistenziali”, avendone il ricorrente dovuto richiederne il versamento in favore dell'Inps, così come la domanda di risarcimento del “danno per la mancata regolarizzazione della situazione previdenziale e assistenziale”, non essendo ancora maturata la prescrizione del relativo credito in capo all'Inps.
La soccombenza reciproca giustifica l'integrale compensazione delle spese di lite.
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